Die Frau ohne Schatten (Strauss)

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Re: Frosch a FI

Messaggioda MatMarazzi » lun 10 mag 2010, 14:21

Pruun ha scritto:
Io credo fermamente che lo stato debba garantire determinate cose e che non ci si possa affidare esclusivamente ai privati... .


Certo, anche io: il potere legislativo, esecutivo, giudiziario (l'aveva già detto qualcuno) :)
Queste sono le tre cose che solo lo stato può garantire.

Tutto il resto lo stato non lo sa fare, non lo può fare, non lo deve fare.
E quando lo fa - appoggiandosi alla scusa moralistica ...di aiutare i più deboli, in realtà per assicurarsi potere, dar lavoro ai propri elettori, muovere masse spaventose di soldi - compie massacri della società civile, da sempre, non da oggi.

Eviterò di citare quei veri e proprio "bordelli" che lo stato compie anche nei settori considerati "socialmente delicati": istruzione, sanità...
Io posso solo dire che ho capito con estrema chiarezza cos'è la sanità pubblica nei lunghi, atroci, spaventosi mesi in cui io, la mia famiglia e mia madre in particolare siamo dovuti passare per quel trita-carne e trita-anime che è la sanità pubblica.
ciò che ho vissuto è sufficente perché nessuno mi parli più della Sanità di Stato!

Tornando al più "leggero" rapporto fra lo stato e la Cultura (e il figlio deforme che da tale rapporto nasce: ossia la "cultura (?) di stato"), secoli di storia umana dimostrano che lo stato è la negazione stessa della cultura, che dovrebbe essere l'espressione del puro scambio fra individui "liberi" e società civile: lo Statro invece la monopolizza, la schiavizza, la sfrutta, la piega al proprio sentire, la tutela anche quando non merita di essere tutelata, la allontana dal pubblico (che perde il proprio diritto di scegliere e giudicare), in compenso impedisce ai "dissenzienti" di portare avanti i loro progetti...
Dici che non è così? Dici che da noi c'è libertà artistica?
Be' lascia parlare uno che si occupa di cultura nella regione Emilia Romagna; puoi credermi che nulla è possibile in ambito culturale senza l'esibizione di una certa tessera politica, esattamente come avveniva in altri ...passati statalismi. Pur senza conoscerli per nome, potrei dirti senza difficoltà a quale partito politico appartiene ogni singolo dipendente o collaboratore, ad esempio, del Teatro Comunale di Bologna, o di Ferrara, o di Modena...
Lo stesso - sia pure con segno opposto - avviene all'Opera di Roma.
Ma anche senza guardare al nostro orticello, basta chiedere a Shostakovich o ...a Einstein cos'è la cultura di Stato... Anche a Galilei.
Uno stato che si allontana dalla cultura, la lascia libera di lottare, anche di fallire... la costringe a ripensarsi e a interagire nuovamente con la società è uno stato che SALVA la cultura, anche se lo fa inconsapevolmente, anche se lo fa per ignoranza....

Ma torniamo al vero argomento: l'idiota pistolotto Mehta.
Quando vado a teatro, io non consento a nessuno, tantomeno a un patetico trombone miliardario, di sfruttare la rappresentazione operistica - per cui ho pagato due volte il biglietto, come pubblico e come cittadino - e in un luogo pubblico (senza previa autorizzazione, sulla base della quale io avrei il diritto di non recarmi a teatro) per impormi proclami politici, che in sostanza non sono altro che la paura di perdere i propri assurdi privilegi.
Oltre che un oltraggio, è un reato. Lo stesso avrei detto se un rappresentante del governo avesse approfittato di una prima a Roma per fare propaganda al proprio partito.
In quel caso, sicuramente, saresti esploso anche tu.

Giuro (e lo faccio pubblicamente, qui sul forum) che la prima volta che mi dovesse capitare di assistere a una cosa del genere, e in passato mi è capitato troppo spesso, sporgerò querela: e lo stesso dovrebbe fare chiunque crede nella libertà e nel diritto.

Detto questo, ti cedo volontieri la replica, ma io torno a parlare di musica....

Salutoni,
Mat
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Re: Frosch a FI

Messaggioda Pruun » lun 10 mag 2010, 19:58

L'idea di cultura di stato è totalmente lontana dal mio modo di essere.
Credo però che lo stato debba garantire il sostegno e la promozione degli eventi culturali, così come dovrebbe farsi garante della laicità dell'istruzione e dell'offerta della sanità pubblica. Purtroppo anche io ci sono passato per lo sfacelo dell'attuale sanità... ma credo che sia possibile garantire un servizio trasparente e equilibrato delle cure pubbliche...
credo che in ambito artistico sia possibile garantire la sopravvivenza anche a chi non ha tessere politiche... credo ancora che lo stato debba e possa aiutare la produzione di eventi culturali senza porsi come il mecenate che sponsorizza ciò che gli piace.
Credo, insomma, che possa e debba esistere una gestione trasparente e pulita dei servizi dello stato al cittadino ma che questi non debbano tradursi in una cultura di stato che soffoca le voci fuori dal coro.
In questo senso intendo il mio essere statalista e questo è quello che, nel mio piccolo, cerco di comunicare.
Ma è possibile che in Italia la politica debba avere questo enorme peso in ogni decisione?

Tornando alle buffonesche indennità: perché non rinnovare un contratto nazionale fermo da anni (è anche per quel motivo che molte sono state inserite) e attuare una riforma seria e non i soliti tagli draconiani che fanno tanta scena ma cambiano tutto per lasciare tutto nello stesso e identico modo di prima?

Però chiudo anche io qui il mio OT perché temo che le nostre posizioni siano inconciliabili
Salutoni
G.
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Re: Frosch a FI

Messaggioda teo.emme » lun 10 mag 2010, 20:52

Scusate l'intrusione nel discorso, però vorrei dire la mia.

Caro Pruun, la tua posizione mi sembra molto ingenua e "romantica", se me lo consenti. Una visione ideologica, utopistica dello stato delle cose - o meglio di come dovrebbe essere lo stato delle cose! il problema è che proprio grazie a posizioni siffatte non si esce dal pantano! Non mi riferisco a te e alla tua buona fede (che immagino condividi con la stragrande maggioranza di chi fa i tuoi stessi discorsi), ma questo "zoccolo duro" di buona fede, utopismo e ingenuità, permette al sistema di mantenersi immobile e profiquo (per alcuni). Dipingere come dovrebbero andare le cose è un buon esercizio intellettuale, ma di scarsa utilità per risolvere i problemi attuali: un esercizio di speculazione, ma che fa perdere di vista l'entità dei problemi e rende impossibile qualsiasi soluzione. E' un po' come quando si dice che la guerra andrebbe "abolita" o la povertà "cancellata": belle parole, ma che nulla servono a risolvere un conflitto vero o una reale situazione di disagio. Mi ricordano i discorsi di taluni all'indomani della caduta dell'URSS: salvare l'idea di comunismo e condannarne (o constatando il fallimento) la realizzazione. Come se fossero cose differenti e l'una non dipendesse dall'altra. Un comunismo ideale non esiste, come non esiste una soluzione miracolosa che cancelli dalla faccia della terra guerre e povertà. Così pure per i rapporti tra stato e cultura (o sanità e istruzione).

Sostieni che lo Stato dovrebbe sovvenzionare la cultura senza intromettersi. Belle parole. Bel costrutto. Ma come pensare che sia realizzabile? Se lo Stato mette risorse ovviamente vorrà ricavare qualcosa e siccome allo Stato non interessa arricchirsi (non sono i soldi il suo problema, non deve guadagnare per vivere, non fa bilanci e non rischia fallimenti) quel qualcosa non sarà il profitto, ma voti e potere. Un governo (qualsiasi) che stanzia fondi in cambio vorrà un tornaconto da spendere in sede elettorale (per garantirsi una rielezione) oppure un potere da distribuire all'interno delle sue formazioni per mantenere quell'equilibrio che gli consenta di perpetuarsi. Nomine, regalie, favori, raccomandazioni, irresponsabilità di chi gestisce male...tutto fa brodo e serve, alla fine, per garantirsi consenso! Succede nella sanità, nell'istruzione, nei servizi, nella cultura.

L'unica soluzione è la completa uscita dello stato dalla gestione di questi settori.

Significa la giungla e l'assenza di controllo? Tutt'altro! Lo stato deve garantire la correttezza del funzionamento, la trasparenza, l'efficienza, l'interesse, il merito e SOPRATTUTTO punire le violazioni. Un sovrintendente messo dal governo non verrà mai punito per i suoi errori, non è responsabile verso nessuno.

L'apertura ai privati non è la svendita della cultura, siamo seri! Non è l'opera interrota con gli spot pubblicitari o gli spettacoli affidati agli amici e parenti degli sponsor. Significa dare autonomia e responsabilità agli enti, trasformarli in soggetti privati, in società responsabili di fronte al pubblico pagante. Che attirino finanziamenti e sponsor per l'eccellenza delle produzioni, per il livello. Se ciascuno fosse responsabile di successi e insuccessi si instaurerebbe un circolo virtuoso. E se qualcuno guadagna che male c'è? E' proprio un peccato il profitto? L'ipocrisia cattolica e marxista è a tal punto penetrata che sarebbe meglio che ci perdano tutti piuttosto che qualcuno - che investe denari - ne ricavi qualcosa?

E qui lo stato dovrebbe intervenire, non regalando soldi a pioggia, non finanziando o creando fondi. Ma detassando gli investimenti, le sponsorizzazioni, al 100%, ad esempio.

Pensi che la Filarmonica di Berlino venga finanziata dalla Merkel?

Dove entra il mercato - ed in presenza di poche ma severe regole che consentano chiarezza e correttezza - il malaffare sparisce! Guarda gli scandali di questi giorni con la Protezione Civile: è la dimostrazione del danno che può fare lo stato quando fa l'imprenditore, quando gestisce cose che non gli competono. Tanto a fine anno non fa bilanci e se assume 100 persone per un lavoro per cui ne sarebbero bastate 10, nessuno lo rimprovera, anzi quei 100 lo rivoteranno alle successive elezioni.

L'alternativa è tra cultura di stato (con sprechi e ruberie e mortificazione artistica) e cultura privata (meritocratica ed efficiente), non esiste una soluzione diversa: la cultura finanziata dallo stato, ma in cui lo stato non mette becco è pura letteratura!

Questo decreto farà schifo, non ne dubito, ma ancora più schifosa è la squallida difesa dello status quo...di chi ha mangiato e vuole continuare a farlo. Di chi scambia il privilegio per diritto. Di chi ritiene sacrosanta "l'indennità smocking", o quella per cantare in una lingua straniera, o quella del proprio strumento (chi usa uno strumento suo - cioè quasi tutti gli orchestrali - ha diritto ad un incentivo VITALIZIO), o l'indennità per aver superato la mezzanotte.... E che dire delle maestranze militarizzate che sognano ancora Stalin? E i giardinieri del Massimo di Palermo...che non ha giardino? E si può andare avanti...

In realtà chi protesta sguazza in questo sistema, si arricchisce e si garantisce rendite e favori: dal sovrintendente all'ultimo dei macchinisti...tutti solidali nel protestare. Tutti che si lamentano nella stessa maniera: tutti che a voce vogliono un cambiamento che...non cambi nulla... Certo si riempiono la bocca di parolone di costrutti di utopie (come le proposte di Rendine) tanto a parlare dei massimi sistemi non costa nulla....

E naturalmente il rito dello sciopero! Come nei primi del '900... Scioperano solo alle recite (non alle prove...così si tengono tutto lo stipendio e le relative indennità), così chi ci va di mezzo? Poche centinaia di persone che pagano il biglietto e gli pagano lo stipendio (oltre al diritto di scioperare), le uniche che non dovrebbero essere punite....
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Re: Frosch a FI

Messaggioda Pruun » lun 10 mag 2010, 21:13

Vado un po' di fretta:
sarò romantico, ma questo è quello in cui credo. Se ammettiamo che non sia possibile fornire dei finanziamenti ai teatri o detassare eventuali ingressi di sponsor privati (non mi pare che sia previsto nulla del genere nel decreto) a me non pare pura fantascienza auspicare, come ho fatto più sopra, che le nomine dei sovrintendenti si sleghino completamente dalla politica.
Perché in Italia si programma tutto all'ultimo minuto? Perché i teatri sono talmente inseriti nella vita politica locale che il sindaco è automaticamente capo del cda e decide direttore artistico e sorvintendente... Questo non può cambiare?
Non credo di essere romantico se auspico un sistema trasparente che premi la produttività:
per quanto riguarda i casi dei lavoratori ci sono stati casi limite di incompetenza e di inaffidabilità (le orchestre a contratto se lo sognano di scioperare) ma questi casi possono essere isolati senza che ne vadano di mezzo tutti i lavoratori stabili dei teatri?
teo.emme io capisco il tuo pensiero, ma l'immagine di uno Stato che:
vorrà ricavare qualcosa e siccome allo Stato non interessa arricchirsi (non sono i soldi il suo problema, non deve guadagnare per vivere, non fa bilanci e non rischia fallimenti) quel qualcosa non sarà il profitto, ma voti e potere. Un governo (qualsiasi) che stanzia fondi in cambio vorrà un tornaconto da spendere in sede elettorale (per garantirsi una rielezione) oppure un potere da distribuire all'interno delle sue formazioni per mantenere quell'equilibrio che gli consenta di perpetuarsi. Nomine, regalie, favori, raccomandazioni, irresponsabilità di chi gestisce male...tutto fa brodo e serve, alla fine, per garantirsi consenso! Succede nella sanità, nell'istruzione, nei servizi, nella cultura.

Questa immagine, dicevo, fa a pugni con il concetto di senso civico. O almeno con il concetto di senso civico che ho io.
Non nego che la realtà sia questa, chi mi conosce sa che sono molto meno sognatore e "cattolico" di quanto possa apparire in questi post, ma credo anche che la situazione possa e debba essere cambiata.

Ci sono sovrintendenti che hanno lasciato tre teatri, uno dopo l'altro, con i conti in rosso: perché queste persone non vengono INTERDETTE dalla professione?
Possibile che l'idea di uno stato in grado di garantire un servizio pubblico EFFICIENTE ai livelli più delicati (sanità, istruzione, ricerca e produzione culturale) senza INTROMETTERSI nelle scelte artistiche sia irrealizzabile?
Questo chiedo, perché se ammettiamo che lo Stato deve fare ogni cosa per ottenere voti (e non nego che sia così OGGI e QUI, purtroppo) ammettiamo anche che il senso civico sia un oggetto completamente sconosciuto e alieno all'Italia e ai suoi abitanti.
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Re: Frosch a FI

Messaggioda MatMarazzi » lun 10 mag 2010, 21:58

Pruun ha scritto:Questo chiedo, perché se ammettiamo che lo Stato deve fare ogni cosa per ottenere voti (e non nego che sia così OGGI e QUI, purtroppo) ammettiamo anche che il senso civico sia un oggetto completamente sconosciuto e alieno all'Italia e ai suoi abitanti.


Se vedi la cosa in senso più ampio, credo che la risposta venga da sola.
Lo Stato per esistere (e guai se non ci fosse) ha bisogno della politica; la politica è pertanto utile e necessaria, ma non capisce molte cose: capisce solo sè stessa, ossia la politica.
Non capisce l'arte, non capisce la cultura, non sa nulla nè di istruzione, nè di sanità, nè di mercato, nè di ricerca, nè di informazione... capisce solo se stessa.
Non c'è nulla di male in questo: in fondo il suo compito è fare politica (e non cultura e tutto il resto), ossia occuparsi dei rapporti fra i cittadini e tutt'al più, ne convengo con te, porgere una mano a quei cittadini sfortunati, che per varie ragione hanno bisogno di aiuto.
Ma tutto il resto non è suo compito.
La cultura, la ricerca, il pensiero, la produzione di firgoriferi e che so io... riguarda solo la società civile.
Non è in ballo il "senso civico" dei politici (io sono pieno di senso civico, ma se dovessi fare il politico... farei il politico!); è in ballo la materiale impossibilità della politica di occuparsi di cose diverse da sè stessa.
E dunque... lasciamo alla politica gli importantissimi compiti che solo lei può svolgere, ma facciamola uscire a calci nel sedere da tutto ciò in cui si è allargata indebitamente.

Comunque, ragazzi... perchè non cerchiamo (io per primo) di riportare il discorso alle questioni che possono interessare un forum dedicato alla musica e non alla politica?
La questione era: ha diritto un sindacato di dipendenti di un teatro, o un sovrintendente, o un direttore d'orchestra di usare un teatro - che non è loro, altrimenti se lo dovrebbero pagare con i loro soldi - per farvi comizi di natura politica, da imporre (senza diritto di replica) al pubblico venuto per tutt'altro?
Dobbiamo ancora sopportare senza reagire che "una parte" sfrutti - senza spendere una lira, anzi a spese nostre - un luogo pubblico e un contesto a-politico (come una rappresentazione teatrale) per farvi una propaganda unilaterale delle proprie idee?
L'argomento era questo ed effettivamente questo riguarda anche un forum di appassionati operistici....

Salutoni,
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Re: Frosch a FI

Messaggioda Maugham » mer 12 mag 2010, 12:13

MatMarazzi ha scritto:
La questione era: ha diritto un sindacato di dipendenti di un teatro, o un sovrintendente, o un direttore d'orchestra di usare un teatro - che non è loro, altrimenti se lo dovrebbero pagare con i loro soldi - per farvi comizi di natura politica, da imporre (senza diritto di replica) al pubblico venuto per tutt'altro?

L'argomento era questo ed effettivamente questo riguarda anche un forum di appassionati operistici....
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Bravo. Secondo me questo è il punto e vi garantisco che -oltre alla Frau - mi premeva sottolineare proprio questo concetto.
Qualsiasi struttura pubblica - come un teatro - non appartiene a chi ci lavora.
Al di là del fatto che la protesta sia valida o meno, trovo scorretto che lo si utilizzi come un megafono per comunicare i propri disagi.
Come troverei fatidisoso che i dipendenti telecom o vodafone mi costringessero ad ascoltare un messaggio preregistrato prima di ogni telefonata durante periodi di turbolenza.
Ci pensate?
Se vuoi protestare, scioperi. Ci mancherebbe.
Se però non scioperi, significa che lavori. E allora basta proclami, striscioni, volantini. Basta medaglie al valore, ringraziamenti e roba simile.
Si tratta di una serata normale in cui si lavora e basta.
Riguardo alle riflessioni di Pruun, senza entrare nel dettaglio, dico solo una cosa.
Se una Fondzione lirica, qualora decidesse di non aprire neanche una sera e quindi per un'intera stagione non scritturasse neanche un cantante o un regista nè facesse sentire una sola nota chiuderebbe -lo disse Tutino in un'intervista- comunque con diversi milioni di euro di passivo. A causa dei costi fissi rappresentati principalmente dal personale. Personale che -intervista di Tutino al Corriere della Sera del 15 ottobre 2009- è composto anche di orchestrali che "percepiscono stipendi medi lordi che vanno dai 45.000 ai 60.000 euro per meno di tre ore di lavoro al giorno". Magari anche Tutino è un privilegiato e quindi può apparire il meno indicato a fare queste dichiarazioni. Ritengo però che ci si debba concentrare solo sul fatto se queste dichiarazioni siano vere o meno. Se lo sono, sono davvero impressionanti.
Ora, qui non c'entra più la destra e la sinistra, il centro e il sopra e il sotto; si tratta semplicemente di un sistema che non funziona e non tiene. O meglio, tiene finchè ci sono periodi di vacche grasse ma collassa quando le risorse finiscono.
Un sistema che deve essere riscritto. E la riscrittura ovviamente deve avere come fine principale l'abbattimento dei costi fissi. Ma se si pensa di poter far ripartire su basi diverse la macchina opera in Italia non mettendo in discussione proprio quello che in primis è la causa del suo disagio... be', la vedo dura.
A meno che qualcuno non mi dismostri che solo con il personale fisso e pubblico un teatro d'opera possa raggiungere eccelsi risultati.
Ma non mi sembra il caso vista l'attuale situazione di marginalità in cui versano i palcoscenici italiani da anni imbraghettati in questo sistema.
Riguardo a Teo.emme, ti sono sincero. Tu accusi Pruun di ingenuità ma, permettimi, sul fronte opposto anche tu pecchi di astrazione.
La privatizzazione totale come auspchi tu, allo stato attuale, nelle grandi istituzioni, non esiste da nessuna parte del mondo.
Lo dimostra il fatto che l'orchestra che citi (i Berliner), al contrario di quanto affermi, riceve sovvenzioni pubbliche così come la ricevono tutti gli altri organismi presenti nella città. Adesso sono fuori casa e non ho il link sottomano che rimanda a una relazione fatta dal Comune di Roma riguardo ai principali investimenti pubblici culturali nella capitali europee. Ma se volete lo posto. La differenza però sta nel fatto, e qui ti do ragione, che le sovvenzioni pubbliche non costituiscono di certo per i Berliner l'unica ragione di vita dell'istituzione. Basta fare un giro sul sito. La struttura organizzativa, tencnica, produttiva è fortemente privatistica (in senso alto) e il finanziamento pubblico è solo uno dei tanti "sponsor" che sostengo l'attività. Non la sua ragione d'esistere.
Ora mi suona il telefono e vi devo salutare. :(
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Re: Frosch a FI

Messaggioda teo.emme » mer 12 mag 2010, 19:27

Maugham ha scritto: La privatizzazione totale come auspchi tu, allo stato attuale, nelle grandi istituzioni, non esiste da nessuna parte del mondo.
Lo dimostra il fatto che l'orchestra che citi (i Berliner), al contrario di quanto affermi, riceve sovvenzioni pubbliche così come la ricevono tutti gli altri organismi presenti nella città. Adesso sono fuori casa e non ho il link sottomano che rimanda a una relazione fatta dal Comune di Roma riguardo ai principali investimenti pubblici culturali nella capitali europee. Ma se volete lo posto. La differenza però sta nel fatto, e qui ti do ragione, che le sovvenzioni pubbliche non costituiscono di certo per i Berliner l'unica ragione di vita dell'istituzione. Basta fare un giro sul sito. La struttura organizzativa, tencnica, produttiva è fortemente privatistica (in senso alto) e il finanziamento pubblico è solo uno dei tanti "sponsor" che sostengo l'attività. Non la sua ragione d'esistere.
Ora mi suona il telefono e vi devo salutare. :(
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Beh..un conto è la sovvenzione, l'investimento che lo Stato può fare e che fa volentieri (a fronte di prestigio ed eccellenza dell'istituzione) altra cosa è dipendere dal rubinetto statale, dal sovrintendente di nomina politica, dai sindacati che si spartiscono la torta, dalle pressioni dei privilegiati. Non si tratta di auspicare una privatizzazione totale: impossibile, nessun teatro riuscirebbe a sostenersi solo così. Si tratta di aprire ai privati e diventare, in primis, soggetto privato. Ora gli enti lirici hanno uno status ibrido, nel CDA siedono esponenti politici (sindaci e assessori) o soggetti nominati dall'autorità centrale. Vige un inaccettabile principio di irresponsabilità contabile, politica e amministrativa. Nessuno paga se sbaglia. E nessuno viene premiato se merita. In sostanza nessuno rischia nulla. Come dici tu lo Stato deve diventare uno dei tanti sponsor, non il "pantalone che paga"...e che poi vorrà un suo tornaconto (piazzare persone e garantirsi un futuro).

Pruun io non discuto sui sogni...so bene come dovrebbe essere, ma mi accontento di constatare come è! E non solo in Italia, non facciamo qualunquismo, accadrebbe dappertutto se dappertutto ci fosse una gestione statale della cultura. Lo Stato e la Società sono soggetti astratti: non esistono, esistono SOLO gli uomini che ne fanno parte. Lo Stato è il governo che lo fa funzionare e i suoi membri i suoi elettori i suoi elementi. Se guardi bene le cose funzionano solo dove lo Stato è stato messo al margine, quando si limita a dare regole, a garantire la trasparenza, la parità d'accesso...laddove si immischia nel merito succede il disastro (vedi scandali di questi giorni...attribuiti ERRONEAMENTE ad una gestione privata delle emergenze, ma dovuta allo Stato che si fa imprenditore, sceglie, dispensa favori e - dato che ha un portafoglio senza fondo - permette di spendere e spandere e crea corruzione. Un privato non può permettersela). E' bello credere ai miracoli, ad uno stato perfetto che da soldi a tutti senza chiedere nulla, al rispetto di valori e regole, all'onestà assoluta...ma è illusorio credere di imporre tutto questo per legge! Allora non è meglio evitare il rischio, levare allo Stato ogni tentazione? Guarda che a furia di guardare il cielo con lo sguardo in alto e bearsi delle stelle...si inciampa o si pesta qualcosa di sgradevole.
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Re: Frosch a FI

Messaggioda Pruun » mer 12 mag 2010, 22:02

Quando auspicavo una detassazione totale degli investimenti privati (adesso non c'è in Italia, c'è, mi pare, circa al 23 %) auspicavo proprio lo scenario che state prospettando. Idem quando più sopra auspicavo uno slegarsi della politica locale dalla gestione dei teatri. Su questo la vediamo allo stesso identico modo.
Ciò non toglie che lo stato deve comunque garantire la sua parte: in Italia siamo quelli che investono di meno in quest'ambito.
So bene che il sistema e i costi di gestione sono insostenibili: ma che si riformino i contratti (non so da quanto sono fermi), che si eliminino le indennità più becere (alcune delle quali inserite perché il rinnovo del contratto, appunto, non avveniva)*... che si faccia, insomma, una riforma seria.
Questo governo a me pare che vada a tagliare i cosiddetti e supposti "sprechi" (che io vedo come risorse) senza puntare a dove i soldi escono veramente (non si può fare niente per limitare il fatto che i cachet in italia son più alti che all'estero, ad esempio?)

Per quanto riguarda il fatto che la politica debba occuparsi di politica... Mat, scusami ma non sono d'accordo: la politica si occupa dei cittadini e dei servizi da garantire ai cittadini. Questo è politica. La politica come mestiere che si occupa di se stessa, secondo una definizione dalemiana che trovo disgustosa, è un qualcosa che non mi appartiene.

Stando così le cose io approvo il pistolotto di Mehta, almeno da quanto mi raccontano, visto che non c'ero. :wink:

*questo almeno a quanto ne so io.
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SALISBURGO 2011

Messaggioda MatMarazzi » sab 06 ago 2011, 13:09

SALISBURGO - 2011
Qualche considerazione


Non ero attratto da questa nuova produzione, tanto che non ho nemmeno organizzato una trasferta Wanderer (andremo a vedere solo il Macbeth, quest'anno).
Le ragioni erano varie. Intanto il cast - a parte la Herlitzius, che comunque avevo già sentito ad Amsterdam - era tutto sbagliato.
E poi non mi fidavo né di Thielemann, né di Loy.
Alla luce della diretta satellitare dello spettacolo, le mie perplessità mi si sono rivelate fondate...

NON MI FIDAVO DI THIELEMANN
Ma come? Uno Straussiano doc come lui!
Appunto! Io propongo di sottoscrivere una petizione: togliere ai direttori "straussiani", ai maestri della retorica e dello sfarzo, ai cultori dell'effettone grandioso il controllo su quest'opera meravigliosa.
Thielemann è il capofila (non solo a Salisburgo ma anche a Bayreuth) di quel ritorno nostalgico ai veri "direttori di una volta" che certo pubblico rimpiange:
quei direttori forti e corrucciati che, con virile potenza e muso severo, prendono l'ascoltatore, lo sculacciano con fortissimi assordanti, ottoni megafallici, esplosioni telluriche e poi lo coccolano voluttuosamente con pianissimi di velluto, portamenti lacrimosi, violini ansimanti;
quei direttori che su ogni modulazione (ogni!) rallentano e gongolano come in un orgasmo;
quei direttori che dilatano i tempi all'inverosimile (perché tutto deve essere enorme, gigantesco, fecondante);
quei direttori che non sanno mai ridere, mai scherzare, mai ironizzare (persino in un'opera coma la Frau, così carica di gioco e di grottesco), perché il sorriso sminuirebbe la loro potenza metasessuale.
Capisco che possa piacere: Thilelemann è il direttore giusto per chi vede nella Frau non uno dei più raffinati miracoli culturali del primo Novecento, ma una sorta di rituale erotico, una sacrificale disposizione a essere preda della bacchetta "grande così".
E questo spiega gli applausi fragorosi che - da questo punto di vista - Thielemann si è effettivamente meritato: metà del pubblico salisburghese ha goduto tanto da averne abbastanza per qualche anno.
Intendiamoci: non c'è niente di male a procurare al pubblico più nostalgico e sessualmente confuso una lunga serie di orgasmi multipli (e almeno Thielemann sa come procurarli: Mehta invece ci prova, ci prova...), purché non si cada nella trappola di trasfromare la Frau nella colonna sonora di un vecchio colossal hollywoodiano.

Il rischio di questa partitura sta principalmente in quella patina di magniloquenza e di edonismo che ne ricopre la parte orchestrale.
Non è una critica: l'edonismo straussiano è, per certi versi, indispensabile a creare quell'atmosfera magica (anche se non sempre in sintonia con la naturalezza e umanità dei versi) che aiuta a trasformare i concetti in astrazioni, la vicenda in parabola, l'emozione in sintesi morale.
Ci vuole! Ci sta.
Ma è necessario che il direttore sia consapevole che di "patina" si tratta: e invece purtroppo molti "straussiani" doc ci si buttano come se fosse l'essenza stessa dell'opera, con voluttà autocelebrativa, compiacimento e megalomania logorroica.
Invece di sfruttare quella patina, la esasperano al punto da soffocare ciò che dovrebbe filtrare in controluce e che veramente conta.
L'orchestra dovrebbe come essere un vetro trasparente, filtro opacizzante della verità retrostante, e invece - con i direttori alla Thielemann - diventa un muro invalicabile, anzi... uno specchio che riflette il loro narcisismo.
Sono anni che dico che la Frau dovrebbe essere tolta ai direttori "esperti di Strauss" e affidata a interpreti abituati ad andare oltre il suono, a temperare il machismo sinfonico invece di esaltarlo; interpreti abituati alle stratificazioni sonore ed emotive di Strawinsky e Bartok.
Boulez sarebbe stato l'interprete ideale della Frau (e in un'intervista, anni fa, ammise anche che il libretto gli sembrava il più bello mai scritto).
Oggi lo sarebbe un Salonen e, con molta probabilità, anche un Rattle (purché NON con i Berliner).
Ma nulla di tutto questo a Salisburgo: finché ci saranno direttori come Thielemann, metà del pubblico uscirà instupidito dagli orgasmi mutlipli e non avrà capito nulla della Frau, l'altra metà uscirà nauseata dall'elefantiasi orchestrale, ne darà la colpa a Strauss e, ancora una volta, non avrà capito nulla della Frau.


NON MI FIDAVO DI LOY.
Ormai possediamo elementi sufficienti per sapere qual'è il problema di Loy.
Sarebbe (purtroppo per lui) un tipico regista tedesco, il che significa cresciuto - come quasi tutti i registi tedeschi - a suon di totem ideologici e logore iterazioni simboliche un po' freudiane, un po' marxiste, un po' brechtiane, un po' cabarettiste.
Se potesse fare questo e basta sarebbe felice: farebbe le sue belle mostruosità come Neuenfels e Stein e tutto andrebbe bene.
Invece il poveretto rappresenta la "maglia rotta" di Montaliana memoria.
A differenza dei soliti tedeschi, costui - forse per la giovane età - si è guardato intorno.
E quel che ha visto (purtroppo per lui) gli è piaciuto.
Ha visto l'emotivà figurativa, la tenerezza dissacratoria, la mobilità moderna di Carsen; ha visto il genio dissimulatore e la ricerca nelle fibre più segrete dell'umanità di Jones; ma soprattutto ha visto il genio ricontestualizzatore e destrutturante di Cerniakov e soprattutto di Guth.
Guht è il suo spettro! Per molti il suo più acerrimo nemico.

Tedesco come lui, pressapoco della stessa età, Guth è stato il primo regista tedesco a liberarsi completamente (o quasi) dell'eredità tedesca e a sviluppare uno stile moderno e vitalissimo, tanto da essere divenuto uno dei massimi esponenti della regia musicale attuale.
Il suo segreto, l'abbiamo visto, consiste nella capacità inaudita di destrutturare un testo, stravolgerne il plot, le dinamiche psicologiche, le prospettive etiche.
Le sue non sono solo "ricontestualizzazioni" lavorate fin nel più infimo dettaglio, sconcertanti di coerenza e verità (altro aspetto in cui Guth è un maestro); è proprio tutta la vicenda a trasformarsi sotto le sue mani in qualcosa di incredibilmente vivo e autonomo.
Prima che all'orizzonte si profilasse Cerniakov (l'altro destrutturore di genio del nostro tempo), nessuno era arrivato ai livelli di Guth in questo senso.
Ed è così che il povero Loy (che non è nè un ricontestualizzatore, nè un destrutturatore) invece di continuare con i suoi confortevoli vecchiumi alla tedesca, si è messo in testa di emulare il rivale, con risultati semplicemente catastrofici.

Facciamo un passo indietro.
Qual'è l'abilità di un "ricontestualizzatore-destrutturatore"?
Verrebbe da dire l'intuito di immaginare storie e contesti alternativi.
No! Non è questo.
Se fosse tutto qui saremmo veramente capaci tutti.
Volete un esempio? Guardate come sono bravo io!
Allora, la Kaiserin in realtà è un'idealista francese dai sogni rivoluzionari e segretamente innamorata di Fidel Castro (il Kaiser). La moglie di Barak è una profuga cubana, fuggita dalla dittatura, trasferitasi in francia e corteggiata dai servizi segreti americani (la Nutrice è Condoleeza Rice sotto mentite spoglie).
Bello no?
Volete un altro esempio?
Ok, Barak è un osso e sua moglie è un cane che l'ha seppellito ma non si ricorda dove.
Il Kaiser è un allevatore di cani e la Nutrice una veterinaria.
E l'imperatrice? Una strana creatura metà cagna, metà donna.
Come vedete il gioco è di una facilità disarmante. Ci potremmo provare tutti.
Non di meno, nessuno di noi è Guth! :)
Semplicemente perché la bravura nel ricontestualizzare e destrutturare non sta nel partorire idee più o meno buffe, più o meno simpatiche.

La bravura la si vede piuttosto:
1) nella capacità di raccontare la nuova storia col solo mezzo dell'immagine (e anzi dell'immagine che scaturisce dalla musica) E FARLA CAPIRE PERFETTAMENTE AL PUBBLICO!
2) nella capacità di far aderire la nuova storia a ogni singola articolazione della vecchia, in modo che tutti i punti "topici", i climax, le rivelazioni, gli scioglimenti, le catarsi e ogni altro snodo del plot orginale (regolarmente sottolineati dalla musica) fungano da tessitura alla nuova vicenda. Altrimenti tanto vale fare una regia su un'altra opera!

E' per la capacità di gestire maniacalmente questi due aspetti che Cerniakov e Guth sono due maestri.
Non per le storie che sanno inventare, ma per come le sanno raccontare col solo supporto delle immagini, per come sanno farle capire perfettamente a un pubblico che si aspetta tutt'altro e per come sanno farle aderire come un guanto a tutte le articolazioni della storia vecchia.
E' precisamente su questi fronti che, invece, Loy è un piccolo disastro!

Vediamoli uno alla volta.
1) raccontare la "nuova" storia solo con le immagini.
Il regista destrutturatore ha tutto contro: le parole del libretto non lo aiutano (come è noto erano state pensate per un'altra vicenda, un'altra psicologia). Non è aiutato nemmeno dalle conoscenze pregresse del pubblico che, nella mente, ha impressa la storia "vera" di un'opera e tenderà a leggere ciò che vede in funzione di quella storia.
Quindi il regista d'opera ricontestualizzatore non ha che le immagini per portare il pubblico per mano a farsi raccontare una storia "nuova", a capirla, a riconoscercisi.
L'arte sta qui: come far "capire" la nuova storia, la nuova ambientazioni, i nuovi personaggi, non avendo altro supporto che le immagini, e dovendo combattere con le remore di un pubblico che si aspetta tutt'altro?
Eh... qui ti voglio.
Per prima cosa bisogna che scenografia e costumi siano perfettamente "chiari" tanto che il pubblico si senta immediatamente a suo agio col "nuovo" tempo e col "nuovo" spazio scelti dal regista.
Loy ci prova e, almeno all'inizio dell'opera, ci si mette con impegno e tutto sommato con buoni risultati!
In questo caso è bastato un secondo perché Maugham (espertissimo storico della discografia) riconoscesse la sala del Musikverein che funse da studio di registrazione della prima Donna Senz'Ombra discografica (Decca 1955, Bohem).

Immagine


Anche i costumi (vistosissimamente anni '50) confermavano la nuova contestualizzazione.
Per lo studio si aggiravano persino personaggi "storici" della DECCA di quegli anni, tecnici, ingegneri, producer ben noti a chi conosce quella fase storica.
Ma già qui c'è il primo baco di Loy.
Quanti sono in grado di riconoscere quel contesto?
Quanti del pubblico possono sapere che negli anni '50 fu registrata la Donna senz'Ombra al Musikverein, in appena quattro giorni (quindi con take che duravano per un intero atto e senza la possibilità di ripetere)? Quanti sanno che quella registrazione fu effettuata di inverno e senza riscaldamento (e questo spiega perché tutti i cantanti indossino i soprabiti)?
Io credo solo Maugham! :)

Il vero "ricontestualizzatore" deve scegliere contesti che chiunque nel pubblico possa comprendere, non solo chi conosce la storia delle incisioni post-belliche!
Perché secondo voi ogni contesto scelto da Guth o da Cerniakov - non parliamo di Carsen - si capisce immeditamente?
Perché optano per contesti facilmente identificabili, simboli comprensibili, attinti al nostro patrimonio comune di esperienze.
Loy invece fa il fighetto :) : lui vuole la contestualizzazione "colta", che dimostri le sue vaste conoscenze, ma che solo un'infima minoranza del pubblico potrà effettivamente decifrare.

Ora andiamo sul difficile: avendo cambiato il contesto, il destrutturatore è costretto a cambiare i personaggi, i quali infatti devono avere senso nel "nuovo" contesto.
E, ovviamente, è dura pensare che tintori e imperatori passeggino in uno studio di registrazione degli anni '50.

Bene!
Che quindi tutti i personaggi dell'opera divengano "cantanti professionisti" (impegnati nell'incisione della Frau) è chiaro.
Che il problema della "maternità" possa riguardare due giovani primedonne che stanno facendo carriera è altrettanto chiaro.
Che ci siano rapporti "amorosi" fra i vari cantanti (che guarda caso corrispondono agli stessi rapporti amorosi fra i personaggi) è magari un po' patetico, ma è comunque chiaro.
Se però cerchiamo di andare un po' a fondo, tutto diventa più confuso.
Ad esempio, quali motivazioni spingono la nutrice ad essere così crudele con la collega (moglie di Barak)? Quali legami la stringono alla Kaiserin?
In cosa consiste il rapporto amoroso tra il "nuovo" kaiser e la "nuova" Kaiserin" (sono sposati? sono solo amanti? Sono semplicemente attratti l'uno dall'altra)?
Perché la moglie di Barak è così ostile all'idea di avere dei figli?
Cosa la attrae veramente del mondo "operettistico" che la nutrice le propone in cambio (strano, peralto, che signorine in paillettes e penne di struzzo si palesino nel bel mezzo di una registrazione straussiana al Musikverein!)?

Su tutti questi punti Loy avrebbe delle idee (lo sappiamo perché lui stesso ce le spiega in testa alla trasmissione) ma la domanda é: è in grado di fornirci gli strumenti per capirle semplicemente dalle immagini?
Davvero pensa che il pubblico - senza la spiegazioncina - avrebbe potuto ricavarle solo dalle immagini?
La risposta è no e ne è la prova proprio il bisogno di Loy di spiegare... spiegare... spiegare... in TV, atto per atto, quello che vuole fare, addirittura facendo raccontare dall'annunciatrice televisiva non la trama "vera" della Frau, ma la trama per come l'ha pensata lui.
:lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
Non trovate che tutto questo sia assolutamente ridicolo?
Comodo fare la lezioncina prima dell'opera: è la prova del proprio fallimento.
Quello che ci interessa non è il "cosa" vuoi fare, ma il "come" lo fai, caro il mio Loy.
E, se hai bisogno di fare la lezioncina prima, vuol dire che il tuo "come" fa acqua!

Ma veniamo al punto 2: la seconda grande difficoltà del regista "destrutturante".

2) la sovrapponibilità contrappuntistica (punctus contra punctum) della "nuova storia" su ogni singolo verso del libretto, ogni articolazione narrativa e drammaturgica, ogni snodo retorico ed emotivo, ogni sollecitazione musicale.
In pratica la nuova storia (non importa se bella o brutta) deve aderire come un guanto alla base statica (libretto e spartito), ai suoi tempi, alle sue dinamiche.
Su questo si giudica l'efficacia di una regia con velleità destrutturanti: ogni "novità" deve aver senso sul vecchio tessuto narrativo.

Voglio fare un esempio tratto da una produzione che penso tutti abbiamo visto: la Dama di Picche di Dodin, nata a Parigi e arrivata anche a Firenze.
Io non sono affatto un ammiratore di Dodin, ma devo ammettere che - da questo punto di vista - è un gigante rispetto a Loy.

Tutta la vicenda della "Pikovaya" fu da lui risolta come la farneticazione di un pazzo in manicomio.
Non un flash-back (come scrissero i soliti teneri critici italiani): non si trattava del passato che rivive in Hermann dopo che è stato internato.
Tutt'altro.
Era proprio un matto che si inventa nella sua testa una storia mai esistita e la costruisce pezzo per pezzo traendo spunto dalla realtà - opportunamente alterata - che gli sta intorno: avete presente Shutter Island? Ecco!.
Per aiutarci a distinguere la realtà (il manicomio vero) e la fantasia (questa strana storia di ambientazione settecentesca di cui Hermann è protagonista) il regista faceva vestire i personaggi "reali" (ad esempio le infermiere, i medici, i malati) in modo moderno e inconfondibile, mentre i frutti delle farneticazioni di Hermann erano in sfarzosa foggia settecentesca.
Così, ad esempio, la Contessa.
Fin dalla prima scena la Dernesch appariva in scena col parruccone bianco, le crinoline, gli abiti maestosi di una nobildonna barocca.
Il pubblico la colloca immediatamente come frutto della fantasia di Hermann, semmai potrebbe chiedersi se questa fantasia ha o non ha un legame con la realtà...

Ok, come tutti sanno, uno dei punti topici della Dama di Picche è l'apparizione dello spettro della contessa al terzo atto, dopo che Hermann ne ha causato la morte.
Bene. Il vero destrutturatore non può prescindere dai punti topici, e li deve sfruttare: essi devono "restare" punti topici, anche nella nuova storia.
Se non lo facesse sarebbe un pessimo destrutturatore: infatti il pubblico noterebbe lo stridore fra il rilievo che (musicalmente e teatralmente) è dato a un certo momento e il fatto che, nella regia, non succede nulla.
Inoltre la contessa appare, nel libretto, sotto altre vesti: non più in carne e ossa, come prima, ma come spettro (o incubo di Hermann).
Nella sua "nuova storia" il regista destrutturatore dovrà comunque sfruttare il fatto che il pubblico si aspetta a quel punto una contessa "diversa" rispetto a prima ed è tutto fremente in attesa della metamorfosi.

Bene! Sapete come ha risolto Dodin l'apparizione dello spettro della Contessa?
Immaginate: schianti di fulmini, clangori di tempesta... il povero Hermann che si agita tutto solo nel suo manicomio con la camicia di forza.
Improvvisamente si accendono le luci nel corridoio, la porta a vetri si spalanca e, nel pieno dell'esplosione orchestrale, entra la Dernesch, ma questa volta senza abiti settecenteschi, senza parrucche e gioielli: no, semplicemente vestita da caposala.
Avete presente Louise Fletcher in "Qualcuno volò sul nido del cuculo"? Ecco.

Il punto "topico" è stato rispettato da Dodin in maniera geniale. Il pubblico ha subito la scossa elettrica della "rivelazione" servito sul piatto d'argento di un libretto e una musica pensati proprio in funzione del colpo di scena!
In quel momento è chiarissimo che la contessa per Dodin, lo spettro che ossessiona Hermann, questa chimera di morte e di riscatto che la sua testa malata ha partorito, ha la sua bella radice nella realtà: altri non è che una rivisitazione delirante di colei che detiene il "potere" all'interno del microcosmo ospedaliero.

Ecco cosa deve fare un vero destruttoratore.
E Loy cosa fa?
Dato che la sua "nuova storia", fin dal secondo atto, fa acqua da tutte le parti, Loy non è più in grado di farla aderire alla vecchia, tanto che persino i momenti "topici" (quelli in cui ogni regista dovrebbe battere la grancassa) finiscono puntualmente sperperati.

Prendiamo - ad esempio - il meraviglioso monologo dell'Imperatrice al terzo atto "Vater, bist du's".
Quello sarebbe il momento dell'opera in cui tutti i nodi si sciolgono.
Ovvio che Strauss e Hofmannsthal gli abbiano riservato un rilievo grandioso CHE DEVE RIMANERE TALE QUALUNQUE STORIA SI DECIDA DI RACCONTARE!!!
Loy però è già da molto tempo nel pallone! Nemmeno lui sa più, a questo punto, quale "nuovo scioglimento" far corrispondere allo scioglimento originale.
Chi sarebbe il misterioso "Keikobad" che questa giovane cantante (in uno studio di registrazione) chiama Padre? Perché si rivolge a lui?
Che rapporto ha con la storia? Come può rappresentare la ragione della disperazione della Kaiserin e come lei può sperare di ricevere grazia e aiuto da lui?
Se almeno fosse apparso Culshlaw, nume della Decca in quegli anni, o comunque un agente, un impresario, qualcuno....
Anche solo il medico che le porta il referto: è incinta!
E invece niente.
Il povero Loy è ridotto a circondare la Kaiserin in un occhio di bue (bello, suggestivo, ma che senso ha? Perché in uno studio di registrazione una cantante sola dovrebbe essere circondata da un occhio di bue?) e la fa cantare tutto il tempo da sola, magari rotolandosi un po' in terra (ci sta sempre bene) e farneticando di un Keikobad che nessuno capisce chi sia e cosa rappresenti.

Sempre nella stessa scena si trova uno dei climax più spettacolari della storia dell'Opera: l'orchestra da un mormorio di terrore approda a un gigantesco, tellurico fortissimo, mentre - da libretto - dovrebbe apparire l'atroce immagine dell'imperatore quasi completamente trasformato in pietra (tranne gli occhi che continauno a roteare all'impazzata, ricolmi di terrore e pieni di lacrime).
E' un momento che bisogna essere scemi per non sfruttare!
Con una simile musica sotto, qualsiasi immagine, qualsiasi concetto diventa grandioso!
Trattami bene questo punto e la tua regia è una vittoria!
E Loy?
Che domande? Ovviamente non succede niente: l'orchestra esplode, il ritmo narrativo si rallenta, l'orrore dilaga... e in scena tutto resta uguale.
Sempre lei da sola che, non si sa perchè, ora si è messa a urlare come una matta.

E che dire del momento in cui, da libretto, dovrebbe scaturire l'acqua della vita e formarsi per la prima volta l'ombra dell'imperatrice?
Anche quello è un momento "topico", anzi di più: catartico.
E' lì che tre ore di vicenda sciolgono i loro nodi e si approda alla chiusura finale.
Cosa fa Loy? Ma cosa può fare poveretto?
Ci piazza una bella luce radente e finalmente fa entrare in scena - pacioso e felice - l'imperatore (che doveva entrare per forza, visto che a quel punto deve cantare).

Ma perché la luce radente? Che senso ha con il resto della storia che Loy ha cercato di raccontare?
Che rapporto c'è con il dramma della "nuova" Kaiserin? In cosa consiste la catarsi?
E perché ora l'imperatore (ammesso che ci fossero tensioni prima) ci appare felice e innamorato?
Cosa è successo? Cosa ha cambiato lui o l'imperatrice o entrambi?
Inutile porsi simili domande...
Questo è semplicemente un naufragio drammaturgico.

E poi naturalmente c'è il finale! Il quartettone e il coro dei bambini che ancora devono nascere.
Lì Loy, completamente alla deriva, fa quasi tenerezza.
Sapete cosa ci piazza?
Un bel finalone carseniano di meta-teatro: il sipario si chiude, poi si riapre sul palcoscenico addobbato a concerto di Natale (ma non eravamo alla registrazione DECCA del 1955?) e i personaggi cantano il loro buonismo davanti a due file di un finto-pubblico in estasi, mentre la Nutrice - cacciata dal palcoscenico e ridotta a una specie di responsabile di sala - osserva sprezzante.

Immagine

Uh.... che bell'effetto alla Carsen! (purtroppo ormai visto e stravisto).
Ma cosa c'entra con quello che Loy ha cercato di raccontare? Cosa c'entra con la sua nuova storia? Cosa c'entra con la tragedia dell'Imperatrice e della Faerberin? Cosa c'entra col loro rifiuto/bisogno di maternità? cosa c'entra con i loro contrastanti rapporti coi mariti?
Dove sta lo svolgimento? Dove sta l'approdo della narrazione? Dove sta il senso?

Come al solito con Loy (lo stesso era accaduto con l'Alceste) parte con un'idea solidissima poi, circa a un terzo dell'opera, non è più capace di far aderire la sua idea nè al testo, nè alla muisca: i significati si confondono, tutto comincia a muoversi a caso... e a quel punto, quando proprio la nave va alla deriva, allora si ricorda di essere un regista tedesco e ci piazza qualche simbolo, qualche denuncia, qualche luce radente e qualche sarcasmo moralistico.
E magari un bel "punto interrogativo" (alla Carsen appunto) sul finale.
Peccato che prima del punto interrogativo ci vorrebbe una domanda precisa...

Scusate la consueta logorrea.
E salutoni.
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Re: Die Frau ohne Schatten (Strauss)

Messaggioda pbagnoli » dom 07 ago 2011, 18:02

Letto al volo dall'iPhone. Sono rapito da tutto quello che hai scritto. Io avevo apprezzato Loy nel Devereux con la Gruberova, ma ammetto che oggi l'arte della rappresentazione vada più proficuamente in altre direzioni; e speriamo che l'anno prossimo Guth ci racconti questa storia in modo più coinvolgente.
Mi è difficile scrivere con la tastiera dell'iPhone, ma - a beneficio dei nostri lettori (alcuni dei quali sono come sai ossessionati da tutto quello che scrivi) - ti ripeto la domanda fatta ieri per telefono: tornasse un nuovo Bohm, diresti ancora di togliere Strauss ai direttori straussiani? E oggi, che Mozart è territorio di conquista di gente come Jacobs (e meno male, aggiungo io), che speranza abbiamo che un direttore mozartiano possa dare luminosità e colorima una Frau? Dobbiamo rassegnarci ai turgori peccaminosi di Thielemann?
Per adesso è tutto; poi ne riparliamo quando mi metto davanti a una tastiera vera!
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
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Re: Die Frau ohne Schatten (Strauss)

Messaggioda Tucidide » dom 07 ago 2011, 21:36

Due parole al volo, solo per esprimere consenso sulle perplessità su Thielemann come direttore straussiano. Bellissimo suono, voluttuoso e turgido, ma facilone, spesso trombone e autoreferenziale.
Consoliamoci così, però: almeno è bravo, tecnicamente parlando. In altri repertori certi direttori assai gettonati fanno acqua anche da questo punto di vista... :x
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Die Frau ohne Schatten (Strauss)

Messaggioda MatMarazzi » mar 09 ago 2011, 11:19

pbagnoli ha scritto:Io avevo apprezzato Loy nel Devereux con la Gruberova, ma ammetto che oggi l'arte della rappresentazione vada più proficuamente in altre direzioni; e speriamo che l'anno prossimo Guth ci racconti questa storia in modo più coinvolgente.


Anche io avevo apprezzato l'allora (per me) sconosciuto Loy in quel Devereux. E qualche spunto interessante l'avevo trovato nella ben più pretestuosa Borgia, tranne il fatto che un regista dovrebbe sempre saper sfruttare chi ha di fronte; hai a che fare con una Gruberova e devi prenderne atto: superstar (e questo è un pregio che un regista deve mettere a frutto) ma attrice goffissima e sempre al confine col grottesco (e questo è un limite di cui bisogna tener conto)! Averle fatto fare una simile figura non è certo cosa di cui andare fieri.
Il fatto è che, come ebbe a dire giustamente Riccardo, solo molto di recente il repertorio proto-romantico italiano è stato oggetto di un certo lavoro drammaturgico.
E, sicuramente, in Italia non lo è ancora (tranne certe operazioni di Michieletto che però né a me, né a molti partecipanti del forum finiscono di persuadere).
E tutto questo ci ha fatto apparire quel Devereux e quella Borgia, se non altro, un po' più interessanti della norma.
Nel caso di Loy è proprio il repertorio "classico per registi" a svelare - almeno per me - una modestia tecnica e contenutistica abbastanza palese, specie se il confronto lo facciamo coi Guth, coi Jones, coi Carsen (e io aggiungo, anche se Ric non sarà d'accordo, con McVicar, per lo meno quando è ispirato).


Veniamo ai direttori "straussiani".
tornasse un nuovo Bohm, diresti ancora di togliere Strauss ai direttori straussiani? E oggi, che Mozart è territorio di conquista di gente come Jacobs (e meno male, aggiungo io), che speranza abbiamo che un direttore mozartiano possa dare luminosità e colorima una Frau? Dobbiamo rassegnarci ai turgori peccaminosi di Thielemann?


Capisco che la mia battuta sui "direttori straussiani" possa essere oggetto di fraintendimento.
Boehm è giustamente l'emblema dei direttori straussiani (chi più di lui?) ed è logico pensare che nella mia critica coinvolgessi anche lui.
Il fatto è che Boehm, oltre a essere vicinissimo - anche umanamente - all'estetica di Strauss, era uno straussiano molto diverso da quelli che si sono imposti negli ultimi trent'anni.
Non è un caso che al centro del suo repertorio ci fosse comunque Mozart (che non è certamente al centro del repertorio di un Dohnanji, di un Thielemann e nemmeno di un Solti), cosa che rendeva il suo Strauss più trasparente, cristallino, agile nei ritmi e abbastanza riottoso alla maniloquenza.
Non è un caso nemmeno che Boehm fosse il capofila di quel New Deal "viennese" dell'immediato dopo-guerra, che - come abbiamo detto molte volte - consisteva in una de-retoricizzazione della musica, nel culto della purezza formale, dell'apollineità disincarnata.
Anche in questo senso lo Strauss di Boehm non ha nulla a che fare con quelli che (oggi) sono considerati gli Straussiani Doc, come appunto Thielemann.

Il fenomeno dello Strauss "turgido e piacevole", come giustamente dice Tucidide, tanto desiderato da certo pubblico e così ben rappresentato da certi direttori, è nato con "l'effetto-disco" della seconda metà degli anni '60, quando il culto del direttore "immenso e grandioso" (sull'esempio di alcuni celebratissimi divi del disco) si è imposto al pubblico europeo, accompagnato dall'immagine di questi grandi vecchi possenti, che scatenano sommovimenti cosmici ovviamente con autori la cui scrittura sinfonica si presta (purtroppo per loro) a questo tipo di immagine: oltre al povero Strauss (ridotto a compositore da test per impianti stereo), ovviamente Bruckner e Mahler.
Quelli erano gli anni in cui l'appassionato di musica sinfonica tollerava Otello, ma disprezzava il primo Verdi in quanto"rudimentale a livello orchestrale" (come se il gigantismo orchestrale fosse di per sé un "valore" nell'ambito dell'Opera: se così fosse, le opere veneziane di Monteverdi sarebbe da buttare alle ortiche); ho conosciuto persino degli appassionati (roba da interrogare qualche psicanalista) talmente inebriati di fronte al mito del direttore-superomista che dirige la "vera" iper-musica... che si compravano delle bacchette da direttore e le usavano nella intimità quando ascoltvano una sinfonia di Maher: fingevano di dirigere, con tanto di partitura sotto, gestualità grandiosa e sguardi fulminanti rivolti a violini e violoncelli inesistenti.
Questa mostruosità patologica era talmente diffusa che persino il regista Stolz la prende in giro durante l'ouverture del suo Rienzi.

Il delirio collettivo suscitato in quegli anni (che io chiamo gli "anni della crisi": dalla fine degli anni '60 ai primi anni '80) coinvolse persino Celletti (e di conseguenza i Cellettiani). Di norma Celletti tentava di ridimensionare la cosidetta superiorità intellettuale (pretesa dagli antichi idealisti) del repertorio sinfonico tedesco rispetto all'opera italiana. Ma quando saltarono fuori Karajan e Solti, e il loro "effetto disco", Celletti vi colse - astutamente - una tendenza anti-intellettualistica (confermata dal fatto che Karajan e Solti non disdegnavano di cimentarsi col più corrivo repertorio operistico); comprese che l'esplosione degli ottoni come il pianissimo più pianissimo degli archi, la cura del bel suono, l'incanto dell'effetto corrispondevano esattamente ai sopracuti, virtuosismi o velluti vocalistici dei cantanti che lui difendeva.
Solti e Karajan riducevano l'impatto "intellettualistico" del reperterio considerato "grande" e così facendo diventavano - indirettamente - potenziali alleati della sua battaglia a favore della (ben poco intellettuale) produzione lirica italiana.
E così persino le falangi cellettiane divennero (e sono ancora) tra i più cocciuti difensori dell'effetto disco e dell'esasperazione retorica dei direttori superomisti.
Categoria alla quale (per tornare al tuo discorso) non appartenne il più vecchio Boehm, ancora legato a un modus dirigendi precedente, ancorato al geometrismo e trasparenza dell'antica scuola viennese. Non è un caso che proprio Celletti si accanisse con una ferocia esagerata proprio contro Bohem, uno che con le magniloquenze e gli effetti non c'entrava nulla.
Proprio per questo quando i parlo di "straussiani doc" non mi riferisco a Boehm, anche se in effetti questi fu il più "doc" degli straussiani documentati da disco.
Mi riferisco ai sopravvissuti di quel modo post-Karajaniano e post-Soltiano di affrontare questo repertorio, esasperandone tutta la retorica, tutto l'effettismo, tutta la magniloquenza e l'esteriorità.

Già a partire dagli anni '70 (e in particolar modo dagli anni '80) questo tipo di direttore è stato messo in discussione dai tempi.
E anche illustri esemplari della categoria finivano per incarnarne il declino (quel senso di sfinimento nostalgico che Kleiber comunicava) o la tensione verso altri approdi (il compromesso filologico di un Harnoncourt, quello fintamente neoclassico e fintamente sensuale di Muti o quello in apparenza rivoluzionario - tanto da rassicurare quanti nel superomismo direttoriale sentivano un afflato destrorso - di un Boulez e un Abbado).
A latere di questi grandi (le cui inquietudini avrebbero forgiato le nuove leve di direttori, i maggiori di oggi) alcuni tardoni, come Mehta, Dohnanyj, Baremboim e, oggi, Thielemann hanno continuato a battere la solfa del direttore superomista.
Fortunatamente non in tutto il repertorio (persino Mozart e Schubert sono stati loro sottratti).
Il loro terreno quasi esclusivo di caccia è rimasto quello dei poveri Bruckner, Mahler, Strauss (e in certi casi Wagner) laddove cioé la spettacolarità della scrittura orchestrale più difficilmente pare potersi liberare dell'effettismo superficiale e sensazionale del direttore super-omista.
In realtà anche in questo settore si è cercato di cambiare un po' le cose, ma c'è una parte del pubblico (il pubblico tardone) che non è disposta a cedere terreno.
Hanno mandato giù a fatica le novità in Mozart, in Beethoven, in Gluck; ma su Strauss e Maherl non accettano ragioni.
Io stesso ricordo, dopo un'indimenticabile nona di Mahler a Lucerna coi Berliner e Rattle, di aver sentito un socio scandalizzarsi: "ma questo non è Mahler, è Elgar!".
Così come ricordo certe piattole cellettiane, quando ancora infestavano il nostro sito, levare nubi di incenso al Tristano di Baremboim, come se fosse la quintessenza del vero Wagner (contro a quello disseccato e intellettuaolide degli interpreti di oggi).
E' per colpa dell'azione congiunta di direttori e pubblico tardoni che il povero Strauss, invece di muovere per i cammini della modernità, come meriterebbe, è ancora confinato a letture che potevano funzionare trent'anni fa e che oggi non hanno davvero più niente da dire.

Così almeno la vedo io.
Un salutone,
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Re: Die Frau ohne Schatten (Strauss)

Messaggioda pbagnoli » mar 09 ago 2011, 14:52

E dello Strauss di Abbado cosa dici?
Oddio, io a dire il vero conosco solo l'Elektra fatta tanti anni fa con la Marton, la Fassbaender e la Studer e la regia di Kupfer, ma Abbado è proprio il classico direttore che ha anche Mozart nel proprio repertorio. Io non lo amo come direttore mozartiano: secondo me il suo Mozart funziona molto meglio quando compare nelle reminiscenze di quando dirige, per esempio, Beethoven (non è un caso questo riferimento: come sai, sto ascoltando la sua recente registrazione di Fidelio); ma è indiscutibile che sia, assieme a Rattle e Salonen, il direttore che oggi risponde meglio a quello che tu indichi come possibile standard straussiano.
Ce ne sarebbe un altro, teoricamente.
Uno che ha rivoluzionato il modo di eseguire Mozart ancora prima di Jacobs e che non disdegna di affrontare il repertorio ottocentesco con un taglio molto rivoluzionario. E' vero che Strauss non è proprio un compositore ottocentesco, ma questo direttore potrebbe, se interessato, darci grandi soddisfazioni anche in questo repertorio...
Hai capito a chi mi sto riferendo?! 8)
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(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Die Frau ohne Schatten (Strauss)

Messaggioda MatMarazzi » mar 09 ago 2011, 15:08

pbagnoli ha scritto:E dello Strauss di Abbado cosa dici?
Oddio, io a dire il vero conosco solo l'Elektra fatta tanti anni fa con la Marton, la Fassbaender e la Studer e la regia di Kupfer, ma Abbado è proprio il classico direttore che ha anche Mozart nel proprio repertorio. Io non lo amo come direttore mozartiano: secondo me il suo Mozart funziona molto meglio quando compare nelle reminiscenze di quando dirige, per esempio, Beethoven (non è un caso questo riferimento: come sai, sto ascoltando la sua recente registrazione di Fidelio); ma è indiscutibile che sia, assieme a Rattle e Salonen, il direttore che oggi risponde meglio a quello che tu indichi come possibile standard straussiano.


A dire il vero non saprei.
Quell'Elektra rimase un po' un abbozzo, almeno secondo me.
E da allora niente più Strauss operistico.
Credo che in fondo Abbado non ami Strauss, proprio perché lo vede come emblema di certo superomismo direttoriale (da cui non ammetterebbe mai di aver tratto le proprie radici)! ;)
Quel che è certo è che se Abbado annunciasse di aver in programma la sua prima Frau ohne Schatten, ...fosse pure in Alaska, la gente accorrerebbe dal mondo intero.

Ce ne sarebbe un altro, teoricamente.
cut...
Hai capito a chi mi sto riferendo?! 8)


Ma certo: stai parlando di Gardiner.
Nessuno più di lui incarna l'antitesi al mega-direttore da sinfonismo tedesco.
Non credo che detesti tanto Wagner e Strauss, quanto il modo con cui questi autori sono vissuti da interpreti e pubblico.
NOn c'è assolutamente speranza che li diriga, a meno che non si ponga in animo di "rivisitare" le loro opere giovanili o meno note (Divieto d'amare di Wagner o Guntram di Strauss) in una chiave filologica che gli permetta di svelare reconditi legami con l'operismo ottocentesco e borghese.
E' fatto così e noi lo amiamo per questo.
:)

Oggi come oggi, ormai passato il tempo di Boulez, la mia Frau di sogno dovrebbe essere diretta da Salonen.

Salutoni,
Mat
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Re: Die Frau ohne Schatten (Strauss)

Messaggioda capriccio » ven 12 ago 2011, 14:14

Pregiatissimi,
finalmente mi son deciso!Mi sono iscritto al vostro Blog.
Naturalmente tutto merito di Mr. Salutoni pardon il Marazzi che ci allieta sempre con dotti, interminabili e a volte così frastornanti interventi che tanto affascinano la platea del blog da rimanerne come ipnotizzati in una sorta di edonismo estatico.
Io li leggo sempre molto volentieri, mi affascinano, ma mi rendo conto che è quasi completamente impossibile replicare ad ogni sua affermazione topica, vista l'elefantiaca mole e tutta la carne al fuoco che ci mette!
Mi presento:uomo oltre i cinquanta, professionista che ama,forse amava di più, il proprio lavoro, a cui si dedica con tanta devozione, sono un grande appassionato di musica classica tutta, ma soprattutto di Lirica da 11 anni, assisto a 50-55 opere l'anno, all'80% premiere,in giro per i maggiori teatri d'Europa, ritengo di possedere una certa sensibilità musicale, la vivo in maniera molto interiore, cerco dalla musica brividi, emozioni che spesso ottengo anche perchè mi ritengo anch'io fortunato come il Marazzi, so scegliere i titoli e gli spettacoli giusti, e direi qualcuno in più. Sono anch'io molto attento, oltre alla parte musicale che resta per me la più importante, alla regia e ammiro molto,p er non dire moltissimo,i vostri registi preferiti, con riserve solo per uno.
Mi attacco all'ultimo intervento del Matteo sulla Die Frau in quanto sono proprio a Salisburgo e iersera ho assistito all' Imputata Die Frau. prima però di parlarne, vorrei chiedere al Marazzi perchè fra i Direttori Straussiani non ha citato, almeno mi pare, Sinopoli.
Tornando all'opera vista, è pressochè impossibile replicare all'elefantiaco intervento Marazziano,primo perchè io non possiedo affatto la sua abilissima capacità oratoria e nemmeno la sua preparazione, anche se rivendico il diritto di dire la mia visto che come numeri non sono certo uno sprovveduto. La regia di Loy a me è piaciuta, è stata coerente dall'inizio alla fine pur con quello strampalato finale( l'unico debito concesso alla fiaba?):cantanti impersonali in uno studio di registrazione(Ma perchè mai Loy deve spiegare al pubblico che si tratta della Sophiensaal di Vienna , dove Boem registrò in studio per la I volta tale opera nel 1955) che man mano la registrazione scorre, si identificano sempre più coi personaggi che interpretano e diventano per così dire umani, persone vere, esternando le proprie frustrazioni e inquietudini tanto da fare apparire il teatro,giustamente, come il vero luogo della verità.Siamo dalle parti del c.d. Metateatro: sì caro Matteo già fatto tante altre volte da Carsen, ma come? Superficialmente,in modo scontato( viste le repliche) solo nel finale e ti potrei citare almeno 4-5 titoli. Qui no,Marazzi, dall'inizio alla fine con una progressione travolgente, e per me coinvolgente emotivamente, che va di pari passo con quella folgorante della musica. E già la musica: tu non ne hai quasi parlato, disquisendo solo se Thieleman sia un vero o falso direttore Straussiano e dando per scontato che il cast è solo la Herlitius? Marazzi scusami, è parecchio che esalti questa cantante che tanto io ho amato, ma fino a 4-5 anni fa(quando debuttò alla Scala):fu una stupefacente Brunhilde nel 2000 a Bayreuth con Sinopoli, ricordi?,crescendo sempre più, finalmente in Scala per 2 anni, poi l'eclisse, inesorabile, Ortrud a Bayreuth nel 2010, un disastro, la voce stridula distorta con gli acuti solo, solo urli!! E così iersera! E guarda caso la più applaudita!Ti sei accorto, ormai, chi più urla,non canta,è, in tutti i teatri d'Europa, il più osannato? La nutrice, l'imperatrice e soprattutto Barak straordinari! E veniamo a Thieleman: si conferma un direttore di razza, mai i Wiener con un suono così lussureggiante, ammaliante come ieri, Thieleman è, per me, grande direttore straussiano: MEMORABILI sono stati a Baden Baden i suoi Rosenkavalìer ed Elektra, e nel 2012 l'Ariadne col debutto assoluto della Fleming. Ha forse ecceduto col fragore nel finale II e III, glielo ho fatto notare a fine opera, con me parla ed è gentile, perchè sono di Bologna : mi ha risposto che così è, deve essere brutale; si è rammaricato che in questo allestimento mancasse la fiaba(ma quante volte l'abbiamo vista a teatro...) e concordava con me sull'interpretazione di Loy.
Ultima annotazione:diffidare della visione in TV di un'opera( e per giunta opera così complessa e sfuggente come questa), non ci può assolutamente essere una visione d'insieme di tutto il palco, tante, ma tante cose si perdono e così il giudizio può essere molto parziale e travisante: caro Marazzi queste cose le dovresti sapere molto bene
Chiedo scusa, anch'io ho peccato di logorrea, ma in questi casi è difficile essere brevi!
Infine in un rappresentazione d'opera è chiaramente importante la regia, ma ricordarsi anche della musica soprattutto! In questo blog mi pare che si parli più spesso di regie, almeno nella sezione"VISTO A TEATRO".
Grazie per l'ospitalità e saluti a tutti e a Mr.Salutoni, of course!
P.S.
Tanta attesa e clamore per l'Anna Bolena In TV a Vienna, poi poche righe del Marazzi, mi pare. Io mi aspettavo di più, anche perchè io a Vienna c'ero!Che serata! Fra le più memorabili!!
Idem,mi sembra, per il Parsifal di Guth a Zurigo o Barcellona, come vi pare: mi sembra di non aver trovato nulla: se è così MALE, perchè io c'ero,anche lì, Guth è fra i vostri beniamini, e lo spettacolo fu bellissimo, ma con finale assai ambiguo, a più interpretazioni, come ho ricavato parlando alla fine con Parsifal e Kundry.
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