I Ruoli Ronzi de Begnis

cantanti, direttori, registi, scenografi

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Re: Le 3 regine Donizettiane

Messaggioda Rossiniano » mar 16 ott 2007, 18:34

stecca ha scritto:P.S: quanto alla Theodossiou nuovo astro donizettiano nessuno discute che abbia temperamento e anche una certa qualità vocale di natura non indifferente o che spesso azzecchi qualche attacco emozionante etc. etc., ma non si può a mio parere affrontare il belcanto in modo così approssimativo e periclitante, fidando sull'enfasi, l'enfasi in donizetti non si crea con la esagitazione scomposta ma con un uso sapiente di una tecnica adamantina, Callas e Gencer ce lo insegnano ancora oggi sentire per credere.....


Ho assistito al Devereux di Dimitra Theodossiou e sono uscito dal teatro con gli occhi sbarrati, ma non certo per motivi positivi. Il finto temperamento della cantante greca si risolve nel rendere Elisabetta una (MODERATO), una (MODERATO) in pratica. Le ho visto lanciare le sedie durante il finale II e mi chiedo come mai non abbia pensato a tirare anche qualche polipo vivo, azione che sarebbe stata coerente con la concezione (MODERATO) che la Theodossiou offre di Elisabetta I.

Vocalmente vi era il disastro, una voce leggera, inadatta al peso specifico della parte, poco valida in basso, tutta urlata e spinta in alto. La cosa migliore era il Vivi ingrato, dove i falsettini imperavano (e c'era chi li prendeva per pianissimi...), il resto era un urlo continuo, la cabaletta d'entrata, il duetto con Roberto, tutto il II atto (l'esperienza più raccapricciante finora avuta in teatro, senza offesa per gli esitmatori della greca signora), il finale dell'opera, dove la stanchezza e la pesantezza della parte si facevano sentire.

Solito discorso alla fine : come si può fare il Belcanto con un'emissione di gola quando l'emissione e il suono di gola è la negazione e la morte del Belcanto stesso? Per me questo tipo di cantanti sono inaccettabili soprattutto in questo repertorio.
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Re: Le 3 regine Donizettiane

Messaggioda Riccardo » mer 17 ott 2007, 12:56

stecca ha scritto:Le epigone della Maria ovviamente si fecero invece tentare non tanto dalla Donizetti renaissanace ma da quella Bolena, e così da Souliotis a Scotto ad altre che non mi sovvengono Anna Bolena la inserirono nel loro carnet e la Scotto in ben due CD live americani del 1975 ne dette una versione a mio parere forse poco ortodossa ma entusiasmante, ed ancora una volta è proprio nel grande duetto con Seymour che se ne può avere contezza (strepitoso), bene ha fatto tuttavia a fermarsi alla Bolena.

Reputi davvero la Scotto un'epigona della Callas? A me sembra abbiano pochi tratti in comune, a livello di mezzi vocali come di personalità.
Che la Scotto, forse, sentisse il peso dell'eredità della greca in talune scelte di repertorio è un altro discorso...

Certo è che, se l'avesse sentito di meno, magari ci avrebbe regalato anche Devereux e Stuarda, nelle quali avrebbe sicuramente detto la sua, forse anche meglio che in Bolena. Penso che avrebbe fatto bene a non fermarsi lì!

Salutoni
Riccardo

P.S.
stecca ha scritto:esplode nel 1965 Montserrat Caballè
:D
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Messaggioda Pruun » mer 17 ott 2007, 15:27

La Theodossiou va guidata: ad Ancona, con l'ineffabile Campanella sotto di lei, creò una bellissima Elisabeta, secondo me.
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Messaggioda stecca » mer 24 ott 2007, 18:18

“Gemma di Vergy” di Donizetti
(Prima rappresentazione: Teatro alla Scala, 26 dicembre 1834)






Edizioni in CD;
1) Myto: live Napoli, 12.12.75
(Gatto, Caballé, Bruson, Casellato-Lamberti, Rinaudo)
2) PA: live Barcellona, 20.01.76
(Gatto, Caballé, Sardinero, Lima, Pons)
3) CBS: live New York (C.H), 14.03.76
(Queler, Caballé, Quilico, Lima, Plishka)
4) Rodolphe: live Parigi (S.P), 20.04.76
(Gatto, Caballé, Sardinero, Lima, Pons)
5) Gala: live Bergamo, 07.10.87
(Gert, Maliponte, Garaventa, Ferrin)


Gaetano Donizetti, forse il più “prolifico” autore d’opera della nostra storia, aveva 37 anni quando nel 1834 gli venne commissionata dalla Scala di Milano la consueta opera “dicembrina”.
L’anno precedente infatti vi era stato il grande successo di “Lucrezia Borgia” (dicembre 1833), successo “dicembrino” che sarebbe stato replicato anche l’anno successivo con “Maria Stuarda” (dicembre 1835), ovvero solo 3 mesi dopo la straordinaria prima napoletana di “Lucia di Lammermoor” (settembre 1835) opera che rimane tutt’oggi il suo lavoro di gran lunga più rappresentato e popolare insieme alle buffe Elisir e Don Pasquale.
“Schiacciata” quindi tra “colossi” come Lucrezia, Stuarda e Lucia la reietta Gemma (nome di fantasia tratto da una poco nota piece di Dumas (“Carlo VII” ove la protagonista femminile si chiamava Berangere) non si può dire che trovasse la strada sgombra e perdippiù tale lavoro non nacque certo sotto i migliori auspici.
Il librettista prediletto di Donizetti, il noto Felice Romani (che era pure il librettista di fiducia di Bellini) decise sostanzialmente di “andare in pensione” e quindi si dovette ricorrere a tale Bidera, ma anche i principali cantanti di allora risultavano, chi per un verso chi per l’altro, impegnati altrove (Malibran e Duprez a Napoli, Donzelli a Venezia, Persiani a Genova, Grisi, Rubini, Tamburini e Lablanche a Parigi etc.), in pratica solo la celebre Giuditta Pasta era “milanese” ma dopo avere dato una scorsa alla parte di Gemma, decise di....tirarsi indietro.
A quel punto Donizetti si ricordò di Giuseppina Ronzi un soprano per il quale aveva scritto 3 anni prima “Fausta” (e che 4 anni dopo sarà Elisabetta nel “Roberto Devereux”) e così la Ronzi fu ingaggiata per la prima scaligera di Gemma di Vergy unitamente al tenore Reina (già Arturo della Straniera belliniana), al baritono Cartagenova (già Filippo nella Beatrice belliniana), ed al giovane basso Marini (che sarà poi scelto da Verdi per Oberto e Attila).
La vicenda è naturalmente tragica, il soprano Gemma, avvertita dal fratello (il basso Guido) di essere stata ripudiata dal marito (il baritono Conte) per infertilità a favore della giovane Lisa (mezzo-soprano), assolda, in preda alla gelosia, lo schiavo Tamas (tenore) da sempre innamorato di lei, per uccidere il consorte, ma a misfatto compiuto Gemma diventa “pazza” e Tamas si uccide nella generale riprovazione dei più.
L’opera ebbe un successo incredibile e divenne per alcuni anni una delle opere più rappresentate al mondo (la canteranno anche la Grisi, la Pantaleoni, la Boccabadati et similia fino alla Frezzolini ed alla Barbieri-Ninni, tra i tenori si segnalano Guasco e Tamberlick e tra i baritoni anche Varese il beniamino di Verdi).
“Gemma di Vergy” fu anche tra gli ultimi lavori seri donizettiani a cadere nell’oblio novecentesco, giacchè la sua ultima rappresentazione avvenne a Empoli nel 1901, quando già le varie
Bolene, Belisario, Torquato e Parisine erano uscite da tempo dal repertorio teatrale.
Quando negli anni settanta la cd. “belcanto renaissance” (a seguito del noto ciclone Callas e di quella celebre fioritura di memorabili belcantiste che rispondevano al nome di Sutherland, Gencer, Sills, Scotto etc.) imponeva di scoprire almeno un’opera dismessa all’anno, il Teatro San Carlo di Napoli decise di aprire la stagione 1975-76 con la prima moderna di “Gemma di Vergy” e per l’occasione scritturò quella che allora era la fuoriclasse di quel repertorio (Montserrat Caballè, che peraltro aveva già superbamente riesumato la grande entrata tripartita di Gemma nel recital RCA di rarità del 1968), un giovane ma già affermato baritono (che aveva già cantato molto Donizetti con altra donizettiana doc Leyla Gencer) Renato Bruson ed un tenore che si prestasse a cantare l’ingrato ruolo di Tamas e la scelta cadde su Giorgio Casellato-Lamberti, mentre la direzione fu affidata ad un direttore “indicato” dalla senòra alla quale in fondo toccava il ruolo più ingrato, ovvero Armando Gatto.
A Napoli tuttavia le cose non andarono proprio per il meglio, la Caballé, che oltretutto in quegli anni cantava come una forsennata ovunque e di tutto, si ammalò e saltò la prima rappresentazione, la registrazione della serata successiva del CD Myto non la presenta certo al massimo della forma, a parte il memorabile sestetto del finale atto primo che scatena un entusiasmo incredibile nel pubblico in sala fino ad imporre un improbabile bis, ma poi il difficilissimo ruolo di Gemma venne più elaborato e perfezionato e così dopo le rappresentazioni al Liceu (con un giovanissimo Pons scritturato nel ruolo da basso di Guido), la Caballé porterà “Gemma di Vergy” in versione da concerto prima a marzo alla sua abituale Carnegie Hall, ove si riformerà il magico binomio con Eve Queler della donizettiana Parisina di due anni prima, e che rimane tra le quattro la sua esecuzione più riuscita (eccettuato qualche acuto a piena voce un pò metallico che già cominciava a fare capolino a forza di abusare nei pianissimi....), e quindi ad aprile alla Salle Pleyel di Parigi sostanzialmente con il cast di Barcellona, e sempre con il giovane tenore spagnolo Luis Lima nel ruolo impervio dell’innamorato Tamas.
Dismessa dalla Caballè, oramai sempre più votata al repertorio spinto, nessuno ha più voluto sobbarcarsi l’onere di mettere in piedi una opera di tale difficoltà e di così scarso richiamo, ci provò solo il Festival donizettiano di Bergamo nel 1987, ma era evidente che, con tutto il rispetto per Adriana Maliponte, in assenza di una grande Gemma dall’accentuato carisma vocale, un’opera del genere, che non appartiene al novero di opera che “corre da sola” come Lucia o Favorita, perdesse almeno tre quarti del suo valore, e quindi possiamo dire che ai giorni nostri (in attesa magari che ci faccia un pensierino la Devia o la Teodossiu che magari finalmente azzecca un ruolo donzietiano...) Gemma di Vergy sia di nuovo caduta in totale oblio, ed è un gran peccato perchè, se ben eseguita, è semplicemente meravigliosa e di rara forza drammatica, forse una delle più belle in assoluto di Donizetti, parlo ovviamente per gli amanti del “belcanto”.
Il ruolo di Gemma, personaggio fondamentalmente malvagio, è a dir poco vocalmente arduo ma pare scritto a bellaposta per creare il trionfo della primadonna ispirata giacchè alterna momenti lirici a passi più scopertamente drammatici, e in questo si può ben capire come una interprete brava in Stuarda e in Devereux come la Ronzi potesse rendere appieno anche Gemma, a differenza di altri ruoli donizettiani più soavi e malinconici, tipo Lucia, Alina o Linda, più adatti magari ad altra tipologia di voce.
Non a caso la Ronzi, si ripete prima Gemma assoluta, sarà tra le poche cantanti ad eseguire tutte e tre le regine della cosiddetta trilogia Tudor tanto cara a Leyla Gencer, giacchè canterà anche Anna Bolena, oltre che Fausta e Paolina di Poliuto, ruolo riscoperto da Maria Callas, non a caso dopo quello di...Bolena.
Occorre quindi un soprano belcantista (non si prescinde dalla giusta tecnica) dotato di vis drammatica perchè altrimenti il personaggio non viene fuori, e così come in Stuarda, ove è necessario tirare fuori tutta la grinta possibile nel celebre duetto con Elisabetta “Figlia impura” o nel Devereux nel duetto con Nottingham “Alma infida, ingrato core”, anche nella Gemma arriva il secondo quadro del secondo atto ove avviene l’incontro infuocato e decisivo con la rivale Lisa “E’ dessa in mio potere” ove l’astuto Donizetti ha previsto il classico sbalzo di ottava di effetto che obbliga il soprano a declamare in forte l’acuto di alla ragion del forte per poi scendere di colpo nel registro grave di ciascuno obbedirà, vedi anche "scender vivo nel sepolcro" di Devereux.
Sempre in questa grande scena (forse il momento clou di tutta l’opera) si vede ben chiaro dove risieda la grande difficoltà vocale, ma anche la straordinarietà drammatica, del ruolo di Gemma.
Gemma arriva travisata per non farsi riconoscere da Lisa e canta tra sè e sè in una sorta di crescendo sinistro e un pò presago (La mia rivale!, Parla fra sé! Che dice? Quanto è misera Gemma....Ei l'ama? Oh, gelosia!), quindi, dopo un duettino fittizio (E questa convenevole vesta al nero stato del dolente mio core) si disvela con una rabbiosa nota tenuta con l’orchestra che scatta all’unisono al sorger della fatale domanda di Lisa (Uscir da queste soglie a te chi vieta?) che esplode con un memorabile "Di Vergy la moglie".
Poi afferra la rivale dovendo eseguire seduta stante una micidiale semicabaletta belcantista di bravura velocissima (Non fuggir che invano il tenti, rea cagion de' mali miei) fino all’arrivo prima del consorte e quindi persino del suo innamorato Tamas, e la scena diventa incredibile giacchè prima Gemma minaccia di uccidere Lisa, quindi il Conte chiede pietà tipo Pollione nel finale atto primo di Norma, quindi Tamas disarma Gemma, ed infine tutti cantano insieme la bellissima stretta (Quella man che disarmasti ti die' vita, o schiavo ingrato; la tua destra, o sciagurato) che si chiude con il solito Re acuto per il soprano (vd. Bolena), e che dovrebbe trascinare il pubblico ad un applauso sfrenato, mentre si consuma a piena voce la tragedia in scena, con il sipario che parte...
La restante parte dell’atto secondo poi è tutto di Gemma che deve sottoporsi ad un tour de force vocale che non credo abbia tanti paragoni e immagino che fosse per questo motivo che la Caballé usava dire allora che “cantare una Gemma equivaleva a tre...Norme”.
Sta di fatto che si comincia col classico recitativo carezzevole (Tutto tace d'intorno e sol rischiara dalla notturna face un debol raggio) con l’orchestra semi-silente stile ingresso di Anna in Bolena, tuttavia invece dell’atteso cantabile arriva Tamas e parte un duetto straordinario con la celebre "Non è ver: non è quel tempio schiuso a rito nuziale" (pezzo bellissimo) che prende davvero un “ritmo” coinvolgente, fino alla solita stretta "Va', ti attendo: seguirti s'io pieghi tu per forza mi strappa, mi traggi" e debbo dire che un pochettino tutta questa scena mi ricorda il duetto finale Ermione-Oreste del celebre capolavoro di Rossini guarda caso eseguito a Pesaro proprio dalla Caballé.
Poi Gemma resta sola (Eccomi sola alfine...) e parte una bellissima invocazione semi-declamata fino alla invettiva furiosa "Da quel tempio fuggite, angioli tutti, voi! terra, spalanca" ed ancora si percepisce una certa analogia con Ermione.
Attenzione perchè qui Gemma sta diventando pazza ma Donizetti descrive una pazzia ben diversa da quella di Bolena, la regina arriva in scena trasognata e già impazzita ed è un pazzia “da buona” tipo anche Lucia, Gemma invece impazzisce “da cattiva” e quindi occorre ben altro accento rispetto a Bolena o Lucia, quando ecco che di colpo tutto si assopisce ed arriva la rituale aria donizettiana di quelle che si dovrebbero cantare sdraiate e che alla fine tutti dovrebbero piangere di commozione, anche perchè l’arioso “un altare ed una benda” non ha nulla da invidiare alle più famose “Al dolce guidami” o “Vivi ingrato”, è un aria semplicemente meravigliosa e se la si canta tutta sul fiato e in piano legato, l’effetto è di quelli che ti lasciano appunto senza...fiato. Quella furbacchiona della Caballé ben sapeva che poteva anche pasticciare nel primo atto (tipo Napoli) perchè tanto verso il finale sarebbe comunque arrivato il momento magico (l’aria infatti è strepitosa in tutte e quattro le edizioni).
Poi accade il patatrac e la cabaletta finale col dacapo "chi mi accusa, chi mi grida" è molto particolare, mi ricorda un pochettino quella di Stuarda "Ah se un giorno" giacchè ha l’attacco in piano ed il crescendo in forte e gli acutazzi finali a pieni polmoni su coro e orchestra con tanto di brevi abbellimenti ricorda di molto anche il finale di Elisabetta del Devereux del "sangue versato".
Insomma una meraviglia, ascolti e vivi l’effetto della vicenda, in questo Donizetti, non sarà un raffinatone, ma a volte sa essere un teatrante musicista come pochi.
E non ho parlato del primo atto che oltre alla superba entrata di Gemma (Nuove contese, una voce al cor d’intorno, egli riede oh lieto istante) presenta un notevole duetto straziante Gemma-Guido dove la sorella apprende del ripudio maritale (Dio pietoso! Ah! tu ben sai quanto amai lo sconoscente!) e dove c’è una bellissima romanza baritonale del Conte (Ah! nel cuor mi suona un grido) e infine tutto il gran finale di atto che ricorda il superbo finale atto primo di Bolena tra cui il già citato e meraviglioso sestetto lento "fuggì l’ira dal suo petto" che ricorda un pochino il celebre concertato di “Lucrezia Borgia”.
Anzi in realtà il Conte ha due arie baritonali straordinarie (ecco perchè si chiamò Bruson a Napoli...) perchè nel secondo atto al primo quadro, dopo il duetto con Guido, il Conte ha la seconda romanza "Ecco il pegno ch'io le porsi!"...ma anche le due romanze scritte per tenore e basso che cantano nel primo atto rispettivamente Tamas (Mi togliesti a un sole ardente ai deserti, alle foreste),e Guido (Ah! chi mai per tal sciagura chi non piange di dolor?) potrebbero decretare il personale trionfo di un bravo cantante.
In conclusione quindi con quattro cantanti fuoriclasse Gemma di Vergy avrebbe il giusto tributo di autentico capolavoro di belcanto donizettiano doc, ma anche con tre discreti professionisti ed un grande soprano, seppur non più al top della sua forma, tale opera a me è arrivata eccome, ve ne consiglio quindi l’ascolto ed in specie del CD CBS, perchè temo che per risentire in modo decente questa straordinaria opera che un dì ebbe tanto successo, non ci sarà più occasione.
stecca
 
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Messaggioda pbagnoli » mer 24 ott 2007, 21:20

Be', Stecca, bel lavoro.
Ottima documentazione di una discografia dominata - lo sapevo - dalla Caballé che dimostra la propria propensione per i ruoli Ronzi.
Mi sembra una bella occasione per riascoltare un'opera ancora un po' dimenticata.
Grazie del lavorone!
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Messaggioda stecca » ven 26 ott 2007, 20:09

Leyla Gencer in Roberto Deverux (napoli 64)

Ho testè ascoltato alcuni brani che possedevo della mtica recita napoletana ove Leyla Gencer riscoperse l'obliato Roberto Dvereux era da tanto che non lo facevo....ahimè il tempo aveva giocato, mi rendo conto che quello che sto per scrivere non troverà il consenso degli admin di questo sito, qualche scherzo al mio ricordo di quella edizione, nel senso che riconosco alla grande Leyla l'enorme merito di averci restituito un grande capolavoro donizettiano ma lì finiscono i suoi meriti perchè l'ascolto a distanza di anni e di tutto ciò che è poi successo è un pò impietoso....
Mi riferisco alla sua Elisabetta perchè sul resto taccio per carità di patria direzione compresa...
La voce è oggettivamente sgradevole ad ogni quota a parte quando si rifugia in piani delle due arie patetiche ma sono dei piani di ben diversa suggestione da quelli che in seguito avremmo sentito da una Caballé (vd. recita di New York del 1965 in CD osr quale bonus di Lucrezia Borgia) perchè sono suoni sbiancati e un pò poveri e anche la successiva Sills sul punto ha fatto di molto meglio in tema di piani e di legato.
Ma poi l'accento è sempre concitato ed artefatto e si percepisce uno scurimento continuo di un avoce in natura chiara e leggera palesemente inadeguata non tanto alla parte ma proprio al taglio intepretativo che la protagonista vuole dare insomma tra intenzione e resa la voce ci mette lo zampino perchè lo strumento è oggettivamente "scarso", il ritmo poi è affaticato in più punti e si percepisce affanno in ogni punto o quasi...in certi punti poi la sforzata eloquenza suona oggi come oggi caricaturale mi spiace stile proprio doppiaggio Lattanza anni 50....poi si sentono anche molti e troppi suonacci nei passi più scoperti a piena voce che spesso si impoverisce causa centri leggeri...si salva con perizia e tecnica e rimane una artista a suo modo storica ma onestamente paragonarla a quanto dopo quel 64 avvenuto è davvero ingiusto a prescindere dai gusti suvvia.
Poi si può continuare a celebrare una serata evento ci mancherebbe ma quel devereux sentito oggi davvero fa un effetto almeno a me molto deludente....I'm sorry
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Messaggioda MatMarazzi » sab 27 ott 2007, 13:36

Caro Stecca,
non devi affatto temere di colpire la sensibilità di qualcuno, dicendo come la pensi.
Qui siamo per confrontare le rispettive opinioni.

Certo, un confronto serio fra Gencer e Caballè in questi personaggi è estremamente difficile, perché bisogna prima chiarire il punto di vista da cui si intende partire.

E' inutile, ad esempio, che mi metta ora a replicare con un'analisa (nota per nota) della stupefacente e inarrivabile grandezza artistica della Gencer nel Devereux.
Così come è inutile(per la stessa ragione) che io risponda al tuo post sulla Gemma di VErgy della Caballè, per dimostrare come quella massa informe di pigolii, frasi spappolate, manierismi e furberie non hanno nulla a che spartire con la drammaturgia donizettiana.

D'altronde, vedendo le cose dal tuo punto di vista, posso anche riconoscere che la Caballé (come qualità del suono) avesse maggiori frecce al proprio arco della Gencer.

Insomma, tutto il problema di una valutazione sta nella "chiave di giudizio" ossia su cosa ci aspettiamo da un interprete d'opera.

Infatti - se nel canto operistico si cerca semplicemente un piacere di tipo sonoro - la Caballé è obbiettivamente stata (per i pochi anni in cui la sua voce ha retto) un buon modello.
Ascoltarla era come mangiare un dolce al mascarpone! :)

Se invece nel canto operistico non si cercano solo "bei suoni" ma "musica" e "teatro" (o se vuoi "arte") la nostra Catalana purtroppo non ha mai avuto nulla da dire.

Musicalmente il suo canto (dal momento che un filatino o un fiato di mezz'ora non sono "musica") era quasi sempre inconciliabile con la valorizzazione della frase belcantistica e delle sue interne ragioni.
Personalmente trovo che siano ben pochi i brani da lei eseguiti (tranne qualche Bellini) che siano sopravvissuti a quel continuo gongolamento ritmico, quello spappolare ogni melodia, quel manieristico compiacersi, quell'incapacità di gestire un rubato, quell'indolenza estenuante....
E questo anche prima che intervenissero i suoni chiocci, gli acuti strillati, le frasi accennate, i pigolii, i ruggiti di petto e tutte le altre scappatoie presto subentrate a fronte del rapido (ahimè) logorio vocale.

Teatralmente e drammaturgicamente poi non vedo un personaggio tra quelli da lei cantati che sia sopravvissuto allo schiacciasassi di una cronica uniformità, di una deprimente indolenza (nel migliore dei casi, perché quando cercava di fare l'interprete tragica, come in Gioconda, erano dolori ancora peggiori): era tale il disinteresse della Caballé per i personaggi che affrontava da non curarsi nemmeno di studiarli, sbagliando le parole, inventandosele, ricorrendo talora alla sua tipica lingua "operese" ("uo-uo-uo-ognoooor").

Credo che tutta la poetica della Caballè si possa circoscrivere alla significativa frase che si lasciò sfuggire in una delle sue prime interviste in Italia: "in realtà io canto il Trovatore solo per il do filato del notturno" :)
Niente male come esempio di scavo in un personaggio.

Intendiamoci: non vorrei che queste mie osservazioni paressero critiche verso la catalana.
Ogni artista può scegliere "cosa" dare al suo pubblico e lei, onestamente, non ha mai preteso di dare "arte"
E nemmeno noi, quando andavamo ad ascoltarla, ci aspettavamo arte!
Da lei volevamo solo quei "bei suoni" che poteva darci a costa di rinunciare a tutto il resto.
Non c'è assolutamente niente di male: non si vive di sola "arte".
Si può andare al cinema per vedere la Bellucci, o ci si può andare per vedere la Girardot.
L'una e l'altra hanno i loro pregi, che andranno giudicati diversamente a seconda del punto di vista (bellezza o arte).

Ripeto, con molta onestà la Caballè è sempre stata e ha sempre voluto essere una produttrice di bei suoni, nè più ne meno: come dice Lulu nell'opera di Berg "non mi sono mai presentata al mondo se non per quello che ero; e il mondo non mi ha mai voluto diversa da quello che sono".
Va anche detto che a livello pratico la Caballè non avrebbe nemmeno avuto il tempo materiale di calarsi sugli spartiti con la profondità di una Gencer: ottima e spregiudicata affarista per sè e tutta la scuderia del fratello agente (con le sue belle responsabilità nella deriva manageriale degli anni '70) era troppo impegnata a organizzare le sue presenze e le sue... assenze planetarie (gli infiniti forfait inflitti ai teatri di tutto il mondo, preceduti immancabilmente dai famosi "muoio e risorgo" dell'ultimo minuto).
Era il suo modo di gestire la carriera, rispettabile come tutti i modi.

Per concludere, sono perfettamente d'accordo con te: la Caballé è entrata nella storia del canto perché alcuni dei suoi suoni sono stati tra i più piacevoli e sorprendenti emessi da un cantante d'opera.
E questi suoni è possibile sentirli anche nei suoi Donizetti (si intende quelli degli anni 60, prima che intervenisse il crollo vocale).

Al contrario la Gencer (a cui i bei suoni non sono mai interessati) è entrata nella storia per la grandiosa e totalizzante rappresentazione che ha saputo dare di alcuni personaggi, sconvolgendone per sempre la vicenda interpretativa, come è il caso - appunto - del suo inarrivabile Roberto Devereux napoletano.

Tutto sta a decidere da quale punto di vista le vogliamo valutare.

Salutoni,
Matteo
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Messaggioda stecca » sab 27 ott 2007, 15:50

Credo che su questo punto ci sia poco dialogo trovando la caballè aldilà dei suoni paradisiaci come disse Celletti recensendo la sua Tosca Philips una delle 3 più straordinarie fraseggiatrici del dopoguerra unitamente alla Callas e alla Scotto e provando una emozione mai più ripetuta a certe sue frasi magari piccole e apparentemente irrilevanti di cui disseminave le sue esecuzioni negli anni d'oro e che si trovano in molti punti della Gemma a cominciare dal primo duetto con Guido per finire all'attacco del dacapo della cabaletta finale "chi mi grida" una roba pazzesca.....quindi direi che già non dico se mi preferisci che francamente mi pare surreale ma se solo paragoni la caballè (parlo di quella prima del 1980 ovviamente) alla voce sgraziata e artefattache si ascolta in quella esecuzione napoletana di Devereux siamo davvero su due piani che non possono neppure interloquire, quindi è giusto così perchè la oggettività e su questo concordo nell'arte è difficile.....certo la caballè era la Bellucci ma non ho mai dato molta retta a chi rimprovera ad una donna di essere bella se lei a sua volta non lo è....mi ricorda tanto la volpe e l'uva se la bellezza fosse una scelta e non invece un o spesso ingiusto dono di natura.
Aggiungo che stiamo parlando di "bel canto" e non di sceneggiata napoletana quindi anche la recitazione teatrale come hanno insegnato Callas e Sutherland due che qualcosa ne capivano, avviene con il canto e non con le plaatealità eccesive del resto per rimenere ai tuoi esempi cinematografici preferisco una recitazione sobria e composta molto spesso ad una sopra le righe e che un collpo di glottide non può ovviare ad una incapacità di eseguire correttamente i passi neppure così ardui richiesti in alcune parti di abbellimento....mi limito a notare da mero ascoltatore di nastro che una assenza di polpa vocale ed una tale secchezza di voce la ho trovata solo nella Callas...ma mi riferisco ai concertti con Di Stefano del 74....
un abbraccio tanto oggi ci sognamo sia le caballè che le Gencer quindi è ianche giusto così...
P.S: non che pensi di essere il solo eh intendiamci....siamo in tantini ad amare la Montserrat giusto per ricordarlo che non si tratta di una mia ossessione
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Messaggioda MatMarazzi » sab 27 ott 2007, 16:42

stecca ha scritto:suoni paradisiaci
una delle 3 più straordinarie fraseggiatrici del dopoguerra unitamente alla Callas e alla Scotto
una emozione mai più ripetuta
una roba pazzesca.....


Mi sembri davvero sconvolto, Stecca! :)
Non ne vale la pena, dai!
Sinceramente mi spiace averti fatto arrabbiare a tal punto.
Non pensavo di suscitare una reazione simile, tanto che non riesco nemmeno a capire bene la prosa convulsa che hai usato per rispondermi! :D

L'unica cosa che si capisce è un inconsulto accumulo di glorificazioni alla Caballè e un ancora più inconsulto assalto alla Gencer...
Per continuare nella similitudine cinemtatografica, mi sembra di trovarmi di fronte a un fan della Bellucci che invece di limitarsi a elogiare le morbide curve della sua diva, si mette a scaraventare male parole sulla bruttezza rivoltante della Girardot (ma era poi davvero così brutta?) per la sola colpa di ... recitare meglio! :)

Suvvia, Stecca... riportiamo la conversazione ad altri livelli! :)
Quando si vuole dialogare, occorre mantenere un po' di obbiettività e di distacco dai propri idoli: le tifoserie fanno parte dell'opera, sono simaptiche, ma in una conversazione nuocciono.

Un abbraccio a mia volta,
Matteo
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Messaggioda Luca » sab 27 ott 2007, 17:04

Caro Stecca,

pur condividendo quanto ha detto Matteo sulla Caballé, ti espongo un ragionamento più generale: credo che ogni appassionato di opera - pur difendendo i propri beniamini - si dovrebbe munire di due validi strumenti fra loro collegati: l'obiettività e la maturità. La prima ci consente di vedere il bianco ed il nero anche di quei/lle cantanti che portiamo nel cuore. Domande sul tipo: la Callas (o la Caballé, o la Gencer, o la Sutherland o chi per loro) sono state davvero tutte assemblabili al famoso mitologico Re Mida che tutto ciò che toccava diveniva oro ? Si tratta di una questione che ci deve far riflettere ! Con il secondo strumento ci si pone al riparo di chi, pensandola diversamente da noi, volendo tentare un dialogo non può che utilizzare le nostre armi dialettiche (o iper-passionali) contro di noi. Qui la domanda diventa doppia: vale la pena di percorrere questa strada ? E ancora: è vero dialogo questo ?
Faccio un esempio che mi riguarda: da appassionato fan della Sutherland mai mi sognerei di affermare che è stata la migliore Adriana o Suor Angelica ... Devo ammettere che sono 2 personaggi che la cantante australiana si poteva risparmiare. E' solo un esempio, applicabilissimo ad altri 'divi' della lirica. Ma quando un nostro beniamino colleziona una serie di prove poco felici (o addirittura raffigurazioni esecutive fallimentari), ammettere che "non arriva più di tanto" è un modo anche per ricompattare il nostro giudizio attorno a quel numero (piccolo o grande che sia) di titoli in cui questo nostro cantante preferito ha dato vera e storica prova, ha detto qualcosa di nuovo.

Pensa un pò su a quanto ti ho scritto perché attraverso la lirica e i nostri 'amori' (= preferenze) musicali si misura anche il nostro stare al mondo e la nostra capacità di crescere come persone.

Saluti, Luca.
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Messaggioda VGobbi » sab 27 ott 2007, 17:43

Luca ha scritto:Credo che ogni appassionato di opera - pur difendendo i propri beniamini - si dovrebbe munire di due validi strumenti fra loro collegati: l'obiettività e la maturità.

Pero', se mi permetti carissimo Luca, il discorso non e' cosi' semplice. Nel senso che spesse volte si contesta anche in quei ruoli in cui il cantante ha davvero lasciato una definitiva testimonianza della sua arte. Un esempio? La Norma della Sutherland oppure lo Scarpia di Gobbi ed in entrambi i casi non mancano i detrattori. Come si spiega cio'?
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Messaggioda stecca » sab 27 ott 2007, 19:12

VGobbi ha scritto:
Luca ha scritto:Credo che ogni appassionato di opera - pur difendendo i propri beniamini - si dovrebbe munire di due validi strumenti fra loro collegati: l'obiettività e la maturità.

Pero', se mi permetti carissimo Luca, il discorso non e' cosi' semplice. Nel senso che spesse volte si contesta anche in quei ruoli in cui il cantante ha davvero lasciato una definitiva testimonianza della sua arte. Un esempio? La Norma della Sutherland oppure lo Scarpia di Gobbi ed in entrambi i casi non mancano i detrattori. Come si spiega cio'?


Infatti Luca stavolta sbagli il "tiro" perchè io in questo thread (che ha un titolo ben definito) sto parlando della caballé del 1965 in Donizetti che è un pò come parlare della Mimì della Freni, della Medea della Callas della Sutherland nela Lucia o nei Puritani e via discorrendo.
Ben mi guardo dal sostenere che la caballé del CD dei Puritani con Muti o quella del barbiera di Nizza o diciamo pure tutto ciò che ha fatto dopo il 1980 fosse una padreterna anzi.....quindi io pur esendo fan cerco di mantenere obiettività (tanto è vero che in un lavoro che ho scritto sulla caballé le chiudevo il periodo d'oro al 1975 !!!!) ma sul Donizetti della caballé del 1965 (non a caso diventata leggenda planetaria in una sola sera proprio con Lucrezia) credo di potere affermare che quel Roberto di New York è una meraviglia vocale assoluta e basta ascoltare e che la suo confronto pur con tutte le intenzioni del mondo e con tutta la intelligenza di artista del mondo la voce della Gencer di napoli è oggettivamente impragonabile...
Poi ognuno ovviamente può pensarla come vuole ma ripeto sto parlando del donizetti della caballé (quella di parisina, caterina, Stuarda etc.) al meglio del meglio del suo fulgore...non della cavalleria rusticana o dell'Ermione...
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Messaggioda Luca » sab 27 ott 2007, 20:41

Stecca caro,

mi pare che anche nei tempi migliori la Caballé si cantasse addosso, pur con tutte le sue magie vocali ed il pericolo della sonnolenza era all'angolo.... Altre interpreti pur con voci meno edonisticamente belle si imprimevano per scatto e temperamento ed è il caso della Gencer che, a mio avviso, vola molto più in alto della Caballé proprio in quel repertorio donizettiano di cui ha riscoperto lavori.....
Insomma ti piace la Stuarda della Caballé? Bene, ma non ne facciamo un paradigma....
Consiglio: dovresti rileggere un pò i tuoi interventi. Il precedente non si legge in modo facile...

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Caro Vittorio,

beh... tra Sutherland e Gobbi la distanza è abissale. Quanti baritoni ci sono stati che hanno dato una raffigurazione di Scarpia superiore a quella di Gobbi ? E quanti soprani sono state grandissime Norme ? La proporzione è impari... Pensa un pò tu...

Saluti a tutti.
Luca.
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Messaggioda VGobbi » dom 28 ott 2007, 10:04

Luca ha scritto:Caro Vittorio,

beh... tra Sutherland e Gobbi la distanza è abissale. Quanti baritoni ci sono stati che hanno dato una raffigurazione di Scarpia superiore a quella di Gobbi ? E quanti soprani sono state grandissime Norme ? La proporzione è impari... Pensa un pò tu...

Dici? Io avrei qualche perplessita'. Potrei citare 4/5 nomi che scalzerebbero senza problemi la Sutherland dalla top five : Callas, Milanov, Cerquetti, Caballe', Souliotis, Scotto. Bastano?

Mi spiace ma la distanza abissale che vi e' tra Gobbi e Sutherland, oltre che del tutto fuori luogo come paragone, e' meno palese di quanto si possa dimostrare. Ripeto, spesse volte si contesta anche in quei ruoli in cui il cantante ha davvero lasciato una definitiva testimonianza della sua arte.

Io ho citato come esempi quelli piu' palesi, quelli che piu' si presentano discordi ai gusti della critica e dei melomani, ma nonostante cio' si vuole contestare tale primato espresso dal cantante in determinati ruoli. Come si ri-spiega tutto cio'?
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Messaggioda pbagnoli » dom 28 ott 2007, 11:23

VGobbi ha scritto: Pero', se mi permetti carissimo Luca, il discorso non e' cosi' semplice. Nel senso che spesse volte si contesta anche in quei ruoli in cui il cantante ha davvero lasciato una definitiva testimonianza della sua arte. Un esempio? La Norma della Sutherland oppure lo Scarpia di Gobbi ed in entrambi i casi non mancano i detrattori. Come si spiega cio'?

Credo, caro Vittorio, che il paragone sia stato scelto più col cuore (tuo) che con la ragione (comune).
Nel senso che è vero che molti rimasero spiazzati nel sentire per la prima volta la Norma di Dame Joan, ma oggi come oggi è veramente molto, molto difficile trovare chi non ne sia almeno convinto.
Lo Scarpia di Gobbi fu indubbiamente un must, ai tempi.
Ai tempi.
Oggi, come minimo, desta nei più almeno qualche perplessità.
Questo per vari motivi, ovviamente, ma soprattutto per una ragione essenziale: la storicità del modello esecutivo, ancora attualissimo nel caso della Sutherland (mentre avrei parecchio da dire sui modelli da te citati a confutazione di quanto espresso da Luca), non più nel caso di Gobbi.
E questo, ovviamente, facendo salvi i gusti personali.
E, ovviamente, cercando di chiudere l'OT :evil:
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