MatMarazzi ha scritto:Come sapete, una delle caratteristiche di Jacobs (apoteosi del "famolo strano") è la sua strana tendenza a invertire il rigore ritmico in recitativi e arie.
Praticamente dirige i recitativi (che da sempre sono l'ambito anti-ritmico) con la "battuta alla mano"; e poi - quando si passa alle arie, specie quelle lente - indugia e libera i tempi tanto che alle volte si ha l'impressione di trovarsi di fronte a del free-jazz.
L'effetto è impressionante e direi addirittura balsamico!
Perché uno dei problemi maggiori per il pubblico odierno è proprio l'alternanza meccanica fra recitativi e arie, che spezza la continuità e produce monotonia.
Rendendo più ritmati (e quindi musicali) i recitativi e più fluidi (e quindi meno musicali) le arie, Jacobs crea un'unità e una tensione che rassicura l'ascoltatore: un modo per dirgli di non temere... è finita l'epoca in cui doveva sopportare noiosi recitativi per poi subire altrettante noiose arie...
Quello che ottiene Jacobs è (in questo senso) di avvicinare l'opera barocca a quel disegno di unità drammaturgico-musicale che un certo Wagner avrebbe ottenuto qualche secolino più tardi!
Notevole, eh? Dare del Wagneriano a uno che non si avvicinerebbe a Wagner nemmeno sotto tortura!
In più c'è un'altra cosa da dire.
I recitativi (per come li facciamo normalmente, per come li fa - ad esempio - un Muti) sono "liberi" solo in apparenza.
E' vero che non rispondono al metronomo, però è anche vero che gli interpreti da decenni si sono assestati in un certo "modo" di realizzarli.
Per cui "liberi" non lo sono affatto.
Sono scanditi secondo formule vecchie e stravecchie; sappiamo benissimo dove gli interpeti rallenteranno e dove stringeranno; sappiamo benissimo che andamento avrà una frase... o dove il cembalo potrà inserire un guizzo.
In realtà la presunta "Libertà" dei recitativi è diventata una prigione.
Non so voi ma io detesto il modo di fare i recitativi - specialmente degli italiani (nell'opera buffa) e dei tedeschi (in quella seria).
Ed è per questo che, mentre possiamo stare ore a sentire un attore che recita in un film, dopo tre minuti di recitativo già moriamo di noia.
Bene! Jacobs, forzando alla battuta i recitativi, irrigidendoli nella loro armatura ritmica, costringe i cantanti a uscire dai soliti schemi e a cercare altrove una diversa verità di eloquio. Il risultato (tanto in Mozart, quanto in Cavalli) è esaltante.
Si respira una freschezza e una novità stupefacenti: e si ha persino voglia di ascoltare attentamente quello che i cantanti dicono.
Ok, questo è l'impatto che una scelta così coraggiosa ha sul pubblico di oggi!
Quello che - fino a pochi giorni fa - mi mancava era la giustificazione "teorica" che un simile studioso si sarebbe dato.
Insomma qual'è la base "filologica" di un recitativo a tempo?
Direi che Matteo ha proprio centrato il punto e vorrei aggiungere qualcosa al riguardo facendo poi una domanda finale.
Negli esaurientissimi libretti di accompagno delle edizioni che ho ascoltato, Jacobs parla non di Singspiel ma piuttosto di “Hörspiel”. Infatti il direttore spiega come in questa tipologia di teatro musicale è la parte recitata quasi a farla da padrone, assurgendo a vita propria. Pertanto non può essere relegata in un cantuccio o ancor più non curata e bistrattata. Jacobs però fa un salto in più. Dei recitativi diretti da Jacobs, Matteo dice giustamente che “si ha persino voglia di ascoltare attentamente quello che i cantanti dicono”: verissimo! Ma il punto è che, oltre ad averli rivisti e curati con le doti di un drammaturgo, Jacobs li “infarcisce” di eventi sonori, di bizzarrie musicali, di autocitazioni mozartiane. È vero e proprio teatro, quasi un radiodramma. Davvero stupefacente l’ascolto, da rimanere incollati allo stereo.
Matteo conclude: “In lui trionfa (come è giusto) l'interprete, ossia il creatore che usa le partiture del passato per colpire il pubblico del suo tempo.
La filologia gli serve solo nella misura in cui può aiutarlo a scoprire strumenti nuovi e ad affilare le sue armi rivoluzionarie.
Ma quando gli strumenti non ci sono... allora se la inventa.”
Staordinariamente vero! Queste due registrazioni son da non perdere per il lavoro svolto da Jacobs sulla partitura ma anche con i cantanti, perchè mette insieme due freschissimi cast giovani e interessanti, che danno all’ascoltatore ottimi spunti di interpretazione.
Una domandina: avete avuto modo di ascoltare anche qualche altra registrazione mozartiana di Jacobs, magari quelle serie (intendo le più recenti “La clemenza di Tito”, “Idomeneo” o anche “La finta giardiniera”, non tanto il più vecchiotto ciclo DaPontiano)? Fa uso della stessa concezione di recitativo di cui abbiamo parlato Matteo e io?