Giovedì, 25 Aprile 2024

Nozze di Figaro

Aggiunto il 23 Aprile, 2014


Wolfgang Amadeus MOZART
LE NOZZE DI FIGARO

• La Contessa LEYLA GENCER
• Il Conte GABRIEL BACQUIER
• Susanna MIRELLA FRENI
• Figaro HEINZ BLANKENBURG
• Cherubino EDITH MATHIS
• Marcellina JOHANNA PETERS
• Don Bartolo CARLO CAVA
• Don Basilio HUGUES CUENOD
• Don Curzio JOHN KENTISH
• Barbarina MARIA ZERI
• Antonio DERICK DAVIES



The Glyndebourne Festival Orchestra and Chorus
Chorus Master: non indicato

SILVIO VARVISO

Luogo e data di registrazione: Glyndebourne, 9-06-1962
Ed. discografica: Cantus Classic (5.01825), 2 CD economici

Note tecniche sulla registrazione: Molto buona la resa audio con un pubblico ‘british’ ma non per questo del tutto corretto. Appare un salto nel II atto dopo il “Venite inginocchiatevi” di Susanna si passa subito alle esternazioni del Conte verso la moglie.

Pregi: il cast in blocco con particolare riferimento al trio Gencer-Freni-Mathis

Difetti: qualche limite in Bacquier e qualche pecca in superficialità di Varviso

Valutazione finale: images/giudizi/buono.png

La Cantus Classic ci offre un’allettante registrazione ‘live’ di un capolavoro musicale che – nel novero delle trame operistiche – appare un preciso meccanismo dove, senza nulla sacrificare all’umanità (e alle idee illuministiche che l’hanno nutrita), tutti i proverbiali conti tornano. Di un genio come è stato il divino Mozart è impossibile affermare quale sia nel trittico dapontiano la sua più riuscita produzione, ma Le Nozze hanno una precisione ed una compattezza che Don Giovanni e Così fan tutte tendono un po’ a perdere in quanto molto più frastagliate a livello di ambientazione. In Nozze la varietà c’è, ma è tutta interiorizzata: cambi di umore, maliziosità, candore, vendetta, meschinità, ecc. si susseguono tutti nei singoli personaggi attraverso una dialettica ed un’espressività che ritroveremo, a mio avviso, solo nel canto di conversazione del nostro grande Puccini (pensiamo a certi passaggi di Butterfly o di Tosca), tanto per restare nella nostra Italia, ma nel nostro modo di concepire l’opera (giacché la storia ci insegna che essa è nata da noi e, se si volesse tornare più indietro, nel bacino del Mediterraneo).
È chiaro poi che per esprimere tutto questo complesso di sentimenti ci vuole gente che domini l’italiano alla perfezione (mi fa ridere oggi sentire super esaltare cantanti anglo-tedeschi perché più eleganti o musicalmente ‘quadrati’ e mi piacerebbe sapere se costoro sanno il significato di ciò che cantano) oltre ad avere caratteri vocali non invertebrati e asfittici, ma carnosi e pieni che sappiano far emergere tutta una umanità tipicamente latina (perché italiano era il librettista e latini anche i luoghi dove si svolgono i tre quadri dapontiani).
Non che qui tutto riluca come oro, perché alcuni non italiani del cast rivelano limiti nella dizione, però meno che in altre edizioni considerate ‘di cartello’.
Fatta questa introduzione, per la quale qualcuno forse storcerà il naso, vengo all’edizione presente che, per alcuni versi, può essere inserita nell’albo delle migliori e ciò per merito soprattutto delle interpreti femminili e con il valido appoggio di quelli maschili nessuno dei quali fa cose orride (salvo forse la risataccia fuori luogo di Cava al termine della complessa scena di agnizione Figaro-Marcellina-Bartolo del III atto che vede anche il validissimo contributo della Freni).
La direzione di Varviso non è di quelle che si potrebbero definire eponime ed epocali. Rispetto ad altre prove piuttosto negative (si pensi alla brutta Norma DECCA, resa ancor più brutta dal cast e dai tagli) il direttore svizzero assicura tensione e continuità ad una vicenda che ne ha assoluto bisogno proprio per il suo essere “folle giornata”. “Folle”, ma di una logica cartesiana dove abbiamo il trionfo dell’intelligenza (anche se talvolta piegata a fini non certo onesti). Varviso è abile a impostare tutto il II atto che è un prodigio di architettura musicale nel suo ingrandirsi da un semplice terzetto iniziale (Contessa-Susanna-Figaro) per arrivare, attraverso improvvisi colpi di scena e ingressi di personaggi che complicano la situazione, al gran concertato finale che vede le fazioni contrapposte. Inoltre anche il finale III atto (luogo a volte di gran ristagno). Singolarissimo, con un profumino rossiniano soprattutto all’inizio, appare l’accompagnamento l’aria di Basilio del IV atto («In quegli anni…») che Cuenod canta con grande espressività pur con una voce piuttosto leggera e timbricamente biancastra. Ma questo cantante è, in linea generale, un ottimo Basilio, maligno quanto basta nel I atto (la frase «Io? Che ingiustizia» è quanto di più untuoso si può escogitare anche perché tutte le battute precedenti sono al vetriolo) e disincantato nelle sue riflessioni lungo il corso dell’opera.
Proseguendo nell’esame della direzione di Varviso talvolta si ha l’impressione di certa superficialità (la scena dello svenimento di Susanna nel I atto procede a velocità eccessiva), ma ci si fa forse poco caso perché non abbiamo vere e proprie improprietà e tutto scorre fluidamente. Per essere pignoli, però, manca quell’argento vivo e quell’aura saltellante che certi squarci della vicenda richiedono (in questo è inarrivabile la proposta di Solti nell’incisione DECCA). Li udiamo solo a tratti e fuori posto (come il caso citato), ma a tratti la vicenda avrebbe bisogno di certo scossone.
Il cast è collocabile ad altissimi livelli a partire da trio delle figure di registro femminile: Contessa-Susanna-Cherubino. La Gencer è una Contessa di una pienezza vocale incredibile e dall’espressione aristocratica e seria, mai stilizzata (Schwarzkopf, o Della Casa, o Janowitz), ma concreta e di grande fisicità. Straordinarie per espressività e canto, ad esempio, le risolutive battute finali del perdono con accenti quasi disincarnati, una sorta di perdono divino, un raggio di cristianesimo nell’illuministico universo della vicenda. Ascoltare le sue due arie è veramente scendere nell’animo di una creatura ferita, ma nobile e composta e non la solita damina incipriata: in questo la grande turca è di grande attualità. Ma ciò che colpisce della Gencer è l’accento e la compattezza della voce, al contempo, bruna e morbidissima. Ciò che chiaramente le si può rimproverare è che come ‘finta Susanna’ del IV atto non è credibile perché la Gencer tutto poteva essere meno che Susanna con tutto il suo coté aristocratico e nobile che portava con sé. Efficacissimo contrasto è rappresentato da M. Freni il cui personaggio di Susanna è stato un suo cavallo di battaglia (al pari di Mimì e Micaela) specie nei primi anni di carriera. Qui abbiamo una prova maiuscola per la varietà espressiva e anche quando si prova a fare la Contessa nel IV atto vola molto più in alto della Gencer (con Abbado 12 anni dopo la Freni fu anche Rosina in un cast che annoverava Prey come Conte, Van Dan quale Figaro, la Mazzuccato nelle vesti di Susanna, la Berganza Cherubino e addirittura M. Picchi quale Basilio!). Ma ciò che veramente stupisce è il dominio e l’espressione della parola nelle diverse situazioni che questa Susanna deve attraversare. Cito solo due esempi: il duetto con il Conte ad apertura del III atto e il gioco degli equivoci vocali che sa escogitare «Verrete…? No… Si» ecc. e la scena dell’agnizione più avanti nel III atto, dove la voce evoca visivamente occhi sgranati di stupore dinanzi all’inattesa notizia. Ma è solo un’esemplificazione superficiale, perché la Freni è straordinaria in tutto ciò che le esce dalla bocca (almeno in questo personaggio) e resta davvero una cantante storica accanto alle nostre due maiuscole Renate (Tebaldi e Scotto).
Terzo grande elemento è la Mathis (sarà Susanna qualche anno più avanti nell’integrale con Bohm in studio con Fischer-Dieskau, Prey e la Janowitz) un Cherubino dolcissimo e morbidissimo ma senza affettazione e con una vena di sottile languore: le sue due arie sono veramente molto ben eseguite, ma notevole è anche l’accentazione nella scena del salto dal balcone. Ma la Mathis si segnala anche per i passi di conversazione (specie nel I atto nel duettino con Susanna, dove l’eccitazione del giovincello è evidente!). Un Cherubino che una volta scoperto dal Conte nel I atto diviene uno scolaretto finto-innocente – con un candore che gli si può addirittura credere – e lo fa in modo eloquentissimo.
Brava tutto sommato anche la Peters come Marcellina (che non canta l’aria della capretta, unico taglio di Varviso) soprattutto come espressività, la voce non è un granché (ma non è neppure disdicevole). Apprezzabile anche la Zeri come Barbarina, mentre non vengono nominate le due contadine che figurano nel III atto ma sono brave.
Cava quale Basilio canta molto bene con una voce non cavernosa ma temibile ed eloquente per espressione nella sua aria della Vendetta (I atto), ma anche altrove si fa valere.
Non sono mai stato un grande ammiratore di Bacquier, ma qui è un buon Conte (molto diverso da quanto ci farà udire nel ’70 con Klemperer in studio: a mio avviso una delle più brutte edizioni che abbia mai udito di quest’opera). Appare insinuante con Susanna ed autoritario con la Contessa e con Cherubino e la dizione è modesta; non indulge in vezzi vocali strani anche se, a tratti, l’articolazione della frase non è ineccepibile, né lo è la vocalizzazione che chiude la sua aria del III atto (in questo, Fischer Dieskau e Wixell restano notevoli).
Molto bravo H. Blanckenburg, cantante che non conoscevo: spigliato e di ottima voce e che dà significato a ciò che canta. Nel momenti più concitati di conversazione la dizione va un po’… a farsi benedire…
Completano il quadro di questa vicenda: J. Kentish un Curzio di buon timbro e forse troppo balbuziente, ma di effetto e D. Davies un Antonio dalla dizione bruttina, ma vocalmente a posto.
Un’edizione, insomma, che costituisce un felice capitolo di storia interpretativa.
Concludo con un’idea che mi proviene dal riascolto – dopo lungo tempo – di un’opera che adoro, prendendo spunto dall’aggettivo ‘folle’ attribuita alla vicenda: è una qualifica il cui confine è labile con la genialità con la quale Mozart non solo ha musicato le razionaliste (e tutto sommato pessimiste) visioni del ‘700, ma con la quale ha reso ogni personaggio dapontiano (e prima ancora di Beaumarchais) un concentrato variabile di sentimenti, emozioni. Se la follia è questo, non è solo genialità, ma equilibrio: in questo, le Nozze sono davvero singolari.
Da segnalare il salto e la non felice ricucitura nel II atto dopo la scena della vestizione di Cherubino.
Curiosità: Le Nozze di Figaro possiede una discografia sterminata (oltre 160 edizioni audio a partire dalla metà degli anni ’30 del XX secolo) delle quali una è cantata in arabo e risale al 1980.

Luca Di Girolamo

Categoria: Dischi

 

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