Sabato, 20 Aprile 2024

Turandot

Aggiunto il 17 Aprile, 2007


G. PUCCINI (1858-1924)

TURANDOT

Personaggi ed interpreti

• La Principessa Turandot GIOVANNA CASOLLA
• Il Principe Ignoto (Calaf) LANDO BARTOLINI
• Liù, giovane schiava MASAKO DEGUCI
• Timur, re tartaro spodestato FELIPE BOU
• Imperatore Altoum FRANCISCO HEREDIA
• Ping ARMANDO ARIOSTINI
• Pang JAVIER MAS
• Pong VINCENC ESTEVE
• Un mandarino JOSÉ A. GARCIA-QUIJADA
• Il Principe di Persia GORKA GERRIKABEITIA
• Due ancelle BEGOŇA LAPATZA / OLGA REVUELTA

Malaga Philarmonic Orchestra - Choral Society of Bilbao
Escolanìa Santa Maria de la Victoria
Direttore Alexander RAHBARI

Luogo e data di registrazione: non indicato, 2003
Edizione discografica: NAXOS 8.660089-90; 2 CD economici

Note tecniche sulla registrazione: buona

Pregi: il coro

Difetti: la coppia Turandot/Calaf

Valutazione finale: images/giudizi/discreto-buono.png

La casa discografica NAXOS, che ha già al suo attivo quasi tutta la produzione pucciniana (credo manchi La Fanciulla del West tra le opere della maturità), ha già immesso da qualche anno sul mercato l’ultima fatica del musicista lucchese, incompiuta e portata a termine da F. Alfano. Una casa discografica che va apprezzata perché - accanto a nuove produzioni - ha edito nuovamente dei ‘live’ molto interessanti e sempre a prezzo accessibile e contenuto. Questa edizione di Turandot è però una registrazione in studio la cui qualità fonica è buona e tale da privilegiare la spazialità per i cori e i primi piani per i singoli solisti ed il tutto con armonia, tale da offrirci un ascolto dei più dilettevoli. Merito è anche del direttore Rahbari che, pur non essendo un “nome carismatico”, ci offre una lettura pregevole ed attenta ai particolari (tanto necessari per questo capolavoro in cui Puccini a tratti ricama sonorità davvero minimali accanto ai grandi blocchi sonori). Una volta in più per dire che Turandot è uno di quei capolavori che chiedono da un direttore la sintesi che non deve degenerare in sonorità assordanti, ma neppure perdersi inutilmente alla ricerca dei suoni che più che evocare la psicologia dei momenti e dei personaggi fanno psicologismo che diventa frammentarietà.
Nella discografia di questo capolavoro abbiamo diverse letture e considerandole ad una ad una possiamo facilmente cogliere chi ha azzeccato una lettura equilibrata e chi invece è caduto nei due estremi. Se ognuno dei direttori che hanno inciso Turandot - e qui non faccio nomi - può essere collocato nell’uno o nell’altro versante ciò è dovuto anche alla particolare complessità dell’opera stessa. All’ascoltatore e al melomane la scelta ! Se volete proprio il mio pensiero, io dico, ripeto e confermo Mehta (da me anche udito dal vivo proprio in quest’opera).
Tornando a Rahbari possiamo dire che guida in modo interessante e sobrio un’orchestra che lo asseconda con passaggi davvero notevoli. Ma molto buone sono le prestazioni dei due cori: la Choral Society of Bilbao e, in particolare, la Escolanìa Santa Maria de la Victoria che offre i due interventi dei bambini (I atto: sezione finale del Coro alla luna e II atto: preparazione all’ingresso della protagonista) in modo davvero singolare e soprattutto molto precisi.
Il cast è, paradossalmente, la parte meno attraente dell’esecuzione. Ma questo soltanto in parte poiché a momenti belli ed efficaci se ne accostano altri francamente brutti. La responsabilità è soprattutto della coppia Turandot-Calaf. E dire che ho acquistato quest’edizione proprio per la presenza della Casolla e di Bartolini entrambi da me uditi dal vivo in quest’opera e ne sono rimasto piuttosto deluso. Mi attendevo di più.
Giovanna Casolla è una Turandot molto alterna e decisamente inferiore - almeno in questa registrazione - alla fama che si è costruita (e che continua a costruirsi) su questo personaggio. È davvero un peccato perché avere una Turandot italiana, dopo anni di cantanti (pur validissime) di area tedesca o anglo-americana, è per noi motivo di vanto, se non altro per la dizione ‘di casa nostra’. Perché alterna ? Inizia con il suo arduo monologo («In questa reggia») eseguito piuttosto frettolosamente e con certo sforzo percepibile nei passaggi che chiamano la voce a svettare. Inoltre nell’unisono con il tenore («Gli enigmi sono tre la morte è una»), la Casolla è crescente, ma il suono rasenta la stecca. Segue la scena degli enigmi nella quale sembra di ascoltare un’altra cantante: i suoni belli (anche nei piani) e pieni, l’acuto raggiunto senza fatica, il fraseggio davvero perentorio e sferzante. Però nella successiva perorazione all’Imperatore, nonché padre, ritroviamo la Casolla in difficoltà e la frase «Mi vuoi nelle tue braccia a forza riluttante, fremente ?» non sentiamo la Turandot aggressiva e dominatrice perché dominata dalla paura. Nel III atto, specialmente nel confronto con Liù, ritroviamo una Casolla interessante (la sua replica «L’amore» a quello di Liù è una meraviglia ed al contempo molto intimidatorio è il successivo «Strappatele il segreto») ma mai veramente epica risulta nel duettone di Alfano. («Principessa di morte !») anche se la voce c’è, ma ciò non basta. Turandot è la creatura più misteriosa di Puccini e la resistenza vocale che si impone per certi passaggi deve accompagnarsi - nell’esecutrice - ad un timbro irreale e davvero fiabesco ed immateriale. Pensiamo, ad esempio, al solo monologo («In questa reggia») che è il rivisitare un passato («…un grido disperato risuonò…» oppure «…e quel grido qui nell’anima mia si rifugiò…»), riproporlo nel presente («…rivivi in me…», oppure «…io vendico su voi…») e con questo garantirsi un futuro di eternità («No mai nessun m’avrà…») e di frigida purezza in nome della medesima («…rinasce in me l’orgoglio di tanta purità…»). Col risultato che Turandot, a differenza di Calaf (che ha negli occhi la «superba certezza»), prima di proporre enigmi, è un enigma anche a sé stesso che si nutre di mille contraddizioni, prima fra tutte la mancanza di una seria relazione con gli altri («Scendi dal tuo tragico cielo», le dirà, a ragione, Calaf nel III atto) e con il tempo che scorre. Ora di fiabesco nella Casolla c’è poco e - in questa registrazione - la troviamo come solista valida senz’altro (laddove valida sta per tradizionale), ma anche con molte riserve, vocali anzitutto, ma anche espressive. A mio avviso però, a scusante della Casolla, ma anche di quelle cantanti che hanno eseguito in questi ultimi anni Turandot, c’è da chiedersi se sia possibile aggiungere qualcosa di nuovo dopo quella che si può considerare come ‘la singolare rivoluzione interpretativa di questo personaggio’ che - piaccia o non piaccia - è stata operata in disco da Joan Sutherland (rivoluzione analoga a quella, sempre e solo discografica, operata, negli anni ’63-’64, dalla Callas per il personaggio di Carmen), alla quale altre cantanti si sono accodate con esiti largamente inferiori. I nomi li sappiamo…..
Se non troviamo il lato fiabesco nell’interpretazione della Casolla, in Bartolini troviamo una voce notevole nella sua consistenza, ma con fraseggi spesso disordinati che tramutano l’eroico pretendente al trono del Figlio del Cielo in una prestazione non certo principesca, anzi tirata via ‘al come viene viene’. Anche qui peccato ! Perché il materiale c’è, ma è messo al servizio di una raffigurazione molto manchevole. Le due arie del tenore, così diverse tra loro, hanno poca affettuosità («Non piangere Liù») e poco eroismo («Nessun dorma»). Inoltre non poche sono le frasi di questo Calaf emesse con l’espressività di un Canio piuttosto che di un principe del suo rango.
La Deguci - si legge nel fascicoletto di accompagnamento al cofanetto che è privo di libretto - è un soprano giapponese (nata a Tokio !) che si è guadagnata la fama con personaggi come Lucia di Lammermoor. Ciò significherebbe un’organizzazione votata al canto leggero e d’agilità, ma come Liù se la cava molto bene. Il personaggio è quello che conosciamo: dolcezza ed eroismo combinati insieme e conditi dal martirio. Bella l’espressione della Deguci e notevole è la bravura con la quale sin dall’inizio («Perché un dì nella reggia mi hai sorriso») viene a capo delle varie difficoltà che questo personaggio possiede. La dizione è perfetta ed insomma in lei troveremmo compendiati, in modo ottimale, tutti i requisiti psicologici, interpretativi e vocali della schiava tracciata da Puccini. ‘Troveremmo’: ho usato il condizionale perché i confronti, per questo personaggio, vengono quasi spontanei e l’asse Olivero-Tebaldi-Scotto-Freni resta inattaccabile e relega questa Liù della Deguci, pur nella sua bravura, soltanto ad una piacevole ed interessante prestazione, ma non esaltante.
Commozione e partecipazione, ma anche buon timbro e compitezza esecutiva mostra il basso spagnolo Bou che interpreta il re Timur. L’altro regnante - ossia l’Imperatore Altoum - non si copre di gloria, con il tenore Heredia, ma neppure fa vere e proprie brutture come ad esempio lo svelare la classica e stucchevole voce del vecchietto rimbambito, presente in altre versioni.
Il Mandarino di Garcia-Quijada, nei suoi interventi, è valido e svela una voce di buon timbro. Il trio dei ministri è capitanato da un ottimo Ariostini ed offre una bella prestazione complessiva fra l’altro sostenuta da grande fantasia, dizione molto valida, morbidezza di suono che si sposa - specie nella I scena del II atto - con il valido accompagnamento di Rahbari. Da aggiungere che l’edizione è integrale e ciò ci permette di ascoltare 2 segmenti a volte (in teatro come in disco) tagliati dei quali il primo riguarda i ministri («Vi ricordate il Principe regal di Samarcanda…» e quel che segue fino ad «Addio amore, addio razza») ed il secondo monologo di Turandot («C’era negli occhi tuoi»).
Le note del fascicoletto accluso portano la divisione dei tracks, alcune note biografiche su Puccini, la trama dell’opera ed un telegrafico profilo dei cantanti e del direttore e sono in inglese ed in tedesco a firma di Keith Anderson.

Luca Di Girolamo

Categoria: Dischi

 

Chi siamo

Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.