Adriana Lecouvreur allo specchio

opere, compositori, librettisti e il loro mondo

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Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda melomane » gio 26 ago 2010, 23:05

Un'opera a torto e troppo frettolosamente collocata nel repertorio verista per motivi cronologici.
Si tratta invece di una finissima scrittura ricca di carismi teatrali e molto fedele alla visione naturalista francese.
Capolavoro teatrale che può definirsi popolare al pari delle tre perle verdiane Trovatore, Traviata e Rigoletto per la capacità di incontrare il gusto di molti in virtù delle infinitamente belle melodie, della simpatia dei quattro personaggi (anche la Principessa di Bouillon riscuote molti gradimenti) tra cui si distribuiscono con grande equilibrio le dinamiche della vicenda, della passione, dell'effetto consolatorio e dell'uso dei più raffinati artifici letterari e scenici. Certamente non perchè improntato a una quotidianità semplicemente trasposta in sceneggiatura.
Alla base della vicenda un impianto filosofico sfaccettato: ispiratore del Verismo italiano il Naturalismo francese è pervaso da una visione deterministica per cui il destino umano è reso ineluttabile dalle strutture sociali ed è impossibile cambiare il proprio status. Così Adriana, nonostante la nobiltà del suo animo e la qualità della sua arte, è ostacolata nel matrimonio con Maurizio di Sassonia e Michonnet - l'osservatore narratore esterno, "direttor di scena peggio di un lacchè" - riesce a farle solo da padre e tutore.
La Principessa non è un personaggio negativo in sè, ma un umano prigioniero (così compare in scena) più della sua condizione di moglie e del suo inquadramento sociale che non delle sue passioni. Il rapporto morboso più che amoroso e l'essere attrice e vittima del crimine nella sua condizione di nobildonna è pienamente in linea con la concezione naturalista, di cui Eugène Scribe (il drammaturgo autore della materia originaria traslata nel libretto) conobbe i primi anni ma soprattutto i primi barlumi.
Contrariamente a quanto può sembrare la vicenda non è incentrata sulla primadonna Adriana, ma sull'icona "Adrienne Lecouvreur della Comédie-Française", non semplicemente donna e attrice ma allegoria del teatro, così come si annuncia.
"Ecco, respiro appena" riporta al silenzio in sala e "Io son l'umile ancella" all'alzarsi del sipario, metafora dell'inchino. Nel prologo di "Io son l'umile ancella" l'attrice, nell'entrare nel personaggio, commuta la formula da declamazione ("Così non va bene") a canto divenendo medium (strumento di interpretazione e diffusione) completo nelle possibilità espressive.
Il teatro come medium è la realtà immanente, di cui è rappresentazione allegorica la musa Melpomene, l'evento ciclico e quotidiano della rappresentazione "eco del dramma umano", che nasce e muore ogni giorno: "un soffio è la mia voce che al nuovo dì morrà".
"Non sarebbe attrice se non dormisse quando il mondo è desto" è la chiara allusione a ciò.
La "mise en abyme", artificio letterario e teatrale tra i più geniali e sublimi, trova competa realizzazione in questa opera, persino negli sviluppi più moderni attribuiti al cinema.
I livelli dello svolgersi della vicenda - quello reale e i riquadri di "teatro nel teatro" - rimagono distinti, speculari e reciprocamente funzionali nelle dinamiche.
L'osservatore esterno Michonnet - colui che serve l'arte con cui non riesce a fondersi - descrive la scena di teatro nel teatro senza aggiungere commenti ma celebrando la verità.
Come la scena dell'omicidio mediante il veleno in Amleto di Shakespeare, il monologo di Fedra è rivelatore di un tradimento e momento di snodo della vicenda determinante l'epilogo, come voluto dalla tradizione per cui si ritiene che Adriana sia stata avvelenata dalla rivale.
Si attribuiscono al cinema la soluzione narrativa in cui i protagonisti vivono indistintamente il sonno e la veglia non sapendo in quale dimensione si trovano e a quale livello di coscienza operano e quella per cui (Il ladro di orchidee) sono contemporaneamente dentro e fuori la vicenda che scrivono (o viene scritta, da un punto di vista neutro).
Nell'ultimo atto Adriana si risveglia ma - come nell'insegnamento freudiano - trova come in un sogno la soddisfazione dei suoi desideri: l'improbabile presenza di Maurizio.
Presto si manifesta uno stato onirico in cui non riconosce quanto ha intorno, forse un richiamo alla scena del sonnambulismo in cui Lady Macbeth "gli occhi spalanca, eppur non vede...", per volontà di Verdi quasi non canta ma parla.
Anche "Pagliacci", una delle poche (se non due) opere frequentemente rappresentate ascrivibili al Verismo, contempla il teatro nel teatro, ma i piani si fondono, la commedia trascolora in fatto reale (vero anche perchè ispirato a un evento di cronaca) e la vicenda si chiude su quel passaggio: "La commedia è finita".
Adriana invece si trasfigura in musa, "Melpomene son io", per rinascere, per operare la palingenesi di cui il teatro sarà protagonista sin tanto che esisterà un dramma umano, proiettando il ruolo dell'uomo come attore all'infinito, proprio come consente la "mise en abyme".
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Re: Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda pbagnoli » ven 27 ago 2010, 7:35

Caro Francesco, ti ringrazio di queste tue interessanti considerazioni su quest'opera che io non ho mai amato in modo particolare.
Farei un commento, ma chiedendo aiuto a qualche storico: anch'io ho difficoltà ad inquadrare non solo questa, ma anche altre opere nella temperie culturale del Verismo.
Cosa ci vuole perché un'opera sia sicuramente ascrivibile a quell'area?
L'appartenenza spazio-temporale?
L'argomento trattato?
Qualche tema musicale?
E, partendo da questi presupposti, Adriana è un'opera verista? E, se non lo è, quali opere lo sono?
Anch'io sono d'accordo su Pagliacci: e poi? Cavalleria? Nozze istriane? Le opere minori di quel periodo? Rubens Tedeschi ne cita un bel po' in "Addio fiorito asil", ma alcune le ho sentite nominare (e basta) solo lì!
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Messaggioda melomane » ven 27 ago 2010, 13:13

Ciao a tutti,
prima di inziare la ricerca di pareri autorevoli sulle opere ascrivibili al Verismo o dei criteri da utilizzare per una tassonomia artistica, permettemi di esporre l'ottica che ho consolidato negli anni.

Il Verismo musicale nasce con l'esperimento di Cavalleria Rusticana, una trasposizione della novella verghiana e delle ispirazioni del Verismo letterario.
Solitamente si fa riferimento alla distorsione della musicalità tradizionale con l'inserimento dell'espressione parlata, sino all'estremo per cui alcuni grandi interpreti (penso a Maria Caniglia) concentrano la loro ricerca sulla poetica della parola più che sulla correttezza dell'esecuzione musicale.
Si parla anche della materia delle opere, con puntualizzazione sull'evento reale o narrato in modo neutro senza nulla aggiungere alla dinamica della vicenda.

Io aggiungerei un'evoluzione della valenza "popolare" nel senso di alto gradimento al vasto pubblico che porta allo sviluppo in melodramma del genere di dominio pubblico in voga in quel dato periodo, la canzone.
Vedo così segnali di Verismo in Pagliacci anche perchè l'aria della primadonna (nel teatro e nel "teatro nel teatro") è una semplice canzone, un infantile anelito alla libertà.
Verista è In quelle trine morbide, il languore malinconico e passionale che caratterizza i primi posti nella hit parade di un'epoca, ma incastonato in un contesto romantico.
Che bel mestiere fare il carrettiere è una filastrocca destinata a incontrare una sensibilità diffusa.
Veriste sono le scene di Carmen dalle musiche essenziali, da "Toreador" al coro dei bambini che giocano ai soldati.

Non è verista Tosca, che non ha neppure un'aria che risponda a quei canoni e che narra una vicenda inverosimile (la mia opera del cuore, tengo a sottolineare), è verista Il tabarro per l'essenzialità e la violenza del dramma, per l'ambientazione e per la presenza delle due canzoni (o canzonette): quella della Frugola, "Ho sognato una casetta", e quella del cantastorie.
Tra le opere pucciniane incornicia con atmosfere belle époque scenari francesi di quell'epoca (mentre La rondine delinea con le stesse suggestioni uno scenario antecedente).

Mi riservo di approfondire.

Un caro saluto

Francesco
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Re: Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda Luca » ven 27 ago 2010, 19:47

Beh, una volta parlando con Celletti questi mi disse che il vero manifesto del Verismo italiano sono I Pagliacci, più che Cavalleria e ciò per 2 motivi: per l'opera e per quella sorta di manifesto programmatico che è il Prologo dove appunto il personaggio di Tonio sotolinea come l'autore dipinge le profondità dell'animo e "al vero ispiavasi". Quanto poi a Puccini è talmente grande il suo teatro che non lo si può considerare un verista: opere come Gianni Schicchi, Fanciulla o Turandot possiamo considerarle veriste? Per me no.

Saluti, Luca.
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Re: Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda fadecas » ven 27 ago 2010, 23:28

Plaudo a questa magistrale lettura antinaturalistica di Adriana, che rovescia i paradigmi di “realismo psicologico” che per molti decenni hanno funto da riferimento per quest’opera, in qualche modo dimidiandone e banalizzandone il significato e riducendola ad una commedia d’ambiente, quando invece, se pure sotterraneamente e più a livello forse di intuizione che di compiutezza, la vicenda privata di Adriana donna, destinata allo scacco e al fallimento, nell’esegesi di Melomane è soprattutto una “figura” emblematica del necessario immolarsi dell’artista alla causa della musa tragica.
Chiarita la particolare torsione in cui in Adriana il gioco delle scatole cinesi e il rispecchiamento del teatro nel teatro si articolano, fino a stagliarsi compiutamete nella lunga - e apparentemente immotivata – trenodia in cui lentamente si prolunga e affonda tutto il quarto atto - chiedo a questo punto quali delle interpreti di quest’opera, di ieri e di oggi, abbiano saputo a parere di Francesco fare affiorare questa componente di astrazione e in qualche modo di “straniamento” dell’attrice dalla donna e siano riuscite ad esprimere questa “teatralità” come essenza stessa dell’opera, che è cosa assai peculiare e diversa ad es. dalle componenti metateatrali di Tosca o dei Pagliacci.

Grazie, saluti
Fabrizio
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Re: Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda Triboulet » sab 28 ago 2010, 11:17

Secondo me il verismo non esiste. Si chiama verismo la Giovane Scuola (Puccini e compagni) un po' per comodità, verismo in musica è diventato sinonimo di quel periodo a cavallo tra '800 e '900 e tutto quel che c'è dentro. Tant'è che spesso si sente parlare di compositori veristi e non di opere veriste, accumunati dalla contemporaneità e da uno stile musicale ben definito.
Se ci atteniamo al verismo letterario forse solo la coppia Cavalleria-Pagliacci è verista doc, e qualche altra cosina quì e là (Tabarro, Mala vita di Giordano ecc.).
Non mi persuade il criterio "ha una canzone quindi è verista" (perdona melomane la mia semplificazione). Se proprio vogliamo un filo rosso io direi la scelta dei personaggi, non più re, regine, cavalieri, miti ecc. ma uomini e donne qualsiasi, poveri o ricchi che siano. Sarà anche scolastica come definizione, ma la trovo la più efficiente. E quindi tutto Puccini è, in questo senso, verista, anche quello di Manon, Tosca e Fanciulla (non penso neanche che verismo voglia dire verosimiglianza della vicenda), così come molti dei soggetti dell'epoca. Ma è più una tendenza, una moda direi (questo non vuol dire che le opere si riducano a storielle, anzi spesso è presente un meta-testo di carattere psicologico molto ben delineato e molto poco stereotipato che si scontra con la società in cui è inserito - ecco perchè il verismo stereotipato di Tebaldi ed epigone funziona così poco). Turandot no! c'è una ambientazione fantastica e, soprattutto, un piano allegorico che ci portano da un'altra parte. Non è più una storia secondo me, è una grossa parabola (nel senso biblico del termine).
Traviata e Rigoletto sono proto-veriste sì! la loro attrattiva risiede proprio nel trattare i drammi umani di persone ai margini della società nobiliare (sono pur sempre le storie di un buffone e una puttana) personaggi animati da una psicologia inedita e sfaccettata. Persino Stiffelio per me lo è. L'intuizione del verismo (così inteso badate bene) nasce quindi ben prima di Mascagni, solo che alla fine dell'800 esplode e, dettaglio importante, si crea un suo linguaggio musicale che non è nè verdiano nè wagneriano (pur saccheggiando ovviamente dall'uno e dall'altro, nonchè da gente tipo Boito e Ponchielli).
Ecco aldilà del discorso verismo sì o no, la cosa importante è che a cavallo fra i due secoli nasce un nuovo modo di scrivere musica per il teatro, qualcosa che anticipa terribilmente quel che sarà il rapporto cinema/regia/colonna sonora. Il secondo atto di Tosca è abbastanza esemplificativo di questo nuovo modo di intendere il teatro dell'opera, che segue ovviamente la modernizzazione del gusto. Questa è l'anilisi, abbastanza banale mi rendo conto, che riesco a dare.
Personalmente non mi sono mai tanto preoccupato di cosa sia verista e cosa no.

Adriana, non è che la ami tanto neanche io e... secondo me la Callas tarda (quella anni 60) l'avrebbe potuta centrare più di quanto non riuscisse a fare con Tosca. Non tanto perchè penso all'onnipotenza della Maria (onnipotenza che non è mai esistita) quanto per questo motivo che fadecas sintetizza molto bene:
fadecas ha scritto:la vicenda privata di Adriana donna, destinata allo scacco e al fallimento, è soprattutto una “figura” emblematica del necessario immolarsi dell’artista alla causa della musa tragica.

Persino il ritiro finale e il successivo ultimo barlume di entusiasmo richiamano l'esperienza personale della cantante greca.
Io ho l'edizione in studio con la Scotto, brava come sempre ma non così persuasiva come in altri suoi ruoli, e pure la Freni, idem. Semplificando direi che la Scotto coglie l'aspetto divistico e la Freni l'aspetto umano, ma in nessuna delle due percepisco chiaramente la contraddizione, la frizione dei due mondi.
Chissà la Gencer (mai ascoltata in Adriana), anche se ho paura che nel 66 assomigli di più alla Adriana della Scotto. Forse una Gencer del 60 ci sarebbe riuscita.
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Re: Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda Luca » sab 28 ago 2010, 11:50

Chissà la Gencer (mai ascoltata in Adriana), anche se ho paura che nel 66 assomigli di più alla Adriana della Scotto. Forse una Gencer del 60 ci sarebbe riuscita.
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Molto buona è la prova della Chiara (grande cantante, oggi un pò snobbata) in questo ruolo: bella voce, ben centrata sul piano interpretativo. Dovresti trovare qualche 'live'. Quest'anno qui a Roma si cimenta con l'eroina di Cilea la Serafin.
Quanto alla Gencer del '66 vale la pena di ascoltarla; rispetto alla Scotto, sottolinea l'aspetto della primadonna, ma è molto interessante al IV atto!

Saluti, Luca.
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Adriane ideali

Messaggioda melomane » sab 28 ago 2010, 13:55

Ciao,
per valutare il contributo di alcune interpreti di Adriana Lecouvreur prendo qualche riga per rafforzare la visione che vi ho esposto prima.
Quanto Tosca è primadonna Adriana non lo è, protagonista assoluto è il Teatro (fragile strumento, vassallo della man) nella sua accezione di (mass) medium.
Come nel gioco di scatole cinesi ben illustrato da Fadecas il Teatro si presenta in tutti i suoi livelli: pubblico (che si duplica anch'esso come platea del "Teatro nel teatro" durante la rappresentazione e platea reale da cui Adriana si congeda violentemente declamando "Scostatevi profani, Melpomene son io!"), quinte con la rappresentazione delle più basse passioni umane, scena dell'opera e delle rappresentazioni in essa contenute (le prove all'ingresso di Adriana, la rappresentazioni cui Michonnet plaude e invita a applaudire dalle quinte, il monologo di Fedra), per contrasto il mondo esterno desto mentre Adriana riposa.
Le espressioni vocali consentite sono tutte utilizzate: il recitativo, il declamato, il parlato concertato (il chiacchiericcio femminile più raffinato e ricercato che in Falstaff), il canto, il silenzio. L'onda drammaturgica e musicale detta le azioni e definisce le tensioni emotive dei personaggi, sempre insicuri e passivi, fatta eccezione per le arie e i recitativi di Adriana che però sono momenti in cui è il Teatro a parlare.
In Tosca avviene l'esatto contrario: Floria Tosca è la diva che manca alla cantata mentre strimpellan gavotte, il sottofondo musicale dei suoi slanci passionali è ridotto al minimo e appunto strimpellato ("Non la sospiri la nostra casetta?") per prendere volume solo nell'apice degli abbandoni ("Arde a Tosca il folle amor") ma solo in modo didascalico e appena ispiratore, e scomparire totalmente nei vertici della partecipazione amorosa ("Trionfar!") in cui Tosca è tesa a determinare il suo destino.
Adriana vede sottrarsi la scena da nugoli di comparse, è spesso zittita da variazioni travolgenti della dinamica musicale, che la fa da padrona di casa, cosa che a Tosca non capita mai: la diva non cessa di giganteggiare neppure alla tragica svolta degli eventi che determinano la morte di Cavaradossi e la sua, non risponde se interrogata ma solo sotto tortura dell'amato, nel patto con Scarpia replica in modo asciutto e irriverente.
Così la mia Adriana ideale è una silhouette trasportata dall'onda musicale e drammaturgica, che torna a torreggiare solo nei momenti di "servizio", di rappresentazione del Teatro in qualità di portavoce: la citazione di Racine in Fedra, l'identificazione con la musa Melpomene, l'invito al pubblico a servirsi del Teatro come strumento consolatorio gettandovi dentro tutte le angoscie del mondo reale ("ritorni al serraglio l'augusta sua pace") per liberarsene al duro commiato ("Scostatevi, profani!").
Lo spirito discreto e il garbo di Daniela Dessì fanno della serata scaligera del 20 novembre 2004 con la direzione di Rizzi Brignoli il mio ascolto ricorrente preferito.
Subito dopo il pensiero va a Marcella Pobbe, titolare dell'edizione filmica Rai del 1955 diretta da Alfredo Simonetto, "complice" uno splendido Otello Borgonovo attore e cantante. Delicata, modesta, dimessa nella misura giusta in quanto si affranca dal flusso melodico orchestrale solo in frasi chiave "Per te soltanto reciterò stasera", l'artista veneta trova una giusta collocazione e rende, a mio avviso, giustizia.
Magda Olivero (che non poteva non essere nominata) è l'interprete che sostiene con maggiore tono e temperamento l'onda travolgente, ma fa di Adriana un personaggio troppo di carne e sangue, benchè dotato di garbo e sfumature e essa stessa in grado di rendere le dinamiche di intensità e abbandono che però dovrebbero trascendere il carattere e essere affidate al contesto scenico e strumentale.
Del video con protagonista Mirella Freni (direttore Gavazzeni alla Scala nel 1989) apprezzo non la scelta dei cantanti ma l'utilizzo degli specchi nella regia teatrale, strumento principe - secondo me - della mise en abyme.
Non vedo una identificazione con Raina Kabaivanska, sento Renata Tebaldi estranea alla visione che stiamo confrontando.
Leyla Gencer nel monologo su YouTube astrae completamente dal personaggio donna e diventa voce della tragedia, non aggiunge tantissimo in "Io son l'umile ancella" e stilizza in modo sublime e austero "Poveri fior".

Un caro saluto

Francesco
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Re: Adriane ideali

Messaggioda MatMarazzi » mar 31 ago 2010, 13:30

Caro Francesco,
leggevo la tua analisi di Adriana (che è davvero bellissima) e dentro di me pensavo a che effetto straordinario vi avrebbe fatto Patricia Newey.
Proprio nell'ottica da te descritta...

Un salutone,
Matteo
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Re: Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda melomane » mar 31 ago 2010, 14:34

Grazie Matteo,
sto ascoltando Patricia Neway nell'aria di Magda da The Consul di Menotti.
Ha qualche assonanza con la voce di Daniela Dessì, in alcune grazie. In Adriana? Forse sarebbe meno astratta, ci sento una vocazione all'interpretazione che mi ricorda la migliore Sarah Walker come M.me De Croissy in "Les dialogues des Carmelites" di Poulenc. Ma sicuramente in grado di interagire con le tensioni drammatiche della scrittura strumentale, forse meglio della Olivero.

Colgo l'occasione anche per ricollegarmi all'intervento di Triboulet.
Anch'io penso che il verismo in opera sia stato un esperimento compiuto in "Pagliacci" ma che già in "Cavalleria rusticana" abbia subito la svolta conferita da Pirandello per cui il presupposto della narrazione esterna venne meno e ogni personaggio veniva insufflato dell'anima dell'autore.
In "Il tabarro" vedo una concessione al Verismo da parte di Puccini (o forse uno degli esperimenti che volevano tenere la produzione italiana all'altezza di ogni avanguardia che avesse rilevanza in Europa).
Hai comunicato correttamente e senza semplificare la tua visione per cui l'attributo di Verismo è indipendente dalla presenza della formula della canzone, in risposta a un pensiero appena abbozzato che cerco di spiegare meglio: vedo centrale nel Verismo il "focus" sulle piccole cose viste e narrate da menti semplici, in opera mi pare che sia la canzone l'estremo di questa espressione.
Nedda identifica in un volo di anonimi uccelli il suo anelito alla libertà, cosa che Magda fa in modo ben più colto e con la spalla del poeta Prunier gloria della Nazione.
La casetta della canzonetta di Giorgetta e Frugola de "Il tabarro" non ha nulla a che vedere con i maliosi sottintesi e l'apertura di scenari immensi di "Non la sospiri la nostra casetta" di Tosca, che dai decadenti sepolcreti odorosi di timo ci porta a campi immensi, a palpitanti aure marine, a pioggie di voluttà di volte stellate.
E neppure la cuffietta di Mimì (come i fiori che lei ricama) ha la dimensione dei giocattoli di Parpignol, perchè è ricordo d'amore immenso, di bellezza paragonabile ad aurore e tramonti.

In Adriana si è oltre tutto questo: l'infinito è reso in dramma con le tecniche più straordinarie, tutto parte dall'eco, il paragone più suggestivo della mise en abyme, la voce che ripete sè stessa all'infinito.
Al sottofondo orchestrale manca poco per essere sinfonia strumentale autonoma.

Una piccola chiosa su un punto che non mi trova concorde: sebbene Violetta abbia monetizzato la sua vena amorosa prima di conoscerne la profonda nobile natura, è in "Traviata" il carattere portatore degli ideali più alti che culmina la sua esistenza in sacrificio.
Rigoletto incarna ideali di giustizia (seppure discutibili): "Voi congiuraste... noi clementi invero perdonammo", "Cortigiani vil razza dannata", "O uomini!... o natura!... Vil scellerato mi faceste voi...!".
Non sono nobili i personaggi di Figaro, Susanna, Rosina, i Maestri Cantori e il loro milieu, ma il Verismo non è all'orizzonte.

Un caro saluto

Francesco
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Re: Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda Triboulet » mar 31 ago 2010, 23:56

melomane sono curioso di approfondire gli aspetti della Dessì interprete, che conosco superficialmente e che non mi ha mai entusiasmato. E' curioso che tu la citi come primo nome, dicci qualcosa di più sulla sua adriana, e soprattutto cosa coglie in più rispetto ad altre storiche (Olivero in primis).
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Re: Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda fadecas » mer 01 set 2010, 0:37

melomane ha scritto:Grazie Matteo,
sto ascoltando Patricia Neway nell'aria di Magda da The Consul di Menotti.
Ha qualche assonanza con la voce di Daniela Dessì, in alcune grazie. In Adriana? Forse sarebbe meno astratta, ci sento una vocazione all'interpretazione che mi ricorda la migliore Sarah Walker come M.me De Croissy in "Les dialogues des Carmelites" di Poulenc. Ma sicuramente in grado di interagire con le tensioni drammatiche della scrittura strumentale, forse meglio della Olivero.


…Tuttavia, mi pare che con la Neway siamo su tutto un altro pianeta interpretativo. Nel realismo disperato della Magda di Menotti è una torcia infiammata, ma non riesco a vederla se non come un’Adriana tutta carne e sangue, impeti e furie, proprio il contrario di quanto suggeriva la chiave di lettura di Francesco.
A parere personale, di tutte le interpreti citate, dopo lunghe riflessioni (e alcuni riascolti) ,sono d’accordo nel ridimensionare la Olivero per le ragioni espresse da Francesco, e individuo tuttora, invece, come la lettura più convincente quella della Kabaivanska, espressamente tra quelle fatte dalla cantante bulgara entro i primi anni ’80 (cfr. l’esecuzione fiorentina dell’81 diretta da Gavazzeni, prima che appesantisse la sua espressività divenendo a poco a poco la caricatura di sé stessa, almeno nel repertorio affrontato già nella prima fase della carriera). In lei la partecipazione sentimentale alla vicenda amorosa di Adriana è sempre un po’ trattenuta e sotto tono, e sembra di individuare una sotterranea totale dedizione alla causa della “teatralità” della protagonista come ragione di vita, o piuttosto come proiezione verso una morte profondamente tragica. Il suo timbro secco, privo di spontanee seduzioni come pure estraneo a gentilezze liliali, nonché ad eccessi passionali, le consente di scolpire un quarto atto che è tutto una lenta, manierata estenuazione, un ripiegamento inarrestabile, riscattato solo dalla luminosità e dalla leggerezza con cui si libra nella finale aureola di luce.

E’ ovvio che i giochi delle dinamiche, in altri casi stucchevoli e fini a sé stessi, diventino qui strumento di un abbandono fatalistico – il fatalismo mi sembra la sigla segreta (slava?) di altre interpretazioni meno famose di questa cantante - ad una fissità di destino che non consente alternative. Aggiungo che sono influenzato dalla mia memoria di spettatore sul modo in cui la Kabaivanska sapeva rendere il personaggio di Adriana dal punto di vista scenico, almeno negli anni migliori – ne dà una pallida idea una ripresa dal vivo dal Filarmonico di Verona – ossia con un gesto estremamente rattenuto e stilizzato in “verticale”, come una figura arabescata di Klimt, quindi In maniera programmaticamente antirealistica. Spero che qualcuno riesca a convincermi della superiorità di qualche altro modello più plausibile!

Saluti a tutti, Fabrizio
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Daniela Dessì e Adriana Lecouvreur

Messaggioda melomane » mer 01 set 2010, 2:09

Triboulet, rispondo volentieri.
L'Adriana di Daniela Dessì ha il giusto peso specifico, l'approccio è quello solito dell'artista: offrire alla causa della melodia un bel timbro, eleganza di fraseggio, voce fluente e una ricerca di nuances stilistiche rivolta al garbo nella comunicazione, tanto nel canto che nel recitativo.
L'immagine mentale è di un profilo statuario di proporzioni misurate, un personaggio che può essere di carne o di armonia di forme, modesto e compito.
Non è meno generosa della Olivero nelle possibilità espressive, solo meno estrema di temperamento nello slancio e nell'abbandono.
Ogni interprete contemporaneo si giova - penso sia una costante delle nostre riflessioni - delle esperienze dei grandi (e non) predecessori, della fortuna di poter cullare la sua formazione sulle registrazioni, del progressivo affinamento delle scuole di canto dovuto al confronto, ormai possibile grazie alla comunicazione e all'approfondimento filologico e critico.
La lettura della Dessì è un'intelligente e avanzata rielaborazione degna dei nostri tempi e al contempo attenta al gusto dell'epoca per gli accenti struggenti e il fascino fatale dei fiori appassiti.
Il live del 1958 vede un'equilibrata presenza di quattro titani (Olivero, Corelli, Simionato, Bastianini) immersi nella scintillante e epica esecuzione di Mario Rossi (apprezzabilissima nell'evidenziare la forza conduttrice della vicenda come mediata dall'impianto teatrale) e l'effetto è completato dal tifo del calorosissimo pubblico napoletano, che diventa elemento dell'insieme.
Il monologo: poderosa granitica (mascherata) invettiva della Olivero evocativa di grandezze classiche, trepida elegia molto ben studiata nei tempi e nelle inflessioni della Dessì, varia nei colori e composta su un flusso che si poggia sul filo di melodia del violino solista prima e sulla struggente onda degli archi sino all'accento solenne e distinto dal momento teatrale di "Chiedo in bontà di ritirarmi".

Fadecas, sulla interpretazione della Kabaivanska aggiungo che lo studio puntuale fa dell'edizione in studio del 1985 un cesello che mi piace affiancare per impegno al Don Carlos di Bergonzi.
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Re: Adriana Lecouvreur allo specchio

Messaggioda MatMarazzi » mer 01 set 2010, 7:15

fadecas ha scritto:…Tuttavia, mi pare che con la Neway siamo su tutto un altro pianeta interpretativo. Nel realismo disperato della Magda di Menotti è una torcia infiammata, ma non riesco a vederla se non come un’Adriana tutta carne e sangue, impeti e furie, proprio il contrario di quanto suggeriva la chiave di lettura di Francesco.


Temo invece, Fabrizio, che tu non conosca sufficientemente la Neway (per inciso, quel tardivo video del 1960 su Youtube, a voce e aspetto fisico terribilmente provati non rende molta giustizia alla cantante).
La Neway era artista supremamente intellettuale e in cui costantemente agiva il filtro della riflessione meta-teatrale.
La carne e il sangue non le appartenevano e meno ancora gli impeti e le furie.
Magari ne parleremo.
Questa comunque è la ragione per cui, sia pure in astratto, la ritengo assai più vicina alle ipotesi di Melomane di quanto non sia la pur affascinante, ma manierata e circonlocutoria Kabaywanska.

Matteo
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I miei esempi preferiti di mise en abyme

Messaggioda melomane » mer 01 set 2010, 12:30

Tengo a mettervi al corrente dell'esempio più alto di mise en abyme che conosco, una scena del film Macbeth di Roman Polanski, la profezia nell'antro delle streghe.
Potete vederla a questo indirizzo a partire dal minuto 5:20.

http://www.youtube.com/watch?v=RnxQlYUDkjQ

La discendenza di Banquo si presenta alla visione di Macbeth in un gioco di specchi che porta all'infinito.

Particolarmente simpatico l'effetto Droste della confezione del cacao su cui è raffigurata una suora che porta in giro su un vassoio la propria immagine nella stessa posa:

http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Droste
And yet fair Psyche ne'er shall die, but shall be crown'd with immortality
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