Jean-Claude Malgloire

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Messaggioda teo.emme » dom 25 mag 2008, 0:39

pbagnoli ha scritto: Nemmeno io amo Malgoire, anche se bisogna riconoscergli il merito di essere stato fra i primi a tracciare una strada che oggi sembra scontata per tutti


Io penso, invece, che il "merito" di Malgoire sia quello di aver mostrato la strada da non percorrere. Oggi, infatti, nessuno degli specialisti del barocco (che sai bene quanto non mi convincano) segue quella via...e ad essere sinceri nemmeno ieri i primi che si avventurarono in quei lidi usarono l'estremismo di Malgoire (parlo di Pinnock e di Hogwood che si possono annoverare tra i pioneri del "barochismo", per non dire poi di Harnoncourt). Oltretutto mentre oggi nell'universo barocchista ci sono molte sfaccettature ed un generale recupero di colore e calore, una maggior cura al suono e alla sua rotondità, alle sfumature ed un atteggiamento meno intransigente sui tempi (anche se per me il problema è in nuce, ossia nell'ideologia che accompagna queste nuove prassi esecutive), Malgoire si è ancor di più estremizzato....
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Re: "Serse" di Haendel

Messaggioda Tucidide » dom 25 mag 2008, 1:13

Concordo con Teo.emme.
Attualmente vi è una nutrita schiera di complessi barocchi che sanno a mio avviso ottenere (non importa se con strumenti originali o copie di essi) un suono caldo, omogeneo, privo di asperità, eppure striato di quella particolare vena, quel particolare sapore che le orchestre in stile moderno non hanno. Ma Malgoire (e gli metterei al fianco anche McGegan, e sicuramente anche altri) è tutt'altra cosa da questi. Riterrei bestemmia irremissibile accostare il suono de Les Arts Florissants, de Les Talens Lyriques, degli English Baroque Soloists, ma anche del Concentus Musicus Wien, con i suoni dei complessi di Malgoire.
Altro discorso si pone per i tempi. Anche su questo terreno, Malgoire è schizofrenico, ma ahimè anche altri direttori (che viceversa ottengono suoni orchestrali che mi piacciono) si macchiano di questo peccato. Uno per tutti: Hogwood, il cui Rinaldo DECCA è secondo me una meraviglia di suoni stupendi, ma penalizzato da tempi di una piattezza sconcertante: in particolare viene a mancare la marcata cesura agogica che dovrebbe esservi fra la prima e la terza sezione delle arie (A) rispetto alla seconda (B).
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Re: "Serse" di Haendel

Messaggioda MatMarazzi » dom 25 mag 2008, 19:15

Tucidide ha scritto:Concordo con Teo.emme.
Attualmente vi è una nutrita schiera di complessi barocchi che sanno a mio avviso ottenere (non importa se con strumenti originali o copie di essi) un suono caldo, omogeneo, privo di asperità, eppure striato di quella particolare vena, quel particolare sapore che le orchestre in stile moderno non hanno. Ma Malgoire (e gli metterei al fianco anche McGegan, e sicuramente anche altri) è tutt'altra cosa da questi. Riterrei bestemmia irremissibile accostare il suono de Les Arts Florissants, de Les Talens Lyriques, degli English Baroque Soloists, ma anche del Concentus Musicus Wien, con i suoni dei complessi di Malgoire.


CAro Tucidide,
se a te non piace Malgloire non sarò certo io a persuaderti del contrario.
Però ritengo sia doveroso riconoscere che senza le "tabule rase", alle volte, non si approda a nulla.
Ora tu dichiari di apprezzare il particolare "sound" dei complessi strumentali antichi, il loro essere "inconfondibili" rispetto ai suoni ottocenteschi... ma ad esso non si sarebbe arrivati senza che qualcuno si fosse accollato - prima - l'onere della "pars destruens".
Se non si fosse prima scardinato il suono "romantico", lo stile "romantico", la visione "romantica", il ritmo "romantico" il cammino alla scoperta del barocco non si sarebbe mai compiuto.
Se avessimo lasciato fare ai direttori vecchia scuola (i Solti, i Karajan, i Muti), se avessimo lasciato fare ai benpensanti e tradizionalisti di ogni schieramento (tra cui, of course, i cellettiani) oggi saremmo ancora fermi alle orchestre (quelle sì) brahmsiane, alle regine Didoni pesanti e wagneriane e ai ghirigori ottocenteschi di rassicuranti primedonne che scambiavano le opere di Handel per concerti solistici (manca solo la cadenza col flauto).

Non credo che tu possa immaginare cosa fu per me comprare l'Incoronazione di Poppea di Malgoire, nei primi anni '80.
Credevo di conoscere l'opera a memoria, avevo tutte le edizioni allora in commercio (anche quelle di Harnoncourt e Curtis), ma sentire Malgoire è stata per me una rivelazione.
Ebbi la sensazione che fossimo tornati a monte di tutto (del suono, dell'accento, del ritmo, del teatro) e che potessimo partire da lì per un nuovo cammino.
L'ascoltavo e riascoltavo rapito, come di fronte a un mondo nuovo.
E - nota bene - non pretendevo affatto che fosse perfetta!
Ma per carità... tutto era perfettibile, tutto era migliorabile, ma almeno dopo di lei c'era lo spazio (fuori della tradizione) per interrograci, creare e migliorare.
E' come vedere una stanza vuota e pensare a come la arrederai. Hai il cuore assai più leggero che se la camera fosse piena fino a scoppiare di ninnoli inutili e pesantissimi mobili.
Due secoli di musica erano, in quegli anni, ridotti così; l'ossessione (comprensibilissima) di renderne digeribile il linguaggio assimilandolo al repertorio tradizionale, ne aveva alterato i connotati, senza riuscire - comunque - a rendere gradito questo repertorio al grande pubblico.
Oggi invece una nuova produzione di Monteverdi richiama folle a Parigi come a Glyndebourne, ad Amsterdam come a Barcellona.
E non ci sarebbe arrivati, senza lo strappo dei pionieri "sessantottini" del nuovo corso (fra cui Malgoire), il cui ruolo storico sarebbe (questo sì) bestemmia non riconoscere.
Se non fosse stato per i loro radicalismi e le loro sperimentazioni (non sempre vincenti, certo, come ogni sperimentazione) oggi Handel sarebbe ridotto come è ridotto Verdi.
Magari ci fosse un qualche scriteriato e provocatorio Malgoire che anche nel repertorio verdiano facesse crollare tutte le certezze, aprendo la via per una vera rinascita.

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Re: "Serse" di Haendel

Messaggioda Tucidide » dom 25 mag 2008, 20:33

Capisco il tuo discorso, Mat, ma appunto guardiamo la cosa da un punto di vista storico.
Malgoire è un estremista, un direttore che si è posto sulla scia dei grandi direttori barocchisti, portando a conseguenze estreme ed eccessive un'idea che a me piace e anche molto (e tu lo sai :wink: ), quella del suono "originale".
Come dici tu stesso, la Poppea di Malgoire venne ben dopo quella di Harnoncourt, che dal mio punto di vista è non solo un capolavoro teatrale ma anche musicale e vocale (io di solito amo poco i controtenori, ma lì Esswood è emozionantissimo). A che pro spingersi così oltre? Harnoncourt era all'epoca un direttore rivoluzionario perché fu uno dei primi ad osare, ma anche se a volte non tutto filava liscio, si trattava di un criterio serio e che SOPRATTUTTO è stato la carta vincente.
Secondo te, Mat, le nuove leve del barocco si ispirano ai suoni aspri di Malgoire o a quelli squillanti di Gardiner, quelli voluttuosi di Christie, quelli aspri ma adrenalinici del Giardino Armonico (parliamo anche di complessi che toccano solo di rado la musica vocale)?
Io credo che un Malgoire possa essere al più considerato una specie di Piero Manzoni della musica: esponente di un'arte concettuale, che è valida nelle premesse e nell'idea, ma dai risultati assai discutibili.
In questo, sono d'accordo con te: ascoltare certe sue interpretazioni è senza dubbio interessante, ma poi si pensa che non occorre andare tanto in là, anche perché, per sua sfortuna e nostra fortuna, ci sono Minkowski, Christie, Gardiner, Sardelli, Rousset, Garrido, che dimostrano come si possa partire da idee consimili ed approdare a risultati ben altrimenti gradevoli...
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Re: "Serse" di Haendel

Messaggioda teo.emme » dom 25 mag 2008, 20:49

MatMarazzi ha scritto: CAro Tucidide,
se a te non piace Malgloire non sarò certo io a persuaderti del contrario.
Però ritengo sia doveroso riconoscere che senza le "tabule rase", alle volte, non si approda a nulla.
Ora tu dichiari di apprezzare il particolare "sound" dei complessi strumentali antichi, il loro essere "inconfondibili" rispetto ai suoni ottocenteschi... ma ad esso non si sarebbe arrivati senza che qualcuno si fosse accollato - prima - l'onere della "pars destruens".
Se non si fosse prima scardinato il suono "romantico", lo stile "romantico", la visione "romantica", il ritmo "romantico" il cammino alla scoperta del barocco non si sarebbe mai compiuto.
Se avessimo lasciato fare ai direttori vecchia scuola (i Solti, i Karajan, i Muti), se avessimo lasciato fare ai benpensanti e tradizionalisti di ogni schieramento (tra cui, of course, i cellettiani) oggi saremmo ancora fermi alle orchestre (quelle sì) brahmsiane, alle regine Didoni pesanti e wagneriane e ai ghirigori ottocenteschi di rassicuranti primedonne che scambiavano le opere di Handel per concerti solistici (manca solo la cadenza col flauto).


...e ti pareva..... :D :wink:
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Re: "Serse" di Haendel

Messaggioda teo.emme » lun 26 mag 2008, 21:27

Ritorno sulla questione Malgoire, oggi che ho più tempo per argomentare meglio.

Innanzitutto per rispondere a Marazzi circa la necessità di Malgoire come "pars destruens" in un'ipotetica ricostruzione del modo d'eseguire il barocco che, senza di lui sarebbe rimasto ad affogare nelle lutulenti bacchette dei tanto esecrati direttori "di vecchia scuola" (i "pericolosi" reazionari Solti e Karajan...orrore orrore orrore). Io, al contrario di Marazzi, non credo affatto nel cosiddetto "male necessario", non penso cioè, che si debba fare tabula rasa di tutto quel che è venuto prima per favorire una sorta di "rivoluzione culturale" votata a chissà quale radioso futuro. Non ho visioni messianiche, nè ho concezioni manichee o assolutiste. Credo, più umilmente, che il presente sia il frutto del passato e che buttare al macero una tradizione esecutiva (che ha dato tanto sia a livello estetico che culturale) in nome esclusivamente di dogmi ideologici sia intellettualmente disonesto. Mi spiego. Tutti saprete (mi rivolgo anche a Marazzi) come non mi piacciano per nulla le mode baroccare dello strumento originale e dell'ideologia che ciò sottende (ma non voglio entrare in dettaglio), tuttavia mi rendo ben conto di come la situazione sia radicalmente cambiata e vedo bene che oggi l'universo degli specialisti del barocco sia assai variegato. Christie, Curtis, Minkovski, Biondi, La Venexiana, Il Concerto Italiano, Alessandrini - cito a caso i primi nomi che mi vengono in menti - hanno approcci differenti e differenti peculiarità in termine di suono, tempi, rapporto con la partitura. Così pure i "mostri sacri" Gardiner, Hogwood e Pinnock (tra i 3 il mio preferito) hanno peculiarità loro proprie e, nelle loro più recenti produzioni, hanno ormai corretto qugli eccessi che forse erano naturali in senso di reazione (anche legittima per carità) a certe letture che prima di loro venivano fatte di un certo repertorio. Per non parlare poi di Harnoncourt e delle sue posizioni personalissime e particolarissime. E' quindi sbagliato - e faccio anche autocritica, quando a volte, per esigenze di brevità o chiarezza, tendo a generalizzare, ben conscio però, di avere interlocutori che comprendano il senso di tali generalizzazioni inevitabili - pensare ad un fronte unico ed omologato negli esecutori barocchisti. Ma è altrettanto sbagliato farlo per quegli interpreti che preferiscono strumenti moderni e approccio differente rispetto a quello "barocchista". Liquidare tutto ciò che è diverso dall'ideologia dello strumento originale, con frasi come questa "Se non si fosse prima scardinato il suono "romantico", lo stile "romantico", la visione "romantica", il ritmo "romantico" il cammino alla scoperta del barocco non si sarebbe mai compiuto. Se avessimo lasciato fare ai direttori vecchia scuola (i Solti, i Karajan, i Muti), se avessimo lasciato fare ai benpensanti e tradizionalisti di ogni schieramento (tra cui, of course, i cellettiani) oggi saremmo ancora fermi alle orchestre (quelle sì) brahmsiane, alle regine Didoni pesanti e wagneriane e ai ghirigori ottocenteschi di rassicuranti primedonne che scambiavano le opere di Handel per concerti solistici (manca solo la cadenza col flauto)" significa banalizzare, e rivela una certa mala fede. Si estremizza il discorso esclusivamente per rafforzare una posizione denigrando l'altra. Mi chiedo e ti chiedo, Marazzi, che c'entra tutto questo con Malgoire? Perchè poni così la questione? Perchè porre l'alternativa manichea: o Malgoire o l'Handel brahmsiano degli anni '50? Mi sembra un modo scorretto e fazioso di ragionare. Oltretutto nel tuo discorso resta fuori una grande fetta di interpreti che pur non rinunciando alla ricerca di un certo suono e di un certo colore, non si rifà a nessun tipo di romanticismo o tardo romanticismo. Oggi molti complessi con strumenti normali, eseguono Handel con organici ridotti, senza alcuna lutulenza mahleriana... Oggi non è necessario il grigiore asettico di certe orchestrine baroccare per evocare i colori del barocco (penso ad alcune incisioni handeliane di Mackerras o di Nelson, ma pure lo stesso Richter nel passato, e che dire poi del Mozart di Harding, compagini moderne, ma dal suono misurato e dall'approccio per nulla tradizionalista). Ma immagino che tu queste cose le sappia bene, solo che ti va di fare ogni volta polemica contro gli aborriti "cellettiani" (ormai credo siano un tuo fantasma, dato che non perdi occasione di evocarli). :wink:

Sull'Incoronazione di Poppea di Malgoire. Vedi, conosco tutte le incisioni dell'opera di Monteverdi disponibili sul mercato, pure quella pessima diretta da Karajan (che sembra un incrocio mal riuscito tra Mahler, Strauss, Puccini e Orff) e devo dire che, tolta quest'ultima, davvero improponibile, quella di Malgoire per me è la peggiore! Noiosa, aspra, brutta. Mal suonata, mal diretta e, in parte, mal cantata. Pioniere in quel campo fu Harnoncourt che davvero diede una svolta. Malgoire portò all'estremo la mancanza di espressione e di colore. Portò il suono fisso alla sua massima intransigenza. L'orchestra stonata e stridente al suo livello massimo. Nessuno e dico nessuno ha seguito questa via. Grazie al cielo! Persino l'edizione di Hickox (scarna e secca, con un organico di soli 10 elementi) ha più colori e contrasti. Quella di Malgoire è come una pappa slentata, insipida e indigesta. Veramente un pugno in pancia micidiale. Tra l'altro Malgoire non ha compiuto alcuna evoluzione da quel tempo, anzi è andato peggiorando (ora però aggredisce pure Rossini..magari a te piacerà moltissiomo, ma eseguire Rossini come si eseguirebbe Monteverdi è una pura e semplice bizzarria), estremista tra i più intransigenti, vero talebano. Non so davvero come possa piacere quella "roba" e ti parlo come appassionato di musica non come "cellettiano" o "anti cellettiano". Sul fatto che oggi L'incoronazione di Poppea richiami le folle, ti do in parte ragione (anche se con questi titoli si fatica a riempire i teatri, come l'anno scorso con il bellissimo Orfeo di Cremona, che ha lasciato in teatro diversi posti vuoti) e mi fa molto piacere. Ma credo che se fosse stato per Malgoire nessuno avrebbe provato piacere nell'ascoltare Monteverdi...

Su Verdi. Ho paura a chiederti cosa intendi per rinascita verdiana e temo ad interrogarti su ciò che intendi con la frase "sarebbe ridotto come è ridotto Verdi".. :roll: :wink:

Ps: una curiosità che nulla c'entra con l'argomento, leggo in ogni intervento tuo, il rigetto del "suono romantico" sia che si parli di barocco o di Mozart, ed è comprensibile, sia che si parli di Wagner e di Verdi, e già qui lo è meno, a questo punto mi chiedo se per te il romanticismo musicale sia mai esistito e non fosse, per caso, un parto della mente reazionaria dei tuoi odiati "cellettiani"......

Pps: naturalmente non voglio imporre nessun punto di vista...si fa per discutere....
Ultima modifica di teo.emme il lun 26 mag 2008, 23:17, modificato 4 volte in totale.
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Re: "Serse" di Haendel

Messaggioda MatMarazzi » lun 26 mag 2008, 22:58

Tucidide ha scritto:Capisco il tuo discorso, Mat, ma appunto guardiamo la cosa da un punto di vista storico.
Malgoire è un estremista, un direttore che si è posto sulla scia dei grandi direttori barocchisti, portando a conseguenze estreme ed eccessive un'idea che a me piace e anche molto (e tu lo sai :wink: ), quella del suono "originale".


CAro Tucidide,
se vediamo la cosa semplicemente in termini "storici", io credo che Malgoire non si è semplicemente "posto sulla scia": è stato proprio tra gli iniziatori e divulgatori del fenomeno.
Molti dei grandi "barocchisti" che, come affermi, anche tu ami, sono nati con lui o dopo di lui.
Inoltre vorrei puntualizzare, rispetto al tuo pensiero che è anche il mio, sul fatto del suono "originale".
Non credo che il problema vero (di quegli interpreti e di noi ascoltatori) fosse il suono secentesco.
Il problema vero (allora come ora) era creare suoni "nuovi", assai più che riscoprirne di "vecchi".
La grandezza dei grandi pionieri del barocco (fra cui, anche se tu non sei d'accordo, Malgoire :) ) fu quella non tanto di aver riscoperto il passato (che li avrebbe resi grandi solo come stuidiosi), ma di aver inventato il futuro, ciò che li ha resi grandissimi come interpreti.
...di aver inventato un'infinita serie di suoni "nuovi" con cui il nostro vocabolario di operisti si è sconfinatamente ampliato.
Poi è ovvio che non tutti i suoni da loro messi in campo hanno retto il volgere dei decenni: il pubblico (e loro stessi) hanno selezionato. Ma questo rientra appunto nella dialettica storica dell'evoluzione dei suoni! :)

Come dici tu stesso, la Poppea di Malgoire venne ben dopo quella di Harnoncourt, che dal mio punto di vista è non solo un capolavoro teatrale ma anche musicale e vocale (io di solito amo poco i controtenori, ma lì Esswood è emozionantissimo). A che pro spingersi così oltre? Harnoncourt era all'epoca un direttore rivoluzionario perché fu uno dei primi ad osare, ma anche se a volte non tutto filava liscio, si trattava di un criterio serio e che SOPRATTUTTO è stato la carta vincente.


Guarda, io avevo proprio Harnoncourt nelle orecchie quando ho comprato Malgoire.
E ti dirò (ma magari una volta ne parleremo meglio) ho i miei dubbi che fosse davvero un monteverdiano così innovatore (dall'interno) come parve all'epoca.
Sì, certo... fu un capofila, fu un'apri-pista (lui sì, davvero), ma la sua rivoluzione mi parve più di forma che di sostanza.
Contenutisticamente, la sua Poppea per me resta togata e solenne (ispirata a una romanità cinematografica) come quelle precedenti, con la sola differenza che il rivestimento, l'involucro sonoro appariva almeno formalmente diverso (non a livello vocale però: gli artisti a cui si attaccò, la Watkinson, la Berberian, la Donath - non parliamo della Schmidt e di Salminen - erano tradizione della più bell'acqua).
Insomma, secondo me non scardinò il pensiero romantico, solo lo rivestì di una patina che, all'epoca, risultò sorprendente.
Non penentrò nelle audacie scottanti e sconcertanti della drammaturgia veneta, non comprese il senso di protervia popolaresca ed erudita insieme di quello stravagantissimo capolavoro.
Ancora oggi, che Harnoncourt l'ho visto decine di volte a teatro, mantengo più che mai verso di lui questa sensazione di sconnessione fra anliti tradizionalisti (a livello di contenuto) e fremiti di novità (nel linguaggio).
Forse mi piace così tanto proprio per questo, per il fatto che oscilla sempre tra il Kappelmeister tradizionale e l'elettrizzante eresiarca.... e tuttavia devo ribadire che Malgoire, nella Poppea, è andato più in là, secondo me, tanto più in là.


econdo te, Mat, le nuove leve del barocco si ispirano ai suoni aspri di Malgoire o a quelli squillanti di Gardiner, quelli voluttuosi di Christie, quelli aspri ma adrenalinici del Giardino Armonico (parliamo anche di complessi che toccano solo di rado la musica vocale)?


Ma tu la metti giù in termini di piacevolezza d'ascolto.
Non c'è solo questo: lo sai benissimo! :)
E poi anche la piacevolezza di suoni si conquista, con l'abitudine di ascolto e con la pratica degli esecutori.
All'epoca dei primi barocchisti non c'era nulla prima di loro: il deserto. Oggi no....
Le nuove leve dispongono di una libertà di manovra, nell'affrontare il Barocco, che non avrebbero se anche Malgoire - insieme agli altri pionieri della sua generazione - non avesse preparato il terreno e forgiato gli utensili di questa libertà.
Lui e i suoi contemporanei - mentre tutti frignavano intorno a loro, gridando allo scandalo - hanno tolto le erbacce (ed erano addirittura soffocanti), hanno dissodato e divelto le pietre (e anche queste erano tantissime), infine hanno seminato chi un tipo di pianta, chi un altro.
Oggi l'interprete barocco può scegliere la pianta di Christie (che però, secondo me, tu sopravvaluti un pochino) o quella di Gardiner... alle volte anche quella di Malgoire (che non era solo suoni brutti...).

Io credo che un Malgoire possa essere al più considerato una specie di Piero Manzoni della musica: esponente di un'arte concettuale, che è valida nelle premesse e nell'idea, ma dai risultati assai discutibili.


Personalmente non direi che Malgoire fosse solo concettuale. Per sgradevoli che possano sembrarti, i risultati teatrali e musicali ci sono.
Non è che perché uno sceglie la via della "durezza" (cosa su cui si potrebbe pure discutere), divenga per questo solo un teorico che non consegue risultati.
La sua Poppea esiste eccome: esiste teatralmente, psicologicamente, culturalmente.
E io - che in quest'opera ho sentito dal vivo Dantone, Harnoncourt, Jacobs - ti assicuro che mi ritrovo spessissimo a rimpiangerne certe folgoranti intuizioni.

Magari, quando finalmente organizzeremo un incontro, potremmo riascoltarne insieme qualcosa.

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