Criticando il critico...

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda beckmesser » ven 26 ott 2012, 11:44

Bellissimo argomento, e devo dire che sul punto sono d’accordo con Matteo. Non credo sia solo un problema di etichette, ossia di chiarire cosa è un musicologo e cosa uno studioso di performing arts. È proprio l’oggetto del loro studio ad essere diverso. Il primo guarda all’oggetto del proprio studio come ad un’entità statica, sia esso un madrigale del ‘500 o una partitura di Boulez. Al secondo interessa (o dovrebbe interessare) l’uso che di quell’oggetto viene fatto da parte di players (direttori, registi, cantanti, limitandoci al genere opera) nel corso del tempo.

L’esempio, fatto qualche post più sopra, di Gossett mi sembra interessante. Mi ha sempre stupito come un musicologo così innovativo ed antidogmatico (non per nulla è americano), possa diventare rigido ed ingenuo allo stesso tempo quando passa ad analizzare l’oggetto dei suoi studi (ad esempio, un’opera di Rossini) non nell’ambito del testo, ma in quello della rappresentazione. Lo stesso studioso che ha fatto passare il principio (tutt’altro che ovvio fino a qualche decennio fa) che un’edizione critica non impone nulla dal punto di vista esecutivo, in quanto si limita a proporre delle possibilità, lasciando libero l’interprete di fare le scelte che crede, quando deve valutare i problemi concreti di una messa in scena dichiara bellamente che la soluzione ideale per il Rossini serio sono gli spettacoli di Pizzi. Beninteso, non contesto affatto il giudizio in sé, che è pienamente legittimo, quanto il criterio sulla base del quale un giudizio del genere viene dato: è chiaro che per Gossett la regia di uno spettacolo operistico non può fornire alcun apporto “creativo”, bensì meramente illustrativo; che, al massimo, deve contribuire a rendere ciò che Rossini intendeva, ma che il Tancredi possa dire cose diverse ad epoche diverse (ed in particolare alla nostra epoca), e che questo sia specificamente il compito degli interpreti, non gli passa per la mente.

La cosa bizzarra è che, per consentire questo processo, è disposto ad intervenire sul testo, piuttosto che garantire una reale e totale libertà agli interpreti. Nel suo libro parla diffusamente dell’allestimento del Viaggio a Reims che ha curato con Dario Fò. Dice cose interessanti (per quanto abbastanza ovvie) sulle reali intenzioni celebrative di Rossini, sull’effetto parodistico che nasce se si confrontano le iperboli celebrative dell’inno di Corinna con la reale statura storica di Carlo X, ecc., e soprattutto sul fatto che queste implicazioni parodistiche dovrebbero risultare da una messa in scena del Viaggio. Ebbene, come si decide di esprimere tutto ciò? Riscrivendo il libretto, facendo dire papale papale a Corinna che Carlo X in realtà era un cialtrone, ecc. Che tutto ciò potesse essere espresso (e con implicazioni e risultati ben maggiori) lasciando il testo intoccato, da parte di un regista che sapesse il fatto suo non viene neppure considerato. Per il musicologo Gossett l’unica cosa che conta è il testo, il resto sono accidenti.

In questo senso anch’io penso che ci troviamo di fronte a due materie diverse per il loro oggetto: lasciamo i musicologi ad occuparsi dei testi e speriamo si sviluppi una seria scuola che dia basi scientifiche allo studio delle performing arts. Difficile che qualcuno possa fare bene entrambe le cose: Gossett è un genio quando quando deve definire cos’è il Tancredi di Rossini; diventa un dilettante quando cerca di spiegare cos’è il Tancredi di Rossini per uno spettatore del XXI secolo…

Saluti,

Beck
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda DottorMalatesta » ven 26 ott 2012, 11:45

Mi inserisco nella discussione (premettendo che non ho gli strumenti adeguati per rispondere con altrettanta competenza, e scusandomi per la banalitá del mio intervento) per fare due commenti:
1. concordo con Mat circa gli effetti nefandi del romanticismo sulla ricezione della musica e sulla sua interpretazione dai quali non ci siamo ancora liberati (nonostante la reazione antiromantica toscaniniana, paragonabile al fenomeno della Neue Sachlichkeit, e a quanto ne segue. Per quanto ho sempre avuto il sospetto che la cosiddetta rivoluzione dodecafonica non sia altro che un romanticismo mascherato sotto altra forma…)
2. Ammetto di pensarla piú come Mat. “Gli spartiti delle composizioni di Duke Ellington sono a loro volta letteratura, proprio come quelli di Beethoven”. Assolutamente. Qualunque pezzo di musica puó essere analizzato scientificamente in sé, un po´come ha fatto la semeiotica, che utilizza la stessa metodologia per analizzare Topolino, Andy Wahrol e Dante… Ma non si puó non riconoscere che la traduzione visiva e teatrale di un´opera sia tutt´altra cosa… Ancora Mat: “Le une si occupano di segni visivi e sonori dotati di caratteristiche ben precise (percepibilità sensoriale, finitezza e concretezza nello spazio e nel tempo, ecc..), l'altra si occupa di segni scritti, la cui fruizione, i cui canali, i cui mezzi di comunicazione sono talmente lontani da reclamare una diversa strumentazione critica per poter essere non solo fruiti, ma anche analizzati. Non stiamo parlando solo di un diverso codice... stiamo parlando di forme della comunicazione umana totalmente diverse!”. Sono sostanzialmente d´accordo: in effetti mi sembra la stessa differenza tra chi si occupi di Shakespeare dal punto di vista della ricostruzione filologica e chi Shakespeare lo mette in scena (o si occupa della realizzazione teatrale delle sue opere).


Ciao,
malatesta
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda MatMarazzi » ven 26 ott 2012, 11:50

Riccardo ha scritto:Secondo quanto affermi tu, un musicologo potrebbe a pieno titolo appena appena occuparsi di certa musica rinascimentale e forse di certa musica contemporanea le quali trovano le loro ragioni compositive e di tradizione quasi esclusivamente in una dimensione testuale; mentre un esperto di arti performative dovrebbe studiare tutto il resto,


No, attenzione Ric.
Una partitura di Rossini, una tragedia di Eschilo sono sempre letteratura, anche se nate in funzione o al servizio di eventuali esecuzioni.
Ed è in quanto tali (ossia in quanto testo letterari) che necessitano di essere comunque studiate e decifrate da studiosi di lettere (in questi casi grecisti e musicologi).
Quindi non farmi dire che il musicologo dovrebbe occuparsi solo di quella musica (rinascimentale o contemporanea) la cui scrittura non è stata pensata per l'esecuzione, perché non è così.
Il musicologo deve occuparsi di tutto ciò che è scrittura musicale, perché la scrittura musicale (funzionale o no a un'esecuzione musicale) è sempre e comunque una forma d'arte e una forma di comunicazione meritevole di studio.
Resta il fatto che se voglio, nel mio giornale, che i lettori capiscano qualcosa del nuovo allestimento a Londra delle Coefore nell'allestimento di Jones, non chiamerò un esimio grecista.
E, se ho sale in zucca, non chiamerò nemmeno un musicologo se voglio che i miei lettori capiscano qualcosa del nuovo allestimento a Aix di Elektra diretto da Salonen e con la regia di Chereau.

(un esperto di arti performative) privo di cognizioni testuali non avrebbe accesso completo alla materia (capire e argomentare il perché la Meier canti bene Ortrud e male Leonore senza poter leggere i testi delle opere è dura - non parliamo del caso in cui si debba fare una previsione).


Ecco siamo arrivati al punto cardine del nostro disaccordo! :) Finalmente hai posto il problema nero su bianco.
Infatti siamo concordi nella necessità di competenze specifiche per l'esperto di performing arts.
Solo che tu affermi che esse DEBBANO fiorire su competenze musicologiche (che anche tu dunque, e non solo io, colleghi alla decifrazione dello spartito). :)
Io invece affermo che non è affatto così.

E se vuoi te ne do' la più semplice delle prove.
Prendi te stesso: immaginati seduto a un concerto.
Ti si presenta un tenore (immaginatelo disastroso) in un brano sconosciutissimo del primo '800, di cui non hai mai letto lo spartito.
Pensi di non essere in grado di giudicare la sua performance?
Secondo me, lo sei eccome. Secondo me scuoti la testa e borbotti... proprio come farebbe qualunque esperto di canto anche se non ha mai aperto uno spartito in vita sua.
Non credo che diresti: "fermi tutti! Sospendiamo il giudizio finché non ho letto lo spartito! Solo allora potremo esprimere un giudizio!"
:)
Il "cantare male" del povero tenore potrà infatti essere da te valutato SOLO ED ESCLUSIVAMENTE in base a quell'insieme di convenzioni SONORE che i fruitori associano al canto lirico e alle sue numerose declinazioni.
Lo spartito non c'entra nulla e non ti aiuterà affatto in questo tipo di indagine.

Leggendo lo spartito potrai unicamente stabilire una minore o maggiore "fedeltà" (in termini di durata o di intervalli), ma anche in questo caso la minore o maggiore fedeltà nella "transcodificazione" che l'esecutore opera dal linguaggio scritto a quello sonoro sono basate su convenzioni che variano nel tempo, affidate alla pratica esecutiva e per le quali lo spartito non ti aiuterà assolutamente.
Un effetto di Blake magari non sarebbe stato giudicato fedele o appropriato ai tempi di Rossini. Negli anni '90 lo era.
E anche per questi aspetti la lettura dello spartito non serve a nulla.
Ne è prova proprio l'esempio di Waltraut Meier in Fidelio.
Tu affermi che, senza la lettura dello spartito, non è possibile valutare il livello di appropriatezza a Beethoven.
E sbagli! Perché non c'è nulla nella partitura di Beethoven che ti possa indicare se un certo sol della Meier è più "appropriato" (per il pubblico di oggi) di quello di una Jurinac. Anche questo aspetto dipende dalle convenzioni di ascolto.
Infatti ti potrei presentare centinaia di frequentatori d'opera NON MUSICOLOGI che potrebbero affermare la non appropriatezza dei suoi suoni al Fidelio anche senza aver mai letto uno spartito.
Mentre faticherei (e faticheresti anche tu) a trovare una manciata di musicologi in grado di distinguere un suono della Meier da uno della Jurinac e di spiegare perché il primo (secondo le attuali convenzioni) può essere giudicato meno appropriato del secondo.

In tutti i casi persino la minore o maggiore fedeltà allo spartito non è un criterio di valutazione canora.
Sono d'accordo (visto che le nostre convenzioni oggi lo richiedono) che è meglio un cantante fedele di uno infedele.
Ma se quello fedele canta male (secondo le convenzioni del Canto e non della musica scritta) la sua fedeltà non lo salverà.
Il Casta Diva della Callas, in fa, è comunque migliore di quello della Aliberti in sol.
E per comprendere la superiorità del primo sul secondo lo spartito non serve assolutamente a niente.

Idem per la recitazione.
Per capire se Salvo Randone è più bravo di Cochi Ponzoni in uno stesso monologo di Shakespeare, non ti serve leggere, analizzare, decifrare (letterariamente) quel monologo.
Il pubblico lo coglie in base alle convenzioni proprie della Recitazione, del Teatro.

Ho già raccontato di quel corso in quattro serate che tenni anni fa sul colorismo della Callas.
Alla prima lezione, per un'ora di fila, ho semplicemente fatto sentire un brano cantato da lei ("In questa Reggia" del 54).
Nessuno spartito è stato tirato fuori, perché non ci sarebbe servito affatto.
Abbiamo dissezionato l'esecuzione della Callas, tornando indietro mille volte nella registrazione e ragionando insieme su ogni sfumatura cromatica, su ogni sottolineatura di consonanti, distinguendo i suoni coperti e quelli aperti, i suoni forti e quelli piano, misurando la pulsazione ritmica dell'esecuzione e mettendo in evidenza ogni indugio, ogni allargamento e ogni licenza rispetto a quella pulsazione (e anche la percezione del ritmo non è affatto legata alla lettura dello spartito: chiunque sappia ballare percepisce il ritmo senza aver mai letto uno spartito).

E' stata una super-analisi eppure non solo lo spartito di Turandot non è mai stato tirato fuori, ma soprattutto non sarebbe servito a nulla.
Certo... se invece dell'arte della Callas avessimo dovuto parlare dell'arte compositiva di Puccini, allora lo spartito sarebbe stato necessario e un'indagine di tipo musicologico sarebbe stata necessaria.
Nessuno nega l'importanza della musicologia nella decifrazione della musica scritta.
Ma qui si parla di Musica reale (arte dei suoni) che si rivolge solo agli ascoltatori e non ai lettori.
E quindi si torna alla questione sacrosanta posta da Mattioli.
Com'è che i maggiori contributi critici alla ricerca sull'interpretazione operistica siano sempre venuti da persone che hanno un'enorme pratica di ascolto diretto e mai da musicologi?

In conclusione Ric.
Lo studio delle performing arts (fra cui la Musica e il Canto, ma anche la Danza, il Teatro e, perché no?, una partita di calcio) non richiedono affatto come condizione per una analisi la conoscenza del pre- o post-testo letterario ad esse eventualmente associato.
Questo perché si tratta di codici completamente diversi.
E anche quando un esecutore interpreta una partitura scritta (o un dramma scritto, nel caso dell'attore) opera un processo di transcodificazione che sostituisce i segni precedenti (scritti) con altri, totalmente nuovi, totalmente diversi.
Il critico di questi nuovi segni dovrà conoscere e giudicare le peculiarità di quei nuovi segni, punto e basta.

Poi se, per caso, conosce anche i codici di partenza meglio.
Può essere utile, ma non è affatto necessario.
Così come può essere utile che un musicologo sappia fare lavoretti idraulici in casa.
Eppure, quando ho bisogno di un idraulico, non mi interessa che abbia una laurea in musicologia (probabilmente ottenuta senza aver mai sentito una nota di Wagner) :)

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda MatMarazzi » ven 26 ott 2012, 12:06

Efficacissimo esempio Beck.

beckmesser ha scritto:Difficile che qualcuno possa fare bene entrambe le cose: Gossett è un genio quando quando deve definire cos’è il Tancredi di Rossini; diventa un dilettante quando cerca di spiegare cos’è il Tancredi di Rossini per uno spettatore del XXI secolo…


E soprattutto di spiegare le modalità con cui un regista o un direttore o persino un cantante di oggi operino quella transcodificazione di cui parlavamo, creando segni visivi e sonori totalmente nuovi, che non potranno che essere ben diversi (nonostante tutto l'impegno di "fedeltà" che uno può metterci) dalle notine che Rossini lasciò impresse su un pentagramma.

lasciamo i musicologi ad occuparsi dei testi e speriamo si sviluppi una seria scuola che dia basi scientifiche allo studio delle performing arts.


Sintesi perfetta di quel che cercavo di dire.
Grazie mille, Bek! :)


Dott.Malatesta ha scritto:mi sembra la stessa differenza tra chi si occupi di Shakespeare dal punto di vista della ricostruzione filologica e chi Shakespeare lo mette in scena (o si occupa della realizzazione teatrale delle sue opere).


Proprio così.
Sono discipline entrambe fondamentali; e non c'è nulla di male che (nei limiti del possibile) interagiscano, come suggeriva Ric.
Proprio come (nell'esempio che facevo) chimica e archeologia hanno imparato a interagire fra loro.
Ciò che va smantellato è la tesi che l'una disciplina discenda dall'altra! Che ne sia una branca...
E che non si possa (in soldoni) recensire un allestimento odierno di Eschilo senza essere grecisti o un'esecuzione operistica senza essere musicologi.

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Riccardo » ven 26 ott 2012, 14:27

Ho l'impressione che non ci capiamo soltanto perché io immagino quello che vorrei, mentre voi constatate l'esistente.

Certo che i musicologi non offrono molto di solito sul fronte dell'analisi dell'arte performativa: se a voi va bene così, allora però non bisogna lamentarsi o ironizzare sul fatto che Carli Ballola non sappia chi sia Waltraud Meier (del resto dovrebbe, secondo questa prospettiva, essere tanto determinante quanto il fatto che sappia risolvere un'equazione di terzo grado o riparare la marmitta di un'auto).

Da parte mia, continuerò a lamentarmene e a proclamare essenziale proprio per gli studiosi l'indispensabilità di tenere insieme il mondo della storia compositiva e quello della storia esecutiva. Uno studioso contemporaneo che avvicinasse la Norma senza aver mai considerato, studiato e decifrato l'intepretazione che ne ha dato la Callas non potrebbe in alcun modo avere una lettura esauriente del capolavoro. Anzi molto più importante la Callas rispetto alla miliardesima collazione di manoscritti per scoprire se la pausa veramente voluta da Bellini a battuta 112 è di croma o di semicroma.
Compito di un musicologo è quello di saper decifrare tutti i testi relativi ad una composizione: siano essi alfabetici (libretti, lettere etc), musicali (spartiti e manoscritti), sonori (registrazioni) e sonoro-visivi (spettacoli).
Mi stupirei meno che uno studioso di Verdi fosse in difficoltà nello studio di Ockeghem, i cui testi tutti (alfabetici, musicali, sonori e sonoro-visivi) richiedono strumenti di lettura altrettanto specifici.

MatMarazzi ha scritto:Una partitura di Rossini, una tragedia di Eschilo sono sempre letteratura, anche se nate in funzione o al servizio di eventuali esecuzioni.
Ed è in quanto tali (ossia in quanto testo letterari) che necessitano di essere comunque studiate e decifrate da studiosi di lettere (in questi casi grecisti e musicologi). Quindi non farmi dire che il musicologo dovrebbe occuparsi solo di quella musica (rinascimentale o contemporanea) la cui scrittura non è stata pensata per l'esecuzione, perché non è così. Il musicologo deve occuparsi di tutto ciò che è scrittura musicale, perché la scrittura musicale (funzionale o no a un'esecuzione musicale) è sempre e comunque una forma d'arte e una forma di comunicazione meritevole di studio.

Il musicologo che si occupa di un testo di Wagner deve confrontarsi anche con mille problematiche che trascendono le questioni meramente di scrittura, dunque dovrà anche conoscere aspetti esecutivi e interpretativi sui quali interrogarsi e con i quali interagire.

Che poi di solito gente come Gossett si dimostri limitata su certi fronti e virtuosa in altri, a mio modo di vedere non autorizza affatto Carli Ballola a non sapere chi è la Meier o Gossett stesso a ritenere Pizzi il miglior possibile regista rossiniano.

MatMarazzi ha scritto:Il musicologo deve occuparsi di tutto ciò che è scrittura musicale, perché la scrittura musicale (funzionale o no a un'esecuzione musicale) è sempre e comunque una forma d'arte e una forma di comunicazione meritevole di studio.

Sarà, ma tra la scrittura musicale di Donizetti e quella di Boulez passa un abisso che dipende proprio dalle diverse circostanze esecutive per cui la musica è stata scritta e proprio questo impone competenze molto diversificate. Dunque non vedo tutte queste analogie, se non il fatto che entrambi hanno scritto su carta. Sono proprio gli aspetti performativi ad essere determinanti e i musicologi che non ne padroneggiassero le une o le altre convenzioni sarebbero studiosi senza la possibilità di attingere a tutte le informazioni necessarie.

MatMarazzi ha scritto:Prendi te stesso: immaginati seduto a un concerto.
Ti si presenta un tenore (immaginatelo disastroso) in un brano sconosciutissimo del primo '800, di cui non hai mai letto lo spartito.
Pensi di non essere in grado di giudicare la sua performance?
Secondo me, lo sei eccome. Secondo me scuoti la testa e borbotti... proprio come farebbe qualunque esperto di canto anche se non ha mai aperto uno spartito in vita sua.
Non credo che diresti: "fermi tutti! Sospendiamo il giudizio finché non ho letto lo spartito! Solo allora potremo esprimere un giudizio!"

Il "cantare male" del povero tenore potrà infatti essere da te valutato SOLO ED ESCLUSIVAMENTE in base a quell'insieme di convenzioni SONORE che i fruitori associano al canto lirico e alle sue numerose declinazioni.
Lo spartito non c'entra nulla e non ti aiuterà affatto in questo tipo di indagine.

Non sono d'accordo! Senza leggere lo spartito saprai dire se uno ha cantato bene o se ha cantato male, ma non saprai illustrarne ed argomentarne il perché. Un po' come quelli che sentono Kaufmann cantare come un dio "Wälse! Wälse!" e dunque desumono che abbia acuti fantastici e dunque possa cavarsela perfettamente nella Pira, senza verificare i diversi baricentri dei ruoli, la diversa tipologia di scrittura e pure la diversa altezza assoluta dei rispettivi acuti.
Per le stesse ragioni c'è ancora gente convinta che Semiramide sia una parte acutissima, assimilabile a Lucia soltanto perché virtuosistica (e i vocalizzi, è vero, si riescono mediamente a percepire anche senza spartito), quando in realtà non lo è affatto.

La musicologia è in fondo quella materia che studia la musica e ne dà conto per via scritta secondo studi di tipo scientifico. Che si occupi di carta o di esecuzioni non è un discrimine valido a dover creare una nuova disciplina.
La vera distanza sta rispetto a coloro che di musica non parlano, ma la fanno. Lì sì, sono d'accordo, stiamo parlando di qualcos'altro che segue regole molto diverse.

Almeno mi piace pensarla così!

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Tucidide » sab 02 feb 2013, 22:00

Il direttore del «Corriere della Sera», Ferruccio De Bortoli, ha pubblicato una nota sul numero odierno del quotidiano in cui annuncia che Paolo Isotta, critico principale della testata milanese, è stato "bandito" dalla Scala per ordine diretto di Stéphane Lissner.

Non so a voi, ma se dovesse risultare vero, a me sembra un provvedimento inqualificabile, che denota disonestà e malafede. Quando si ricorre alle chiavi per metter a tacere una penna si commette un fatto gravissimo.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Alberich » dom 03 feb 2013, 1:17

Io trovo che Lissner abbia fatto benissimo. Ha sbagliato solo a non togliere gli accrediti stampa a tutti i critici. L'accredito stampa, quello, sì, è inqualificabile.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Riccardo » dom 03 feb 2013, 13:31

Alberich ha scritto:Io trovo che Lissner abbia fatto benissimo. Ha sbagliato solo a non togliere gli accrediti stampa a tutti i critici. L'accredito stampa, quello, sì, è inqualificabile.

Potresti spiegare meglio?
Secondo me dipende da quale ruolo si vorrebbe avesse la critica musicale...

Certamente i provvedimenti di Lissner ad personam - se così è andata - lasciano invece perplessi, visto che Isotta - per quanto anch'io lo reputi improponibile - può scrivere quello che vuole. Semmai le responsabilità negative ricadono su un quotidiano come il Corriere che per questo lo assolda e gli paga uno stipendio.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Riccardo » dom 03 feb 2013, 13:48

http://www.lastampa.it/2013/02/03/spett ... agina.html
La conclusione di questo articolo sembra corretta, ossia che le testate dovrebbero acquistare i biglietti per le loro penne.
Bisognerebbe però forse anche fare una differenza tra istituzioni musicali pubbliche e private. Non penso che i giornalisti - né il giornale - per andare a sentire la conferenza stampa di un politico o una seduta del Parlamento debbano pagare un biglietto.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda pbagnoli » dom 03 feb 2013, 14:14

Tucidide ha scritto:Il direttore del «Corriere della Sera», Ferruccio De Bortoli, ha pubblicato una nota sul numero odierno del quotidiano in cui annuncia che Paolo Isotta, critico principale della testata milanese, è stato "bandito" dalla Scala per ordine diretto di Stéphane Lissner.

Non so a voi, ma se dovesse risultare vero, a me sembra un provvedimento inqualificabile, che denota disonestà e malafede. Quando si ricorre alle chiavi per metter a tacere una penna si commette un fatto gravissimo.

Non è esatto, Alberto: si tratta di accrediti.
A Isotta non è proibito entrare alla Scala (ci mancherebbe): solo, d'ora in avanti si dovrà pagare il biglietto. Come me e come te.
Io non ci vedo nulla di male
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Tucidide » dom 03 feb 2013, 14:31

pbagnoli ha scritto:
Tucidide ha scritto:Il direttore del «Corriere della Sera», Ferruccio De Bortoli, ha pubblicato una nota sul numero odierno del quotidiano in cui annuncia che Paolo Isotta, critico principale della testata milanese, è stato "bandito" dalla Scala per ordine diretto di Stéphane Lissner.

Non so a voi, ma se dovesse risultare vero, a me sembra un provvedimento inqualificabile, che denota disonestà e malafede. Quando si ricorre alle chiavi per metter a tacere una penna si commette un fatto gravissimo.

Non è esatto, Alberto: si tratta di accrediti.
A Isotta non è proibito entrare alla Scala (ci mancherebbe): solo, d'ora in avanti si dovrà pagare il biglietto. Come me e come te.
Io non ci vedo nulla di male

Secondo me una testata, se riceve un accredito stampa, può mandare chi cavolo gli pare, senza che ci sia il veto nei confronti di questo o quello. Altrimenti, la Scala rifiuti di accreditare il CorSera (e accetti, conseguentemente, critiche feroci da parte del quotidiano).
Ci mancherebbe, ovviamente, che Isotta non potesse entrare alla Scala: anche se qualche imbecille ha ipotizzato una sorta di DASPO anche in ambiente teatrale.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Alberich » dom 03 feb 2013, 22:21

Riccardo ha scritto:Potresti spiegare meglio?


Certo: sono contrario agli accrediti stampa. Trovo che il critico dovrebbe comprarsi il biglietto o al massimo farselo comprare dal suo giornale. Se invece si vuole entrare nei teatri a scrocco, si è ospiti e l'ospite che non ti gradisce ti potrà sempre chiudere la porta in faccia.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda VGobbi » lun 04 feb 2013, 22:26

Addirittura la DASPO? :shock:
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Riccardo » lun 04 feb 2013, 22:48

Devo dire che non condivido le posizioni di Pietro esposte nell'editoriale sulla questione Lissner-Isotta.

1) Lissner può togliere l'accredito al Corriere, ma non stabilire quale giornalista il giornale può mandare in teatro. E' la testata invitata, non il giornalista.

2) I commenti di Isotta su Abbado o Rattle sono talmente assurdi, prevenuti, in mala fede e non argomentati che fanno solo fare brutta figura al giornalista e alla testata che lo ospita. Fossi Lissner mi preoccuperei più di altre cose...
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Tucidide » lun 04 feb 2013, 22:50

vivelaboheme ha scritto:Formidabile l'editoriale di Pietro Bagnoli sul caso-Isotta. Condivido e confermo! Perfetto.

Io invece dissento fermamente, altrettanto fermamente restando salda la mia stima per Pietro.
Ci sono alcuni punti che mi sembrano sviare dal caso di specie.
Intanto, la questione, che non c'entra nulla, di Sallusti. E' vero, il direttore del Giornale, alias zio Tibia (M. Travaglio), ha pubblicato sul quotidiano che dirige un articolo diffamatorio, firmato da un altro giornalista con uno pseudonimo, ed ha rifiutato di rettificare, dando la netta impressione di voler essere martirizzato a bella posta. Tuttavia, sull'argomento ho un'idea molto precisa: per una diffamazione a mezzo stampa la pena non potrebbe mai essere la detenzione, atteso che, con un buon azzeccagarbugli alle spalle, chiunque potrebbe accusare un qualsiasi giornalista di diffamazione e spedirlo dritto dritto in galera. La detenzione non è a mio avviso una pena adeguata a questo genere di reato: piuttosto, l'obbligo di rettifica ed un'ammenda sono pene senz'altro più congrue. E non lo dico io: lo dicono i giornalisti di tutti gli schieramenti, ivi compreso il succitato Travaglio Marco, il quale non mi pare esattamente un sodale di Sallusti. Sed de hoc satis.

Pietro, tu mi dici che per difendere Isotta, De Bortoli e il CorSera si è tirata in ballo la libertà di stampa e di opinione. Chi sono io per dire che non è vero? Mi fido, ci mancherebbe, tuttavia ti assicuro che non ho alcuna intenzione di avvalermi di questo argomento, semplicemente perché, con questo affare, la libertà di stampa, la libertà di espressione, la libertà di opinione, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, il Bill of Rights, l'Habeas corpus e quant'altro non c'entrano un fico secco. Non è in gioco la libertà di espressione, non quella di stampa, men che meno quella di opinione. Lissner non ha assolutamente tappato la bocca ad Isotta, ed è fin troppo ovvio che quest'ultimo può scrivere quello che vuole, anche perché il sovrintendente della Scala non ha alcun potere di censurare quanto si scrive sulle colonne del CorSera.
Il punto è un altro, e spostare la questione su alti concetti etici come la libertà di espressione suona come un gaglioffo tentativo di sminuire un fatto facendolo apparire insignificante rispetto ad un parametro sproporzionato.
Il punto qual è, allora? Vediamo come stanno le cose.
Sorge in Milano, cuore pulsante dell'economia e della mondanità italiane, le cui meraviglie furono decantate già settecento anni fa da Bonvesin de la Riva, un teatro celebre ed onusto di tradizioni, che ha nome "La Scala", da molti melomani italiani, europei e non solo, considerato uno dei più prestigiosi dell'orbe terracqueo. Per avventura v'ha nel medesimo lombardo capoluogo la sede d'un quotidiano di lunga e gloriosa tradizione, il «Corriere della Sera», che, come la maggioranza degli organi di informazione, gode di accrediti stampa presso il suddetto grande teatro.
Il quotidiano chiede l'accredito all'ufficio stampa del teatro. Il teatro decide se concedere l'accredito oppure no. Se la risposta è affermativa, il quotidiano manda chi caspita vuole. Ora, Lissner pretende che il Corriere stabilisce che, sì, il Corriere è accreditato, ma non può mandare Isotta. Questo è palesemente scorretto e illogico. O Lissner, che per inciso non è a casa sua, ma è un dipendente pubblico che gestisce un ente finanziato da soldi anche pubblici, decide di rifiutare l'accredito al CorSera, oppure deve accettare che il CorSera mandi chi cavolo vuole. A me sembra un concetto di disarmante semplicità, ma forse proprio la semplicità lo rende astruso.

Come vedi, la persona di Isotta è rimasta in secondo piano nel mio discorso. Perché un altro punto di questa questione è l'assoluta irrilevanza di Isotta in sé e per sé. Non mi interessa chi sia Isotta, perché scriva sul Corriere, da chi sia protetto, come scriva, cosa scriva, di chi scriva, quali siano le sue tesi, le sue ubbie, le sue idiosincrasie, i suoi santi in paradiso, i suoi scheletri nell'armadio. Quello che conta è altro, quello cioè che dico sopra.
Personalmente, ho letto pochissime cose di Isotta, perché non mi interesso soverchiamente di critica musicale, perché non leggo il Corriere (tranne, saltuariamente, gli articoli storici di Mieli), perché quel poco che ho letto di lui mi ha dato l'idea di un critico di poco o niun valore. Adesso va di moda dileggiarlo: si dice che non è più il sagace e competente critico di qualche decennio fa, ma si è trasformato in una macchietta. Si dice che è dedito all'insulto e al vaniloquio. Qualcuno dice pure che i suoi articoli in morte di Kleiber e Pavarotti sono giunti ad un tal segno di tracotanza che avrebbero meritato una querela da parte delle famiglie degli artisti defunti. Ora, io non so come fosse quello su Kleiber, ma ricordo bene quello su Pavarotti e ho letto quello recente su Harding, che ha acceso l'ira rubizza di Lissner. Beh, che dire? Quest'ultimo è costellato di sciocchezze, ma spero che si possa dire che Abbado non è un vero direttore (cosa che mi fa scompisciare tanto è grossa), se in passato ci sono stati critici che hanno detto che Domingo era un quattro di coppe a tressette e un dilettante, senza suscitare reazioni isteriche da ex latin-lover in andropausa. Quanto a sensazionalismo e gratuità, siamo alla pari, no?
Quanto a quello su Pavarotti, ricordo che quando lo lessi ne restai indignato, e in altra sede mi lasciai andare a commenti grevi e scomposti. A distanza di anni, ho rimeditato la cosa. Isotta non disse nulla di scandaloso, anzi centrò perfettamente molti aspetti del mito-Pavarotti. Si potevano criticare il tono, la scelta più che maramalda di scrivere quelle cose all'indomani della morte del tenore modenese e, ovviamente, anche la consueta prosa da emulo di Guicciardini dislessico; ma i concetti erano, se non condivisibili, per lo meno meritevoli di riflessione. Ma il pensiero forte ha deciso che Isotta è un inviato di Satana, quindi ha torto a prescindere.
Amen.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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