Venerdì, 19 Aprile 2024

Backstage: Malo Malo in an apple tree - The Turn of the Screw alla Scala

Aggiunto il 16 Settembre, 2016

Contemporaneamente alla tournée del Teatro a Mosca, la Scala ci presenta nella sala del Pier marini una delle più belle e sconvolgenti opere del ‘900, The Turn of the Scire, una vera e propria gros story tratta dal romanzo di Henry James ma “adattata” dal libretto operistico di Myfawny Piper. Possiamo definire quello dell’altra sera un vero e proprio debutto dell’opera alla Scala (l’unica rappresentazione avvenne in lingua italiana e alla Piccola Scala), quindi la grande attesa era del tutto motivata.

Opera complessa e claustrofobica, incentrata sui rapporti tra innocenza e corruzione, differisce profondamente dal romanzo di James per la “personificazione” dei due fantasmi, Quint e Miss Jessel, riducendo quindi molto l’ambiguità interpretativa e calcando sulla condizione di inferiorità dei bambini sottoposti alle violenze psicologiche degli adulti. Lo spettatore però può decidere se gli spettri esistono realmente o sono la proiezione patologica dell’Istitutrice, unico personaggio senza nome e probabilmente unico personaggio che non riesce ad entrare nel complesso di relazioni malate che lega gli altri personaggi.

L’opera ha una interessantissima struttura: un prologo e due Atti divisi in scene che come un romanzo portano un titolo. Ogni scena è collegata da un piccolo interludio che traspone in musica un giro di quella vite che stringe e opprime la mente dei personaggi.
Britten ha dedicato grande attenzione nel differenziare la musica dei personaggi viventi rispetto ai “fantasmi”, affidando a questi ultimi dei melismi gregoriani inquietanti e carichi di ansia. I due mondi si incontreranno una volta sola – con un effetto letteralmente sconvolgente – quando Miles intona “Malo, malo, I would rather be – Malo, malo in an apple tree….”. Ecco che Miles , ancora innocente, cerca di unire i due mondi che per lui non presentano differenze. Ma “the Ceremony of Innocence is drowned” e nulla potrà più essere come prima. I riferimentiall’omosessualità, all’infanzia violata, alla crudeltà del mondo nei confronti del diverso e dell’indifeso caricano da questo momento ogni scena di intensa sofferenza.

L’organico orchestrale è composto da diciotto strumenti utilizzati da tredici esecutori: flauto, ottavino e flauto contralto, oboe, corno inglese, clarinetto, clarinetto basso, fagotto, corno, percussioni (tra cui anche il woodblock e le campane tubolari), pianoforte, celesta, arpa, due violini, viola, violoncello e contrabbasso.
La Scala ha chiamato per la produzione registica il danese Kasper Holten e il drammaturgo Gary Kahn. La loro visione dell’opera è chiarissima e il dubbio finale pare non doversi porre. I fantasmi esistono solo nella mente dell’Istitutrice (per Holten vera e unica figura non risolta nella sua psiche). E’ l’istitutrice infatti a letto tra i due fantasmi durante il pronunciamento della frase di Yates, è lei che bacia i bambini (in particolare Miles) con un evidente desiderio sessuale, è ancora lei che permette, addirittura cercandoli, i contatti e le allusioni sessuali dei fantasmi. Insomma l’Istitutrice vista come irresponsabile soggetto non in grado di reggere il peso del dovere: è lei dunque l’unico adulto che nel tentativo di proteggere la purezza dell’infanzia ne crea i peggiori danni (sarà lei a uccidere Miles?) , è ancora lei per la quale ad ogni interludio la vite si stringe con forza e oppressione, racchiudendola in un mondo nel quale tutti gli altri stanno fuori.
Le scene di Steffen Aarfing creano un triplice scenario. Il pianoforte al centro della scena più grande, l’unica che in un certo senso consente una visione “serena”. Al di sotto della sala, collegato da una scaletta a chiocciola (lascio a voi decidere se interpretarla Freudianamente o Junghianamente) un seminterrato. Al lato destro tre palchetti non comunicanti tra di loro, all’interno dei quali compaiono di volta in volta i personaggi. Splendida la scelta del bianco e nero comecolore dominante – anche nelle inquietanti proiezioni dietro la scena principale. I costumi dello stesso Aarfing sono bianchi e neri, con un rosso sgargiante inizialmente solo per la Istitutrice. Bellissime le luci di Ellen Ruge che esaltano la scenografia così inquietante e consentono a Holten una sorta di visione cinematografica dell’opera. Insomma un gran bel lavoro del Director of Opera della Royal Opera House di Londra e del quale ricordiamo ancora con piacere lo straordinario Copenaghen Ring.

Musicalmente dicevamo che l’opera è di difficilissima esecuzione. Il “tema della Vite” viene proposto fin dall’inizio nelle sue dodici note La Re Si Mi / Do# Fa# Sol# Re# / Fa Sib Sol Do: i sette interludi orchestrali del primo atto procedono in modo ascendente da La- fino a Lab+ facendo ritorno a La maggiore in modo discendente negli interludi del secondo atto. L’opera scorre così come una vera propria vite che “gira” su se stessa accompagnando l’implacabile serie di eventi con altrettanto implacabile scansione fino al punto di non ritorno del finale.
Le scene invece musicalmente sono estremamente varie, alternando impressionanti percussività ritmiche a oasi liriche di intensa emozione. Dalle inquietanti sonorità della celesta alle dolci e felpate melodie degli archi.

Christoph Eschenbach debutta alla Scala come direttore d’opera e lo fa nel migliore dei modi tenendo insieme ed esaltando i grandi contrasti richiesti da Britten. L’orchestra a ranghi ridotti risponde perfettamente e produce suoni via via taglienti (ai limiti dello sgradevole), felpati, cupi, drammatici, onirici. L’apertura del secondo atto – vero punto di snodo della “vite” – è un piccolo capolavoro. Le pennellate di suono conducono lo spettatore verso la chiave di tutto: l’innocenza è affogata! Grande prova del direttore nel dipanare e rendere trasparente la densa struttura compositiva. Forse qualche eccesso fonico di troppo ha messo talvolta in difficoltà icantanti ma nel complesso una direzione estremamente positiva. Bravi gli orchestrali chiamati a veri momenti di virtuosismo cameristico.

Anche per Ian Bostridge possiamo parlare di debutto alla Scala. Nonostante numerosi recital che lo hanno visto protagonista, Quint (e il Prologo) rappresentano i primi personaggi in scena sul palcoscenico milanese. E’ difficile valutare con chiarezza la prova del grande cantante che mi ha estremamente deluso a livello vocale e mi ha invece entusiasmato attorialmente. La voce, forse non in perfetta forma, è indurita in alto, corta, stranamente poco delicata. Gli acuti suonano fibrosi e corti. Come personaggio in scena invece, Bostridge è strepitoso. Bravo già nel Prologo (Holten che genio!) , trova in Quint il suo personaggio ideale, aiutato anche dall’aspetto fisico e dall’eccezionale scansione della parola. L’immagine spettrale, il costume di scena, il colore dei capelli stesso lo rendono angosciante e cupo. Straordinario nel linguaggio del corpo e nel tentare con sottili allusioni sessuali tutti i personaggi, in particolare il piccolo Miles.

Jennifer Johnston è un’ottima governante Mrs. Grose. Sebastian Exall è membro del prestigioso Trinity Boys Choir e presta la sua voce delicata al personaggio di Miles, passando con estrema bravura dall’innocenza del fanciullo alla trasformazione del personaggio durante la lezione di Latino intonando il “Malo”. Brava anche Louise Moseley nel ruolo della sorella: bella voce, soprattutto in “Today by the dead salt sea”, eccellente musicalità e ottima pronuncia.
Miss Jessel è una ottima Allison Cook dotata di bella voce e grande presenza scenica: basta sentire come attacca il “Why did you call me from my schoolroom dreams?” per averne subito un giudizio positivo.

Non trovo invece altro aggettivo se non “eccezionale” per definire la prestazione dell’Istitutrice, il soprano svedese Miah Persson. Bellissima con i capelli biondi raccolti checontrastano il bianco e nero che domina la scena, la cantante possiede una voce perlacea bellissima in cui fanno capolino lampi e bagliori di estrema lucentezza. Tecnicamente ferratissima, supera con facilità i tanti ostacoli disseminati nella parte. Scenicamente fiera e nobile all’inizio dell’opera quando affronta con entusiasmo l’incarico appena ricevuto alla tenuta di Bly. Dolce e materna nell’incontro con i bambini, inizia un percorso di dissolvimento fisico e morale che trasmette brividi di emozione. Davvero maiuscola!

Successo per tutti, con punte di entusiasmo per la Persson e Eschenbach da parte di una sala abbastanza numerosa, rimasta incredibilmente in silenzio nello straordinario finale concepito da Britten sulle note in fading della struggente melodia di “Malo”.

Docflipperino

Categoria: Backstage

 

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