Sabato, 20 Aprile 2024

Idomeneo

Aggiunto il 13 Febbraio, 2011


WOLFGANG AMADEUS MOZART
IDOMENEO

• Idomeneo IAN BOSTRIDGE
• Idamante LORRAINE HUNT LIEBERSON
• Ilia LISA MILNE
• Elettra BARBARA FRITTOLI
• Arbace ANTHONY ROLFE JOHNSON
• Gran Sacerdote PAUL CHARLES CLARKE
• La Voce JOHN RELYEA

Edinburgh Festival Chorus
Chorus Master: David Jones

Scottish Chamber Orchestra
Sir CHARLES MACKERRAS

Continuo: Ian Page (clavicembalo), Ursula Smith (violoncello)

Luogo e data di registrazione: Usher Hall, Edinburgh, Luglio e Agosto 2001
Ed. discografica: Emi, 3 CD

Note tecniche sulla registrazione: buona, ben spaziata

Pregi: Hunt e Frittoli

Difetti: Rolfe Johnson per quanto riguarda i cantanti; più generalmente, l’impostazione drammaturgica è molto antiquata

Valutazione finale: images/giudizi/sufficiente-discreto.png

Subito all’indomani della grande rivoluzione operata sul repertorio mozartiano dai direttori normalmente applicati al Barocco e al modo antiquo, ci fu una piccola falange di “restauratori parziali”. Si trattava, in definitiva, di direttori di tradizione, che si servivano di orchestre a ranghi ridotti, che suonavano di strumenti moderni o, al limite, appena “corrette”, per esempio – come nel caso in questione – con l’aggiunta di trombe naturali. Secondo alcuni, è la risposta più logica ai grandi riformatori del repertorio barocco che, sovente, si sono spinti un po’ troppo in là. La domanda era: perché abbandonare completamente una grande tradizione esecutiva per consegnare tutto il grande repertorio a questi scapestrati? La risposta fu, per l’appunto, quella corrente che vede l’utilizzo di orchestre tradizionali, “suonate” però in modo antico, o moderno, a seconda dei punti di vista
Sir Charles Mackerras, interprete sensibile e intelligente oltre che sufficientemente curioso e sperimentatore (a lui si deve il recupero e la rilettura moderna di Janacek), si collocava per l’appunto in questa interessante corrente. Non più giovane, al momento di questa registrazione, ebbe però il merito di rimettersi in discussione identificando una linea esecutiva di cui, da un certo punto di vista, dobbiamo considerarlo se non il progenitore assoluto, quanto meno uno dei primi grandi esponenti.
Se l’esperimento alla fine non riesce più che tanto, lo dobbiamo ai seguenti fattori:
1. Il protagonista che appare parzialmente inadeguato, anche se gli si devono riconoscere molte attenuanti
2. La lentezza esasperante e la mancanza di tensione drammatica, forse il peccato più esiziale in un’operazione di questo genere; vedremo con Jacobs quanto questo aspetto sia fondamentale
3. Il recupero completo di tutto il materiale composto da Mozart, aspetto senza dubbio meritorio in un’incisione in studio, ma che appesantisce oltre modo l’azione di un’opera coturnata come questa

D’altra parte, lo stile di Mackerras in questo repertorio era proprio strutturato in questa maniera, se consideriamo che nel 2006 Mackerras riproporrà in disco con cast diverso, ma ragioni molto simili, l’altro grande caposaldo del teatro coturnato mozartiano, e cioè la sublime “Clemenza di Tito”. Ora, com’è noto, non è abitudine di questo sito fare paragoni di sorta, ma riesce difficile non tornare con il cuore e il pensiero non solo a quel Jacobs che, qualche anno dopo, avrebbe messo un punto fermo in questo repertorio; ma anche a John Eliot Gardiner che, con presupposti e mezzi molto differenti, aveva costretto l’ascoltatore a riconsiderare non solo questo repertorio, ma tutto Mozart. Ci sarà tempo ancora per ragionare compiutamente sul Mozart di Gardiner ma non c’è dubbio che, a parte l’aspetto meramente musicale, quanto a drammaturgia Mackerras rappresenta un deciso passo indietro verso un’Arcadia che si riteneva ormai superata. E, in effetti, in più punti, superata l’ammirazione per l’eccellente e pulitissimo suono della Scottish Chamber Orchestra, riconosciuto che si può “suonare” in modo antico anche senza gli strumenti originali o le loro imitazioni, la noia si taglia veramente a fette.

Quanto al protagonista, Ian Bostridge, riconosciutagli una notevole bravura e perizia tecnica, c’è da dire che il personaggio gli è distante le mille miglia. È sempre bravissimo – sceglie l’esecuzione della versione completa di “Fuor del mar”, e gli riesce molto bene – ma non è mai drammaturgicamente adeguato. Rinuncia completamente al coté eroico, alla ribellione contro l’ineluttabilità del Destino e l’avversione della Natura e delle divinità – aspetto che in Idomeneo dovrebbe essere sovrumano – e si butta tutto sulla dolente malinconia del padre sconfitto. Per carità: il cantante intelligente lo si vede anche dal modo in cui dosa le proprie risorse e sceglie le proprie strade interpretative, ma qui siamo davvero lontanucci non solo da uno standard classico accettabile, ma anche da una proposta alternativa veramente attendibile.

Ben diversa, al suo fianco, la povera Lorraine Hunt Lieberson, una delle cantanti più intriganti di quel periodo, purtroppo prematuramente scomparsa per tumore nel 2006. La voce può piacere o no – in effetti, in qualche passaggio può lasciare un po’ interdetti – ma l’aplomb stilistico e il temperamento sono da grandissima protagonista. È lei la vera e irrinunciabile protagonista di questa incisione: il suo “No la morte” è un vero capolavoro.

Non è mai stata la mia cantante preferita, ma la Elettra di Barbara Frittoli si fa rispettare. C’è da dire che le servirebbe un maggior aiuto dalla buca orchestrale per stagliare il proprio fraseggio in un personaggio così frastagliato e controverso, ma il canto è davvero eccellente. Poi, a mio gusto, la Frittoli manca di qualche cosa, di un quid che renda la sua interpretazione davvero indimenticabile, ma è un problema che riscontro in quasi tutto quello che le ho sentito fare.

Discreta Lisa Milne: è il massimo che se ne possa dire. Il canto è preciso e corretto, ma il fraseggio è perennemente linfatico. Non finisce per piacermi.
John Relyea, nelle poche frasi della Voce di Nettuno, è tonitruante come quasi tutti.

La vera zeppa di quest’incisione è però un altro cantante che ci ha recentemente lasciati (anch’egli nel 2010, come Mackerras), e cioè Rolfe Johnson, che era già stato Idomeneo con Gardiner. Qui è Arbace – ovviamente con tutte le sue arie – ed è una palla al piede mortale. Scarsa forma vocale, fraseggio pestifero, pronuncia burgunda, il tutto condito da un accompagnamento orchestrale di rara inconsistenza drammaturgica: raramente mi sono annoiato così tanto, al punto da apprezzare i vecchi direttori che, cimentandosi con quest’opera, andavano giù di machete

Categoria: Dischi

 

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