Sabato, 20 Aprile 2024

Agrippina

Aggiunto il 04 Dicembre, 2011


GEORGE FRIDERIC HAENDEL
AGRIPPINA

• Agrippina ALEXANDRINA PENDATCHANSKA
• Nerone JENNIFER RIVERA
• Poppea SUNHAE IM
• Ottone BEJUN MEHTA
• Claudio MARCOS FINK
• Pallante NEAL DAVIES
• Mago Narciso DOMINIQUE VISSE
• Lesbo DANIEL SCHMUTZHARD


Akademie für Alte Musik Berlin
RENÉ JACOBS

Luogo e data di registrazione: Berlino, Teldex Studio, Luglio 2010

Edizione discografica: Harmonia Mundi, 3 CD

Note tecniche: registrazione di alta qualità tecnica

Pregi: direzione, Mehta e – almeno in parte – Pendatchanska

Difetti: Sunhae Im-presentabile

Giudizio complessivo: images/giudizi/mediocre-sufficiente.png

Video:


Con la scusa della solita edizione critica, Jacobs licenziò una revisione della partitura di “Agrippina” – primo successo di Haendel, con libretto del grande Vincenzo Grimani – destinata a fare da base a uno spettacolo dell’Opera di Berlino con la regia di Vincent Broussard. La ragione doveva essere quella di potenziare – con il manoscritto originale – l’efficienza drammatica che era presente nel libretto e che la versione poi rappresentata a Venezia, e da lì in avanti sempre in tutto il mondo, aveva un po’ perso.
Questi lavori di Jacobs sulle partiture sono sempre molto intriganti: solitamente le sue registrazioni meritano di essere ascoltate già solo per il cambiamento di prospettiva che lui riesce a dare a partiture più o meno famose, infondendo in esse una cura certosina davvero maniacale per tutti i dettagli.
Jacobs dirige benissimo. Si avverte veramente lo stacco fra l’orchestrazione di Agrippina e quella dei capolavori che verranno; si sente benissimo, per esempio, il “sound” veneziano che si percepisce nelle opere di Vivaldi e che non tornerà più nei lavori che verranno.
Le orchestre con cui lavora di solito – la Freiburger e la AAM – sono compagini spettacolari, di altissima professionalità e dotate di suono talmente strepitoso che è difficile scegliere la migliore: comunque vada, è una festa per le orecchie.
Lascio poi agli ascoltatori interessati la lettura dell’interessantissima sinossi che ci racconta a cura dello stesso Jacobs tutto il percorso creativo alla base del primo grande successo di Haendel.
Tutto potrebbe condurre a una registrazione storica, epocale, da brivido.
Già.
Ma c’è il canto.
E qui è necessario aprire un capitolo importante, una riflessione serena che ci permetta di guardare all’esecuzione di questo repertorio dalla giusta prospettiva.

Negli ultimi anni si è creato uno stile esecutivo importante nella realizzazione di questo repertorio. Ci sono professionisti che si sono dedicati in modo quasi esclusivo al Barocco, dettando le regole per un modo di interpretare che cerca di recuperare uno stile perduto. A ciò risponde ovviamente anche l’artificio del controtenore, il cui scopo va – a mio modesto avviso – molto oltre l’idea di ricreare la voce di castrato: ha anzi creato un modello vocale trasversale, che copre esigenze ambigue, sia maschili che femminili e che, in prospettiva, potrebbe anche ritagliarsi spazi non proprio istituzionalmente affidati a tali voci: i recenti dischi di Jarrousky e di Mehta, dedicati rispettivamente a melodie da camera francesi e inglesi, sono lì a dimostrarlo.
Di più: ascoltare un’esecuzione di repertorio barocco come si usava ai tempi di grandissime cantanti come Sutherland o Berganza genera una sensazione di iato quasi incolmabile con quello che ascoltiamo oggi, e per come viene eseguito da cantanti specialisti contemporanei di valore altissimo.
E ancora: quella del Barocco è diventata una specie di “palestra” stilistica che permette a chi vi si cimenta di sperimentare moduli esecutivi che poi tornano utili anche in contesti completamente differenti: si prenda, per esempio, il caso di Patricia Pétibon, partita proprio dal Barocco e arrivata a essere una delle più importanti interpreti contemporanee di Lulu, manifesto della Dodecafonia.
Il parterre di questi cantanti è ampio, variegato e importante; e a ciò si aggiunga il fatto che, per quanto concerne la presente registrazione, alcuni di essi compaiono in altre registrazioni di Jacobs, il che paga – o dovrebbe pagare – notevoli dividendi in termini di affiatamento e congruità stilistica.
Alexandrina Pendatchanska è una grande artista, di quelle che lasciano il segno qualunque cosa facciano; con Jacobs era stata una grande Elvira, di splendido canto e di notevolissimo temperamento. Qui lascia l’ascoltatore un filo più perplesso.
I momenti solistici sono resi bene o benissimo; la caratura della cantante non si discute. Ciò che invece colpisce è la latitanza di sfumature e di doppiezza, assolutamente indispensabili in un personaggio come questo. Non mancano del tutto, sia chiaro, ma sembrano molto ridotte a vantaggio della ricerca del bel suono, il che però finisce per accontentare poco tutti, gli appassionati delle sue “teatralate” che si sentiranno un po’ traditi e quelli del “bel canto” che invece non si sono mai riconosciuti negli strani suoni di questa cantante.
Mi soddisfa maggiormente Jennifer Rivera, che fa di Nerone un personaggio adolescenziale intrigante, ambiguo e ricco di sensualità mal repressa, oltre che davvero ben cantato. È una realizzazione completamente diversa da quella di un controtenore, come per esempio il Derek Lee Ragin della registrazione di Gardiner; ma a me personalmente piace di più.
L’altro elemento di interesse è – prevedibilmente – Bejun Mehta, che fa un Ottone commosso, partecipe e quasi sgomento di fronte alla scoperta dell’amore. Oggi come oggi Mehta è uno dei più importanti esponenti della voce di controtenore, e se comprendono perfettamente le ragioni ascoltando il suo canto cristallino, di una purezza quasi immacolata, dotato di una nota malinconica irresistibile.
Qui, sostanzialmente, finiscono i motivi di interesse e si apre un altro capitolo, quello che porta alla quasi bocciatura della registrazione.
Possiamo sorvolare sull’arruolamento di Dominique Visse, vecchio pioniere dei ruoli da controtenore, e solo perché è in una parte di carattere comico; ma il suo canto, mai stato veramente bello, ormai è sfibrato, problematico, rauco, di gola. È una performance da macchietta, da comprimario di infimo profilo.
Sorvoliamo già molto meno su Marcos Fink, perennemente in difficoltà con le note di Claudio e quindi incapace di dargli quel tocco cialtrone che Grimani ha legato al personaggio dell’imperatore.
Accomuniamo a questa valutazione complessivamente negativa anche Schmutzhard e Davies, rispettivamente Lesbo e Pallante, che non sembrano avere nulla a che spartire con questa fattispecie drammatica (specialmente il primo).
Tutto questo può ancora essere condonato, perché non ci si può aspettare che tutti gli artisti di una registrazione siano allo stesso livello, perché l’orchestrazione di Jacobs fa miracoli, perché l’opera è molto bella, perché la Pendatchanska e la Rivera non fanno gridare al miracolo ma insomma ci sono, perché Mehta è bravissimo, eccetera. Ma c’è un aspetto che non può essere condonato, e arriviamo, così al vero motivo di rabbia, quello che fa affossare tutta l’impresa: e si tratta del soprano coreano Sunhae Im.
Ha 35 anni ed è bellina: punto. Appena apre bocca, invece, è un disastro.
Nelle precedenti registrazioni mozartiane andava bene finché faceva Papagena, o decisamente male in parti più complesse come Ilia; qui invece fa danni veri perché Poppea è la vera protagonista di questo primo capolavoro di Haendel, specie con una direzione che punta decisamente a valorizzare il personaggio.
Musicalità di infimo livello, tono querulo che richiama le parodie delle vecchie soubrette senza cervello (roba da fare incazzare le femministe dei bei tempi che furono), agilità pasticciate, linea vocale inesistente e appoggiata sul vuoto pneumatico, interpretazione degna di una protagonista di un film scollacciato italiano degli Anni Ottanta. Vi ricordate Kathleen Battle? Be’, in confronto alla Im, la cantante americana sembra la Sutherland.
Non c’è una ragione al mondo che giustifichi la presenza di Sunhae Im in una registrazione di questo genere; nondimeno, Jacobs la pretende (compare in tutte le sue registrazioni, quindi deve essere lui a mettercela) e le affida il ruolo più impegnativo di tutta l’opera!
Varrebbe la pensa di riflettere in modo serio sul modo di assemblare le poche registrazioni operistiche che oggi ancora si fanno, specie trattandosi di progetti così importanti come questo. Non mancano oggi le cantanti che possano occuparsi di questo repertorio con proprietà: perché ricorrere a una cantante da operetta che non ha la minima idea di quello che dice?
Il risultato è…be’, disastroso, e non solo nella sua parte e nelle scene in cui compare: la sua stessa presenza dequalifica ampiamente tutta la registrazione e la affossa.
Peccato davvero

Categoria: Barocco

 

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