Giovedì, 25 Aprile 2024

Cavalleria rusticana

Aggiunto il 01 Febbraio, 2008


PIETRO MASCAGNI
CAVALLERIA RUSTICANA

 Santuzza MARIA CALLAS
 Turiddu GIUSEPPE DI STEFANO
 Alfio ROLANDO PANERAI
 Lola ANNA MARIA CANALI
 Mamma Lucia EBE TICOZZI


Coro del Teatro alla Scala di Milano
Chorus Master: Vittore Veneziani

Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
TULLIO SERAFIN

Luogo e data di registrazione: Milano, Basilica di Santa Eufemia, 16-25/6 e 3-4/8/1953
Ed. discografica: Emi, 1 CD economico (venduto in cofanetto slim case con Pagliacci)

Note tecniche sulla registrazione: discreta; microfonazione troppo invasiva con i cantanti (in particolare Di Stefano)

Pregi: Callas e Serafin

Difetti: tutto il resto

Valutazione finale: images/giudizi/buono.png

Una delle classiche situazioni in cui siamo costretti a dividere il giudizio, non esprimibile nel suo insieme, molto più disomogeneo che non nei “Pagliacci” cui questa registrazione viene abbinata, come peraltro logica abitudine.
In questa “Cavalleria” esiste una netta dicotomia fra quello che dicono l’ispiratissimo direttore e colei che, a buon diritto, possiamo definire la sua Musa, una Maria Callas eloquente, misurata, sorvegliatissima, musicale, disperata, amara, autentica sacerdotessa di quel rito pagano che è la vicenda di “Cavalleria rusticana” così come viene narrata da Tullio Serafin; e tutto il resto, capeggiato (si fa per dire) da un Di Stefano al centro di una delle sue più insulse performances.
Grandissimo direttore, Serafin: uno di quelli che oggi non ricordiamo con particolare intensità solo perché siamo ormai abituati a pensare che “facciano fine” solo i grandi nomi esteri, ma non si sarebbe più sentita fino a Sinopoli una “Cavalleria” dall’allure così mistica, in cui giganteggi il respiro di una Natura che domina, soggioga e pervade profondamente gli uomini e le loro azioni. Una visione teatralissima, dal taglio di un autentico thrilling ci fa vedere la progressione del dramma in tutta la sua violenza; e, nel contempo, il richiamo della Pasqua alla sua vera origine, quella di un rito di passaggio preesistente alla religione cristiana e la cui radice è ancora percepita da una popolazione travolta dall’empito delle proprie passioni.
La Santuzza di Maria Callas va nettamente in questa direzione facendo percepire perfettamente all’ascoltatore tutto questo coacervo culturale e proponendosi come garante della riuscita dell’operazione. Il risultato è sconvolgente e, se lo sommiamo a quello che esce dalla lettura dei “Pagliacci” (proposta assieme alla “Cavalleria”) ci rendiamo conto che abbiamo tutti gli strumenti per potete comprendere la Callas in tutta la sua essenza, molto più che in ruoli in cui è stata celebrata come Norma, Tosca, Violetta o Gioconda.
Si va dalla mestizia di cui è intriso il “Voi lo sapete o mamma”, alla solenne ritualità di “Inneggiamo il Signor non è morto” (e la simbiosi con l’orchestra di Serafin mette letteralmente i brividi: bisognerà aspettare la Baltsa con Sinopoli per arrivare a percepire qualcosa di lontanamente paragonabile, ma questa volta i meriti saranno soprattutto del direttore), alla pesante allusione della prima parte del duetto con Turiddu, sino al tono accorato eppure dignitosissimo della seconda, chiuso da un finale cantato con una violenza nettamente superiore agli urlacci di tante altre interpreti anche prestigiose.
Sul fronte vocale, al suo fianco, purtroppo, le diluge.
Sia ben chiaro: non facciamo parte di coloro che ce l’hanno aprioristicamente con Pippo Di Stefano, che continuiamo a ritenere uno dei cantanti fondamentali per fare i conti con la Storia dell’interpretazione del XX secolo. E sappiamo anche molto bene che Turiddu era uno di quei ruoli per cui era giustamente famoso. Ma questa registrazione è un disastro.
Si parte da una Siciliana cantata a squarciagola e si passa direttamente ad un duetto in cui il nostro non riesce a trovare un colore che sia uno da contrapporre alla fantasmagoria messa in campo dalla Callas. Lo stesso dicasi per il Brindisi: plateale ed esteriore – e sarebbe anche il meno, dato il tipo di brano – ma anche urlacchiato con microfonazione fastidiosa. La sfida ad Alfio è passabile – ma nulla più – mentre l’ “Addio alla madre” è un disastro improponibile che sembra l’esemplificazione di tutto quello che i detrattori detestano nel Pippo nazionale.
È vero che quello di Turiddu è un ruolo molto particolare, che richiede voce chiara ed estesa, e che è sempre difficile trovare l’esatta quadratura stilistica; ma qui siamo proprio lontani le mille miglia.
Passabile Panerai, troppo simpatico per fare il cattivo, ma assolutamente disastrose la Ticozzi e la Canali, che fanno comprimariato veramente di basso profilo

Categoria: Dischi

 

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