Visto che si è tanto parlato di Lohengrin (grazie a Luca e al suo reseconto che ci ha permesso una carrellata di cinque generazioni di heldentenor) e approffittando del fatto che sono state rese note quasi tutti le stagioni internazionali, non sarebbe male concentrarci un poco su questa tipologia vocale così particolare e così necessaria, particolarmente oggi.
L'heldentenor (da non confondersi con quello che noi chiamiamo "tenore eroico") descrive una tipologia tenorile dal baricentro baritonaleggiante e l'emissione potentemente declamatoria.
Essi sono non solo perfetti ma gli unici possibili interpreti del Wagner maturo (qualsiasi tentativo da parte di altre categorie vocali di conquistare ruoli come Siegmund e Tristano sarebbe votato alla catastrofe, alla faccia dei vetero-cellettiani e altri patetici sostenitori della tecnica "unica"), fatto sta che finché si eseguirà Wagner gli Heldentenor non verranno mai meno.
Oltre a Wagner, molti ruoli (specialmente posteriori, ad esempio del primo 900, ma anche più recenti) sono stati scritti per loro e questo rende ancora più indispensabile la loro esistenza; oggi poi che Wagner è diventato quasi più eseguito dei suoi colleghi Mozart e Verdi, l'Heldentenor gode di un prestigio del tutto eccezionale, tanto che può persino succedere che uno di loro (Jonas Kaufmann) sia divenuto - caso eccezionale fra gli Heldentenor - una star da masse furoreggianti.
E tuttavia vorrei sottoporvi un problema che da sempre ha accompagnato la storia di questa tipologia operistica, causando immancabilmente grossi guai.
Proprio per la loro particolare "baritonalità", la difficoltà a sostenere tessiture acute, la scarsa (anzi, direi nulla) dimestichezza con scritture vocalistiche, agli Heldentenor sono preclusi una grande quantità di ruoli "topici" del registro tenorile, ruoli ai quali però (lo dicevamo a proposito della Frau ohne Schatten) essi sono stati di prepotenza collegati, per ragioni spesso sciocche. Ad esempio la convinzione che solo essi - abitutati a Tristano e Siegfried, figuriamoci - siano in grado di esprimere l'eroismo.
Ma l'eroismo (così come la forza, il vigore, ecc...) sono elementi teatrali, non tecnici!
Qualsiasi tecnica può esprimerli, mentre non tutte le tecniche e tutte le vocalità possono risolvere i problemi di una scrittura.
Noi dobbiamo esaltarci della presenza di così tanti e così valorosi Heldentenor ai giorni d'oggi, ma dovremmo fare il possibile per evitare che essi persistano nello scantonare (come hanno fatto per oltre un secolo) in terreni per loro proibiti.
A questo proposito vorrei fare una considerazione: spesso i registri (in questo caso il registro di "tenore") sono solo indicativi. Spesso esistono terreni anfibi fra due registri e la lettura dello spartito dovrebbe convincerci che vi sono personaggi teoricamente "mezzospranili" che sono più acuti di personaggi teoricamente "sopranili", o che i legami, per esempio, fra i proto-baritoni donizettiani (alla Ronconi) e i vecchi baritenori rossiniani (alla Garcia) sono strettissimi.
Nella prima metà del secolo al Met (sull'esempio della Matzenauer, della Fuchs, della Lawerence, della Harshaw) molte hochdramatische wagneriane cantavano i soprani in Wagner (Bruennhilde e Isolde) ma i mezzo in VErdi (Amneris, Eboli, Azucena). Nessuno se ne scandalizzava: era perfettamente giusto, in quanto i mezzo verdiani erano alti quanto i soprani wagneriani. La stessa Materna fu a Vienna la prima Isolde e pure la prima Amneris.
Oggi sarebbe uno scandalo!!! Le Isolde (a meno che non siano partite da mezzo, come la Meier) si sentirebbero mortificate a cantare Amneris: sono soprani, giusto? E allora faranno Aida... malissimo ovviamente, perché troppo alta per loro, ma la faranno.
Questa digressione mi serve per dire che gli Heldentenor, fuori da Wagner, potrebbero tranquillamente dedicarsi anche a personaggi "baritonali", per esempio di tessitura acutissima come i baritoni verdiani o come certi splendidi personaggi francesi per baritono. E non come ripiego (penso alle geriatriche espansioni di Domingo) ma come scelta di repertorio. Cosa sarebbe stato ad esempio il giovane Peter Hoffman nelle vesti di Atanael o di Carlo di Vargas o Ruprecht dell'angelo di Fuoco, ruoli perfetti per tessitura e linguaggio, ruoli in cui l'impeto declamatorio poteva farne creature giovani, pure e perturbatrici come il suo Siegmund o il suo Parsifal! No, meglio sentirlo schiantarsi in Florestan o in Max (sono tenori, no?) o addirittura in Orfeo.
Il mio sogno è che questi heldentenor (specie quelli più baritonali) capiscano che non c'è nulla di male a sguazzare fra i registri e i repertori, purché le singole scritture si adattino alle specificità della loro vocalità ...CHE NON E' QUELLA DI OTELLO, DI ENEA, DI SANSONE E NEMMENO DEL KAISER E DI CALAF.
Mi piacerebbe che ragionassimo su alcuni dei maggiori heldentenor di oggi.
Partirei da 5 di loro (ma ce ne sono a decine).
Kaufmann, Vogt, Ryan, Gould e Lehman.
Kaufmann, che è diventato l'heldentenor per eccellenza dei nostri anni, oltre che uno dei maggiori di tutti i tempi.
Nonostante gli acuti perentori e squillanti (almeno fino al si bemolle, dopo diventano un po' tirati), il suo baricentro è (specialmente oggi) considerevolemente baritonale. La sua tecnica è declamatoria ai livelli più alti: dinamica colorista e fraseggio, esaltazione della parola, uso a contrasto di emissioni differenti fanno di lui un modello tecnico che fa proprie le secolari conquiste del declamato tedesco, eppure è anche modernissimo tanto nell'accento quanto nella recitazione: in lui non vi è un'ombra della pomposità spaccatutto degli heldentenor del passato, ma anzi un eccesso di sensibilità e umanità ferita.
Sarebbe (ed è) un prodigio vivente in tutti i ruoli da Heldentenor wagneriano: eppure quest'anno riprenderà solo Lohengrin (a Monaco nella fantastica produzione di Jones) e Siegmund al Met.
Prorio Siegmund (in attesa che affronti Tristano e riprenda Parsifal) è, ora come ora, il suo più straordinario approccio in ambito wagneriano (più straordinario ancora del pur sublime Lohengirn) e sorprende quindi che non sia proposto più frequentemente in giro per il mondo.
Temo che anche Kaufmann sia affetto da "negazione". Cioè che non ammetta di essere quello che è e sogni piuttosto di essere il tenore "tuttofare"; un eccesso di impegni wagneriani finirebbero - secondo lui - per ridurre la possibilità di spaziare nei più vasti repertori.
E così ci attendono due debutti francesi a dir poco sorprendenti.
Enea: non mi stancherò mai di dire che, nonostante Vickers, nonostante Del Monaco, nonostante Gary Lakes, Enea non c'entra nulla con gli Heldentenor.
Tessitura acuta, linguaggio vocalistico da Grand-Opéra, declamazione, sì, ma alla francese, alla "ottocentesca", non alla Wagneriana.
L'amico Mattioli, parlando di mitici Troyens che entrambi vedemmo a Parigi nel 2003, con GArdiner e Kunde, disse che, per quanto riguarda quell'opera, "Gardiner aveva fissato il prima e il dopo".
Magari fosse stato così: ma non lo è stato. Dopo Gardiner sono tornati fuori i direttori tonitruanti che affrontano l'epopea di Berlioz con piglio colossal para-wagneriano e soprattutto i tenori declamatori wagneriani che tradiscono il protagonista su un presunto "eroismo", fatto di urla, lacerazioni, battaglie impari con la scrittura.
Certo a Londra (con Mc Vicar, Pappano, la Westbroek e la Antonacci) Kaufmann sarà il più seducente, il più cinematografico degli Enea! Pazzo chi non andrà a sentirlo...
Ma questo non toglie che la sua vocalità (sia fisicamente, sia tecnicamente) non c'entra nulla con la parte: ne verrà fuori un eroe da filmone d'avventura, su cui le signore palpiteranno, che bacerà voluttuosamente Didone, che farà tante faccine tristi e sensibili al momento di abbandonarla... ma ci allontanerà ancora di più dal ruolo.
E tuttavia, se Enea ha avuto (magra giustificazione) una lunga tradizione di tenoroni declamatori, così non è per Faust.
Io non so quale insetto si nutra, alle volte, del cervello di direttori artistici (anche illuminati) come Gelb, ma mi chiedo che razza di stupida, inconcepibile idea sia quella di sperperare un Kaufmann nel ruolo di Faust. E non quello della Damnation (già cantato da Kaufmann e in qualche - vaghissimo - modo riconducibile a una scrittura più centralizzante, sopracuti in falsetto a parte) ma proprio quello di Gounod.
Il tentativo di dimostrare di poter far tutto? Il tentativo di tener dietro ai recenti miti dei tenori lirici (da Alagna e Villazon)? La voglia di sfoderare un bel do in falsetto (e allora perché non limitarsi a ficcare il "salut" in qualche concerto o disco monografico?)
Come ogni divo che si rispetti, anche Kaufmann ha un diretto rivale: in questo caso è il conterraneo e coetaneo Klaus Florian Voght, con il quale ha in comune la piacevolezza fisica, l'ottimo impatto scenico e l'incondizionato appoggio delle signore del pubblico.
Detto questo, le affinità sono finite.
Vogt non è un heldentenor nel senso classico del termini (ricorda più il giovane Kollo che il giovane Hoffman): la timbrica è chiara, l'acuto svettante. L'aspetto è biondo e nordico, quanto scuro e latino è quello dell'altro. Come declamatore non regge nemmeno da lontano la dialettica strepitosa di Kaufmann, però è più a suo agio nelle linee vocalistiche. Vogt quindi vince nei ruoli più acuti (il suo Walther è decisamente migliore di quello di Kaufmann) mentre perde in quelli più centralizzanti (Parsifal).
In Lohengrin la guerra è senza frontiere: a Bayreuth, sul DVD e nel resto del mondo i due si affrontano come gladiatori nell'arena. Kauffman vince per calore, umanità, senso espressivo, sensualità, senso della tragedia (che Vogt non ha affatto); Vogt però dà del cavaliere una dimensione lunare e spirituale, quasi astratta nel suo alone di luce, tale da renderlo a sua volta di grande suggestione.
In realtà Vogt non dovrebbe essere trattato in questa sede, perché - a differenza dei veri Heldentenor - la sua estensione è schiettamente tenorile, tanto che potrebbe - lui sì - volgersi a quei personaggi "eroici" del repertorio tedesco che reclamano più splendore che declamato puro: penso ai supereroi straussiani (Bacchus e il Kaiser) da cui opportunamente Kaufmann si tiene distante: il mio sogno sarebbe sentire Vogt come Menelao e come Apollo. Invece che perdere tempo dietro a Cavaradossi (tanto per tenere d'occhio il rivale) potrebbe anche cominciare a pensare a Calaf.
Curioso e intellettuale (più di Kaufmann) Vogt si cimenta con Alwa, Andrei della Kovanchina, Paul della Città Morta, Boris della Kabanova, il Principe della Russalka.
Un certo rudimentale vocalismo (considerando che sempre di tenore tedesco e declamatorio si tratta) ce l'ha, e lo ha dimostrato nei personaggi pre-wagneriani da lui affrontati: Adolar dell'Euryante, Florestan. In questa stagione si butterà in Tito all'Opéra di Parigi e secondo me ha fatto male, perché - per quanto migliore vocalista di quanto di solito siano i tedeschi - questo è ruolo in cui la tradizione dei veri vocalisti (o coloristi mozartiani) è intimidatoria; contro i grandi Tito del presente e del passato Vogt è disarmato. Meglio avrebbe fatto a guardare a Schubert, Weber e persino a certi ruoli italiani e francesi di fine 800 o primi 900 nei quali i declamatori puri continuano a fare danni (lui sì che avrebbe potuto essere convincente come Paolo il Bello a Parigi).
Venedo a Wagner, proprio per la propulsione acuta del suo canto, potrebbe cominciare fin d'ora a buttare un occhio su Siegfried, ruolo che assolutamente va strappato ai declamatori (i Franz, i Gould) tradizionali, costretti a fingere eroismo e strillare a più non posso, e ricondotto ai colori chiari dell'adolescenza e allo scintillio dei do sopracuti.
E invece? Invece, per tentare di star dietro al rivale, ha accettato di cantare Siegmund (!!!!) e proprio nella patria di Kaufmann, Monaco.
Forse quando sarà vecchio e fuori carriera, Vogt ripenserà all'assurdo di sprecare i suoi preziosi quarant'anni in un ruolo di cui masticherà a stento la scrittura centralissima, per il quale non ha la dialettica, il calore umano, la disperazione, l'umiliazione e per il quale il confronto con Kaufmann è ancora più catastrofico di quello in Traviata fra Callas e Tebaldi. Peggio per lui.
A proposito di Siegfried, pare che il nostro tempo abbia trovato il suo.
Lance Ryan da qualche anno impazza nel mondo con questo ruolo, affrontato con un entusiasmo e uno spacconeria di mezzi che forza la simpatia (come il modo loggionistico con cui tiene per mezz'ora il do sopracuto del Crepuscolo, che da spartito andrebbe semplicemente sfiorato). In scena fa capriole, costante esibizione di atletismo e risulta insomma singolarmente simpatico e convincente in uno dei ruoli in cui essere convincenti risulta incredibile.
Prevedibile che anche quest'anno, in questa parte, sbaragli la concorrenza. Lo troveremo a Francoforte, alla Scala e a Monaco.
E tuttavia nel suo canto c'è quel qualcosa di grezzo, di trascurato, di assolutamente negato alle scritture vocalistiche che ci riporta indietro di decenni, quando lo sentiamo fuori da Siegfried, nei ruoli che per lungo tempo gli heldentenor hanno tenuto in repertorio senza dominarne la scrittura.
Nel suo repertorio figurano non solo i supereroi straussiani (quei Bacco, Kaiser e Apollo che invece erano scritti per luminosi vocalisti alla tedesca) ricondotti da Ryan al solito urlare monolitico, ma addirittura Enea, Max, Florestano, Calaf... persino Don José e Enzo Grimaldo.
Assurdo, tutto veramente assurdo...
Possibile che un valido Siegfried, sia pure tutto in muscoli, non possa trovare altri ambiti di manovra, che tengano conto della sua emissione declamatoria?
Una delle calamità dell'heldentenorismo di tutti i tempi è la questione anagrafica.
Non si capisce per quale ragione un heldentenor debba continuare a cimentarsi con gli eroi wagneriani, sfolgaranti di gioventù e passione, fin oltre i sessant'anni.
Anche oggi è incredibile come un Seiffert continui a far ballonzolare per il mondo i suoi anni e sui doppi e tripli menti in personaggi come Otello, TAnnhauser, Max. Non sono così vecchi, ma gli vanno vicino Robert Dean Smith e ormai anche Ventris (che male c'è ad avere cinquant'anni? Nessuno, purché non ci si vesta da bambino per fare il milionesimo Parsifal).
Al Met (così come nella Berlino di Rattle) non avevano avuto dubbi a chiamare Heppner per Siegfried.
Bene: Heppner è del 56! Anche senza contare il fatto che la sua voce non è mai stata ideale per Siegfried (credetemi: l'ho sentito dal vivo), mi spiegate che senso ha che un quindicenne, in piena tempesta ormonale e che mena sberle a destra e a manca, debba essere affidato a un signore grassoccio che potrebbe essere nonno?
E' sempre stato così (mi si dirà)... fin dagli anni terribili del Wagner interbellico e internazionale (quelli di Melchior)!
E con questo? Un'antica assurdità diventa meno assurda per essere antica?
Per fortuna il grande canadese ha tirato i remi in barca e si è ritirato dal progetto newyorkese (quest'anno è previsto solo un Achab in America).
In compenso a sostituirlo hanno chiamato Gary Lehman e Stephen Gould, che sessantenni non sono (ancora), ma la cui voce e l'accento hanno comunque qualcosa di pienamente, dolorosamente, grandiosamente maturo.
Adolescenza? Purezza? tempesta ormonale? eroismo privo di ragione? Niente di tutto questo.
Maturi signori con i calzoncini corti....
L'uno e l'altro interpretano la versione attuale dell'heldentenor macho nella variante americana (alla Jess Thomas, ma senza lo speventoso carisma di quest'ultimo): in pratica, bel timbro baritonale (Lehman era proprio partito come baritono), sonorità aspre e carnali, acuti perentori fino al la, grande virilità di articolazione.
I pregi: bella dialettica, bella espressività purché restino nel medium e in scritture esclusivamente declamatorie. I difetti: gli stessi pregi applicati a ruoli acuti, giovanili e soprattutto vocalistici.
Quello che mi stupisce di Lehman ha interrotto per tre anni la carriera per prepararsi bene a passare dal registro di baritono a quello di tenore: a me queste cose fanno sempre molto ridere....
tre anni? e per cosa? Per violentare la propria voce? Per conquistare, a prezzo di non si sa quali sacrifici, un mezzotono in altezza?
Per condannarsi a cantare tutta la vita al di sopra del proprio baricentro?
Prova ne sia che, passati i tre anni, Lehman si è ripresentato al pubblico identico a come era prima, ossia un baritono acuto (o se preferite un tenore molto baritonale), dotato di grande carisma e sapienza di declamazione.
C'era da aspettare tre anni per questo?
Che ci vuole a capire che un buon Tristano ha pressapoco le stesse note che sono richieste a un buon Hamlet di Thomas o a un buon Cristoforo Colombo di Franchetti?
Il problema semmai è che un buon Tristano (o un buon Hamlet e un buon Cristoforo) NON HA le note richieste da Siegfried e meno ancora quelle di Florestano, l'altro ruolo che Lehman canterà nella presente stagione. Né hanno quelle che servono a Samson, Don José, Otello, Alwa e altri ruoli che Lehman si ostina a tenere in repertorio, per forza di etichetta.
Stephen Gould ha avuto un percorso meno accidentato ma simile nell'approdo. Lanciato ai più alti livelli (come Siegfried a Bayreuth) incarna tutti gli ipotetici pregi (ed evidenti difetti) dell'heldentenor odierno. Col suo canto perenotrio, ok, fieramente sillabante, con i suoi si bemolle (ma anche la naturali) potenti e allo stesso tempo aspri e forzati, ha validi numeri in certo repertorio wagneriano (ma non Siegfried): il suo Tristan e persino il suo Tannhauser hanno varie frecce al loro arco.
Il problema è che anche a lui fanno cantare Otello, Florestan, Enea, Peter Grimes e tutti gli altri personaggi a cui gli Heldentenor dovrebbero dire addio (probabilmente Simon Boccanegra lo farebbe benissimo).
A me Gould (nel Tristano ad esempio) piace molto, ma quello che ci propinerà a Salisburgo nella Frau di quest'estate sarà la solita sequela di urla laceranti...
Chi non potrà andare non tema: sarà la stessa sequela che Botha ci propinerà a Milano.
Salutoni,
Mat