Martedì, 23 Aprile 2024

Backstage: Don Pasquale alla Scala

Aggiunto il 04 Aprile, 2018

DON PASQUALE
Dramma buffo in tre atti su libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Musica di Gaetano Donizetti

Don Pasquale Ambrogio Maestri
Norina Rosa Feola
Ernesto René Barbera
Malatesta Mattia Olivieri
Un Notaro Andrea Porta

Direttore RICCARDO CHAILLY
Regia DAVIDE LIVERMORE
Scene DAVIDE LIVERMORE e GIÒ FORMA
Costumi GIANLUCA FALASCHI
Luci NICOLAS BOVEY
Video VIDEO DESIGN D-WOK

CORO E ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA


Don Pasquale è opera difficile da decifrare, molto più di quanto appaia a un primo superficiale approccio, non essendo opera buffa nel vero significato del termine ma più che altro una malinconica riflessione sulla vecchiaia (o sulla giovinezza, scegliete voi) inframmezzata da momenti comici, pochi, anche in partitura non solo in scena.
In perfetta sintonia con questa visione Davide Livermore, in un’interessante intervista concessa al Corriere, racconta di guardare a Don Pasquale come a una “commedia di mezzo carattere le cui ultime frange si ritrovano nel nostro cinema anni ’50, quando si facevano ancora le burle e c’era voglia di futuro anche se già minata da un’inconsapevole malinconia».

E proprio nella Roma degli anni ’50 ambienta l’opera, con continue citazioni e omaggi al neorealismo e al cinema di quegli anni, con la Aurelia de “Il sorpasso” in scena, addirittura “volante” sopra la scena. Il profumo della Dolce Vita romana si diffonde e pervade tutta l’opera.

Curate dallo stesso Livermore e da Giò Forma, studio di architetti e designer autori di installazioni celeberrime tra cui l’Albero della Vita di Expo, nonchè delle scene dell’ultimo Tamerlano scaligero – le scene non sono semplicemente bellissime, sono molto di più: inchiodano occhi e spirito al palcoscenico. Indimenticabile il finale in

una giostra di una Roma forse periferica dove la fisicità di Don Pasquale/Maestri viene utilizzata per sollecitare nello spettatore un sorriso amaro, che quasi induce alla lacrima. Funzionali i costumi (tanti e belli) di Falaschi così come le luci di Bovey e i video dello studio D_WOK.

Livermore si chiede come mai Don Pasquale - l’unica persona per bene della compagnia - non si sia sposato prima e perché improvvisamente smania per sposarsi. La soluzione viene trovata in un “prequel” durante l’overture, il funerale di sua madre, una donna autoritaria che lo teneva soggiogato. L’utilizzo delle immagini a scopo narrativo è giocato con furbizia e precisione. E la presenza della madre, incombente, oppressiva, claustrofobica, funge da filo conduttore per tutta l’opera.

Con grande precisione Livermore lavora sui cantanti, ricordando di esser stato egli stesso cantante – in carriera anche il ruolo del Picchio nella Piccola Volpe Astuta agli Arcimboldi nel 2003. Ogni mossa, ogni ammiccamento, ogni controscena è studiata nei minimi dettagli con precisione quasi maniacale, come se fosse il regista di un film. E dal punto di vista attoriale i cantanti rispondono con grande verve e partecipazione.

La parte musicale è curata da Riccardo Chailly che affronta la partitura in perfetta sintonia con le idee registiche approntando un Don Pasquale molto melanconico, forse con qualche paura di troppo nel lasciarsi andare all’emozione e qualche scansione metronomica un po’ rigida, soprattutto nella prima parte (l’opera viene rappresentata con un solo intervallo tra il secondo e il terzo atto).
L’orchestra di Chailly suona però sempre benissimo, sottolineando con cura le splendide linee melodiche della partitura. Già nell’overture, l’assolo del cello che ci “presenta” Ernesto e quello dei violini per Norina suonano intrisi di una malinconia quasi perdente, dal sorriso amaro.
Chailly sfoltisce l’organico orchestrale perottenere un suono più cristallino e delicato, pur mantendo una grande omogeneità e una fluidità nella narrazione musicale. Piccolo capolavoro l’inizio del II atto, con la tromba che con un tempo oscillante racconta la sofferenza di Ernesto, sottolineata da un suono struggentissimo sulla frase “ben feci a lei…”.
Il terzo atto sicuramente è nel complesso il momento migliore grazie anche alla prestazione di un coro in stato di grazia e all’orchestra lasciata più libera dalle briglie, capace di meraviglie sonore che portano rapidamente al Rondò e al Finale III – per me uno dei momenti più geniali di tutta la musica donizettiana – chiuso con un ritmo incalzante e mozzafiato ma con una contemporanea chiarezza e scansione ritmica inappuntabili per ricordarci che “Ben è scemo di cervello chi s’ammoglia in vecchia età; va a cercar col campanello noje e doglie (pene) in quantità...”.

Ambrogio Maestri è Don Pasquale e dire che immediatamente la sua figura riporti a Falstaff è probabilmente un’ovvietà imperdonabile ma è la pura verità. Anzi è lo stesso baritono a ricercare un carattere simile tra le due figure utilizzando i suoi atouts vincenti di sempre: carisma debordante, naturale simpatia, senso del teatro inappuntabile. La voce è parsa leggermente “velata” obbligandolo a ricorrere un po’ troppo spesso al parlato. Il grande cantante però emerge sempre e basterebbe solo ascoltare come reagisce allo schiaffo di Norina e come attacca il sillabato per giustificare il prezzo del biglietto.

Norina è Rosa Feola – già Ninetta nella Gazza Ladra con lo stesso Chailly – e vocalmente è la migliore in campo del cast. Sicurezza estrema in tutta la gamma, acuti brillanti e ben proiettati, verve in scena – e Livermore ne chiede tantissima – civetteria quanto basta, insomma un perfetto mix per delineare uno splendido personaggio. Vocalmente meravigliosa poi nel notturno con Ernesto “tornami a dir che m’ami…”.

Bravo Mattia Olivieri,Malatesta, vero deus ex machina dell’opera, interpretato con il giusto senso dell’ironia, con mercuriale furbizia e precisione vocale, oltre ad una presenza scenica rilevante e praticamente continua per le controscene che lo hanno sempre visto protagonista.
Funzionale e adeguato il Notaio di Andrea Porta.

Lascio per ultimo Ernesto, interpretato dal tenore texano Renè Barbera, del quale conoscevo l’esistenza di un cd di canciones di Lorca e che non avevo mai ascoltato dal vivo. La mia curiosità per l’improvviso accendersi della sua carriera (debutto a Milano, Valencia, Berlino e Parigi in pochissimi mesi) è stata ben soddisfatta da una voce probabilmente non bellissima di timbro ma sicuramente squillante, di estrema potenza, facile alla salita all’acuto. Ottime le intenzioni interpretative con continue smorzature e tentativi (non sempre riusciti per onestà) di ammorbidire il suono, importante e inusuale per una simile parte. Bene eseguite comunque sia la grande aria del II atto (nonostante quell’interminabile pausa presa per il sovracuto dal gusto davvero d’altri tempi), sia la serenata.

Grande successo per tutti. Ovazione per Maestri salutato con entusiasmo trascinante e per il resto del cast. Grande successo anche per Chailly - accolto al rientro della seconda parte al calare degli applausi da una frase che non sono riuscito a cogliere; mentre ho colto perfettamente il “taci, cretino” in risposta da altro spettatore; non aggiungo altro… - così come gran successo per il team registico capitanato da Livermore salito in palcoscenico a prendere gli applausi con un vistoso tutore (nero, elegante…).

Diretta su Rai5 il 19 aprile. Sicuramente qualche imperfezione si aggiusterà e la direzione di Chailly probabilmente sarà più “morbida”. Uno spettacolo assolutamente da non perdere!

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Categoria: Backstage

 

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