Martedì, 16 Aprile 2024

Rigoletto

Aggiunto il 14 Aprile, 2007


Giuseppe VERDI
RIGOLETTO
(melodramma in tre atti)

• Il Duca di Mantova PLACIDO DOMINGO
• Rigoletto PIERO CAPPUCCILLI
• Gilda ILEANA COTRUBAS
• Sparafucile NICOLAI GHIAUROV
• Maddalena ELENA OBRAZTSOVA
• Giovanna HANNA SCHWARZ
• Monterone KURT MOLL
• Marullo LUIGI DE CORATO
• Borsa WALTER GULLINO
• Ceprano DIRK SAGEMULLER
• Contessa di Ceprano OLIVE FREDRIKS
• Usciere ANTON SCHARINGER
• Paggio AUDREY MICHAEL



Wiener Staatsopernchor
Chorus Master: Roberto Benaglio

Wiener Philharmoniker
CARLO MARIA GIULINI

Luogo e data di registrazione: Wien, Settembre 1979
Ed. discografica: DGG, collana “The Originals”, 2 CD economici

Note tecniche sulla registrazione: ottima

Pregi: ancora oggi un’edizione di riferimento

Difetti: nessuno in particolare

Valutazione finale: images/giudizi/ottimo.png

Siamo ancora lontani dalle edizioni critiche basate sulla revisione di Martin Chusid, ma Giulini – da quel sereno asceta della musica che era – opera già un profondo lavoro di pulizia se non sulla partitura, quanto meno sullo spirito.
Quindi basta gigionate orrende da parte di protagonisti in libera uscita, basta acuti tenuti sino allo spasimo che anzi vengono praticamente eliminati(è concesso praticamente solo quello de “La donna è mobile” e francamente non se ne sentiva particolare necessità), mentre invece rimangono alcune tradizioni esecutive che non potevano essere eliminate mancando ancora l’edizione critica: ci riferiamo per esempio alla pausa dopo le parole di Rigoletto “…un vindice avrai” prima di “Sì vendetta”, oppure al ben più pregnante “Tua sorella e del vino” invece del più casto “Una stanza e del vino” che qui si ascolta ancora.
Ma, a parte queste considerazioni testuali, com’è il Rigoletto di Giulini?
Notturno, felpato, misterioso, scabro, asciutto, lento, solenne: come sempre nelle interpretazioni di questo grandissimo direttore, estremo rispetto più che della partitura, della sacralità dell’Autore.
La visione di Giulini, lenta e misteriosa, sarà superata poi da altre interpretazioni come quella drammatica di Sinopoli o quella ipercinetica di Muti, ma a quel tempo aveva una sua ragione d’essere che nasceva, da un lato, dal rifiuto delle convenzioni che avevano trasformato anche quest’opera in una specie di Barnum per atletismi vocali di cantanti con spiccata tendenza alle esibizioni muscolari; e, dall’altra, la necessità di ridare la parola alla scabra sincerità di Verdi che, per bocca di Guareschi, “aveva un cuore grosso così”. Si respira molto infatti profumo di Pianura Padana in questo Rigoletto in cui tutti quanti sembrano estremamente pudichi nel manifestare i propri sentimenti.
Questo giova parecchio, per esempio, a Cappuccilli, che compita il Rigoletto di tutta la vita.
Non c’è solo, infatti, l’assoluta sicurezza in tutta la gamma di emissione, dote che il grande Piero ha sempre avuto nelle proprie corde; c’è anche, come gli capitava allorquando incontrava un direttore in grado di imbrigliarne il temperamento sempre un filo esuberante, un’estrema sobrietà di emissione che, per una volta, ci portano un protagonista teso, angosciato, ma mai grottesco nella ricerca dell’effettaccio. Il lato paterno è asciutto, sincero ma mai lacrimevole, quasi perso nella contemplazione di una felicità solo sfiorata e poi tragicamente persa. Il lato vendicativo si anima di un trionfo che non è mai orrido, ma piuttosto amaro perché sempre accompagnato dall’immolazione della felicità della figlia. Personaggio dalla ricca, complessa umanità che – già da solo – basterebbe a ricordare Cappuccilli fra le grandi glorie del canto baritonale di tutti i tempi. Il lato tecnico, poi, è come sempre notevole: estrema sicurezza su tutta la gamma d’emissione, rispetto meticoloso di tutti i segni d’espressione, non c’è una sola frase che sia tirata via. Splendido il Notturno con un Ghiaurov sornione e sussurrante, su un accompagnamento d’archi che rende pienamente onore alla meravigliosa compagine orchestrale viennese. Splendido il tono spaventato da un primitivo timor panico che ritma il “Pari siamo”. Splendido il duetto con Gilda in cui l’angoscia del presagio fa premio sul tono paternalistico. Ancora splendido l’incipit del Secondo Atto in cui il suo aggirarsi per i locali della Corte è veramente carico di angoscia palpabile, per poi risolversi in un “Cortigiani vil razza dannata” che non ha bisogno di quel ritmo vertiginoso scelto da altri direttori (ma che mette spesso terribilmente in difficoltà i cantanti) per rendere credibile la drammaticità del momento. Meno splendido – se vogliamo – il duetto seguente con Gilda, che avremmo preferito espresso da un canto più raccolto a fior di labbra, ma che non sarebbe stato comunque nelle corde espressive del grande baritono. Ed è infine da ammirare la compostezza della scena del (momentaneo) trionfo sul corpo del presunto Duca, tosto smentita dall’angoscia che pervade le parole di Rigoletto sulle note della ripresa de “La donna è mobile”. Un Rigoletto complessivamente nervoso, triste, portato al soliloquio e ben controllato nell’emissione, in stretta sintonia con le intenzioni del direttore: e quindi, complessivamente una grande prova.
Meno singolare, ma comunque interessante come tutto ciò che ha fatto, la Gilda della Cotrubas, cantante che in Italia ha goduto di poca o punta considerazione, ma che era dotata di notevole spessore e di volontà ferrea. Il personaggio che ne risulta è un filo convenzionale, ma è comunque svolto con la consueta professionalità e con notevole partecipazione.
Domingo è il Duca, e siamo alle solite considerazioni sul fatto che il tenore della Deutsche Grammophone dovesse obbligatoriamente entrare in tutte le produzioni della casa discografica del bollino giallo, indipendentemente dalla “giustezza” del ruolo e dalle condizioni di forma.
Sembrerebbe persino superfluo sottolineare l’intelligenza con cui si muove in percorsi per lui piuttosto problematici, ma il fatto è che quello del Duca è un ruolo troppo complesso per la sua organizzazione vocale in genere e quella di quel periodo in particolare: è un pesce fuor d’acqua e su questo c’è poco da aggiungere. Già il “Questa o quella” lo mette in notevole difficoltà, ma il duetto con Gilda è un disastro con la terribile progressione di “Adunque amiamoci” con quello che segue e la grande aria del secondo atto lo vede pesantemente inadeguato non solo sul fronte vocale ma anche sul piano dell’adesione al personaggio: sceglie ovviamente la strada della rapacità e della seduzione scoperta, ma lo fa domingheggiando, il che va bene spesso ma decisamente non in questo ruolo.
Fa un certo effetto trovare Anton Scharinger come usciere, ma chiaramente erano ancora di là da venire le grandi prove del repertorio mozartiano, mentre invece è un disastro il glorioso Kurt Moll che, evidentemente, nei ruoli cammeo non doveva trovarcisi a proprio agio. Parimenti ben poco interessante la Giovanna di Hanna Schwarz, ancora al di qua della carriera di rango che avrebbe svolto successivamente.
È tutto sommato un cammeo anche Sparafucile per Ghiaurov, ma – come abbiamo già detto – il grande basso bulgaro trova un tono che sta a metà strada fra il felpato e il sornione, ma senza disdegnare le esplosioni in puro stile splatter (come nel duettino con Maddalena). Poco sensuale ma in compenso molto efficace la Obraztsova e molto bene gli altri comprimari. Coro ed orchestra al di sopra di ogni lode

Categoria: Dischi

 

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