RATTLE VS ABBADO

sinfonia, cameristica e altri generi di musica non teatrale.

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RATTLE VS ABBADO

ABBADO
10
83%
RATTLE
2
17%
 
Voti totali : 12

RATTLE VS ABBADO

Messaggioda gustav » sab 12 gen 2008, 17:25

Se me lo consentite lancerei una sfida tra questi due grandi del momento: Abbado e Rattle, i gli ultimi due direttori dei Berliner. Presupponendo che Karajan lo lascerei da parte in un angolino per la sua inarrivabilità, anticipo che io propendo per Abbado, secondo me il ricciolone brizzolato ne ha ancora di strada da fare...Per non parlare del lascito operistico di Abbado, Rattle ha fatto i questo campo qualcosa di memorabile? Mi piacerebbe sentire il suo così fan tutte.
Che forse non sia Abbado il solo dei due che già oggi possiamo ascrivere al regno dei grandi interpreti?

A voi
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Messaggioda gustav » dom 13 gen 2008, 16:32

In modo da rendere più pepata la contesa, "tifosi" delle dell'uno o dell'altro scrivete pure qualche commento appassionante od anche cattivello sui due(sempre in senso buono, intendo :twisted: ).
Per esempio, una volta ho letto un articolo di Rattle, il ricciolone brizzolato :wink: , che sosteneva che uno dei difetto delle orchestre di Abbado è che non solo suonano piano, ma proprio piano...Io aggiungerei che forse è un bene...ma del resto le orchestre non rispecchiano le anime dei loro direttori?Avete mai sentito parlare Abbado, così calmo, gentile, quasi timido...Lui non è uomo dai sentimenti urlati, ma dell'introspezione, della sensibilità profonda. Ecco che quello che per Rattle è un difetto, per me è un pregio quasi subliminale.

Anche Rattle ha parte di queste virtù, e certamente ne ha delle altre( perchè ripeto, pure io lo stimo moltissimo), ma, almeno a mio avviso, i Berliner hanno perso qualcosina, o meglio, sono cambiati in un modo un pochino diverso da quello che mi aspettavo...

Rattle cerca, nelle esecuzioni, la profondità...dicendo di ispirarsianche a Giulini, e se non altro questo è un buon inizio, ma ce la farà l'allievo a superrare il maestro?

p.s.intanto c'è Karajan il von che li osserva silenzioso e serio da un piccolo altarino posto nei loro pressi...adesso è il turno di rattle...Intanto, sara Abbado l'anno prossimo a fare la cosa più interessante, con il suo Fidelio! :shock:
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Messaggioda gustav » ven 08 feb 2008, 20:34

vedo che la mia sfida non ha raccolto concorrenti...


C'è cmq qualcuno che abbia ascoltato così fan tutte di Rattle o il suo Fidelio e me lo consigli? (ma solo se ne valga direttamente la pena)...
cmq non comprendo, caro mat, il tuo apprezzamento per Rattle che è superiore a quello per Abbado ( ciò da quanto mi par di capire). Infatti che cosa di immortale ci ha ancora laciato sir simon rispetto al buon Claudio? seppur in linea di max i suoi lavori siano eccellenti, come x ex le letture di Britten o Messiaen...
Però nel campo operistico che ha fatto di memorabile? secondo me ancora nulla...E non mi pare di aver letto ancora nulla di contrario...

E poi la sua lettura di Mahler?
dici nel'altro topic che "Mi è parso un Mahler che non si vergogna di essere borghese, anche nelle paure e nelle abissali disperazioni (e perché poi bisognerebbe vergognarsi"
Io questo non lo vedo, anzi il suo Mahler è un pò blando, mollo, altro che ABBADO!
Da mettere in evidenza per me c'è solo l'oroginale lettura della decima.
In ogni caso ditemi voi, esiste un rattle operistico? mah,
tuttavia, per il resto ci accontentiamo, nonostante tutto, della sua bravura...
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Messaggioda teo.emme » sab 09 feb 2008, 1:22

Caro Gustav, in merito alle incisioni di Rattle del Fidelio e di Così Fan Tutte (da me ascoltate..purtroppo) mi sento di sconsigliartele caldamente, in particolare la prima. Per il resto Rattle è un direttore che non mi entusiasma: alcune sue cose sono molto belle (Krol Roger, Porgy & Bess), ma in repertori più classici delude. A me il suo Mahler non piace molto, ma confesso di essere poco oggettivo, ritenendo insuperate e insuperabili le direzioni Di Sinopoli e soprattutto Bernstein.
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Messaggioda gustav » sab 09 feb 2008, 6:00

teo.emme ha scritto:Caro Gustav, in merito alle incisioni di Rattle del Fidelio e di Così Fan Tutte (da me ascoltate..purtroppo) mi sento di sconsigliartele caldamente, in particolare la prima. Per il resto Rattle è un direttore che non mi entusiasma: alcune sue cose sono molto belle (Krol Roger, Porgy & Bess), ma in repertori più classici delude. A me il suo Mahler non piace molto, ma confesso di essere poco oggettivo, ritenendo insuperate e insuperabili le direzioni Di Sinopoli e soprattutto Bernstein.



Condivido!
l'edizione di Bernstein, poi, è insuperabile!!!!!!
Solo nell'ottava lo trovo superato da altri come Abbado(è però soltanto una considerazione personale basata sul gusto), ma per il resto ogni sua cosa è un capolavoro...
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Messaggioda MatMarazzi » sab 09 feb 2008, 13:10

gustav ha scritto:cmq non comprendo, caro mat, il tuo apprezzamento per Rattle che è superiore a quello per Abbado ( ciò da quanto mi par di capire). Infatti che cosa di immortale ci ha ancora laciato sir simon rispetto al buon Claudio? seppur in linea di max i suoi lavori siano eccellenti, come x ex le letture di Britten o Messiaen...
Però nel campo operistico che ha fatto di memorabile? secondo me ancora nulla...E non mi pare di aver letto ancora nulla di contrario...
...


Be', Giustav,
a parte il fatto che di apprezzamenti Rattle ne raccoglie anche in ambito critico, io preferisco fondarmi sulle mie orecchie e sul mio gusto.

Ho sentito spesso Rattle all'opera.
La prima volta nell'Affare Makropoulos, la seconda nel Tristano, la terza nel Fidelio (con gli Enlightement), la quarta ancora nel Fidelio (con i Berliner), la quinta nel Rheingold.
Secondo me è semplicemente uno dei migliori direttori operistici del momento: uno dei pochi che sia riuscito a trascendere la scappatoia del solito "grande sentimento romantico mascherato di sessantottismo" che purtroppo ha caratterizzato - a mio gusto - alcuni giganti della tradizione precedente.

Abbado, è vero, non mi entusiasma.
Contando solo le occasioni in cui l'ho sentito dal vivo, alcune cose mi sono piaciute (Boccanegra, Tristano) , altre meno (Flauto, Nozze, Così), altre per nulla (Parsifal, Don Giovanni). In tutti i casi ho riscontrato una prospettiva antica, esaltata (nei casi migliori) da una personalità effettivamente forte, ma passatista - secondo me - nei contenuti.
Gli innumerevoli dischi che possiedo di lui me l'hanno confermato.
Anche il suo Barbiere, anche il suo Boris, anche il suo Wozzeck (per belli che fossero) erano finte rivoluzioni.
Quest'estate ho sentito il Macbeth verdiano nella direzione di Jurowsky, il quale non avrà il carisma intellettuale di Abbado... ne convegno.
Eppure mi sembrava che il Macbeth di Abbado fosse preistoria.

Se devo scegliere, preferisco molto Boulez, che considero un vero genio (l'ho sentito dal vivo due volte nel Castello di Barbablu, una volta nel Rossignol, una volta in un trittico Pierrot Lunaire/Renard/MaesePedro in forma scenica, in svariati concerti e SOPRATTUTTO nell'incredibile Casa di Morti di Janacek con la regia di Chéreau).
Anche Boulez, tuttavia, mi pare abbia usurpato la fama di vero "rivoluzionario" della bacchetta. sarà anche stato rivoluzionario nelle (facili) esternazioni politiche, nell'aver cavalcato (molto proficuamente) la contestazione, nell'aver praticato un repertorio avanguardista (ma di avanguardie già vecchie di decenni e istituzionalizzate).
Ma come interprete (immenso interprete) era pur sempre arroccato a visioni e prospettive tradizionali, così almeno è sempre parso a me: una spolverata di oggettivismo (che fa tanto progressista), una ricerca di suoni un tantinello più cristallini e meno vibrati non basta a convincermi che la visione generale non sia pur sempre tradizionalista.

Ecco in Rattle, come in Gardiner, io percepisco davvero la svolta, la capacità di calarsi con sincerità (e senza maschere politicamente corrette) nello spirito della nostra epoca e della nostra cultura.
Con loro ho la sensazione che finalmente la lunga linea del "maestro" alla Furtwaengler e alla Toscanini (che a mio parere scende fino ai Boulez, agli Abbado e agli Harnoncourt) si sia interrotta.
E che con loro si parli un nuovo linguaggio, il mio...

So di essere in minoranza e non pretendo che tutti la pensino come me, ma io non credo che attraverserò l'Europa per sentire il Fidelio di Abbado a Madrid, mentre l'ho fatto con Rattle e lo farei con Gardiner.
Gusti...

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Messaggioda gustav » sab 09 feb 2008, 14:24

MatMarazzi ha scritto:
gustav ha scritto:
Ecco in Rattle, come in Gardiner, io percepisco davvero la svolta, la capacità di calarsi con sincerità (e senza maschere politicamente corrette) nello spirito della nostra epoca e della nostra cultura.
Con loro ho la sensazione che finalmente la lunga linea del "maestro" alla Furtwaengler e alla Toscanini (che a mio parere scende fino ai Boulez, agli Abbado e agli Harnoncourt) si sia interrotta.
E che con loro si parli un nuovo linguaggio, il mio...

So di essere in minoranza e non pretendo che tutti la pensino come me, ma io non credo che attraverserò l'Europa per sentire il Fidelio di Abbado a Madrid, mentre l'ho fatto con Rattle e lo farei con Gardiner.
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Caro Mat,
ti ringrazio della risposta, l'ho letta con grandissimo interesse!
:P
Hai in parte ragione nel delineare ciò che la tua sensibilità coglie nei lavori di Boulez e Abbado, ossia che talvolta si annidano dietro questi due giganti delle finte rivoluzioni musicali...
Pur distinguendosene ampiamente, lo stesso Abbado non ha mai fatto mistero che, per dire, Furtwangler sia uno dei suoi direttori preferiti se non il preferito... Perchè a sua detta? Perchè in lui e in quello che ha fatto c'è più musica...
Così è per me quello che succede nell'ascoltare Abbado...Anche l'abbado "intellettualoide"che lascia poco spazio ai privati sentimenti.
Trovo fantastiche, poi alcune sue scelte come quella di riprendere per ben due volte il ciclo beethoveniano: solo che la prima era un elogio alla tradizione, ad un tipo di tradizione ormai al crepuscolo( e come non mai da lui impreziosita), mentre l'ultima(del 2000 se non erro) è la proiezione migliore di quello che è il nuovo Beethoven, senza più appesantimenti, eccessi, appunto alla Furtwangler, Karajan, Solti ecc...
Eppure si tratta dello stesso Abbado. Vecchio o nuovo che sia io sento in tutto ciò il filo continuo di una crescita personale e artistica che funge da anello tra "vecchio e nuovo"...Egli è pertanto un vero classico, che i tempi e le mode le attraversa, non appartenendo interamente nè all'una nè all'altra.
Visto che Pollini dice che la " musica è la lente d'ingrandimento del passato" capisco meglio questo tipo di direttori, la cui capacità di interpretare (scusami se li chiamo così ) vecchio e nuovo rimanbe sempre sugli stessi livelli...
Rimanendo in tema beethoveniano, purtroppo di Rattle non possiedo la medesima conoscenza, ma solo la sua nona con i wiener. Ci sono dei passaggi molto buoni, proprio alla Ratlle, con il suo stile inconfondibile, ma nel complesso ho avuto lìimpressione che mancasse qualcosa.
Non perchè mancasse la carica emotiva, ma perchè fosse assente quel senso di perdizione, di abbando, di quella tanto impercettibile combinazione di apollineo e dionisiaco che lo spirito beethoveniano richiede. Beh, è vero che abbado non è certo tipo da far trascinare l'ascoltatore alle facile emozioni, ma lo stesso fatto di intellettualizzare, interiorizzare il tutto, favorisce una mediazione perfetta tra la trascendenza della musica e la propria rielaborazione mentale che fa riferimento alla razionalità delle elaboratissime linee melodiche. Questa è la sua innovazione e appunto mi piace questo modo "d'abbandonarsi" alla musica.

Infine mi hai citato Gardiner. Lui sì, concordo, è un innovatore, ma nel solco della tradizione.

p.s. non sai quanto ti invidio per tutti gli spettacoli che hai visto!
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Messaggioda MatMarazzi » sab 09 feb 2008, 17:26

Caro Gustav,
le tue considerazioni su Abbado sono estremamente interessanti.
E quello che dici in rapporto alla sua evoluzione beethoveniana particolarmente convincente.
Giochiamo a fare i profeti! :) Come farà il Fidelio?
Che tempi staccherà? Cosa metterà in evidenza?


gustav ha scritto:Rimanendo in tema beethoveniano, purtroppo di Rattle non possiedo la medesima conoscenza, ma solo la sua nona con i wiener.


Ti dò ragione.
Rattle non è adatto a valorizzare il vero grande romanticismo, quello passato attraverso due secoli di un certo tipo di riflessione.
Quando dirige questo repertorio, quando è costretto a confrontarsi alla tradizione romantica, si avverte una specie di dispetto e di pudore insieme. Proprio ciò che hai definito "mancanza di abbandono", eccesso di intellettualismo (scappatoia di chi non prova un'adesione vera).
La grandezza di Rattle, effettivamente, è altrove. Ho la sensazione che affronti questo repertorio più per dovere di carica.

Infine mi hai citato Gardiner. Lui sì, concordo, è un innovatore, ma nel solco della tradizione.


Interessanto questa cosa! In che senso lo vedi nel solco della tradizione?
Mi piacerebbe approfondire il caso Gardiner! :)

p.s. non sai quanto ti invidio per tutti gli spettacoli che hai visto!


Be' :) è l'unica passione che ho! :) girare per opere!
ci ho anche fatto un club sopra!

Salutoni a te.
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Messaggioda gustav » sab 09 feb 2008, 19:26

MatMarazzi ha scritto:Giochiamo a fare i profeti! :) Come farà il Fidelio?
Che tempi staccherà? Cosa metterà in evidenza?

Ti assicuro che sono estremamente interessato, anche se avrei preferito ad esempio la lulu di berg, che se non erro qualcuno paventata tempo addietro, ma di cui poi non si era fatto nulla...

Pur non avendo nessun strumento per motivare la mia supposizione, la scelta del Fidelio credo abbia da parte sua uno scopo particolare: la vedo piuttosto come l'intenzione di Abbado di concentrarvi la summa di tutto il suo percorso artistico, di concentrarvi tutte le sue forze, di lasciare la parola ultima per poter dire definitivamente di poter stare con e tra i grandi di sempre. Mi spiego meglio, con il Fidelio si sono cimentati egregiamente molti grandi della storia della musica (furtwangler, bernstein...). Ecco che la scelta è molto ardua, perchè il confronto sarà fatto subito con le storiche edizioni che lo hanno preceduto. E Abbado lo sa. Così, un buco nell'acqua non se lo può permettere! Soprattutto perchè tra lui e Beethoven c'è un'affinità molto particolare.
Le aspettative sono moltissime e il Fidelio per lui penso che sia l'opera in cui dovrà dimostrare di non deluderle per essere davvero un grande - in questo senso sarebbe stato più facile cimentarsi in repertori magari del novecento meno esplorati che non prevedano precedenti e quindi paradigmi così illustri come il Fidelio-.

Oltre a questo, il significato stesso dell'opera (che è in perfetta linea con le intenzioni anche politiche di Abbado) lo troverà impegnato a rinnovarne il significato, magari anche a sua detta(lo desumo da certe sue affermazioni in ambito non musicale, ma politico), proprio oggi, in quest'epoca post-contemporanea, dove la lotta per la libertà non smette mai. sono sicuro che egli senta particolarmente l'intimo messaggio beethoveniano, oltre che la musica e che lo voglia riproporre nella sua essenza, mostrandone appunto l'attualità!
Cmq per quelle che saranno le concrete scelte musicali, mi rimane un grande boh e dunque una notevole attesa. (Ti faccio però una mia piccola notazione dicendoti che il Fidelio l'ho mai approfondito moltissimo, anche perchè non è tra le mie operre preferite...cmq avrò il tempo per rimediare e magari Abbado mi farà cambiare idea).




Infine mi hai citato Gardiner. Lui sì, concordo, è un innovatore, ma nel solco della tradizione.



Interessanto questa cosa! In che senso lo vedi nel solco della tradizione?
Mi piacerebbe approfondire il caso Gardiner! :)

L'ho scritto perchè pensando a Gradiner da una parte mi è tornato alla mente quanto letto un pò di tempo fa su Webern il quale, nell'elaborazione delle sue strutture e del suo linguaggio totalmente nuovo, invece, ne ravvisave parte delle ascendenze nella polifonia fiamminga e nella musica dell'ultimo Bach .
Il discorso su Gardiner è un pò diverso, ma la sua innovazione nasce proprio dalla precipua lettura filologica del barocco (dunque di quella tradizione) che lui ha dimostrato presentare una struttura musicale universale, in quanto a monte di quello che è poi derivato in musica e a valle dei risultati postumi del proseguo della musica stessa, nella misura in cui è riuscito ad adeguare le interpretazioni del repertorio, diciamo,più recente agli archetipi del suo stile e del suo linguaggio musicale.

p.s.completo una dimenticanza della frase precedentemente riportata di Pollini in cui dice dice che la è "la musica CONTEMPORANEA ad essere la lente d'ingrandimento del passato".
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Messaggioda gustav » lun 18 feb 2008, 13:06

Aggiungendo giusto due parole su Gardiner, la sua versione delle sinfonie di Beethoven, che viene da alcuni defina come un'edizione integrale "filologicamente informata", rappresenta a mio avviso una gemma nel panorama delle esecuzioni beethoveniane...Poi con un'orchestra chiamata "rivoluzionaria e romantica" non poteva essere diversamente... :idea:

(A proposito di Mahler, ho iniziato ad ascoltare la quinta diretta da Boulez...)
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Re:

Messaggioda gustav » ven 29 feb 2008, 21:33

Caro Mat,

dato che di Abbado mi par di capire tu abbia assistito al "Così fan tutte" e che a quanto so io di spettacoli di questo genere in Italia, ultimamente, non deve averne dati molti, forse sei però stato allo stesso spettacolo visto anche da Arbasino, per cui ti posto un articolo scritto in merito da lui...

( psss psss cmq anche se come me non c'eri, è una lettura interessante)
Ciao... :idea:

29 febbraio 2000
ALBERTO ARBASINO
E POI TUTTI GIÙ PER TERRA

[Sul «Così fan tutte» diretto da Claudio Abbado a Ferrara, febbraio 2000]
La magnifica esecuzione del «Così fan tutte» a Ferrara può fornire qualche «inside trading» sugli andamenti correnti nella gestione attiva o volatile dei Classici, rispetto al benchmark di riferimento. Infatti il perfezionismo eccelso nella performance del «senior fund manager» Claudio Abbado continua a rifinire e sublimare quel «Rossini ad orologeria» (Clockwork Gioachino) già messo a punto nelle memorabili «Italiane» e «Cenerentole» alla Scala, e culminato nelle strabilianti «macchine» - come le chiamerebbe il Da Ponte - del «Viaggio a Reims» pesarese. Capolavoro di riferimento, per la serie »Divertimento collettivo prodotto con rigore intemerato e impeccabile».
Con questo Mozart ferrarese, i risultati assoluti e più felici appaiono raggiunti nella concertazione degli insiemi: quando partendo da componenti singoli medio-bravi - cantanti non «mozzafiato» - Abbado attinge l'ideale settecentesco della commedia pura, senza residui di sentimenti o di anima. Una strategia entomologica, già biomeccanica, al posto delle passioni, delle emozioni, dei sentimenti. Macché cuori e fegati, arriva von Clausewitz; e perfino Choderlos de Laclos cede la scena alle relazioni e combinazioni fra le rane di Galvani e la pila di Volta, il movimento dei fluidi e dei solidi, il comportamento dei gas perfetti di Gay Lussac.
I risultati sono graziosi ed entusiasmanti, e avrebbero rallegrato i teorici e pratici specialmente russi dell'artista come «congegno slittante, pupazzo su molle». Via le scorie degli affetti, e anche i pretesti del sesso: contano solo i polmoni e i ritmi, l'agilità dell'ugola e del piede, la flessibilità del gomito, del ginocchio, del trillo.
E tutto questo funziona bene con le regìe che rifuggono dalla interpretazione. (Altro che Against Interpretation alla Susan Sontag). Come già col «Don Giovanni» alla Peter Brook, i cantanti non si presentano come protagonisti di trame o intrecci, né pretendono di «interpretare» personaggi con loro fisionomie e tradizioni culturali illustri. Sono sempre simpatici e accattivanti «giovani d'oggi» - come tutti - con gli stessi jeans e gilet e giubbotti e zainetti e fumetti e sacchetti di patatine e i gesti e sorrisi di tutti i ragazzi attualmente in giro dove «protagonista è il pubblico». E tutti normalmente e perfettamente intercambiabili, sostituibili: lunedì cantano Patrizio e Deborah, martedì Christian e Daniela, mercoledì Marco e Martina, e fa lo stesso. Come per tutti i giovani divi che fra gli strilli delle piccole fans assicurano i reporter di avere gli stessi gusti e le identiche abitudini di tutti i loro coetanei: il rock e l'ecologia, la televisione e la moglie, la pizza e gli sport. (Sicché il motto del cinico Don Alfonso, «Ripetete con me: co-sì- fan-tut-te», risulta profondamente emblematico, sintomatico, e realistico).
Nessuna pretesa di avere o presentare una «personalità propria» (anche al di là dei ruoli interpretati), come non ne possedevano solo la Callas o Ava Gardner o Totò, ma anche Cary Grant e Tina Pica. Nessuna aspirazione a impersonare differenzialmente «figure» che come Donna Elvira o Don Carlo si distinguono - per storia, lineamenti, carattere - dal Duca di Mantova e da Lady Macbeth. Come arrivando dai corridoi della scuola, i giovani uniformi e simpatici entrano rapidamente in ogni parte, eseguono il loro pezzo in «casual», e quindi escono dal ruolo come gli animatori e le infermiere che finito l'orario smettono di lavorare per il pubblico e rientrano nel privato per l'uscita del personale. O come le rock stars che dopo decenni di cuoio borchiato e canottiere zozze sul palco «hard» rincasano fra le trapunte e il capitonné.
Quindi non si pensa neanche per un momento che si tratti di personaggi. Siamo davanti a esecutori, non come ai tempi «epici» dello Straniamento Brechtiano, ma pari al primo violino e agli altri solisti dell'orchestra, in frac: e comunicano emozioni esclusivamente artistiche. Come al concerto e nelle esecuzioni «in forma semiscenica».
E non per niente, adesso, Guglielmo e Ferrando non stanno più lì a perder tempo travestendosi da «nobili albanesi» (o turchi, o valacchi), come pur richiederebbe una commedia degli equivoci,con qui pro quo. Ma chissenefrega? Chi mai se ne accorgerebbe? Fa comunque lo stesso: come con gli Shakespeare fra i disabili. Infatti, non si interpreta. Si esegue, con alta professionalità e in abiti sommari, come con Peter Brook o a Santa Cecilia.
***
(E pensare che sul programma di sala una ricerca di Adriano Cavicchi ci svela perché mai Fiordiligi e Dorabella sono definite "dame ferraresi", non a caso, nel sublime libretto di Lorenzo da Ponte. C'era infatti una tradizione di rinomate «dame cantatrici ferraresi», almeno a partire dalla Corte di Alfonso II d'Este, con un repertorio illustre di belcanto dal Tasso a Paisiello portato in giro per due secoli nelle capitali musicali europee. E a Vienna, la famosa Adriana Gabrielli Ferraresi, detta »la Ferrarese», dopo i trionfi alla Scala e a Londra con Gluck e Cherubini, diventa una popolare amante del Da Ponte, che frequentava anche sua sorella Luisa, anche lei cantante e galante con mille intrighi fra Casti e Salieri e Giuseppe II, mentre Adriana cantava la Susanna nelle Nozze di Figaro... Quindi, tutto un froufrou, un gioco elegante fra le cadenze «ferraresi» nelle arie mozartiane e l'allegra fama delle due Ferraresi a Vienna: storie d'altronde non ignote agli ufficiali e goliardi italiani ancora verso la metà del Novecento, quando Ferrara si celebrava come capitale della Pittura Metafisica... Ma parecchie notizie storiche sulla Ferraresesi trovano, a cura di Lorenzo della Chà, soprattutto nella squisita raccolta dei Libretti Viennesi del Da Ponte, da poco apparsa con la Fondazione Pietro Bembo, e Guanda Editore. E lì, subito dopo il sublime «Così fan tutte», ecco «La caffettiera biz-zarra», altrettanto sublime. Con servi di bottega che cantano, in un locale viennese già attrezzatissimo prima di ogni Secession e Werkstätte: «Qui si danno acque perfette - Qui gelati ed erba The - Qui si leggon le gazzette - Qui si beve il buon Caffè». Dunque, viene una gran voglia di presentare questa Caffettiera Viennese alla celebre Teiera Wedgwood di Maurice Ravel, che nell'«Enfant et les Sortilèges» balla il fox-trot cantando «Black! Black! Black!» alla Tazzina, che le ribatte in cinese, su testi di Colette...).
***
C'è però una sorpresa favorevole: stavolta Don Alfonso non è (come dovrebbe) un vecchio mondano napoletano «dei circoli» che le ha viste tutte anche a Capri e ormai non scopa più, ma si diverte con la sua lunga esperienza da café society a manovrare e beffare i «pivelli». È un altro giovanotto, che passa gran tempo ad architettare scherzi, come un «nonno» con le reclute o un «hacker» coi sistemi informatici. Ma siccome l'interprete Andrea Concetti è bravissimo e disinvoltissimo, potrebbe fare benissimo anche uno Scarpia giovanotto. Chi ha mai detto che debba essere un vecchio laido questore, e non un giovane commissario sportivo che porta via le Tosche e magari le Norme agli anziani tenori panzoni?
Lo spettacolo di Mario Martone è »antinapoletano», secondo quella caratteristica «antiretorica napoletana» per cui la luce e il cielo e il Golfo fanno folklore e dànno un complesso di «O' sole mio», indigeno e abominevole. Dunque, ecco uno sfondo nero da rimessa povera, che sarebbe triste anche per una Passione di Bach con strumenti d'epoca e in forma semiscenica. E così, dopo aver contemplato per decine di volte il muro di fondo dell'Argentina e del Valle e di molti altri teatri di lirica e prosa (generalmente più ammirati di qualunque fondale scenografico), ora si rimira e si applaude anche il muro di fondo del Comunale di Ferrara. Con un sollievo collettivo quando si socchiude un portoncino della rimessa lasciando scorgere un lembo patetico di sole mio. Altro che il riemergere alla luce di quei proverbiali disgraziati del «Fidelio». Qui c'è la crudele tenerezza di quella fiaba di Anna Maria Ortese con la povera piccola ciechina napoletana che quando riacquista la vista viene attanagliata dall'horror nel degrado che vede. Mentre le porcellone ferraresi si sbattono sui letti sfatti dei parenti terribili di Jean Cocteau.
E si recupera magari una leggendaria angoscia della signora Duse, perché un genio teatrale (Gordon Craig, o Appia) le avevano allestito, forse per un Ibsen, una stanza tutta muri esenza finestre. Così, quando dopo un lungo tirammolla di spasimi fra la Divina e il Genio questi acconsente ad aprire "una finestrina", essa davanti a quella finestrina si abbandona a tali frulli Liberty da entrare nella leggenda teatrale all'italiana...Oggi invece l'espediente viene incontro a quei vecchi abitudinari che dovendo scegliere un aggettivo «ficcante»o «intrigante» per classificare uno spettacolo - come - metafora - della - condizione - umana preferiscono il cronico «claustrofobico» al suo pendant «labirintico».
Anche qui tutti i personaggi, quando non sanno cosa fare con le mani e coi piedi, si siedono o accovacciano per terra: come ormai fanno da decenni anche le già altere e stagionate Elisabette d'Inghilterra o di Valois, nonché tutte le Semiramidi e Stuarde e Bolene e Lucrezie Borgie a cui i registi del disagio e malessere hanno sistematicamente tolto la sedia di sotto, spesso confinandole nelle latrine dei manicomi pre-Basaglia anche se il compositore non le gratifica di una Scena della Pazzia celebre come Ofelia o Lucia di Lammermoor. Arriva però stavolta un'applicazione sistemica del principio politico-sportivo per cui «chi non salta, Beethoven è». Tutti entrano infatti in scena saltando il parapetto dei palchi di proscenio. Aiutandosi magari con gradini, ma per decine di volte. E ridestando memorie nostalgiche o satiriche nei superstiti della Dolce Vita e della Nou-velle Vague: l'epoca d'oro delle automobili spider, quando per uscire dalla Giulietta e dalla Triumph si zompava direttamente fuori, mai si sarebbe aperto lo sportello. Con la mia MG rossa d'allora, per anni e anni si è sempre fatto così: perfino nella Varsavia scapestrata degli anni Sessanta, davanti a una piccola folla plaudente che vedeva ovunque Brigitte Bardot. Sono gesti d'epoca, come successivamente stringersi lo stereo estraibile al petto. Ma se l'avesse fatto decine di volte il giovane Trintignant, in un solo film di Vadim?
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Re: RATTLE VS ABBADO

Messaggioda gustav » lun 03 mar 2008, 23:16

Mat carissimo,
scusa se ti chiedo, ma ho indovinato, cioè hai visto lo stesso spettacolo di Arbasino? Ovviamente se c'eri, condividi o dissenti?
Salutoni a te e a tutti gli altri... :D
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Re: RATTLE VS ABBADO

Messaggioda MatMarazzi » mar 04 mar 2008, 0:48

gustav ha scritto:Mat carissimo,
scusa se ti chiedo, ma ho indovinato, cioè hai visto lo stesso spettacolo di Arbasino? Ovviamente se c'eri, condividi o dissenti?
Salutoni a te e a tutti gli altri... :D


Caro Gustav,
hai ragione a richiamarmi all'ordine! :)
Tu avevi postato una ponderosa recensione di Arbasino e io non ti avevo nemmeno risposto! :(
L'avevo letta, mi ero ripromesso di dire la mia e poi me ne sono scordato.
Cerco di rimediare questa sera.

Partiamo dalla prima domanda.
Sì: ho visto proprio lo stesso "Così fan tutte" di Arbasino, anche perché ho idea che Abbado l'abbia fatto solo lì, a Ferrara (per ben due volte) nella mediocre produzione di Mario Martone e con quel cast tutto sballato (ovviamente scelto da lui).
Ci sarebbe mancato che non fossi andato a sentirla: io sono di Ferrara e, per inciso, in quell’anno lavoravo proprio in Teatro.
Non sono andato a sentire la replica di qualche anno dopo: francamente la prima volta mi era bastata.

Non nego che quella di Abbado sia stata una lettura gradevole e brillante, per quel che può valere, considerando che il suo rapporto con Mozart a me pare forzato e dettato più da senso del dovere che da reale disposizione mentale e culturale.
La devo dire tutta? L’ho trovato un "Così fan tutte" inconcludente e soprattutto inutile, in quanto non ha non dico cambiato, ma nemmeno arricchito la storia interpretativa di quest'opera.
Non sarebbe stato più eccitante (visto che di un debutto si trattava) proporre a Ferrara (che so?) la "Fiera di Sorochinsky", che avrebbe chiuso la triologia di Moussorgskij filtrata da Abbado?
O perché, tanto per dire, non osare la carta di "Arianna a Nasso" per proseguire nel cammino straussiano troppo rapidamente interrotto?
Dopo il successo della "Casa di Morti" di Janacek a Salisburgo e il diario di un scomparso, perché non provare a cimentarsi con la Volpe Astuta o il Signor Broucek, che sarebbero stati indicatissimi in quel gioiellino che è il Comunale di Ferrara?
Ma questi sono solo piccoli esempi…
Quante scelte sarebbero state più eccitanti e giuste (in rapporto alla personalità, l’esperienza e gli orientamenti culturali di Abbado) che non questa pioggia di prevedibili eppure inutili Mozart?

E invece no! Mozart!
E vai con le Nozze! E vai col Don Giovanni! E vai col Così fan tutte! E vai col Flauto Magico! E vai ancora col Così fan tutte!
Perché?
Perché Mozart è l'autore ideale di Abbado? Non credo proprio!
Perché è autore di cassetta che riempie i teatri? Bastava il nome di Abbado per riempirli fino all'esplosione.
Per imposizione di case discografiche? No, considerando che ben poco di tutto il Mozart fatto a Ferrara è poi circolato per i negozi di dischi.

E allora? Perché?
Semplicemente perché Abbado, come molti intellettuali (?) della sua generazione, ha uno spiccato senso del dovere.
E così "deve" (nota bene) fare Mozart.
Non perché lo senta in modo particolare, non perché lo capisca fino in fondo, non perché vi abbia aggiunto elementi nuovi o personali, non perché sia una coerente evoluzione del suo repertorio, ma perché "deve".
E non si tratta, caro Gustav, del antico e virtuoso "devoir" che Corneille gravava sui suoi eroi generosi e rinunciatari.

Magari fosse! E invece no!
Quello che spinge Abbado a sperperare i suoi anni preziosi e il suo strepitoso talento a inseguire autori e titoli in cui ha ben poco da dirci (non solo Mozart ma anche Wagner) è un "devoir" assai più modesto; è una semplice acquiescenza ai vecchi “dictat” dell’intellettualismo "rosa" in voga da vari decenni e ancora praticato da innumerevoli tardoni sopravvissuti agli anni ‘70. In base a quei “dictat”, Mozart è”… e lo si “deve” fare!
…la voce dell’irriverenza, la sfida ai valori della tradizione, la fantasia al potere…
E quindi anche Abbado “deve” dirigerlo.

E’ questo stesso “deve” che permea l’articolo di Arbasino, piacevole come sempre, che tu hai postato.
Anche Arbasino appartiene agli intellettuali un po’ fuori tempo con spiccatissimo senso del dovere.
E' evidente che di Abbado (!!!!!) che dirige Mozart (!!!!!!) si “deve” parlare bene, a costo di dar fondo alle risorse di una retorica eccezionalmente rigogliosa e immaginifica, e spesso persino al buon senso.
Ad esempio vantando il taglio asciutto e “biomeccanico” (leggasi anti-romantico) come se si trattasse di una scoperta di Abbado, mentre è un ossessione di vent’anni di ricerca, soprattutto in ambito inglese; o ancora giustificando la genericità deprimente degli interpreti facendola passare per uno straordinario fenomeno culturale e generazionale (l’annullamento del “personaggio” nell’esecutore, in stile commedia dell’arte, nell’interscambiabilità psicologica di ragazzi in jeans e giubbotto, che vanno in discoteca dopo l’opera insieme al primo violino). Per inciso direi che Arbasino ha considerato solo i signori uomini, perché non credo proprio che la Diener, la Antonacci e la Mazzuccato si aggirino per il teatro con zaini e giubbotti.
Lo spacciare un clamoroso e patetico errore di distribuzione (il simpatico Concetti che con Don Alfonso non aveva nulla a che spartire) per una scelta di rottura, programmatica e (ovviamente) felicissima.
L’esaltazione (e qui è veramente il massimo) dell’anti-napoletanità di Martone, anche se in questo caso (non essendo Martone un Abbado!) Arbasino si può permettere di far filtrare una rilassata ironia, laddove una strigliata vera e propria sarebbe stata più opportuna.
Tutto questo mi evoca, proprio come il Mozart di Abbado, la stessa immagine di chi depone la propria autonomia di pensiero di fronte agli obblighi del “devoir”. E soprattutto mi odora di vecchio.

C’è veramente bisogno di un ricambio, caro il mio Gustav.

Grazie comunque dell’articolo, scusa il ritardo della risposta e, ovviamente,
salutoni!!

Mat
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Re: RATTLE VS ABBADO

Messaggioda gustav » mar 04 mar 2008, 1:16

Grazie mille per la risposta, Mat,
è che data la tua esperienza-conoscenza tengo in particolare considerazione la tua opinione!!!Anche di fronte ad un Arbasino o...al mio amato Abbado, che nn ti nego essere uno dei musicisti ai quali sono maggiormente legato (ed anche affezionato)...
Ebbene, certe sue scelte, ossia la decisione di dirigere determinati autori "per forza" anch'io non l'ho sempre condivisa...Detto tra noi, sono felicissimo che prossimamente si impegni con il Fidelio, ma avrei preferito una sua "avventura" ad esempio nella Lulu di Berg! oppure la sua lettura di compositori e opere ancora più recenti. :|
In ogni caso, per quanto riguarda il suo Mozart, ho il suo Don Giovanni e il suo flauto magico, che però ammetto d'aver ascoltato poco(anche perché ogni volta che inizio un nuovo ascolto delle opere suddette, ritorno quasi subito ai "vecchi mostri sacri" quali Giulini, Klemperer ecc.)...Quando approfondirò la versione abbadiana (e chissà quando, ma spero presto)magari ti farò sapere qualcosa...cercando d'essere imparziale...

Ciao
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Re: RATTLE VS ABBADO

Messaggioda MatMarazzi » mer 05 mar 2008, 13:02

gustav ha scritto:avrei preferito una sua "avventura" ad esempio nella Lulu di Berg!


A chi lo dici! :)
Una Lulu di Abbado avrebbe richiamato il mondo intero a Ferrara!
Altro che Così fan tutte!
Dovremmo dirlo ai "sedicenti" direttori artistici che popolano i nostri poveri teatri! ;)

Un salutone,
Mat
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