Venerdì, 19 Aprile 2024

Elektra

Aggiunto il 16 Febbraio, 2012


Richard STRAUSS
ELEKTRA, op. 58

• Elektra IRÉNE THEORIN
• Chrysothemis EVA-MARIA WESTBROEK
• Klytämnestra WALTRAUD MEIER
• Orest RENÉ PAPE
• Aegisth ROBERT GAMBILL
• Der Pfleger des Orest OLIVER ZWARG
• Die Vertraute ARINA HOLECEK
• Die Schleppträgerin BARBARA REITER
• Ein junger Diener BENJAMIN HULETT
• Ein alter Diener JOSEF STANGL
• Die Aufseherin ORLA BOYLAN
• 1° Magd MARIA RADNER
• 2° Magd MARTINA MIKELIĆ
• 3° Magd STEPHANIE ATANASOV
• 4° Magd EVA LEITNER
• 5° Magd ANITA WATSON

Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor
Chorus Master: Thomas Lang

Wiener Philharmoniker
DANIELE GATTI

Regia: NIKOLAUS LEHNHOFF

Regia televisiva: Thomas Grimm
Set designer: Raimund Bauer
Costumi: Andrea Schmidt-Futterer
Luci: Duane Schuler

Luogo e data di registrazione: Großes Festspielhaus, Salzburg Festival 2010
Ed. discografica: Arthaus Musik, 1 DVD o Blu-Ray

Note tecniche sulla registrazione: qualità elevata; in Blu-Ray l’effetto alta definizione è eccezionale

Pregi: Meier e Westbroek notevolissime; ma Theorin e resto del cast all’altezza. Ottima direzione di Gatti

Difetti: nessuno di rilievo; va tuttavia rilevata qualche caduta di gusto di Lehnhoff

Valutazione finale: images/giudizi/buono-ottimo.png

Video:

Alla fine, l’unica vera caduta di gusto di questa – per altri versi – eccellente produzione è la solita macelleria che compare alla fine dell’opera: quella cioè che nella mia memoria deriva soprattutto dall’allestimento di Ronconi. In questo reminder riverberante Klytämnestra appare appesa a testa in giù a un gancio di quelli che si usano per i quarti di manzo; la macelleria appare sul fondo dopo che Orest ha completato la sua mattanza con l’uccisione di Aegisth; se ne poteva fare tranquillamente a meno, perché l’accensione progressiva di tutte le finestre che si affacciano sul cortile della reggia degli Atridi aveva già dato la misura di tutto quello che succedeva, molto più che le urla belluine delle vittime. Ed è un peccato perché, almeno sino a quel punto, l’allestimento di Lehnhoff si era segnalato per misura e efficacia drammatica, almeno nei limiti di un classico autore del regien-theater.
Nikolaus Lehnhoff aveva iniziato la propria attività come assistente di Wieland Wagner a Bayreuth nel 1960; poi ha debuttato autonomamente nel 1972 a Parigi ne “La donna senz’ombra” e, da lì in avanti, si è creato una propria credibilità nel repertorio tedesco. Lehnhoff non è il destrutturatore “à la Tcherniakov” o “à la Jones” da cui aspettarsi sfracelli emotivi o letture lancinanti. È però raramente deludente: sa leggere benissimo lo spettacolo; ha un’esposizione lineare, chiara; ha una pulizia visiva formale molto accattivante e ben riconoscibile. La drammaturgia, se vogliamo, è quella un po’ più risaputa: un pizzico di regien-theater, un’idea di didascalismo, nessuna vera rilettura o ripensamento della materia ma piuttosto una rielaborazione spesso molto più elegante di idee altrui. Ecco, l’eleganza formale nelle regie di Lehnhoff non manca mai: sono spettacoli sempre molto eleganti da vedersi e ricchi di suggestioni. Quello che manca, purtroppo, è il guizzo del genio che invece appartiene a Artisti ben altrimenti caratterizzati come, per l’appunto, i già citati Tcherniakov e Jones oltre, si capisce, Carsen.
Ma insomma, ciò detto, questo è un bell’allestimento: elegante, lineare, chiaro, ben esposto, con idee magari non di primissima lana ma molto ben raccontate. L’azione si svolge nel cortile della reggia degli Atridi, vista come da una prospettiva sghemba. Il cortile è circondato dalle mura del palazzo: grigie, opprimenti, incombono sui protagonisti e soprattutto su Elektra che non molla mai il centro della scena. I muri sono perforati da finestre anch’esse cupe e vuote come occhiaie da cui, all’inizio, dialogano le ancelle; alla fine, dopo l’uccisione di Aegisth, si accenderanno in quell’esplosione di luci su cui sarebbe stato bene interrompere la rappresentazione, ma tant’è…
Elektra mi ha ricordato nel trucco Regan McNeal, la bambina dell’Esorcista. Siamo d’accordo: è l’ennesima forzatura su un personaggio demoniaco che, tanto per cambiare, viene caricato ulteriormente. Ma la Theorin – vocalmente non irreprensibile, soprattutto nel monologo iniziale, ma infine convincente – aderisce con bravura straordinaria alla visione imposta dal regista e in un modo che mi ha riportato spesso alla memoria la bravissima e inquietante Linda Blair del film di Friedkin. E, devo dire, durante il prosieguo della visione, i conti sono tornati: ho potuto apprezzare il lavoro svolto dal regista proprio sulla diversificazione delle tre donne, tutte caratterizzate meravigliosamente.
Chrysothemis, formosa eppure precocemente sfiorita dall’ansia non soddisfatta di una maternità diversa da quella che ha dovuto subire lei.
E infine lei, Klytämnestra, il vero capolavoro di questo allestimento: non più la solita megera precocemente invecchiata dall’odio (il che non avrebbe nemmeno senso: come farebbe una vecchia strega a attirare in una trappola di sesso un idiota superficiale come Aegisth?...), ma una bella donna un filo fatua, vestita come la star di un film americano Anni Cinquanta con pelliccia sgargiante viola e occhiali neri. È una Klitämnestra che non capisce le ragioni di questa figlia pazza e ribelle, che cade sgomenta sotto il suo “Was bluten muß?” al punto da non essere lei quella che ride dopo che le ancelle le riferiscono della (presunta) morte di Orest, bensì le stesse ancelle, sino a farne risuonare la casa. È una Klitämnestra ricca di femminilità inesausta, che quando parla dei propri gioielli lo fa da un lato con compiacimento e civetteria, dall’altro con compatimento nei confronti di quella figlia sciatta e orribile, ossessionata solo dall’idea di una vendetta di cui nemmeno lei stessa – fatua e superficiale com’è – capisce le ragioni. L’amico Maugham mi ha fatto riflettere su questa rivoluzione importante del ruolo: non è la prima volta che la madre di Elektra è interpretata da una bella donna di aspetto giovanile (c’è anche Mignon Dunn nel video con Birgit Nilsson), ma è forse la prima volta che Klitämnestra ha l’aspetto di Chrysothemis come auspicherebbe di invecchiare. E forse per questo motivo, anche Aegisth non ha l’aspetto del solito imbecille corrotto nel corpo e nell’anima: è anzi un bell’uomo prestante e virile.
Quindi, devo dire un’ottima diversificazione dei tre livelli di femminilità. Purtroppo, quello meno interessante è proprio quello della protagonista, sulla quale Lehnhoff si è limitato all’ovvio, almeno da Rose Pauly in avanti.
Sul fronte musicale, note complessivamente più che soddisfacenti.
Daniele Gatti è definitivamente l’erede della tradizione mitteleuropea che fu ben rappresentata da Abbado e Sinopoli (Muti, pur apprezzatissimo in Austria, rimane un italiano esportato). I suoi tempi sono tendenzialmente più lenti rispetto a quelli di altri interpreti di rilievo; fra cui, ovviamente, i già citati. Ma i preziosismi orchestrali sono tutti perfettamente evidenziati, e questo evidentemente grazie anche allo strumento meraviglioso rappresentato dai Wiener. Il canto è ottimamente sostenuto, anche se c’è qualche scollamento evidente con la Theorin.
La quale Theorin non scalzerà dal podio le interpreti ideali di questo ruolo (essenzialmente Pauly, Varnay, Borkh, Nilsson), ma si fa complessivamente valere. A parte qualche sconnessione nel monologo iniziale, che si segnala anche per la precarietà dell’intonazione a voce fredda – non è una scusante, il monologo c’è per tutte – il personaggio viene fuori bene. La cantante prende decisamente quota a partire dal duetto con la madre, che rivela un lato sornione interessante. Naturalmente il “Was bluten muß?” viene affrontato nella versione breve, ma senza disonore. Il meglio della Theorin è nel dialogo dell’agnizione con Orest (un René Pape sobrio e efficace) che risulta molto suggestivo anche per il taglio delle luci.
Della Meier abbiamo già parzialmente parlato. Klitämnestra è un ruolo che aveva già affrontato anche in disco (per esempio, con Barenboim) ma non con così tanta proprietà: qui è favolosa, la mattatrice della serata.
Ottima a mio giudizio anche la Westbroek. La vocalità non è luminosa come quella della Studer a Vienna con Abbado, ma è un personaggio carnale, abbattuto dalla vita e forse ai limiti per potersi ritagliare una vita da donna normale, cui probabilmente non potrà aspirare dopo tutto ciò che ha organizzato la sorella. La consapevolezza di una vita segnata appare continuamente in lei.
Pienamente soddisfacente, come già detto, anche Gambill: non è fra i miei cantanti preferiti, ma qui dipinge un personaggio vivo, intraprendente, diverso dal solito.
Eccellente anche Pape e tutta la folta schiera di seconde parti, a cominciare dalle ancelle.
Uno spettacolo forse non determinante nella storia del teatro d’opera, ma complessivamente soddisfacente e con un paio di idee meritevoli di essere ricordate

Categoria: Dischi

 

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