Mercoledì, 24 Aprile 2024

Backstage: Anna Bolena al Teatro alla Scala - di Fabrizio Meraviglia

Aggiunto il 03 Aprile, 2017

Teatro alla Scala, stagione 2016/17, venerdì 31 marzo 2017

Gaetano Donizetti
ANNA BOLENA

Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani
Edizione critica a cura di P. Fabbri; Fondazione Donizetti di Bergamo e Casa Ricordi, Milano

Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Grand Théâtre de Bordeaux

Direttore: Ion Marin
Regia: Marie-Louise Bischofberger
Scene: Erich Wonder
Costumi: Kaspar Glarner
Luci: Bertrand Couderc

Anna Bolena: Hibla Gerzmava
Jane Seymour: Sonia Ganassi
Smeton: Martina Belli
Lord Percy: Piero Pretti
Enrico: Carlo Colombara
Lord Rocheford: Mattia Denti
Sir Hervey: Giovanni Sala


Gli anni 1830-1831 furono semplicemente stratosferici per la vita musicale di Milano. Infatti, il Teatro alla Scala e il Teatro Carcano deciserò letteralmente di suonarsele a colpi di ingaggi stellari, puntando tutto sui due maggiori compositori del periodo, ovvero Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti. Il 26 dicembre 1830, giorno dedicato in passato all’apertura delle stagioni di Carnevale, il Teatro Carcano decise di imbattersi nell’impresa di eclissare la Prima stagionale del Teatro alla Scala. La Scala apriva con “I Capuleti e i Montecchi” (già visti la precedente primavera a Venezia) mentre il Carcano decise di puntare su un’opera che fece poi la storia della musica milanese e non solo: “Anna Bolena”. Nell’estate del 1830 infatti Donizetti firmò un contratto con il teatro Carcano di Milano ma il musicista aveva inizialmente esitato nonostante le condizioni contrattuali piuttosto generose: avrebbe potuto infatti avvalersi del libretto di Felice Romani, nonchè contare sull’ingaggio di Giuditta Pasta e di Giovanni Battista Rubini oltre a un compenso di 650 scudi. Il 10 novembre il compositore ricevette il libretto terminato e si trasferì sul lago di Como quale

ospite di Giuditta Pasta che fu per lui certamente una musa ispiratrice (forse venne da lei il consiglio di riutilizzare una cabaletta dell’opera ”Enrico di Borgogna” per l’aria finale di Anna “Al dolce guidami castel natio”). E fu un clamoroso successo. Cosa che non avvenne invece il 26 dicembre successivo quando la Scala propose quella che divenne l’opera capolavoro di Bellini: “Norma”.

La linea di gestione del Teatro alla Scala intrapresa dal duo Pereira-Chailly è dichiaratamente volta a un recupero di una parte di repertorio o di titoli che nel teatro milanese ebbero la loro prima assoluta e fecero la storia ma che non vengono più eseguiti da decenni oppure sono assenti dalla Scala addirittura dalla loro prima esecuzione.
“Anna Bolena” rientra in questa ottica, mancando dalla stagione 1981-82; giusto per un parallelo, “Norma” manca invece dalla stagione 1976-77 quando venne diretta dal grande Gianandrea Gavazzeni. Se ritorniamo indietro nel tempo, nel 1957 Gavazzeni fu responsabile di uno dei più grandi successi scaligeri del dopo guerra: dopo quasi un secolo di oblio, venne recuperata “Anna Bolena” con lo storico allestimento di Luchino Visconti e la grande diva Maria Callas. Furono serate che fecero la storia del Teatro alla Scala, tali da indurre la direzione del Teatro a replicare la produzione nel corso della stagione successiva. Con la Callas il titolo divenne popolarissimo e un must per il mondo intero nonchè una registrazione di riferimento ancora oggi, ma “Anna Bolena” scomparve dalla Scala per altri venticinque anni tondi tondi: nel 1982 si recuperò lo spettacolo di Visconti chiamando per il ruolo eponimo Montserrat Caballé, il grande soprano del momento. Ma il 18 febbraio 1982, serata della prima rappresentazione, la Caballé venne annunciata indisposta e se ne richiese la sostituzione; il pubblico però non accettò questo compromesso e iniziò una vera bagarre di contestazione che si concluse con la soppressione della serata. Tre giorni dopo “Anna Bolena” tentò di nuovo di andare finalmente in scena, ma in un clima alquanto incandescente. Come riportano alcuni presenti all’epoca, dopo un primo atto contestato per un presunto cast deficitario, Montserrat Caballé arrivò al do sovracuto del recitativo finale emettendo un urlo indescrivibile ed il pubblico la riempì di ogni impropero. Tentò poi riprendersi con artifizio nella romanza “Al dolce guidami”, suo cavallo di battaglia, ma poi cadde pietosamente anche nel finale della cabaletta “Coppia iniqua”. Le successive recite furono quindi affidate all’esordiente Cecilia Gasdia, che in quella produzione ebbe un bel trampolino di lancio per una fortunata carriera. A tal proposito abbastanza e giustamente esaustivo è il saggio di Luca Chierici proposto nel programma di sala dello spettacolo in scena questo mese al Piermarini.

Dopo tali premesse anche un comune spettatore e non perfetto appassionato capisce immediatamente che riportare in scena “Anna Bolena” alla Scala può essere fatto solo se già sulla carta si dispone di una grande cantante quale protagonista. Il ruolo avrebbe dovuto essere Anna Netrebko che però ha optato per farsi montare appositamente una vetusta “Traviata”. Così la direzione del Teatro ha optato per ingaggiare una giovane cantante alle prime armi alternandola con un classico soprano russo di maniera. Oltre a ciò Bruno Campanella, direttore inizialmente designato, si è ammalato e, anzichè proporre una nuova produzione magari di un regista attuale e “di grido” (oppure portando un’elegante ma innocua regia di David McVicar per esempio), si è puntato su un prestito da Bordeaux. Il tutto ha portato al disastro questa nuova proposta dell’opera donizettiana. Ma andiamo con ordine.
“Anna Bolena” necessita abbiamo detto di un grandissimo soprano. Hibla Gerzmava possiamo definirla come un soprano di routine, che gioca molto sul peso e sul volume vocale che non sono stati indifferenti. Però la sua prova non ci èparsa sufficiente in questa tipologia di repertorio. Innanzitutto non possiamo infatti parlare di una prova “belcantista”: il fraseggio, la tecnica e le coloriture della Gerzmava erano alquanto approssimative; la voce era discreta nel registro medio-basso ma in alto erano dolori, con vibrati inutili e ampie durezze. Per non dire che parecchie note del registro acuto erano sovente omesse. Inesistente poi qualsivoglia interpretazione e molto deficitaria la dizione italiana. La voce non sarebbe male in altro repertorio (magari un tardo Verdi o verista; dovremmo risentirla a breve nei “Vespri” sempre alla Scala, forse sarà più a suo agio) ma per “Anna Bolena” ci si attende altro.
Sonia Ganassi era Seymour. Purtroppo la voce si è parecchio inspessita, quasi usurata e non ha più la facilità di tecnica che aveva fino a qualche anno fa, quando praticamente non aveva rivali nel repertorio rossiniano e donizettiamo. La prova offerta venerdì è stata abbastanza deficitaria, anche se il fraseggio, la dizione e il portamento, nonchè l’appropriatezza di stile le sono rimasti. Fin dalla cavatina la sua voce appare assai opaca nei numerosi e improvvisi salti nel registro acuto. Un peccato davvero.
Stessa sorte ma assai ingigantita è capitata anche a Carlo Colombara. La sua voce, una volta tonda e interessante, ora è parecchio usarata, al limite della decenza e della presentabilità, forse dovuta anche al fatto di una temporanea indisposizione. La prova offerta in questa “Anna Bolena” è stata però totalmente inaccettabile, con un registro acuto praticamente inesistente, inudibile e per di più sempre al limite della stonatura, e il registro grave ingrossato e pesante.
Piero Pretti quale Percy è stato discreto. Nelle volte che l’ho udito, Pretti ha sempre ha portato a casa la serata, senza infamia e senza lode. Dotato di un timbro non molto gradevole, spesso nasaleggiante e sfribrato, ha comunque reso giustizia al personaggio, sebbene anche la sua prova non eradecisamente da porsi sotto l’aura “belcantista” ma più spostata in là con gli anni (ricordo una bella interpretazione del duca di Mantova). Il fraseggio è spesso molto scolastico, però almeno il registro teneva in tutta l’ampiezza.
In mezzo a tale marasma, lo Smeton di Martina Belli ha praticamente primeggiato. Interessante voce, proveniente da una bella avventura nel repertorio barocco (ma non solo), si è destreggiata con vivacità e proprietà di fraseggio nel ruolo del paggio.
Approssimativo il Rocheford di Mattia Denti, appropriato invece l’Hervey dello studente della Accademia della Scala Giovanni Sala.
Se è vero che per la Bolena o si punta tutto sul cast o il gioco non vale la candela, una bella direzione musicale non guasterebbe. Cosa che non si è avuta con Ion Marin. La locandina della produzione scaligera dice che la produzione si avvale dell’edizione critica approntata da Paolo Fabbri in occasione delle recite di Bergamo del 2015 (quattro ore di musica, supportate da un cast davvero interessante). La produzione scaligera invece ha avuto all’attivo solo due ore e quaranta di musica. Cosa ha spinto il direttore rumeno a tali tagli, tipici o di produzioni provinciali o di epoche remote? Forse la mancanza di un cast che potesse portare a termine quattro ore di spettacolo? O aveva paura di annoiare il pubblico? Beh, riguardo a questa ultima domanda direi che ci è riuscito, incassando la palma quale peggiore direzione scaligera degli ultimi anni. La sua è stata una conduzione priva di alcuna drammaturgia, priva di senso teatrale e drammatico, connotata da una concezione vetusta e pesante dell’opera donizettiana, con agogiche e dinamiche al limite dello strampalato. E giustamente orchestra e coro gli son andati dietro, fornendo una prova scialba, piatta, annoiata e disattenta. Giustamente Campanella era indisponibile, ma perchè non puntare su uno dei giovani direttori che stan facendo bene in Italia e all’estero?
E la regia diMarie-Louise Bischofberger è andata ben oltre. Nella sua produzione, oltremodo triste e cupa, non si ravvisa un’idea che sia una, a parte qualche citazione forzata e meramente icastica da alcune pellicole dell’inglese Alfred Hitchcock; pare poi che la regista abbia voluto idealmente avvicinare la Bolena alla “Lucia di Lammermoor”, due testi per nulla affini per impianto drammaturgico e impronta storica. Unica nota positiva a livello visivo è il bel costume rosso e regale destinato all’entrata in scena di Anna (eccenzion fatta per la cuffietta in stile manzoniano). Per il resto lo spettacolo non dice e non lascia molto, con luci, scenografie e costumi piatti e banali. Ancora una volta mi chiedo chi abbia avuto la sciagurata idea di importare siffatta produzione e non, per esempio, puntare su una nuova produzione o importare quella di McVicar dal MET.

Il pubblico si è trattenuto per tutto lo spettacolo, ma a chiusura di sipario ha fortemente buato Carlo Colombara; qualche accenno di dissenso è andato anche a Sonia Ganassi. Ci sono state invece ovazioni per la protagonista, applausi convinti invece al coro, a Piero Pretti, a Martina Belli e ai comprimari. Sonori e giusti dissensi all’uscita di Ion Marin e ancor più al team di regia.
Spettacolo inutile e da dimenticare: ci spiace per chi abbia già un biglietto in mano ma chi può non vada ad assistere a questa produzione che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello del recupero del repertorio belcantista alla Scala. Speriamo “La gazza ladra” vada meglio...

Fabrizio Meraviglia

Categoria: Backstage

 

Chi siamo

Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.