Natalie Dessay

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Messaggioda MatMarazzi » mer 26 set 2007, 11:42

marco ha scritto:purtroppo a Santa Fe :cry:
speriamo che la riproponga in Europa


La farà.. la farà! :)
E' tipico della Dessay (come già della Sutherland) testarsi nei nuoi ruoli fuori dai grandi circuiti.

Vedrai che la porterà anche da noi...
Certo, non credo in Italia.

:(
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Mat
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Messaggioda PQYD » mer 26 set 2007, 13:04

E' infatti noto che la Devia non si è MAI esibita all'estero e MAI ha raccolto consensi... i trionfi parigini nell'Adelaide o quelli ben più recenti nell'Otello rossiniano al Covent Garden sono certamente il frutto di un'allucinazione collettiva :twisted: e non parliamo dei concerti di canto, tipo quello di Malaga di qualche mese fa, coi boati di approvazione del pubblico dopo la sua tuttora valida pazzia di Elvira (contact me for further information 8) )

Non so poi come si possa accostare una cantante vecchia e stonata in alta, ma a 60 anni ancora intatta nei centri e nell'impressionante bagaglio tecnico, che le permette di affrontare ruoli estranei alla sua vocalità e torrenziali programmi da concerto (vedi quello di qualche mese fa ad Amsterdam), e una di 20 anni più giovane ma già sfasciata vocalmente, le cui pose da consumata tragédienne poco possono per mascherare il suddetto sfascio. Poi intendiamoci, quello sfascio vocale può anche piacere. Ma tale resta.

Infine non mi sembra casuale che la Dessay non venga in Italia a proporre la sua Traviata..... e se è per questo, nemmeno la sua Figlia del reggimento! :roll:
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Messaggioda MatMarazzi » mer 26 set 2007, 13:49

PQYD ha scritto:E' infatti noto che la Devia non si è MAI esibita all'estero e MAI ha raccolto consensi... i trionfi parigini nell'Adelaide o quelli ben più recenti nell'Otello rossiniano al Covent Garden sono certamente il frutto di un'allucinazione collettiva



Bravo! Sei riuscito a citare due casi!!!!
Complimenti! ;)
Strano che una simile artista sia costretta a cantare la sua prima Lucrezia Borgia (ho detto poco!) al Comunale di Bologna e la sua prima Anna Bolena (ho detto ancora meno!) al Filarmonico di Verona!
Forse anche lei, come la Dessay, lo fa per testarsi, prima di portare gli stessi personaggi a Parigi, Chicago, Amsterdam, Vienna e Salisburgo. :)

Per quanto riguarda il confronto Dessay e Gruberova, anche io ero un po' cauto, ma per la ragione opposta alla tua! :)
La Dessay, nonostante io ammiri sconfinatamente la Gruby, mi pare a tutt'altro livello artistico.
Inoltre, vocalmente (e cellettianamente) parlando, la Gruberova è oggi a un livello di devastazione che francamente non ricordo di aver mai trovato nella dessay.
Non è stonata solo negli acuti (che non ci sono più), ma in tutta la gamma: non ha più fiato per sostenere le frasi.
Inoltre i suoni che si inventa (pigoli, gorgoglii, strappate nel registro di petto in stile "orco", portamenti di tre ottave su ogni nota, riprese di fiato a ogni secondo) non hanno davvero niente che possa definirsi ortodosso o "belcantistico" per come lo intende Teo.Emme.

Ribadisco che amo moltissimo la Gruby (nonostante tutto) e ritengo giustificata la devozione di cui è circondata; inoltre dovremmo esserle tutti grati per la rivoluzione psicologica che ha impresso - con una personalità sorprendente - ai maggiori ruoli del primo romanticismo italiano.
Ma citarla oggi a esempio di dominio tecnico e stilistico (confrontato agli sfasci della Dessay) mi pare pura fantascienza!

E il fatto che Natalie non venga a esibire la sua Traviata (ma nemmeno la sua Fille du régiment) in Italia mi sembra piuttosto significativo.


L'ultima volta che ho visto la Dessay in Italia (cantava la messa in do minore di Mozart) ho assistito a deliri di folla da rimanere di stucco, con code chilometriche ai camerini e pullman che venivano da mezza italia.
:)
Non mi pareva così intimidita da GRANDI COMPETENTI della nostra povera, perifierica penisola.
Nè gli Italiani mi parevano così scontenti di lei! ;)
Se non canta in Italia, è perché qui abbiamo dei brocchi a capo dei teatri, che fanno le programmazioni un mese prima.

Salutoni
Matteo
Ultima modifica di MatMarazzi il mer 26 set 2007, 14:58, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda beckmesser » mer 26 set 2007, 14:51

Ma altra cosa è dire invece che il Belcanto ha le sue regole e vanno rispettate. E le regole ci sono, non prendiamoci in giro.


Lungi da me l’idea di prendere in giro qualcuno, ma proprio non riesco a capire. “Belcanto” mi sembra un’astrazione che può forse essere utile finché la si usa per comodità di sintesi in un manuale di storia del melodramma, ma per valutare un’esperienza teatrale mi sembra un concetto un po’ fumoso. Quando inizia, quando finisce? Ma sul serio Rossini, Bellini e Donizetti (e altri) avrebbero caratteristiche così comuni da poter rientrare in un’unica categoria? Ma se Rossini ha smesso di scrivere opere (anche) perché non voleva adeguarsi (come compositore) al nuovo stile che gli altri due portavano avanti… E i cantanti? Nourrit e Duprez erano entrambi “belcantisti”? E Verdi è ancora “belcantista”? Lady Macbeth è un ruolo “belcantista”? Se ho capito il tuo ragionamento direi di no, ma la Lady fu scritta per una cantante che era stata (ed era tuttora) tipicamente donizettiana.

Ma poi non capisco perché, anche ammesso e non concesso che “belcanto” fosse qualcosa di ben definito all’epoca, solo quell’elemento (di tutto il complesso che forma uno spettacolo d’opera) dovrebbe restare immutato nel tempo? Tanto vale eliminare direttori d’orchestra ingombranti con le loro idee interpretative e tornare al primo violino che dà qualche attacco lasciando campo libero al divo di turno.

L’opera lirica, come qualsiasi forma d’arte, a me è sempre sembrata qualcosa che è tanto più vitale quanto più riesce ad adattatarsi al mutare delle sensibilità e delle epoche, anche riempiendosi di contenuti che l’autore nemmeno si sognava. Se la regola fosse quella del rigoroso rispetto delle intenzioni dell’autore, dovremmo ad esempio rassegnarci all’idea che le opere di Handel non sono più realizzabili: nessuno (per fortuna) si fa più castrare, Handel detestava i controtenori e mai gli sarebbe passata per la testa l’idea di allestire opere come Giulio Cesare usando solo voci femminili. E allora che si fa? Si fa quello che si sta facendo: si usano i controtenori (con buona pace della volontà dell’autore) e li si mette al centro di spettacoli che come messinscena non potrebbero essere più lontani da quanto l’autore immaginava, e ne escono spettacoli che sono più vicini alla nostra epoca di molte opere del novecento. Altrimenti si rischia di finire come Cosima Wagner, che allestiva e riallestiva sempre i soliti gesti, le solite scene, il solito canto: per carità, era esattamente quanto Wagner aveva scritto si dovesse fare, ma siamo sicuri che il rispetto della volontà dell’autore tornasse utile all’autore stesso?
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Messaggioda PQYD » mer 26 set 2007, 16:07

Mi risulta che la Devia si sia ripetutamente esibita non solo a Parigi, Londra e Madrid, ma anche al Met (per la prima volta nel 1979!) e a Chicago... provincia pure quella?

Ma ogni cantante ha le sue piazze. La Gruberova degli anni 2000 per esempio ha la Germania, Vienna, Barcellona e poco altro (parlo ovviamente di opere complete).

Quanto al supposto sfascio dell'Edita, posto che a 60 anni raramente si possiede la stessa identica voce della gioventù, la slovacca è ben lungi dallo sfoggiare i centri putrescenti della francese, che peraltro, e scusate se lo sottolineo per la ventesima volta, ha vent'anni meno di lei. Se poi i fiati della Gruberova sono corti, non so che cosa dire: se metto a confronto la Lucia catalana del dicembre scorso e l'ultima del Met, non ho dubbi su quale delle due abbia bisogno di prendere fiato a ogni misura, con quale fluidità delle agilità donizettiane è facile realizzare. Altrettanto ovvio è il fatto che la Gruberova, nelle parti "pesanti" di Donizetti (che non sono Lucia né Marie...), mette in mostra tutti i limiti di una voce leggera, nata per Elvira e Amina, non già per le Regine del belcanto. Sono "peccati di vecchiaia" che poco aggiungono e nulla tolgono a una carriera che ha ben altre frecce al suo arco.... ad esempio una frequentazione ormai trentennale della parte di Zerbinetta :D
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Messaggioda teo.emme » mer 26 set 2007, 16:41

beckmesser ha scritto:
Ma altra cosa è dire invece che il Belcanto ha le sue regole e vanno rispettate. E le regole ci sono, non prendiamoci in giro.


Lungi da me l’idea di prendere in giro qualcuno, ma proprio non riesco a capire. “Belcanto” mi sembra un’astrazione che può forse essere utile finché la si usa per comodità di sintesi in un manuale di storia del melodramma, ma per valutare un’esperienza teatrale mi sembra un concetto un po’ fumoso. Quando inizia, quando finisce? Ma sul serio Rossini, Bellini e Donizetti (e altri) avrebbero caratteristiche così comuni da poter rientrare in un’unica categoria? Ma se Rossini ha smesso di scrivere opere (anche) perché non voleva adeguarsi (come compositore) al nuovo stile che gli altri due portavano avanti… E i cantanti? Nourrit e Duprez erano entrambi “belcantisti”? E Verdi è ancora “belcantista”? Lady Macbeth è un ruolo “belcantista”? Se ho capito il tuo ragionamento direi di no, ma la Lady fu scritta per una cantante che era stata (ed era tuttora) tipicamente donizettiana.


Ovviamente le classificazioni sono artifici e non hanno, nella realtà, confini fissi. Tuttavia ascoltando, non si può non notare come la scrittura di Alcina di Handel sia profondamente differente rispetto a Lady Macbeth, o come Lucia sia totalmente diversa da Tosca.

Non si tratta di rispettare ipotetiche ultime volontà, ma valorizzare le differenti scritture vocali, rimanendo in un ambito stilistico consono al ruolo.

Insomma per semplificare, a me l'urlo belluino della Dessay prima di "spargi di amare lacrime" fa schifo, lo trovo volgare e così pure certi suoi effetti vicino al parlato, li trovo inappropriati. Se a voi piacciono e anzi, vi sembra Arte allo stato puro non so che dire.

Certo non fatemi passare per un retrogrado ottuso... :lol: :wink:
teo.emme
 

Messaggioda pbagnoli » mer 26 set 2007, 17:47

teo.emme ha scritto: Certo non fatemi passare per un retrogrado ottuso...

Non sia mai, Teo.
Anche perché - per espressa volontà dei gestori - da queste parti domina incontrastato l'assoluto rispetto nei confronti di chi scrive.
Hai le tue idee? Benissimo. Qui trovi spazio per propugnarle, anche perché chiunque si espone pubblicamente (cantando, in questo caso), sa di correre il rischio di ricevere elogi ma, se occorre, anche critiche.

E tuttavia, permettimi, rimango perplesso nel leggere le argomentazioni di chi, come te, si manifesta ancorato a quelli che per me sono pregiudizi non tanto nei confronti della Dessay, i cui criteri interpretativi possono spiazzare coloro che sono tenacemente abbarbicati all'idea del canto sul fiato, perfettamente appoggiato, di stampo italiano (criteri che, peraltro, ormai godono di favore solo presso alcuni appassionati di nazionalità rigorosamente italiana), quanto nei confronti dell'idea che questo tipo di repertorio possa (e debba, aggiungerei io) essere affrontato in modo diverso.
E voglio concederti abbastanza obtorto collo, ma sempre per rispetto alle tue convinzioni, l'idea che "diverso" non sia necessariamente sinonimo di "meglio".
In realtà, io sono profondamente convinto del fatto che tutto il repertorio abbia risentito profondamente di cambiamenti nell'arco degli anni, magari non tumultuosi al punto di fare nette cesure fra un "prima" e un "dopo" (il che è anche parzialmente avvenuto, ma forse non per il belcantismo in senso stretto), ma comunque tali da prenderli in seria considerazione in un'ottica che esca dai confini italiani e che ci costringa a tenerli se non per buoni ( il che, nel tuo caso, è poco probabile :wink: ), quanto meno per inevitabili.
Quello che affermava Beckmesser è profondamente vero: la prassi esecutiva è cambiata. Citava l'esempio del repertorio barocco, che a me sembra particolarmente utile ai fini del ragionamento, ma ce ne sono tanti altri.
Quello che affermava Matteo circa le file kilometriche per vedere la Dessay è profondamente vero: la gente si riconosce in questa grande protagonista dei nostri tempi, con la (parziale) eccezione degli spettatori italiani che sono rimasti - nostalgicamente, dico io, e senza polemica - ancorati a criteri interpretativi in cui oggi, nel resto del mondo, non si riconosce più nessuno.
Queste non sono mie illazioni: basta che ti fai una passeggiata sui gruppi di discussione esteri per renderti conto di quali siano le tendenze attuali. Sono gli stessi che, sino a qualche anno fa, impazzivano per June Anderson, stella ovunque tranne che (guarda caso) in Italia.
Mariella Devia ti accontenta? Ti ci riconosci? Padronissimo. Ognuno di noi appassionati deve trovare un alveo in cui incanalarsi serenamente per poter fruire della materia col massimo godimento.
In questo sito, però, ho scelto di guardare alla prassi esecutiva con un occhio di particolare riguardo non tanto e non solo ai patri confini, che mi sembrano intrisi di un provincialismo difficile da difendere, quanto alle tendenze internazionali, anche se si discostano da ciò che maggiormente apprezziamo magari solo per affetto dettato dalla lunga frequentazione.
Sarò ancora più franco: io della devia, delle sue noticine tutte belle impilate, dei suoi filatini e dei suoi mi bemolle pulitini pulitini non so assolutamente cosa farmene. L'ho vista a teatro, l'ho sentita in disco, in registrazioni, in trasmissioni. Non mi accontento nemmeno più dell'etichetta di "grande professionista" che anche i meno generosi sono disposti a concederle.
Per un repertorio come quello che lei frequenta voglio qualcosa di diverso, fossero anche gli shampooes fatti sul palcoscenico. Voglio palpitare per le pazzie di questi immensi personaggi, anche a costo di fottermene di qualche acuto stiracchiato e preso per i capelli. Voglio che il (la) cantante traduca con la propria fisicità tutti quegli abbellimenti e le fioriture che l'Autore ha immaginato per esaltarne la bravura. Voglio che le primedonne si prendano a schiaffi come la Bordoni e la Cuzzoni.
E' un repertorio emozionale e voglio emozionarmi. Delle notine precisine, concedimelo, me ne frego.
Con la consueta stima,
Pietro
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Messaggioda Domenico Donzelli » mer 26 set 2007, 18:28

e che parte faccio in questa tenzone?
vista la mole se meno schiaffi potrei essere vincitore, ma.....
io credo che ci siamo vari step in questa tenzone. A mio avviso
a) un cantante d'opera che canti Handel o che canti Mascagni deve sapere usare i ferri del mestieri. Come si usino i "ferri del mestiere" lo raccontano i trattati di canto i quali al di là del linguaggio e delle nozioni di anatomia datate ribadiscono tutti lo stesso verbo, e sopratutto lo dicono i cantanti d'opera. A prescindere dal timbro, dal gusto dalla qualità vocale chi vede cantare l'Olivero, Schipa, Gigli, la Sutherland, la Steber vede esattamente gli stessi movimenti della muscolatura del corpo. Non solo sente lo stesso tipo di suono. Il suono che gergalmente cantando si chiama "coperto" , "sostenuto", immascherato", "alto". Sono, appunto, espressioni gergali e della pratica che servono ad esprimere sempre lo stesso concetto.
Qualche sera fa ho rivisto un filmato "il bacio di Tosca" predisposto negli anni '80 con gli ospiti di casa Verdi. nessuno illustre, salvo forse Sara Scuderi. Ma le sorprese venivano da Leonida Bellon un tenore, che, penso, avesse fatto carriera solistica, che "mette il suono" esattamente dove lo metteva Gigli o Pertile ossia i tenori più in voga all'epoca in cui il nostro si era formato.
Dottor Cajus, che conosce tutti i cantanti deiprimi trenta anni del secolo passato, potrà , credo, confermare l'assunto.
Tanto premesso la signora dessay, ma non lei sola non fa e sa nulal di tutto questo. E si trrova in buona anz ottima compagnia con le sgnore Netrebko, Gheorghiu, Cedolins etc.
Basta guardare un loro video e quel più quale meno vedromo che non praticano nessuna respirazione professionale e non dico la addominale ( detta respirazione " bassa") , ma neppure quella (deleteria dice Lauri Volpi ) detta costale, ossia "alta".
respirano come le persone normali .
Poi arrivano i noduli, i forfait, le carriere quinquennali, le gamme acute accorciate, le note basse prossime al parlato e tutto un repertorio che neppure le "disperate veriste" praticavano con tanta assidua costanza.
In questo giorni mi sono ascoltato una decina di "quando le sere al placido" e più il tempo passa più il suono è insicuro e mal fermo e per conseguenza la dinamica, il rispetto dei segni di espressione sempre più limitato. Preciso ho ascoltato: Giuseppe Anselmi, Alessandro Bonci, Aureliano Pertile, Tito Schipa, Beniamino Gigli, Giacomo Lauri Volpi, Richard Tucker, Carlo Bergonzi, Luciano Pavarotti, Placido Domingo sino al prossimo venturo Rodolfo parmigiano Marcelo Alvarez. Invito chiunque a farlo.
OVVERO per CANTARE si deve praticare respirazione e canto professionale.
Natalie Dessay ha smesso di farlo da almeno dieci anni
b) per essere grandi cantanti bisogna anche saper dire.
Chi dispone di una grande tecnica spesso dice molto. Ciascuno nel suo repertorio e ciascuno con il suo gusto.
E' presuntuoso ed ignorante pensare inquesto terreno a comparare una Olivero ed una Sutherland. regge magariil raffronto Sills-Sutherland, Olivero-Scotto.
Il problema è poi se queste o altre signore rendono l'idea e la poetica dell'autore.
Io esemplifico con il richiamo alla scena di Falliero incatenato nell'opera di Rossini.
Dove la Horne faceva un piano la Dupuy era sul mezzo forte e viceversa, dova l'una assumeva andatura veloce, l'altra rallentava, dove il testo prevedeva inserimenti ed abbellimenti una aggiungeva , l'altra si accontentava di un pianissimo o di una forcella.
MA - ripeto- entrambe rispondevano ai requisiti di cui al punto a)
E questo cantando la stessa musica. Importa poco che con rispetto della prassi d'epoca la Horne abbassasse e la Dupuy eseguisse in tono.
Con riferimento alla signora Devia credo che, maestra del primo punto, la signora lo sia molto molto meno del secondo.
Ossia che l'interprete in genere latiti.
Spesso perchè canta opere almeno nell'ultimo decennio che nonsonoper lei e che sono adattate a lei, secondo perchè anche nelle sue opere più idonee (forse con l'esclusione dei puritani) la signora non ha mai brillato nè per virtù d'accento nè per quel virtuosismo strabiliante che è la sigla della prima donna da belcanto.
Devo anche dire che ho sempre preferito pur con qualche difetto vocale nei sovracuti la Serra e nella limitata estensione in alto Lella Cuberli. Ma questo rientra nel gusto personale
Se poi penso alla Gruberova credo che il suo limite, non da poco, sia la scarsa frequentazione del vero accento italiano ( che non è la buna dizione) sostituiti da una idea piuttosto felix austria del gusto ed accento italiano. Le dive viennesi dei primi venti anni del secolo passato Kurz, Hempel, Ivogun, invece, e l'accento italiano lo praticavano eccome.

Ciò nonostante è pur vero che con la Devia ci si annoia molto e con la Gruberova pure anche (confesso però che ho i biglietti per la Borgia), ma almeno fra suoni mal messi, ottave acute accorciate, lazzi e cachinni si sente del canto di alto professionismo.
Non è il top, non lo era vent'anni fa ma è quanto di meglio senta e lo sento da due signore che in coppia fanno 120 anni !!!
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Messaggioda PQYD » mer 26 set 2007, 18:37

Dimenticavo: di pullman e camerini affollati l'Italia è piena anche in assenza della Dessay... del resto se si pensa a quanta gente è andata a rendere omaggio alla salma del Papa... :roll:
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Messaggioda MatMarazzi » mer 26 set 2007, 19:35

PQYD ha scritto:Dimenticavo: di pullman e camerini affollati l'Italia è piena anche in assenza della Dessay... del resto se si pensa a quanta gente è andata a rendere omaggio alla salma del Papa... :roll:


Attenzione Pqyd! :?
Scherza coi fanti...

Battute a parte, chiedo un grande favore a tutti gli amici del fourm:
lasciamo perdere riferimenti religiosi, politici e altro, sia pure in battute inoffensive come queste.
:)
Limitiamoci alle "bestemmie vocalistiche" che sono state sciorinate in questi giorni! ;)
Anzi ai "vangeli" delle "vere voci di una volta... quando si sapeva cantare... quando si sapeva respirare... quando i cantanti conoscevano la tecnica... " :D
O tempora!!!!

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Messaggioda MatMarazzi » mer 26 set 2007, 20:12

beckmesser ha scritto:Altrimenti si rischia di finire come Cosima Wagner, che allestiva e riallestiva sempre i soliti gesti, le solite scene, il solito canto: per carità, era esattamente quanto Wagner aveva scritto si dovesse fare, ma siamo sicuri che il rispetto della volontà dell’autore tornasse utile all’autore stesso?


E furono gli stessi wagneriani arrabbiati, abitatori di Bayreuth, a preparare la rivolta!
Penso che se avessero visto un'altra volta i boschetti della prima scenografia del Parsifal, avrebbero dato fuoco alla sacra collina! :)

Personalmente trovo tutto quello che scrivi talmente giusto e condivisibile che mi stupisco che siamo ancora qui a parlarne...

Salutoni,
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Messaggioda teo.emme » mer 26 set 2007, 21:15

Beh, ma guardate che nessuno nega i diritti dell'interprete. Io dico che si può - e si deve - rendere il personaggio, ora tragico e drammatico, ora astratto ed etereo, senza emettere grida e strilli.

Non mi sembra di dire un'eresia (né di appellarmi a nostalgie o a tecnicismi) quando dico che nel melodramma italiano del primo '800, gli strilli e gli effetti "parlati", sono orrendi!

Leggo poi che ci sarebbe un pregiudizio sulla Dessay: del tutto falso, ho più volte scritto cosa apprezzo e cosa mi piace. Piuttosto credo che vi sia un preconcetto al contrario: una sorta di apprezzamento a prescindere. Io ho ascoltato quella Lucia e l'ho giudicata (pessima), chi invece la difende l'ha ascoltata?

Si parlava di code e file e fan in tripudio...e io dico: e allora? Basta il successo per cancellare ogni dubbio? Quante volte i trionfi sono a prescindere? Quante esibizioni scadenti abbiamo sentito applaudire sia in Italia che all'estero (penso al Met e ai Puritani o al Boccanegra dell'anno scorso). Insomma la carta del pubblico trionfo andrebbe utilizzata con cura..
teo.emme
 

Messaggioda MatMarazzi » gio 27 set 2007, 14:16

Domenico Donzelli ha scritto:un cantante d'opera che canti Handel o che canti Mascagni deve sapere usare i ferri del mestieri. Come si usino i "ferri del mestiere" lo raccontano i trattati di canto i quali al di là del linguaggio e delle nozioni di anatomia datate ribadiscono tutti lo stesso verbo, e sopratutto lo dicono i cantanti d'opera.


Caro Donzelli,
ho letto con attenzione il tuo post e ti ringrazio.
E' complesso, corposo, articolato e credo ti abbia portato via un po' di tempo.
Ti sono grato ma un po' mi dispiace, perché - scusa se te lo dico apertamente - è stata una fatica un po' inane.
Il fatto è che tutto quello che hai scritto ci è già noto.
Abbiamo letto anche noi i libri di Celletti, li abbiamo letti da vent'anni (almeno).
Inoltre sono vent'anni che dialoghiamo con i Cellettiani (e tutti coloro che hanno accettato il fondamentale "verbo" della tecnica "unica" per cantare).
Sono vent'anni che la questione è posta e riproposta negli stessi termini.
Lo stesso Celletti ha finito - nel suo ultimo malinconico decennio di attività - per ripetere in ogni libro, in ogni articolo, in ogni trattato le stesse identiche cose, quasi con gli stessi termini...

Questo capita quando passa la voglia di interrogarsi, l'umiltà di voler "capire" prima di giudicare e ci si adagia nel proprio personale vangelo, facile, confortevole e irrimediabilmente falso, come è falso qualsiasi atteggiamento critico che cerca di imporsi alla mutevolezza della materia, invece che tentare di decifrarla.

Se questo è capitato a Celletti (che in fondo ai suoi anni era uno spirito libero, avversario del pensiero idealista imperante, nemico del gusto neorealista) figuriamo se non poteva capitare ai suoi esegeti, che negli anni '80 erano numerosi, colti, intelligenti (ne ho conosciuti a bizzeffe: c'è anche un forum operistico dove gli ultimi simpatici sopravvissuti si sono riuniti come in un'isola-fortezza a ripetersi fra loro gli stessi dogmi, come un congresso di vecchi e amareggiati massoni, alteri e incompresi).

Pertanto se c'è una cosa che non può risultarci nuova (nè interessante) è sentir ripetere ancora le consunte novene sulla respirazione costale e diafframmatica, sull'immascherazione, sulla vocale indistinta del passaggio, sul fatto che tutti (da Gigli alla Sutherland? e questi sarebbero tutti?) cantino secondo i dettami di Garcia, ecc... ecc... ecc....

Rodolfo Celletti è stato una grande personalità del panorama critico italiano.
Ha rivelato (con straordinario spirito storico) e reso comprensibili a tutti le basi tecniche di UN CERTO TIPO DI CANTO, che è quello di matrice barocco-italiana (impropriamente detto "belcantismo").
E lo ha fatto in anni in cui quel tipo di canto non solo era misconosciuto, ma addirittura disprezzato (dai critici di matrice idealista), non praticato da quasi nessun cantante (negli anni 50).

Quindi non solo l'opera di Celletti è stata meritoria, ma anche salutare: perché grazie a lui (soprattutto) ci si è rimessi a ragionare su una tecnica canora lontana e sulle sue interessantissime ragioni estetiche.

Il problema è che - per combattere i "vangeli parawagneriani" dei suoi avversari - si è inventato un "vangelo" lui.
Quello per cui QUEL TIPO DI TECNICA, QUEL TIPO DI EMISSIONE, QUEL TIPO DI RESPIRAZIONE fosse l'unica praticata e praticabile dall'alba al tramonto dei tempi.
E ciò è talmente assurdo e risibile che non ho mai capito come avesse potuto trovare tanti adepti.

Il cosidetto "belcanto" (come complesso di valori tecnici, fonico ed estecici) è nato in un'epoca ben precisa: il primo settecento.
Non è nato prima, non è nato dopo... perché - come ogni tipo di tecnica canora - è nato per rispondere ad esigenze ben precise: un repertorio specifico, con caratteristiche specifiche, che nulla hanno a che spartire con gli altri repertori.

Nell'estetica barocca la "parola" vocale era divenuta meno importante: l'opera italiana era diffusa in paesi dove si parlavano altre lingue, il recitativo (sull'impronta di Metastasio) era divenuto mero supporto della musica, le arie avevano perso la semplice natura di affettività per maturare - di pari passo col nascente gusto del virtuosismo strumentale - obbiettivi di spettacolarità "maravigliosa" (come amava ricordare Celletti), e divenire metafora del superamento "artistico" dell'umanità, proprio come gli stucchi dorati nelle chiese o l'abbacinante lessico della lirica barocca.

Il fine della voce - in questa temperie - non era più di sottolineare la parola e di gravarla di significati sempre più complessi (come nel vecchio "recitar cantando" di forgia classica di più di un secolo prima o nella contemporanea tragèdie lyrique di Versailles), ma di rincorrere ed emulare gli splendori virtuosistici degli strumenti musicali, che proprio in quegli anni (la prima metà del 700) stavano raggiungendo vertici tecnici sconvolgenti.

Il "fraseggio" (inteso come semplice costruzione ritmico-dinamica della frase) diveniva più importante delle stesse reagioni teatrali (mai tanto umiliate quanto nell'opera italiana settecentesca). Il "virtuosismo" (inteso come capacità di superare i limiti umani in termini di estensione, lunghezza di fiato, velocità di esecuzione) divenne più importante della parola e dei suoi contenuti.

Insomma, come nella pittura, nella scultura, nella letteratura, anche nel canto i barocchi misero a punto una tecnica giusta ...per QUELLE SPECIFICHE ESIGENZE!
Una tecnica che aveva anche dei limiti (voluti e non casauli): ad esempio i preziosissimi e insostituibili colori della voce umana sparirono dietro l'ossessione dell' "omogenietà" (proprio come se la voce fosse un violino o un oboe). L'evidenza della parola (ridotta a mero suono) si disperse fra le volute dei melismi. Le stesse ragioni dialettiche dell'eloquio drammatico finirono macinate sotto il peso di quell'ossessionante culto del "fraseggio", quella strumentalità a tutti i costi perseguita.

Tanto per fare un esempio, il grande segreto di questa tecnica (la cosidetta "copertura" o "immascherazione") permetteva sì i miracoli virtuosistici di cui sopra, ma con la conseguenza di uniformare le vocali, i loro inconfondibili suoni fino a condurre a quella particolare "incomprensibilità" che gli ascoltatori italiani spesso lamentano nei cantanti d'opera
(...non i neofiti tedeschi quando sentono un declamatore wagneriano, che infatti è comprensibilissimo perché canta con altra tecnica).

Ha ragione Celletti: si deve rimanere ammirati di fronte alla tecnica di canto "italiana" approntata nel barocco.
E' un miracolo di ingegneria e consente, alle voci, di produrre suoni che trascendono le possibilità umane.
Ma - e qui è il punto - questa tecnica andava bene negli anni e per QUEL TIPO DI MUSICA, di cui si è fatta risposta.
(lo stesso Celletti arrivò ad ammettere che già a parlare di "belcantismo" con la Semiramide di Rossini si rischia l'anacronismo).

E' pur vero che prolungò i suoi effetti anche sul protoromanticismo italiano (l'Italia è sempre stata conservatrice), ma non su quello tedesco, francese, russo.
E anche in Italia dovette subire scossoni non indifferenti.
Nel tipo di scrittura che Donizetti si inventò per le atroci dissociate "Ronzi de Begnis" quell'idealizzato "belcantismo" è solo un ricordo.
...Non parliamo di Verdi.

Ora, ammirare il vocalismo barocco è un conto.
Difenderlo dagli attacchi degli idealisti e dei vecchi "bidelli del Walhalla" è un conto.
Fermarsi a riflettere sui peculiari strumenti tecnici (recuperando trattati e antichi metodi di canto) e magari servirsene (per quanto è possibile e sensato) nell'affrontare oggi alcuni problemi di quel repertorio è un conto.

Ma pretendere che tutta la storia del canto possa essere circoscritta e ricondotta ad esso è semplicemente assurdo.

E qui cadde Celletti con tutti i filistei.
Nel suo semplicismo apodittico venne fuori la pretesa che si dovesse cantare (con quell'emissione, quella respirazione, quegli obbiettivi tecnici ed estetici) qualsiasi cosa.
Che quello fosse l'abc del canto.

E poiché la storia dimostra che questo tipo di tecnica non è stata praticata da milioni di cantanti (non solo i Wagneriani e i declamatori, non solo i falsettisti novecenteschi, non solo gli interpreti di britten, non solo i tanto diffamati "veristi", non solo la Dessay e la Bartoli, non solo Del Monaco, la Varnay, Hans Hotter, Emme Kirby, Ettore Bastianini, Julia Varady - che presero tutti le loro dosi di legnate isteriche dal povero Celletti, ormai senza controllo - ma aggiungerei anche tutti coloro che cantarono "prima" del Barocco, come i trovatori, i gregoriani, le dame di corte quattro-cinquecentesche, per non parlare di cantanti di Jazz, di Rock, di Rap...) allora - povero Celletti! - l'unica via d'uscita era affermare che tutti loro non sapevano cantare.
Proprio come - delirio per delirio - dobbiamo farci insegnare da te (noi che a migliaia, per dire poco, amiamo il canto della Dessay) che in realtà stiamo vivendo un sogno collettivo: che in realtà lei non canta... sta facendo altro...
Proprio come, secondo Celletti, non cantava la Varnay, non cantava Langridge, non cantava la De los Angeles, non cantava Tito Gobbi, non cantava Nicolai Gedda, non cantava la Stratas, e persino Fischer-Dieskau cantava così così, ...tutta gente che ha avuto carriere vicine ai cinquant'anni e riconoscimenti di amore planetario che nè la simpatica Dupuy, nè la simpatica Serra, nè il simpatico Raffanti hanno mai avuto.
:)

Ora... l'enormità, la ridicolaggine, la dannosità di una simile posizione critica dovrebbe essere evidente da sola, e invece - con mia grandissima sorpresa - così non è.
C'è ancora chi ripete, a tanti anni di distanza e dopo che - purtroppo - il grande Celletti ci ha lasciato, il suo malinconico verbo.
C'è ancora chi cerca di persuaderci che solo la Sutherland - con tutte le sue "uh" al posto di ogni vocale - rappresenti il modello tecnico assoluto e di riferimento.
:)
Io amo la Sutherland, la difendo, la esalto (come si legge anche in questo forum) ma, se avesse cantato Clitennestra di Strauss, o se avesse cantato Winterreise di Schubert, se avesse cantato i madrigali, i canti trobadorici o le canzoni di Frank Sinatra sarebbe stata SEMPLICEMENTE IMPREPARATA TECNICAMENTE.
A parte... che per me era impreparata tecnicamente già affrontare Maria Stuarda, Traviata, Margherita del Faust... non parliamo di Suor Angelico o dell'Oracolo di Leoni.
Perché anche la tecnica della somma Sutherland (per vicina che fosse ai feticci "cellettiani") non è affatto onnipotente, non può realizzare qualsiasi suono, non può far fronte a qualsiasi musica e (vivaddio) non riassume per niente quell'immenso, stupefacente, vastissimo universo che è "il canto".

Mi dispiace per il povero Celletti (che con questo atteggiamento si è messo allo stesso livello degli "idealisti" che combatteva e che ha sperperato il grandissimo lavoro svolto in ambito storiografico), ma io rigetto tanto le sue teorie, quanto i suoi giudizi.

Del Monaco, caro il mio Celletti, "canta".
La Varnay, caro il mio Celletti, "canta".
Hans Hotter, caro il mio Celletti, "canta".
Emma Kirby, caro il mio Celletti, "canta".
E anche Louis Armstrong, caro il mio Celletti, "canta".
Così come hanno cantato (per diecimila anni di storia della cultura occidentale) anche tutti quelli che delle regole del barocco non ne hanno mai conosciuta o applicata una.

Sia detto una volta per tutte, non esiste un modo per cantare (tranne il fatto che tutti usiamo le corde vocali, tutti - anche i wagneriani e i contro-tenori - utilizzano chi più chi meno le cavità di risonanza del corpo e che tutti respiriamo... ma queste cose si possono fare in modo diversissimi).
La nostra storia ha prodotto un'infinità di "tecniche di canto", ognuna con le sue prerogative (limiti e possibilità), ognuna con le sue basi di fonazione (di emissione e respirazione), ognuna con i suoi obbiettivi estetici ed espressivi (rispondendi alle esigenze di precisi repertori).
E ognuna ha valore SOLO ED ESCLUSIVAMENTE in rapporto ai risultati che permette di ottenere all'artista sul piano emozionale, poetico, musicale: non esiste una tecnica che sia giusta di per sè.
Con la sua tecnica (aperta e stridente) la Stratas esalta Kurt Weill, mentre con la sua tecnica (coperta, avanti, tranquillizzante) la Serra e la Devia hanno massacrato Anna Bolena. Quello che conta, una volta "capita" la tecnica di un cantante, non è giudicarla di per sè, ma valutarla in rapporto ai risultati conseguiti.

Ebbi la fortuna (tanti anni fa, quando ero un ragazzo circondato da Cellettiani che cercavano di convincerlo che una Borkh o una Stratas non sapessero cantare, mentre la Serra... lei sì...) di conoscere l'unica voce critica italiana che allora si levò contro Celletti.
Era Angelo Sguerzi, che volli conoscere dopo aver letto il suo "le stirpi canore".
Era un vecchietto, stanco e malato, ma la chiacchierata che facemmo mi ha onorato e arricchito.
Una frase che disse mi colpì particolarmente.
"In principio era il suono... "

Scusatemi per la lunghezza del post.
Prometto che in questo thread non interverrò più :)
Vi lascio campo libero perché, nei prossimi giorni, mi sforzerò di riprendere dibattiti su altre forme di canto e su altri repertori che ultimamente abbiamo un po' trascurato (e Operadisc non è solo belcanto).

Salutoni affettuosi e, a parte le insanabili divergenze, un grazie a tutti per l'affascinante scambio.

Matteo Marazzi
Ultima modifica di MatMarazzi il gio 27 set 2007, 16:44, modificato 8 volte in totale.
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Messaggioda dottorcajus » gio 27 set 2007, 14:43

Questo lungo thread mi ha offerto alcuni spunti di riflessione molto interessanti ma, non accusatemi di presunzione, faccio molta fatica a scrivere qualcosa. Sono alcuni giorni che ci provo ma le strade intraprese dalla discussione mi mandano ogni volta in altomare. Daltronde partendo dalla prestazione della Dessay siamo passati dalla gerarchia esistente fra canto, regia e direzione, ad una disamina della lingua italiana, al confronto fra Dessay e Devia, alle capacità di canto del soprano francese, al "cellettismo, le sue teorie, i suoi proseliti". Abbiamo invece parlato poco di belcanto se non in riferimento alle teorie sulla tecnica di canto. Troppa confusione, troppo faticoso rispondere a tutto anche se ho letto molte cose, scritte più o meno da tutti, parzialmente condivisibili. Mi ci vuole una bella chiaccherata fra amici e quindi rimando il tutto alla cena che spero riusciremo ad organizzare ed alla quale spero proprio di esserci.
Roberto
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Messaggioda teo.emme » gio 27 set 2007, 21:28

Vero. Una discussione interessantissima! Peccato che nella "fredda prosa" del forum non si riescano a cogliere completamente le posizioni. Credo che parlando a quattr'occhi si troverebbero più punti comuni di quanto si possa pensare dalla lettura degli interventi.
teo.emme
 

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