La trilogia dei Pirenei

opere, compositori, librettisti e il loro mondo

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Re: La trilogia dei Pirenei

Messaggioda DottorMalatesta » gio 26 lug 2012, 17:53

Grazie Matteo per questa chicca musicale (Concordo: meglio Ofelia Sala. Sarebbe interessante sentire l'opera nella sua integralità!!).
Se dovessi dire, a bruciapelo, quali grandi opere sono stati scritte da compositori spagnoli avrei le mie belle dificoltà. Poi però mi vengono in mente De Falla ed Albeniz. Comunque mi viene spontaneo associare la Spagna alla tradizione della zarzuela, più che all'opera intesa in senso stretto.
La grande Spagna apparentemente non sembra brillare per grandi compositori d'opera (ma è davvero così o è quello che ci vuole far credere il sistema?).
Anche l'opera in terra d'Albione sembra legata ai soli nomi di Purcell e del grande Britten. Ma, anche in questo caso, è davvero così o è quello che ci vuole far credere il sistema? Perché basta sfogliare l'ultimo numero di Diapason per rendersi conto che le cose non stanno esattamente così... Ma chi sono questi compositori?
Si tratta di grandi personalità, di grandi musicisti? Difficile a dirsi visto che il 90% dei dischi d'opera è dedicata ai soliti (grandi) noti. Il fatto è che ci vuole anche un po' di coraggio (con quel che costano i dischi oggidì) a comprare un'opera sconosciuta di Tippett piuttosto che l'ennesimo sempre-Verdi. Per non parlare poi del fatto che a raccontare di essere andati alla Scala per sentire il Peter Grimes (dico, il Peter Grimes non non l'Albert Herring!!!) e magari di esserne rimasti entusiasti si rischia di essere considerati gente dai gusti bizzarri, desueti ed esterofili... ;-) Ben venga Britten alla Scala (e Janacek, (quanto abbiamo dovuto attenderlo!!!!) e magari qualche compositore contemporaneo di area anglosassone...)

Ciao,
Francesco
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Re: La trilogia dei Pirenei

Messaggioda MatMarazzi » ven 27 lug 2012, 1:14

Caro Francesco,
se hai letto ciò che modestamente vado scrivendo da anni in questo forum, saprai che non posso certo essere accusato di scarso amore per Britten e Janacek o di non apprezzare le novità della regia contemporanea, del colorismo vocale o della filologia barocca. Altri, che in questo forum mi conoscono da più tempo (penso a Bagnoli, Maugham e Mattioli), sanno bene quanto fossi innamorato di queste cose già venticinque anni fa, talora trovandomi in disaccordo con loro, quando esse non erano ancora state "sdoganate".

Ora, passati tanti anni, dovrei essere contento di sentire giovani che ribadiscono le stesse mie passioni di allora.
Eppure qualcosa (sarò franco) tempera il mio entusiasmo... e precisamente la sensazione che oramai quelle necessità, quelle urgenze, diciamo pure quelle battaglie di allora, ribadite oggi non sono più nè necessità, nè urgenze, nè battaglie.
Oggi sono solo conquiste consolidate da decenni, istituzionalizzate, persino massificate.
Oggi sono loro la "tradizione"... quella che, in altro post, consideravi con durezza! ;)
Quella che ...minaccia con la sua pesantezza le necessarie evoluzioni di cui l'Opera ha assolutamente bisogno per sopravvivere.

Quando parliamo di questi temi (il nuovo linguaggio registico, l'ingresso di Britten e Handel nel grande repertorio, i controtenori, il canto colorista, ecc...) la preoccupazione che dovrebbe muoverci è che anche essi - tradizione ormai istituzionalizzata e imperante - stanno rischiando di perdere il loro legame con la contemporaneità, proprio come - ai miei anni - succedeva con le regie di Pizzi (il quale, negli anni 60, era stato avanguardia a sua volta).

Sentire ancora oggi sventolare l'audacia di proporre un Britten alla Scala o una regia "rivoluzionaria" (e chi sarebbe il rivoluzionario? Carsen? Jones... coi loro quasi sessant'anni?) mi turba un po'...
Ti confesso di rimanere di stucco quando leggo:
Per non parlare poi del fatto che a raccontare di essere andati alla Scala per sentire il Peter Grimes (dico, il Peter Grimes non non l'Albert Herring!!!) e magari di esserne rimasti entusiasti si rischia di essere considerati gente dai gusti bizzarri, desueti ed esterofili...


Bizzarri? Desueti? Ma da chi?
Ma se oggi Britten è uno dei compositori più eseguiti al mondo? La frequenza con cui le sue opere sono programmate straccia ampiamente non solo gente che nella storia della musica ha contato il suo giusto (come Weber, Haydn, Spontini) ma persino un certo Bellini si ritrova di larghe misure dietro a Britten...
Ma Milano... il covo dei reazionari e dei codini...
Be' ti informo che il Peter Grimes alla Scala era già arrivato nel 2000, dodici anni fa, e nientemeno che con Philip Langridge. Io c'ero, il pubblico c'era, gli applausi furono tanti anche allora.
E prima ancora era arrivato nel 1981, regia di Moshinski, direzione di Davis e Vickers.
Se aggiungiamo il fatto che nel 1946 la Scala fu tra i primi teatri al mondo ad allestire l'Opera, abbiamo ben quattro produzioni di quest'opera dal dopoguerra a oggi.
4 diverse produzioni!
Contro le 3 di Ernani, le 2 di Puritani, una sola di Francesca da Rimini, nessuna di Africana, né Roberto Devereux.
Paradossalmente hanno fatto più Peter Grimes a Milano negli ultimi settant'anni che a Berlino e all'Opéra di Parigi.

...Ok, Ci sarà pure anche a Milano qualcuno che non ama il Grimes... questo titolo raccoglierà pure meno partecipazioni di una Bohème (come nel resto del mondo d'altronde), ma sventolare ancora oggi lo spettro dell'oscurantismo anti-Britten, far passare Lissner per una specie di castigatore di codini per aver avuto il grande coraggio di riproporre un titolo che già tre volte si era visto a Milano (persino nel famigerato ventennio)... mi fa pensare - questo sì - al "sistema che ci vuol far credere"...
Un sistema di paladini di un progressismo intellettual-operistico che confonde la conservazione col progresso e che senza accorgersene scivola nel dogmatismo.
Sembra la descrizione esatta dei cellettiani! ;)

Le conquiste della regia musicale e della filologia barocca, l'esplosione del canto colorista e l'attuale ridefinizione del repertorio (che già da decenni fa prevalere Monteverdi, Handel, Janacek e Britten sull'operismo ottecentesco) sono battaglie che, se mai sono state combattute, lo sono state vent'anni fa.
Negli anni '80 e '90 erano argomenti sensibili (perché sprigionati da una società che non era più quella degli anni '60 e voleva una musica diversa), mentre oggi sono la tradizione dominante, di cui siamo fieri (io per primo), che abbiamo contribuito a imporre ma di cui dovremmo temere il rischio della cristallizzazione.
E i segnali ci sono già tutti...

E invece di ragionarci sopra, ci ritroviamo (come fu per il Cellettismo) una retorica sempre più aggressiva che si ostina a far passare il conservatorismo della Scala di oggi per rivoluzione...

Dato che ho vissuto (ahimé: ho 42 anni) entrambe fasi, ti confesso che più passa il tempo meno differenze scorgo fra il dogmatismo dei Cellettiani che, vent'anni fa, mettevano Rossini sull'altare e quello di chi, oggi, ci mette Britten e Janacek... o di chi vent'anni fa attribuiva al virtuosismo del belcantista lo stesso significato totalizzante che oggi viene attribuito al virtuosismo registico...
Gli uni e gli altri, comunque, hanno qualcosa in comune: il vedersi intorno i complotti dei restauratori! :)

Mi scuso per la lunghezza (come al solito eccessiva) del post e per essere andato clamorosamente ot.
Mat
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Re: La trilogia dei Pirenei

Messaggioda DottorMalatesta » ven 27 lug 2012, 2:05

Ciao Matteo,
innanzitutto volevo ringraziarti di cuore: nulla è più necessario delle persone che ti costringono a pensare e magari ti obbligano a rivedere certe posizioni che davi come assolute. Un solo punto di vista è la vista di un solo punto…
Nella fattispecie, penso di capire il tuo punto di vista. Sono troppo giovane per aver vissuto i grandi cambiamenti epocali del ’68 e post ’68, ma quello che scrivi mi ricorda le speranze di quanti allora si battevano per un mondo diverso e si sono ritrovati con nulla in mano (e penso a Pasolini, e alle sue profezie, non ai figli di papà che scagliavano sanpietrini contro la polizia a Valle Giulia). E’ difficile per l’arte parlare al presente con il linguaggio del presente senza il rischio di rimanere inghiottita o strumentalizzata dal “sistema” (chiamalo come vuoi, in fondo è sempre e solo logica di denaro). L’arte figurativa contemporanea ha da tempo rinunciato ad ogni tentativo di colloquiare con l’uomo di oggi, si è isterilita in una logica autoreferenziale, si è ridotta ad oggetto di puro mercato, opera da comprare e vendere, dipinto da appendere al muro di ricchi appartamenti metropolitani.
Capisco che anche l’opera possa correre questo rischio. E forse se si guarda all’opera da una prospettiva internazionale il rischio c’è (e penso ad esempio all’ammiccare alle nuove tecnologie, modello Fura dels Baus, riproposizione in chiave tecnologica e futuristica delle cartoline Liebieg d’antan). Ma non credi che nel nostro paese, l’avanguardia della retroguardia (per dirla con Mattioli), battersi per avere Janacek, Britten, Guth e Jones alla Scala non significhi lottare per un qualcosa che, d’accordo, non sarà il nuovo che avanza, ma è pur sempre qualcosa di più vivo e di meno mummificato rispetto a quanto siamo stati costretti a sopportare durante il ventennio e di quanto ancor oggi sopportiamo in molti teatri italiani?
Sono giovane, e purtroppo non ho modo di girare il mondo per vedere il nuovo che avanza, possono solo farmene un’idea grazie ai DVD e ora… grazie a voi : Love : , ma sarei contento se quello che nel mondo rischia di diventare routine, nel nostro paese potesse essere conosciuto, giudicato, criticato. Lo dico perché amo l'opera quanto amo mia moglie e mia figlia, e mi in***** nel pensare che vivo in un paese dove la quasi totalità dei giovani rifugge dall'opera come dalla peste bubbonica!!!!
Ormai la scuola ha da tempo abdicato al suo ruolo educativo, nessuno più ti insegna a pensare (anzi, pensare è pratica pericolosa in quanto potenzialmente eversiva!!). Forse è ora che nel nostro paese, il teatro torni a riacquisire il ruolo anche sociale e politico che aveva alle origini (il teatro dell’antica Grecia), teatro come specchio del presente dell’uomo. In Italia è ora di dire basta con un teatro di prosa fatto di fini dicitori e ortoepisti, basta con un teatro d’opera fatto di decoratori: è ora che il teatro reagisca a tanta anestesia del pensiero, è ora che il teatro torni a parlare di noi!

P.S.: scusa la filippica! E anzi, grazie! Questo thread non è solo trilogia dei Pirenei :)
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Re: La trilogia dei Pirenei

Messaggioda mattioli » ven 27 lug 2012, 11:55

Scusate, non resisto:

"Signorina Maccabei
venga fuori dica lei
dove sono i Pirenei?"
"Professore io non lo so, lo dica lei"

"E sentiamo Mancinelli,
il mio re degli asinelli,
dove sono i Dardanelli?"
"Professore io non lo so, lo dica lei"

Dal cortile che confina con l'università
salta fuori una gallina che una domanda fa:
"Coccoroccoccò sentiamo un po'

Professore per favore
mi vuol dir se è nato prima
l'uovo oppure la gallina?"
Che figura il professore non lo sa

:lol: :lol: :lol:
Scusate ancora, bannatemi pure.
Miao
AM

PS: Maccabei, Mancinelli... sempre opera (o oratorio) è...
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Re: La trilogia dei Pirenei

Messaggioda MatMarazzi » ven 27 lug 2012, 13:45

mattioli ha scritto:Scusate, non resisto:
PS: Maccabei, Mancinelli... sempre opera (o oratorio) è...


:D :D :D :D
Irresistibile il Mattioli!
Inutile: il tuo cazzeggio batte il mio venti a uno. Non c'è storia! :)
Ma che bannarti! :) Un monumento ti si dovrebbe fare! :D
E' pur vero che usavi la stessa identica ironia quando vent'anni fa si parlava delle mie gite a Bruxelles per applaudire Mortier e lo Janacek "di domani" e quando esprimevo il mio amore per i nuovi registi! :)
Ma io non temo... :)
conto infatti che fra vent'anni scriverai un bel libro sui Pirenei dove spiegherai quanto è "moderno" Pedrell (troppo moderno per la pericolosa retroguardia che va a teatro solo per sentire Britten)! :)

E ora, lasciando per un attimo il rilassante cazzeggio, vengo a Francesco e alle sue interessanti questioni.

DottorMalatesta ha scritto:se si guarda all’opera da una prospettiva internazionale il rischio c’è (e penso ad esempio all’ammiccare alle nuove tecnologie, modello Fura dels Baus, riproposizione in chiave tecnologica e futuristica delle cartoline Liebieg d’antan). Ma non credi che nel nostro paese, l’avanguardia della retroguardia (per dirla con Mattioli), battersi per avere Janacek, Britten, Guth e Jones alla Scala non significhi lottare per un qualcosa che, d’accordo, non sarà il nuovo che avanza, ma è pur sempre qualcosa di più vivo e di meno mummificato rispetto a quanto siamo stati costretti a sopportare durante il ventennio e di quanto ancor oggi sopportiamo in molti teatri italiani?


Partiamo dalle premesse su cui siamo d'accordo:
-che il linguaggio operistico è evoluto radicalmente tra la seconda metà degli anni 80 e la fine dei novanta.
-che in Italia questa rivoluzione è arrivata, all'epoca, poco o punto, a causa del muro opposto dai cellettiani e dell'oscurantismo imposto da Muti al nostro teatro più importante.

Bene! E adesso cosa dovremmo fare?
Le possibili strade sono due:

1) recuperare in ritardo ciò che avremmo dovuto vedere vent'anni fa (è la politica del conservatore Lissner ed è quel che, mi pare, tu suggerisci).
2) tirarci (ahimé) una riga sopra, tanto ormai quel che stato è stato, e guardare avanti, in modo da allinearsi (almeno oggi) agli sforzi dei teatri più all'avanguardia.

Tu propendi per la prima ipotesi.
Meglio vedere alla Scala la roba di vent'anni fa che non quella di quaranta anni fa... che saremmo costretti a sorbettarci se al posto di Lissner ci fosse ancora Muti.

Ok, non escludo che tu possa avere delle ragioni dalla tua: è la tesi che anche Vit ha spesso difeso..
Ma questo significa restare ancora una volta ciò che Mattioli ha brillantemente definitivo "avanguardia della retroguardia".
Ciò condannarsi a restare, ancora una volta, slegati da un musica e un'immagine che ci rappresentino per quello che siamo ora, che la civiltà è diventata, che i nostri giovani si aspettano (esteticamente e culturalmente) nel mondo in cui viviamo adesso..

E' vero che siamo stati privati di questa relazione Opera-contemporaneità negli anni '80 e '90, ma questo non toglie che oggi siamo comunque persone del 2010... e non degli anni 80 e 90.
I nostri "modelli" estetici, i nostri ritmi di vita, le nostre esperienze quotidiane, l'apertura sul mondo grazie a Internet sono, oggi, gli stessi di tutti gli altri paesi del pianeta.
E la risposta che oggi l'opera sta cercando di dare alle sollecitazioni del presente... è fatta per parlare a noi proprio come ai francesi, ai tedeschi e ai giapponesi.
Tanto più che il mondo si va globalizzando, il "broken english" sta diventando la koiné internazionale, Internet l'autostrada su cui tutti quotidianamente corriamo.

Ecco perché è a mio parere nocivo ostinarsi a proporre un'estetica, un repertorio, una visione dell'Opera - come fa Lissner - per cinquantenni, creata in tutt'altra epoca come gli anni '90 (quando non c'era internet, quando non era esplosa la civiltà dell'immagine, quando i ritmi di vita erano tanto diversi e le globalizzazione culturale non era ancora ai livelli di oggi).

Tu parli di un ragazzo di oggi... che dovrebbe andare all'Opera.
Bene credimi: un ventenne del 1976 sarebbe rimasto folgorato di fronte al Ring di Chéreau, tanto quel linguaggio era vicino a lui e lontano dal solito modo di fare opera; oggi un ventenne rischierebbe solo di addormentarsi di fronte al Tristano di Chéreau, che pure è stato molto bello, in sè. Peccato che parlasse una lingua di trent'anni fa.
Gli stessi cappottini e spogli muraglioni di Peduzzi nel 1976 erano di una potenza sconvolgente per il giovane di allora; ma che cavolo possono dire oggi a un ragazzo del 2010 che gira il mondo con i Low cost e con i programmi Erasmus, nutrito (perchè è così) di "reality", che chatta con altri ragazzi agli antipodi semplicemente con un click?
Sai che c***o se ne fa un ventenne di oggi di quei cappottini? :)
Lissner è alla Scala da quanti anni? otto? sette? Quanti sono i giovani che hai visto alla Scala? Io vedo gli stessi che vedevo ai tempi di Muti... anzi, molti, molti meno, perchè ai tempi di Muti non si pagava 254 euro per andare a vedere un'opera.

Nella bella intervista che ci ha concesso, Mattioli ha affermato una cosa molto giusta: Lissner sarebbe dovuto venire alla Scala a metà degli anni '80.
Allora sì che avremmo avuto, in tempo reale, quelle stesse rivoluzioni grandiose che a noi sono mancate (e che invece Lissner regalava in quegli anni allo Chatelet e a Aix).
Purtroppo così non è stato: ma che senso ha chiamarlo con vent'anni di ritardo per sostituire un conservatorismo con un altro?


Piccola precisazione: non sto dicendo, ovviamente, che si dovrebbero buttare alle ortiche Guth e Jones in quanto vecchi, e che si devono abolire i direttori dell'era filologica, ecc....
Ma per carità! Pensa che io non abolirei nemmeno le scoperte (perché ce ne sono state di importantissime) della fase cellettiana!
Tanto che oggi siamo tutti d'accordo che non si può più cantare il Trovatore come hanno fatto a Bruxelles...

Il bello di avere alle spalle tante belle tradizioni del passato è proprio quello di continuare a servirsene sempre (almeno finché sono vitali), ma in un'ottica sempre diversa, che guardi al futuro...
Il primo passo sarebbe di studiare il repertorio meno eseguito, onde scoprire "altri" autori e "altri" titoli che possano aiutarci a raccontare il 2010 con la stessa efficacia con cui Britten e Handel ci hanno aiutato a raccontare gli anni 90, Rossini e Janacek gli anni 80, Mozart e Mahler gli anni 70, Donizetti e Berlioz gli anni '60, Strauss e Bellini gli anni 50...
Solo dopo che avremmo identificato i "nuovi autori" da rilanciare nel nostro tempo, terranno dietro le rivoluzioni linguistiche, tecniche, stilistiche, proprio come è successo per Handel, Monteverdi e Janacek.

E in tutto questo fermento che porta i teatri "pilota" del mondo a scoprire nuove opere, a dare una chance al repertorio "borghese" e fantasy del tardo ottocentesco (Rimsky, Massenet... guarda la spettacolare rinascita di "Rusalka"!), a rinverdire i fasti del Grand-Opéra... noi vogliamo davvero restare ancora - e come sempre - indietro? Vogliamo ancora rimanere il mausoleo del già detto?
....Proprio come ai tempi di Muti?

Sinceramente io non ci sto.

Salutoni,
Mat
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Re: La trilogia dei Pirenei

Messaggioda DottorMalatesta » ven 27 lug 2012, 17:45

Caro matteo, che dire?
Mi hai lasciato senza parole!!! :-)
Sono sostanzialmente d'accordo con te.
Il problema è sulla modalità più appropriata per attuare la "rivoluzione culturale" che proponi. Considerando l'arretratezza e il provincialismo del nostro paese meglio un approccio graduale (della serie: intanto recuperiamo il tempo perduto anche se per un po' resteremo indietro rispetto al resto del mondo) nel timore che un approccio troppo radicale al teatro d'opera possa portare a una guerra civile tra passatisti ed avanguardisti? Oppure adottare un taglio netto come proponi tu? In quanto medico penso che quando uno ha un arto in cancrena l'unica soluzione per salvargli la vita è amputare...
Non so davvero...
Grazie e ciao!
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Re: La trilogia dei Pirenei

Messaggioda DottorMalatesta » ven 27 lug 2012, 18:03

P.S.: onde stemperare il tono troppo apocalittico adottato nel precedente post, ve lo immaginate gli scontri a suon di mazze celtiche tra passatisti e avanguardisti ad una Norma con regia di McVicar (i primi sventolanddo uno stendardo con l'effige della Pasta, i secondi con quella della Callas)? "Sangue, sangue! Le galliche scuri fino al tronco bagnate ne son. Sovra i flutti del Ligeri impuri ei gorgoglia con funebre suon. Strage, strage, sterminio, vendetta!"
:-)
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Re: La trilogia dei Pirenei

Messaggioda mattioli » ven 27 lug 2012, 19:30

No, caro Dottore. McVicar in Italia passerebbe tranquillamente, anzi le Care Salme, almeno quelle provviste di lettore dvd, lo citano continuamente come esempio di regista "rispettoso". In effetti tutto il suo lavoro è nella recitazione dei cantanti, questa sì davvero rivoluzionaria, aspetto che non interessa alle CS e che, se anche interessasse loro, non saprebbero riconoscere.
E' strano come nessun teatro italiano gli abbia affidato uno spettacolo (a parte, mi sembra di ricordare, il Verdi di Trieste che riprese il suo epocale Faust di Londra). Ma probabilmente i cd "direttori artistici" non l'hanno mai sentito nominare...
Come si chiama la bimba?
Ciao
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Re: La trilogia dei Pirenei

Messaggioda DottorMalatesta » sab 28 lug 2012, 15:56

Ciao Alberto,
dicevo McVicar? Forse avrei dovuto dire Calixto Bieito che fa pisciare Pollione sul pubblico della prima fila (come il grande Carmelo Bene)?
Absiti iniuria verbis, a me Bieito piace, ma non è sempre politically correct!!!! ;-)
Ciao,
Francesco

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