Vittorio Grigolo, memorabile concerto italiano alla Scala

Strepitoso show, chiamarlo concerto è riduttivo, anche se il termine concerto è stato usato, alla fine, nel foyer di platea, con Grigolo assediato da una folla nel negozietto-Scala, dal giovane, e molto sensato nei giudizi e nelle direzioni, Daniele Rustioni che rispondendo al “come stai?” di un conoscente, ha risposto, più o meno: “E come vuoi che stia, dopo un concerto così? Male? No, in paradiso!”.
Giustissimo. Era la mia identica sensazione. E’ stato, io ridico non un concerto, (perché riduttivo), ma uno straordinario show di arte vocale, pianistica, teatrale, del quale il merito va diviso fra il talento, l’astuzia, l’istinto vocale e scenico – tutto mostruoso – di Vittorio Grigolo, e la maestria trascendentale di Vincenzo Scalera. Il trionfo, tale è stato – nessuno se ne voleva andare, anziani frequentatori, dalla platea, portavano rose al tenore, un giustificatissimo delirio – va diviso in due. Fra la pazzesca abilità vocale, il calcolo (sembra vada oltre ma sa benissimo dove fermarsi), la spettacolosa arte – ma è sincero: si dà, fino allo spasimo – di portare il pubblico dalla propria parte, e una obiettiva serie di meraviglie vocali e interpretative di Grigolo. E il contorno, il “tappeto”, anzi il mantello nel quale lo ha avvolto più che accompagnato il pianoforte di Scalera. Si guardavano, si aspettavano, ogni tanto si piantavano lì, perché l’uno o l’altro aveva un estro, un tempo tenuto, una pausa, ma poi immediatamente si ritrovavano. Uno spettacolo di teatro in musica. Il tutto, per un recital che meriterebbe – con tutti e due, mi raccomando! – di girare il mondo, forse ulteriormente affinato (secondo me, ne sono in grado), come esempio di ciò di cui è capace il genio italiano su un repertorio – meravigliosamente antisnobistico – italiano.Questa è stata la scommessa, stravinta, da Vittorio Grigolo con Vincenzo Scalera. L’italianità. Gli snobbini naso in su (ahimè, platea e palchi stavolta hanno capìto più che il loggione) che… gnégnégné ma perché “chisto è o’paese d’o'sole”, gnegnegné ma perchè questo programma, gnegnegné a me piacciono di più Schubert o Wolf o Berg o Webern o quant’altro… non hanno capìto che questa era la proposta – Bellini Rossini, Donizetti, Verdi, Leoncavallo, Gastaldon, De Curtis, D’Annibale – e questo è stato realizzato, sul palco della Scala, ad un livello (con punte d’eccellenza assoluta o momenti molto buoni) di straordinaria arte musicale e di rappresentazione: cioé arte di porgere ad un pubblico. Vittorio Grigolo si muove, occupa il palco, va via e ritorna e nella seconda parte si leva il farfallino dello smoking che ha sostituito il costume nero traslucido “operistico” della prima parte. Fa teatro, anzi no: fa vita. Comunica, quando ritiene necessario con il pubblico (e dipinge un memorabile acquarello del “commendatori cavalier” Beniamino Gigli, nel presentare, fra i bis, la Furtiva Lacrima). Ma soprattutto, fa musica, e splendida musica. Attenzione: le quattro canzoni di Vincenzo Bellini che aprono il programma, sono un capolavoro – di per se stesse – e nell’esecuzione -interpretazione: quel che Grigolo e Scalera ne fanno, sfiora il miracolo, non solo: è la presentazione di un artista che fa – e sa fare – sul serio. “Filati” miracolosi, colori sulla parola e sulla linea musicale: è Bellini, in tutto e per tutto. Meraviglioso. La “tarantella” di Rossini, l’aria dal Duca d’Alba di Donizetti e l’aria e cabaletta dal Corsaro di Verdi sono – se vogliamo – esuberanti (il Bellini era di livello eccelso), è la parte del magnifico recital che potrebbe essere affinata e approfondita, ma ci stanno benissimo, nell’economia del tutto. Poi si fa pausa e arriva Tosti, probabilmente il clou, il cuore “estetico” e interpretativo del programma. Grigolo e Scalera, i colori i fraseggi, le dinamiche del tenore e gli arabeschi del pianoforte, ne fanno, il grande esponente del “lied” italiano. In faccia ad ogni snobismo. “Chanson de l’adieu” , “Pour un Baiser”, Ideale, ‘A vucchella (Grigolo spettacoloso!), L’Ultima Canzone, sono cinque ricami. E poi, si va: “Vorrei baciar i tuoi capelli neri” – e par di vederli, i capelli neri della bella accarezzati, la voce sembra… le mani che accarezzano! – ; la Mattinata di Leoncavallo, e Grigolo “sfoglia” in palcoscenico un bocciuolo di rosa, la voce e i petali (“scena”? No, ti prende al cuore, se ce l’hai!!), la miniatura di De Curtis e – atteso – “O’ Paese d’ ‘o sole”. Il tenore la presenta, (quando parla la voce è sottile, adolescenziale, con l’accento toscano e tutte le “aspirate” del caso, quando canta l’italiano è una meraviglia di dolcezza e di timbri), cita la data – San Luciano – parla della Scala e della vita, e tutto è perfettamente integrato nella rappresentazione, compreso il pubblico chiamato a farne parte. E quel Paese d’O'Sole – Italia: non ce n’è uno uguale, nel bene, nel male: così com’è – trova, nel canto meraviglioso, nella bellezza del suono della voce e anche nell’”apparente” esagerazione e nei gesti di Grigolo e nelle meraviglie pianistiche di Scalera, una rappresentazione d’arte. Siamo noi, così come siamo, rappresentati con arte. I bis – dalla Lacrima dell’Elisir, a Mamma son tanto Felice, al Sole MIo, e nessuno vorrebbe che finissero – sono la perfetta corona. Vittorio Grigolo, con l’eccezionale Vincenzo Scalera (anni di vita e musica con i massimi direttori e cantanti, e non a caso!), ha stravinto, alla Scala, la sua scommessa musicale sull’Italia in musica. E ha fatto alla musica il massimo bene immaginabile: ha fatto capire al pubblico - con tutto il suo talento e la sua anima - quanto la ama.
marco vizzardelli
Giustissimo. Era la mia identica sensazione. E’ stato, io ridico non un concerto, (perché riduttivo), ma uno straordinario show di arte vocale, pianistica, teatrale, del quale il merito va diviso fra il talento, l’astuzia, l’istinto vocale e scenico – tutto mostruoso – di Vittorio Grigolo, e la maestria trascendentale di Vincenzo Scalera. Il trionfo, tale è stato – nessuno se ne voleva andare, anziani frequentatori, dalla platea, portavano rose al tenore, un giustificatissimo delirio – va diviso in due. Fra la pazzesca abilità vocale, il calcolo (sembra vada oltre ma sa benissimo dove fermarsi), la spettacolosa arte – ma è sincero: si dà, fino allo spasimo – di portare il pubblico dalla propria parte, e una obiettiva serie di meraviglie vocali e interpretative di Grigolo. E il contorno, il “tappeto”, anzi il mantello nel quale lo ha avvolto più che accompagnato il pianoforte di Scalera. Si guardavano, si aspettavano, ogni tanto si piantavano lì, perché l’uno o l’altro aveva un estro, un tempo tenuto, una pausa, ma poi immediatamente si ritrovavano. Uno spettacolo di teatro in musica. Il tutto, per un recital che meriterebbe – con tutti e due, mi raccomando! – di girare il mondo, forse ulteriormente affinato (secondo me, ne sono in grado), come esempio di ciò di cui è capace il genio italiano su un repertorio – meravigliosamente antisnobistico – italiano.Questa è stata la scommessa, stravinta, da Vittorio Grigolo con Vincenzo Scalera. L’italianità. Gli snobbini naso in su (ahimè, platea e palchi stavolta hanno capìto più che il loggione) che… gnégnégné ma perché “chisto è o’paese d’o'sole”, gnegnegné ma perchè questo programma, gnegnegné a me piacciono di più Schubert o Wolf o Berg o Webern o quant’altro… non hanno capìto che questa era la proposta – Bellini Rossini, Donizetti, Verdi, Leoncavallo, Gastaldon, De Curtis, D’Annibale – e questo è stato realizzato, sul palco della Scala, ad un livello (con punte d’eccellenza assoluta o momenti molto buoni) di straordinaria arte musicale e di rappresentazione: cioé arte di porgere ad un pubblico. Vittorio Grigolo si muove, occupa il palco, va via e ritorna e nella seconda parte si leva il farfallino dello smoking che ha sostituito il costume nero traslucido “operistico” della prima parte. Fa teatro, anzi no: fa vita. Comunica, quando ritiene necessario con il pubblico (e dipinge un memorabile acquarello del “commendatori cavalier” Beniamino Gigli, nel presentare, fra i bis, la Furtiva Lacrima). Ma soprattutto, fa musica, e splendida musica. Attenzione: le quattro canzoni di Vincenzo Bellini che aprono il programma, sono un capolavoro – di per se stesse – e nell’esecuzione -interpretazione: quel che Grigolo e Scalera ne fanno, sfiora il miracolo, non solo: è la presentazione di un artista che fa – e sa fare – sul serio. “Filati” miracolosi, colori sulla parola e sulla linea musicale: è Bellini, in tutto e per tutto. Meraviglioso. La “tarantella” di Rossini, l’aria dal Duca d’Alba di Donizetti e l’aria e cabaletta dal Corsaro di Verdi sono – se vogliamo – esuberanti (il Bellini era di livello eccelso), è la parte del magnifico recital che potrebbe essere affinata e approfondita, ma ci stanno benissimo, nell’economia del tutto. Poi si fa pausa e arriva Tosti, probabilmente il clou, il cuore “estetico” e interpretativo del programma. Grigolo e Scalera, i colori i fraseggi, le dinamiche del tenore e gli arabeschi del pianoforte, ne fanno, il grande esponente del “lied” italiano. In faccia ad ogni snobismo. “Chanson de l’adieu” , “Pour un Baiser”, Ideale, ‘A vucchella (Grigolo spettacoloso!), L’Ultima Canzone, sono cinque ricami. E poi, si va: “Vorrei baciar i tuoi capelli neri” – e par di vederli, i capelli neri della bella accarezzati, la voce sembra… le mani che accarezzano! – ; la Mattinata di Leoncavallo, e Grigolo “sfoglia” in palcoscenico un bocciuolo di rosa, la voce e i petali (“scena”? No, ti prende al cuore, se ce l’hai!!), la miniatura di De Curtis e – atteso – “O’ Paese d’ ‘o sole”. Il tenore la presenta, (quando parla la voce è sottile, adolescenziale, con l’accento toscano e tutte le “aspirate” del caso, quando canta l’italiano è una meraviglia di dolcezza e di timbri), cita la data – San Luciano – parla della Scala e della vita, e tutto è perfettamente integrato nella rappresentazione, compreso il pubblico chiamato a farne parte. E quel Paese d’O'Sole – Italia: non ce n’è uno uguale, nel bene, nel male: così com’è – trova, nel canto meraviglioso, nella bellezza del suono della voce e anche nell’”apparente” esagerazione e nei gesti di Grigolo e nelle meraviglie pianistiche di Scalera, una rappresentazione d’arte. Siamo noi, così come siamo, rappresentati con arte. I bis – dalla Lacrima dell’Elisir, a Mamma son tanto Felice, al Sole MIo, e nessuno vorrebbe che finissero – sono la perfetta corona. Vittorio Grigolo, con l’eccezionale Vincenzo Scalera (anni di vita e musica con i massimi direttori e cantanti, e non a caso!), ha stravinto, alla Scala, la sua scommessa musicale sull’Italia in musica. E ha fatto alla musica il massimo bene immaginabile: ha fatto capire al pubblico - con tutto il suo talento e la sua anima - quanto la ama.
marco vizzardelli