Orfeo antiquato?

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Orfeo antiquato?

Messaggioda VGobbi » mer 02 nov 2011, 20:42

Non so proprio cosa mi sia passato ieri sera per la testa ( :mrgreen: ), ma mi son deciso di ascoltarmi l'Orfeo di Monteverdi. Un'incisione di vecchissima data, precisamente del '39, acquistata tramite la collezione "La grande lirica" proposta dal gruppo editoriale Bramante.

Il cast, se si esclude Elena Nicolai (artista assai vituperata nelle poche incisioni discografiche rilasciate), e' del tutto sconosciuto, almeno per me. Ecco l'elenco :

- Enrico De Franceschi (Orfeo)
- Ginevra Vivante (Euridice e La Musica)
- Elena Nicolai (Messaggera)
- Vittoria Palombini (Speranza e Proserpina)
- Albino Marone (Caronte e Plutone)
- Enrico Lombardi (Primo Pastore)
- Giuseppe Manacchini (Secondo Pastore e Apollo)

Organo : Alceo Galliera (si proprio lui, il direttore del Barbiere di Siviglia con Callas e Gobbi edita dalla EMI)
Clavicembalo : Corradina Mola

Direttore : Ferruccio Calusio.

Le mie impressioni sono state semplicemente entusiastiche. Si, avete letto bene ... entusiastiche perche', tranne pochissime eccezioni (ho trovato deficitaria vocalmente e di pessima dizione solo la Vivante e Lombardi, quale evanescente Primo Pastore), il resto dicevo mi ha convinto in pieno. Proprieta' di linguaggio, ottima dizione (che nell'arte del "recitar cantando" copre un ruolo di primissimo piano), fraseggio vivo e variegato quanto basta, sollecitato da una direzione/accompagnamento che ha sempre saputo mantenere alta la concentrazione dell'ascoltatore. Insomma, strano ma vero, i momenti di noia in questa registrazione non li ho proprio trovati! Se non e' un grande merito, ditemi voi cos'e' ...

Gradirei tanto da parte vostra le impressioni, per chi la possiede, su questa incisione e qualche notizia biografica sugli interpreti, sopra tutto sul protagonista, l'ottimo De Franceschi (che cos'e' il suo "Vi ricorda, o boschi ombrosi"!!!) ed il cavernoso ed impressionante basso Marone.

Chiudo con qualche interrogativo, che vorrei porvi alla vostra attenzione :

- gli anni '30 erano gia' cosi' innovativi, se si permettevano di incidere un'opera come l'Orfeo di Monteverdi (che, diciamolo in tutta verita', al giorno d'oggi nei teatri italiani e' pochissimo rappresentato)?

- il "recitar cantando" monteverdiano si differenza cosi' tanto dal "recitar cantando" wagneriano? Non credete che vi siano affinita'?

Spero di non aver detto cavolate, ma sono le mie semplicissime impressioni di un autore da me sempre trascurato ... e che nell'ascolto di ieri sera, mi ha fatto riscoprire il piacere dell'opera come da parecchio tempo non accadeva!
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda MatMarazzi » sab 05 nov 2011, 13:01

Caspita, Vit.
Interessantissimo questo thread. Il Monteverdi "antico", pre-filologico, è un argomento che mi sarebbe da tempo piaciuto approfondire.
Intanto grazie per aver nominato Enrico de Franceschi, cantante che conoscevo appena di nome e che mi sembra un degno continuatore di De Luca, tutto sfumature e introspezione.
Su Youtube ho trovato questa aria della stella.



VGobbi ha scritto:Gradirei tanto da parte vostra le impressioni, per chi la possiede, su questa incisione e qualche notizia biografica sugli interpreti, sopra tutto sul protagonista, l'ottimo De Franceschi (che cos'e' il suo "Vi ricorda, o boschi ombrosi"!!!) ed il cavernoso ed impressionante basso Marone.


Purtroppo non conosce l'edizione discografica di cui parli.
Mi darò da fare per trovarla.
Qualcun altro possiede edizioni monteverdiano apertamente pre-filologiche?
Io, anche se andiamo molto più in là nel tempo, ho una Poppea parigina in video della fine degli anni '70 (si vede molto male) con Vickers, la Jones (Poppea!) e la Ludwig (Ottavia).

- gli anni '30 erano gia' cosi' innovativi, se si permettevano di incidere un'opera come l'Orfeo di Monteverdi (che, diciamolo in tutta verita', al giorno d'oggi nei teatri italiani e' pochissimo rappresentato)?


Per certi versi gli anni '30 non erano affatto innovativi (l'epoca del magniloquio e della crisi secondo me).
Però, forse per reazione, erano anche gli anni in cui si sentiva il bisogno di ripescare nella tradizione "antica" della musica italiana, fosse per trarne qualche modo compositivo (la generazione dell'80) o per riscoprirne i segreti, certo... con gli strumenti di cui allora disponevano.
Ho notato che questa sensibilità per l'antico barocco o rinascimentale si era diffusa in quegli anni anche in Svizzera.
Ripeto: potrebbe essere un tentativo di far musica fuori dalla retorica chiassosa e volgare che allora imperava.

- il "recitar cantando" monteverdiano si differenza cosi' tanto dal "recitar cantando" wagneriano? Non credete che vi siano affinita'?

Sì, affinità negli obbiettivi... NOn credo nei mezzi.
Avere alle spalle mezzo secolo romantico è cosa da cui nè Wagner, nè i suoi primi veri interpreti potevano prescindere.
Il compositore o solista secentesco era completamente libero da siffatta eredità.
Poi erano diversi gli ambienti acustici (i teatri); erano diverse le orchestre... anche fisicamente il recitativo monteverdiano o cavalliano doveva rispondere a esigenze molto diverse.
Però è vero: ci sono ruoli secenteschi in cui alcuni sommi declamatori di oggi (penso a una Meier o a una Denoke) potrebbero lasciare tracce potenti.

Vorrei poi sottolinare questa frase:
nell'ascolto di ieri sera, mi ha fatto riscoprire il piacere dell'opera come da parecchio tempo non accadeva!


Cosa chiedere di meglio a un'incisione che... ricordarci perchè amiamo tanto questa forma di spettacolo?

Un saluto affettuoso,
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda VGobbi » sab 05 nov 2011, 19:14

MatMarazzi ha scritto:Io, anche se andiamo molto più in là nel tempo, ho una Poppea parigina in video della fine degli anni '70 (si vede molto male) con Vickers, la Jones (Poppea!) e la Ludwig (Ottavia).

Ho anch'io "L'incoronazione di Poppea", sempre facente parte della raccolta editoriale proposta dalla Bramante. Trattasi di un'incisione del '62 con nomi del tutto, ma proprio del tutto sconosciuti :

Nerone : Hans-Ulrich Mielsch
Ottavia : Eugenia Zareska
Poppea : Ursula Buckel
Ottone : Grayston Burgess
Seneca : Eduard Wollitz
Drusilla : Genia Wilhelmi
Arnalta : Sonia Karamanian
Amor : Antonia Fahberg
Liberto : Reinhold Bartel
Littore : August Messthaler
Primo Soldato : Reinhold Bartel
Secondo Soldato : Andre' Peysang
Attendente di Seneca : Andre' Peysang

Santini : Kammerorchester (penso che equivalga al direttore del coro)
Rudolf Ewerhart : Direttore

Qualche anima pia, conosce di fama i cantanti? Non l'ho ancora ascoltata, ma penso di farlo in tempi brevi.

MatMarazzi ha scritto:Sì, affinità negli obbiettivi... Non credo nei mezzi.
Avere alle spalle mezzo secolo romantico è cosa da cui nè Wagner, nè i suoi primi veri interpreti potevano prescindere.
Il compositore o solista secentesco era completamente libero da siffatta eredità.
Poi erano diversi gli ambienti acustici (i teatri); erano diverse le orchestre... anche fisicamente il recitativo monteverdiano o cavalliano doveva rispondere a esigenze molto diverse.
Però è vero: ci sono ruoli secenteschi in cui alcuni sommi declamatori di oggi (penso a una Meier o a una Denoke) potrebbero lasciare tracce potenti.

Ecco, hai ragione Mat. Ci sarebbero alcuni sommi declamatori interpreti che potrebbero rendere al massimo le reali potenzialita' di un Monteverdi. Penso a Tomlinson come Seneca ... o pensavo anche Gobbi come Orfeo, citando due degli artisti a me piu' cari. E come a non pensare ad un'altra artista, strabiliante come la Hongen (apro un thread a parte).

MatMarazzi ha scritto:Vorrei poi sottolinare questa frase:
nell'ascolto di ieri sera, mi ha fatto riscoprire il piacere dell'opera come da parecchio tempo non accadeva!


Cosa chiedere di meglio a un'incisione che... ricordarci perchè amiamo tanto questa forma di spettacolo?

Ben detto Mat, il piacere che provavo quotidianamente quando ero agli inizi di questo fantastico mondo che e' il melodramma, l'opera lirica.
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda Rodrigo » sab 05 nov 2011, 21:54

MatMarazzi ha scritto:Per certi versi gli anni '30 non erano affatto innovativi (l'epoca del magniloquio e della crisi secondo me).
Però, forse per reazione, erano anche gli anni in cui si sentiva il bisogno di ripescare nella tradizione "antica" della musica italiana, fosse per trarne qualche modo compositivo (la generazione dell'80) o per riscoprirne i segreti, certo... con gli strumenti di cui allora disponevano.
Ho notato che questa sensibilità per l'antico barocco o rinascimentale si era diffusa in quegli anni anche in Svizzera.


Da una certa prospettiva - proprio quella della scoperta delle "musiche antiche" - concordo molto più con Vittorio che con Matt (che pure qualche ragione ce l'ha).
Mi spingo oltre: negli studi musicologici l'Italia degli anni '30-40 poteva tranquillamente guardare negli occhi la Germania e la Francia. In questo senso il paragone con gli anni '60-'70 è del tutto a vantaggio del periodo prebellico.
Dare un'occhiata a quello che si faceva in quel periodo lascia basiti: l'accademia Chigiana lancia la riscoperta di Vivaldi; auspice D'Annunzio (tante volte tacciato di millanteria e superficialità e invece semplicemente geniale in queste occorrenze) Malipiero inizia l'edizione dell'opera omnia di Monteverdi; viene stampata (e sia pure in riduzione pianistica e con diverse composizioni spurie) l'opera di Pergolesi. Sul fronte roman-vaticano Casimiri dà alle stampe l'opera omnia di Palestrina e Perosi trascrive (e incide) mottetti di Palestrina, Viadana, Marenzio. Passata la bufera - negli anni '50 - Lino Bianchi prepara l'opera omnia di Carissimi. Mica male...
Il problema, dunque, non erano certo le indagini testuali, tenendo pur conto che i nostri criteri non sempre sono quelli di 70-80 anni fa. La fame di nuovo, secondo me, c'era eccome in certi ambienti e c'era pure il gusto pioneristico e lungimirante per le riproposte. Semmai erano "dolori" - salvo eccezioni - quando dalla musicologia si passava alla prassi. Qui l'accennata tendenza alla magniloquenza di tanti interpreti e i gusti "conservatori" del pubblico non creavano un terreno propizio alla riproposta di questo patrimonio musicale. Nel campo vocale profano nella migliore delle ipotesi si era fermi (e lo si sarebbe rimasti per un bel pezzo) all'estetica dell'aria antica di parisottiana memoria. Se infatti i compositori più avvertiti (Pizzetti, Malipiero) cercavano di tagliare i ponti con i gli stilemi post veristi, cantanti, pubblico e direttori ne erano ancora immersi fino al collo.
Nè le cose andavano meglio con la musica sacra, teoricamente l'unico ambito che non aveva perso i contatti - diciamo pure per motivi "istituzionali"- con i precedenti rinascimentali e barocchi. Basta ascoltare - che so - il Palestrina cantanto durante le cerimonie papali di Pio XII per sentire un "travisamento-travestimento" in termini di un tardo romanticismo dal turgore bruckneriano. Nel campo strumentale, pur con tutto il rispetto per un'operazione decisamente pioneristica, il Vivaldi inciso da Bernarndino Molinari con l'orchestra dell'Augusteo è alquanto improprio. Il fatto che quello di Scimone non se ne allontani troppo - secondo me - è un'eloquente dimostrazione di quanto si sia vissuto di rendita dagli anni del boom in poi.
Saluti.

http://www.youtube.com/watch?v=OcNSgPxwZFE
Ultima modifica di Rodrigo il dom 06 nov 2011, 14:32, modificato 1 volta in totale.
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda pbagnoli » sab 05 nov 2011, 22:26

Ottima idea, Vittorio: era ora che iniziassi a affrontare questo repertorio e sei partito subito da un lavoro difficile, concettuoso, che io trovo anche un po' noioso.
Non è la mia opera monteverdiana preferita, ma è molto bello che tu ci proponga questa edizione così antica.
Un solo appunto, se posso: la Nicolai non mi sembra così vituperata; e poi c'è anche la Palombini, cantante di discrete virtù...

Già che ci siamo, ti propongo Vesselina Kasarova nei panni di Penelope, diretta da Harnoncourt, ne "Il ritorno di Ulisse in patria":
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda Enrico » sab 05 nov 2011, 22:35

Qui l'antica edizione dell'Orfeo gratis in mp3:
http://www.liberliber.it/musica/m/monteverdi/index.htm
Enrico B.
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda VGobbi » dom 06 nov 2011, 1:51

Enrico ha scritto:Qui l'antica edizione dell'Orfeo gratis in mp3:
http://www.liberliber.it/musica/m/monteverdi/index.htm

Grazie mille Enrico per la segnalazione. E voi fatelo, scaricate l'opera in questione. E' un'incisione che merita.

Interessantissimo l'intervento di Rodrigo.
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda Tucidide » dom 06 nov 2011, 18:42

Io la conosco, quell'incisione dell'Orfeo di cui parla Vit. Personalmente le riservo un interesse solo documentario perché la parte orchestrale è davvero troppo lontana da quello che ci hanno fatto ascoltare i direttori specialisti negli ultimi anni. Però a livello vocale, è vero, le sorprese non mancano. De Franceschi è un buon baritono e la sua dizione perfetta (come quella di tutto il cast, praticamente di madrelingua al 100 %) è un toccasana per uno come me, che ha da poco riascoltato con raccapriccio Bostridge biascicare i versi di Striggio con accento e pronuncia tutti sbagliati. Ottima anche la Nicolai, grandiosa quanto basta. Gli altri non me li ricordo, dovrei riascoltare.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda MatMarazzi » lun 07 nov 2011, 23:03

Rodrigo ha scritto:Da una certa prospettiva - proprio quella della scoperta delle "musiche antiche" - concordo molto più con Vittorio che con Matt (che pure qualche ragione ce l'ha).


Ciao Rod!
Devo però dire che non mi pare che quello che avevo scritto - male evidentemente - sia tanto in contrasto con quello che hai scritto tu.
Né che fosse in contrasto con quello che aveva detto Vittorio.
Anche io constatavo l'esplosione d'interesse (davvero unico al mondo, se si esclude la Svizzera) che negli anni '30 si andò sviluppando in Italia per la musica antica (barocca e addirittura rinascimentale).
Semmai avevo cercato di spiegare il fenomeno come una forma di reazione, di insofferenza di alcuni musicisti e intellettuali verso la retorica brada e urlante che dominava, ahimé, tutto il mondo della musica.
Allo stesso modo si spiega (sempre di quegli anni) il rinnovato interesse per la Commedia dell'Arte e il teatro antico e popolare.

La fame di nuovo, secondo me, c'era eccome in certi ambienti e c'era pure il gusto pioneristico e lungimirante per le riproposte. Semmai erano "dolori" - salvo eccezioni - quando dalla musicologia si passava alla prassi. Qui l'accennata tendenza alla magniloquenza di tanti interpreti e i gusti "conservatori" del pubblico non creavano un terreno propizio alla riproposta di questo patrimonio musicale. Nel campo vocale profano nella migliore delle ipotesi si era fermi (e lo si sarebbe rimasti per un bel pezzo) all'estetica dell'aria antica di parisottiana memoria. Se infatti i compositori più avvertiti (Pizzetti, Malipiero) cercavano di tagliare i ponti con i gli stilemi post veristi, cantanti, pubblico e direttori ne erano ancora immersi fino al collo.


Tutto da quotare e da incorniciare!!
E tuttavia io salvo gli interpreti pre-filologici, nonostante registri - con te - il mezzo fallimento nel tener dietro all'interesse accademico e intellettuale che aveva riportato in vita quel lontano repertorio.
L'interprete non può limitarsi a "riscoprire" (come farebbe un filologo o uno stidioso); lui deve anche "creare" suoni che non saranno mai veramente antichi (nemmeno i nostri barocchisti lo sono), ma semmai nuovi, capaci di tradurre il passato in emozioni contemporanee.
E per giunta non può farlo se non dentro il solco dalle tradizioni vitali nella propria epoca.
E' un'impresa talmente ardua che non solo ci autorizza a inginocchiarci davanti a chi ci riesce (una Callas e il Bellini rivelato), ma anche a giustificare chi non ci riesce: essere un pioniere è comunque un merito, un atto di coraggio, un atto di amore.

Nel campo strumentale, pur con tutto il rispetto per un'operazione decisamente pioneristica, il Vivaldi inciso da Bernarndino Molinari con l'orchestra dell'Augusteo è alquanto improprio. Il fatto che quello di Scimone non se ne allontani troppo - secondo me - è un'eloquente dimostrazione di quanto si sia vissuto di rendita dagli anni del boom in poi.


Questo decisamente sì! :)
Grazie infinite, Rodrigo, per questo post interessantissimo.. e spero che tu abbia voglia di approfondire ulteriormente la cosa!
Perché non ci scrivi un bell'articolo - da mettere sul sito - sul repertorio rinascimentale e barocco nelle esecuzioni novecentesche di epoca pre-filologica?

Salutoni,
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda Rodrigo » gio 24 nov 2011, 21:42

Competenza (e tempo) per un articolo non penso proprio di averne, però l’argomento è intrigante almeno per me e qualche considerazione si può ancora aggiungere. Anzitutto, e mi collego a quanto detto da Matt, è verissimo che la riscoperta non è mai fatta per il gusto del ripescaggio in quanto tale, ma perché si è convinti che quanto si intende recuperare ha qualcosa da dirci, in fondo è… nostro contemporaneo. In questa logica mi pare che le attenzioni all'antico compiute in Italia abbiano molto da dirci.
Cominciamo pure da quelle di fine dell’Ottocento, che vanno a scavare soprattutto nella musica strumentale. Perché? Perché è il terreno in cui l’Italia musicale si sentiva in complesso d’inferiorità verso il mondo mitteleuropeo e francese. E allora via di Scarlatti, Boccherini, Platti e poi tutto il violinismo settecentesco: Corelli, Pugnani, Giardini giù giù fino a Vivaldi. Il nostro ha scritto delle opere? Casualmente, proprio questa parte del suo catalogo è quello che interessa di meno.
Secondo capitolo dei ripescaggi di fine Ottocento-primi del Nove: la musica polifonica sacra (e profana). Anche in questo caso il movente è costituito da esigenze tutte contemporanee, in prima istanza la diffusa insoddisfazione per le composizioni chiesastiche intrise di spirito melodrammatico; ma non va escluso il peso di un “nume musicale” come Verdi che, magari con un po’ di faciloneria (diciamolo piano), si era lasciato andare a roboanti elogi della polifonia classica italiana. E’ da notare che dapprima Monteverdi viene quasi evitato. Sarei tentato di dire che un certo peso aveva avuto al proposito proprio il noto giudizio verdiano che aveva escluso dal modello Monteverdi il quale “disponeva male le parti”. Il cremonese si prende, come ho già scritto, una bella rivincita negli primi decenni del Novecento quando si comincia a riproporne le composizioni.
Il caso di Benedetto Marcello è interessante: grazie ai lusinghieri giudizi (da Cherubini a Rossini e Verdi) che da sempre ne hanno circondato la raccolta dei Salmi e l’abilità di contrappuntista il nostro è fatto oggetto di grande interesse musicologico che investe anche il suo teatro. Con sorprendente antiveggenza già nel 1885 il Chilesotti ne dà alle stampe una riduzione canto e piano dell’Arianna che suscita tale scalpore da finire sulle pagine del Fuoco dannunziano in cui si fa un’immaginifica analisi di alcuni numeri della partitura. La Marcello-latria arriva al punto che il Molmenti in una classica storia di Venezia edita ai primi del ‘900 lo antepone nettamente a Vivaldi a cui è riservato poco più di un freddo accenno.
E’ curioso, a proposito di opere, che dopo gli anni Trenta e venuta l’ora di Vivaldi – l’odiato rivale di Marcello!- ha avuto dapprima fortuna senza paragone maggiore l’oratorio Juditha che non i melodrammi veri e proprio. L’oratorio “militare” conobbe una significativa ripresa romana sin dal 1946 quando al teatro Adriano venne eseguita con Antonio Guarnieri sul podio, Elena Nicolai, Rina Corsi, Giovanni Inghilleri, Gino Del Signore, Mattia Sassanelli. Bazzecole rispetto a Carissimi le cui riprese di Jephte a Santa Cecilia risalgono almeno a trent’anni prima!
Roma doveva essere un terreno piuttosto fertile per le riprese se, nell’immediato dopo guerra, 1950 viene riproposto addirittura l’Amfiparnaso nella stessa occasione che vide la rappresentazione del rossiniano Turco in Italia sotto la direzione di Gianandrea Gavazzeni con Maria Callas. Sempre negli anni ’50 con Gavazzeni si gioca la carta haendeliana con una nota rappresentazione del Giulio Cesare con un cast da fare accapponare la pelle al giorno d’oggi Tebaldi, Corelli :shock: , Petri :shock: , Christoff : CoolGun : . Scelte vocali, come quella di inserire voci maschili nella Juditha, discutibilissime che però, a parer mio, la sensibilità dell’epoca giudicava estremamente funzionali. Ma di questo magari ne parliamo in un altro post.
Saluti.

Ultima modifica di Rodrigo il lun 28 nov 2011, 22:14, modificato 3 volte in totale.
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda VGobbi » gio 24 nov 2011, 22:39

Per quanto mi riguarda, penso che Mario Petri fosse un autentico mago nel repertorio barocco, non tanto sul piano del funambolismo (che non deve mai mancare), quanto sulla capacita' di accentare la parola, sulla bravura di lavorare quei mini capolavori che sono i recitativi e che spesse volte vengono trascurati, anche da nomi blasonati. Petri da quel punto di vista, resta davvero un must!!!
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda MatMarazzi » ven 02 dic 2011, 22:04

Rodrigo ha scritto:Competenza (e tempo) per un articolo non penso proprio di averne


ma come fai Rodrigo, sia pure per civetteria, ad affermare di non avere competenza in merito!! :)
Ogni volta che aggiungi un nuovo tassello a questo argomento, vengono fuori gemme preziosissime di storia dell'interpretazione e sui modelli esecutivi a cavallo fra 800 e 900.
Affascinante è la spiegazione che adduci a proposito delal priorità dei ripescaggi strumentali nel tardo '800 rispetto a quelli teatrali.

Perché è il terreno in cui l’Italia musicale si sentiva in complesso d’inferiorità verso il mondo mitteleuropeo e francese. E allora via di Scarlatti, Boccherini, Platti e poi tutto il violinismo settecentesco: Corelli, Pugnani, Giardini giù giù fino a Vivaldi.


Considerazione brillantissima!
Il senso di colpa che, già in epoca scapigliata, condusse gli intellettuali italiani a snobbare la nostra storia operistica e a fondare società del quartetto!
Troppa opera... troppo canto... e troppa poca "musica pura"! :)
Normale - non ci avevo mai pensato - che la risposta a questo senso di colpa fosse il rispolverare il nostro virtuosismo strumentale secentesco e primo-settecentesco, quando l'Italia sopravanzava ogni altro paese proprio in questo repertorio.

Resto poi basito dalle affermazioni verdiane su Monteverdi, di cui (scusa la mia ignoranza) non sapevo nulla.

non va escluso il peso di un “nume musicale” come Verdi che, magari con un po’ di faciloneria (diciamolo piano), si era lasciato andare a roboanti elogi della polifonia classica italiana. E’ da notare che dapprima Monteverdi viene quasi evitato. Sarei tentato di dire che un certo peso aveva avuto al proposito proprio il noto giudizio verdiano che aveva escluso dal modello Monteverdi il quale “disponeva male le parti”.


Dicci qualcosa di più, ti prego!
In particolare a proposito di quali composizioni monteverdiane (opere? madrigali?) Verdi si è esposto in simili giudizi!

Qaunto alle stupefacenti rivelazioni che ci spiattelli a proposito di edizioni o allestimenti primo-novecenteschi di Marcello, Vivaldi, Carissimi.... ci terrei tanto a saperne di più
Non potresti approfondire la cosa? :)
Tutta la questione sta assumendo un interesse davvero straordinario.

Grazie mille,
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda teo.emme » ven 02 dic 2011, 22:29

MatMarazzi ha scritto:Resto poi basito dalle affermazioni verdiane su Monteverdi, di cui (scusa la mia ignoranza) non sapevo nulla.

L'affermazione di Verdi - condivido appieno le tue perplessità - testimoniano un atteggiamento diffuso verso la musica di Monteverdi che, evidentemente, suggeriva soluzioni così moderne e atipiche da apparire "scorretta" a certe visioni più burocratiche della contabilità musicale (quasi fosse, il comporre, una semplice applicazione di norme e regolamenti). Stupisce che sia Verdi a confermare questi preconcetti - proprio lui che delle origini "anti accademiche" aveva fatto un vanto (in ricostruzioni autobiografiche particolarmente romanzate), quale compositore "fattosi da sé". La polemica intorno ai presunti "errori" di Monteverdi (vien da sorridere, lo so), nasce con gli attacchi di Giovanni Artusi al compositore cremonese, di cui condannava l'aver abbandonato la tradizione precedente nel contrappunto, nella polifonia, nell'uso della dissonanza, nonché l'abbandono della parità delle voci (la cosiddetta "prima pratica"), a favore di una maggiore centralità del recitativo accompagnato e della monodia drammatica. Da qui - pur nella superficiale ammirazione - si muoveranno i primi distinguo e le critiche (ribadite) da parte di padre Martini, di John Hawkins e di Charles Burney. Questo fu il primo a sottolineare la presunta "cattiva distribuzione delle parti" ad opera di Monteverdi. Le stesse parole che Verdi usò nel 1887 nella famigerata lettera a Boito quando, elencando una serie di autori antichi da proporre come modelli ai giovani studenti, suggerì Palestrina, Marenzio e Allegri (abbastanza rassicuranti) ed escluse Monteverdi perché "diseducativo" in quanto "disponeva male le parti. Era il periodo del "torniamo all'antico e sarà progresso" ossia il momento più concettualmente involuto della parabola verdiana: il Verdi più ottuso e reazionario (per fortuna ciò non si riverberò nella musica scritta). Forse in reazione al trionfante wagnerismo. Solo nel tardo '800 e nel primo '900 si iniziò a comprendere Monteverdi (anche l'ingenua glorificazione d'annunziana ne Il Fuoco lo testimonia).

Ps: Verdi (e tutti gli altri) si riferivano ai madrigali e, soprattutto, alla musica sacra.
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda MatMarazzi » dom 04 dic 2011, 21:47

teo.emme ha scritto:Era il periodo del "torniamo all'antico e sarà progresso" ossia il momento più concettualmente involuto della parabola verdiana: il Verdi più ottuso e reazionario (per fortuna ciò non si riverberò nella musica scritta). Forse in reazione al trionfante wagnerismo.


Be' Teo.Emme, cerchiamo però anche noi di non cadere nell'ingenuità di scambiare per ottusità una semplice reazione stizzita di Verdi di fronte alle pose intellettualistiche dei "falsi rivoluzionari" (coloro cioè che invece di compiere vere rivoluzioni, come aveva fatto lui, si erano limitati a salire sulle spalle delle tradizioni oltralpine, dandosi i toni dei rivoluzionari senza mai aver rivoluzionato alcunché).
Trovo normale che Verdi reagisse con sdegnata civetteria (da finto reazionario) ai proclami dei saccentini di turno ...con lo stesso tono che - narrano - Francesco Malipiero usò nei confronti del custode della Fenice.
Pare che cosuti, al termine di un concerto di musiche di Malipiero dirette dal compositore, salutasse tutti gli orchestrali e persino i coristi che uscivano con un sonoro "buonasera Maestro!".
Quando fu la volta di uscire di Malipiero, al consueto "buonasera Maestro" pare che questi abbia risposto: "Per favore... Mi ciàmame Mona".
Ecco... a me pare che accusare di ottusità reazionaria un Verdi, equivalga ad affermare con gravità e corruccio che, nell'involuzione del suo pensiero Francesco Malipiero, in occasione di quel concerto, ritenesse di essersi trasformato in un organo genitale femminile! :)

Quanto alle perplessità tardo ottocentesche verso Monteverdi... sono d'accordo anche io che esse nascessero dall'audacia di certe scelte compositive, audacia che - in mancanza di ulteriori elementi - può pure essere scambiata per "errore".
Certo che è molto facile per noi - più di un secolo dopo e con alle spalle innumerevoli monografie monteverdiane, ricerche e studi - non commettere queste confusioni.
Facile quanto - per i saputelli scapigliati e filo-germanici di fine 800 - far passare il più rivoluzionario degli operisti italiani per un tradizionalista.

Salutoni,
Mat
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MatMarazzi
 
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Re: Orfeo antiquato?

Messaggioda Rodrigo » mer 21 dic 2011, 16:35

Qualche ulteriore notizia – per la gioia di Matt - sui ripescaggi d’annata con particolare attenzione ad un bravo musicista, il bresciano Giovanni Tebaldini: organista, direttore di coro, maestro di cappella e musicologo. E’ una figura dell’Italia musicale del periodo a cavallo tra Otto e Novecento a cui è dedicato un bellissimo sito (www.tebaldini.it) a cui rimando per informazioni più dettagliate e dal quale – ovviamente – attingo.
Anzitutto qualche dato sulle sue clamorose (per l’epoca) riprese in campo teatrale e oratoriale. Premettendo naturalmente che Tebaldini era un trascrittore lontano da rigori filologici ancora di là da venire (come è giusto per un pioniere)
• 1891, durante un concerto a Venezia, propone un’aria dal Totila di Don Giovanni Legrenzi e la “Scena degli incantesimi” dal Giasone del Cavalli.
• 1912, all’Accademia di S. Cecilia a Roma, esegue la Rappresentazione d’Anima e Corpo di E. de’ Cavalieri e L’incoronazione di Poppea di C. Monteverdi.
• 1916 Milano, Sala del Regio Conservatorio “Verdi”, ripropone l’Euridice di J. Peri e G. Caccini,
• 1920 a Napoli, nella chiesa di S. Gaetano, esegue Jephte di Carissimi.

Molto interessanti sono le informazioni che trovo nel sito in questione circa gli esecutori. In particolare durante le esecuzioni romane La rappresentazione di Anima e Corpo era affidata a Giuseppe Kaschmann e all’esordiente Raisa Bürstein (esatto! la futura Rosa Raisa). La presenza della Raisa non era, secondo me affatto casuale, infatti la sua maestra – Barbara Marchisio nientemeno – era a conoscenza dell’attività del Tebaldini sin dai tempi del concerto veneziano del 1891: “In quei giorni - scrive Tebaldini - ebbi vicino sempre anche alle prove – donna artista di grande intellettualità – la Sig. Barbara Marchisio – cui si accompagnavano la signorina, allora, Margherita Cappelli e la ineffabile Emma Gorin…”. Il baritono istriano era invece, diciamo, a fine corsa e può essere che si fosse dedicato al repertorio barocco per assecondare una voce non più all’altezza. Tebaldini, dopo un’esecuzione napoletana dell’opera di Cavalieri del 1919 scrive senza troppi complimenti: “Kaschmann – ad eccezione di qualche bella nota – un monumento ormai tarlato, ma disse bene e in qualche punto con efficacia”.
C’è da chiedersi se queste scelte (esecuzioni di “passi scelti” (arie ovviamente), utilizzo come sede di luoghi diversi dai teatri e in qualche modo “asettici”, interpreti pescati tra le fila dei “fini dicitori”) non sottendano una ben precisa concezione da parte di Tebaldini. Ossia la musica barocca – e sia pure tratta da melodrammi – concepita e valutata in chiave paradossalmente anti teatrale; quasi che venisse preformulato un giudizio di disvalore (o di sfiducia) circa la drammaturgia sottesa a queste partiture. Intendiamoci, se così fosse stato ci sarebbero stati dei buoni motivi: era un organista, un maestro di cappella non un uomo di teatro e quello che proponeva era quanto di più lontano dall’estetica tardo romantica o verista che si metteva in scena allora. Logico quindi che l’aspetto drammaturgico non fosse in cima ai suoi pensieri. Ciò detto si spiega invece perfettamente perché sarà un grandissimo esperto di vita teatrale come Illica a proporgli di realizzare una versione scenica della rappresentazione di Anima e Corpo.
Giusto per concludere mi spingo più in là: non è che per caso - con mille distinguo e con tutte le cautele del caso – i presupposti dai quali partiva un Tebaldini continuassero in qualche modo ad agire anche molto tempo dopo? Per fare qualche esempio – e a rischio di farmi dei nemici – sono così lontane da questa impostazione riproposte quali il Giulio Cesare di Tebaldi-Corelli, la Dido and Aeneas di Janet Baker, l’Orlando della Horne o l’Alcina della Sutherland in scena tra gli anni ’50 e ‘70?
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