Pianisti contemporanei

sinfonia, cameristica e altri generi di musica non teatrale.

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Pianisti contemporanei

Messaggioda Triboulet » lun 16 ago 2010, 12:26

Mi permetto di raccogliere l'invito di Mat e cominciare a parlare dei pianisti di oggi. Per contemporaneo intendo più o meno nati dopo la seconda guerra mondiale, artisti di età compresa tra i 40 e i 60 anni, che possiamo quindi considerare già artisticamente maturi nel presente e ormai abbastanza affermati e storicizzati.
Per ora, prima di cominciare a sproloquiare su cose che magari possono non interessarvi, vi butto i nomi che mi vengono in mente. Se avete voglia mi dite quali conoscete anche per sentito dire, così possiamo cominciare a parlarne:
Sokolov, Schiff, Zimermann, Hamelin, Pletnev, Kissin, Mustonen, Aimard, Joao Pires, Lupu, Perahia, Pogorelich, Uchida, Gavrilov...

Tra gli italiani Bellucci, Libetta e Bacchetti.
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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda Triboulet » mar 17 ago 2010, 23:55

Apperò! quasi 30 visite e nessun intervento... vedo che l'argomento interessa! :D
Eppure una cosa ve la voglio far sentire...
Attenzione puristi e tradizionalisti: state lontano! io vi ho avvisati.
Dicevo altrove che spesso quando si sente puzza di genio, odore di novità, spesso si è pronti a far fuoco. Ciarlatani! Dilettanti! e via discorrendo. E' successo tante di quelle volte in passato, e succede tutt'oggi. Questo ci tiene lontani da tutto ciò che è nuovo, e soprattutto da tutto ciò che è diverso.
Si badi, non tutto il diverso è necessariamente buono, bisogna imparare a distinguere, ma se non ci si sforza di imparare sarà sempre più comodo fare tutto un pacco e scaricare nel water. Del resto gli interpreti di 50 e 100 anni fa sono sempre lì per consolarci.

La sacralità dello spartito è una cazzata (vi prego, concedetemi questo termine, dato che qualsiasi altro risulterebbe inappropriato e meno efficace).
Personalmente preferisco un interprete che FA A PEZZI lo spartito allo scopo di comunicare qualcosa, piuttosto di un altro preoccupato di rimanere nel solco della tradizione (perchè di quello si tratta, non certo di seguire ciò che è scritto), o peggio della mediocrità, o peggio ancora della ruffianeria.
Non sappiamo come la pensasse Beethoven di questo, sappiamo come la pensava Rachmaninov.
Rachmaninov fu grande pianista e grande compositore. E' recente abbastanza da averci lasciato testimonianze sonore non solo delle sue interpretazioni di altri autori, ma anche della sua musica. E molti che l'hanno conosciuto erano fino a poco tempo fa viventi.
Bene Rachmaninov non credeva assolutamente nella sacralità dello spartito. Le sue incisioni della sua musica sono molto spesso arbitrarie, come molto personali sono le sue interpretazioni di altri autori. Ad un amico che una sera osservò dopo un concerto "quel passaggio è tutto diverso da come l'hai scritto" egli replicò semplicemente "sicuro, ma così ha funzionato meglio!". Nè erano infrequenti i complimenti ai pianisti più eclettici.

8 aprile del 1962, New York. Leonard Bernstein sale sul podio e al posto di alzare la bacchetta comincia, tra lo stupore dei presenti, a parlare:

"Cari amici della Filarmonica, oggi ci troviamo di fronte ad una curiosa situazione, che a mio avviso merita una spiegazione. Tra poco ascolterete un'interpretazione, diciamo, non fedele del Concerto in re minore di Brahms. Un'interpretazione diversa da tutte quelle che fino ad oggi ho potuto ascoltare e comunque da tutto quel che avevo potuto immaginare: diversa per i suoi «tempi» eccezionalmente trattenuti e per le sue frequenti deroghe alle indicazioni dinamiche dello stesso Brahms. Non posso dire di essere del tutto d'accordo con la concezione di Gould, ed ecco quindi che si pone l'interessante domanda: perché in questo caso e malgrado tutto ho accettato di dirigere questo concerto? [risate del pubblico] Se l'ho fatto è perché Gould è un artista tanto qualificato e tanto serio che mi sembra indispensabile considerare tutto quel che ha pensato in buona fede. In questo caso la sua versione è così interessante da suggerirmi la sensazione che sarebbe bene che anche voi la conosciate. Eppure, la solita domanda ci persegue: in un concerto chi comanda, il direttore d'orchestra o il solista? [risate del pubblico] Ebbene, la risposta è ovvia: una volta l'uno, una volta l'altro, secondo le personalità. Ma i due arrivano quasi sempre ad accordarsi, con la persuasione, il fascino o anche la minaccia, giungendo a dare una versione omogenea dell'opera. Una sola volta nella mia vita, prima di oggi, ho dovuto sottomettermi ad idee totalmente nuove e totalmente inconciliabili di un solista, e ciò accadde l'ultima volta che ho accompagnato Gould! [risate del pubblico]. Questa volta, invece, le divergenze tra le nostre concezioni sono così grandi che sento il dovere di questa mia precisazione. Per ripetere la domanda: quale motivo mi conduce a dirigere questo concerto? Non era forse meglio provocare un piccolo scandalo, di scritturare un altro solista, o di affidare la direzione al mio assistente? Perché sono affascinato e felice di aver l'occasione di conoscere un modo nuovo di considerare quest'opera così spesso eseguita. Perché ci sono dei momenti, nell'interpretazione di Gould, che emergono con freschezza e idee straordinarie. Perché tutti possiamo imparare qualcosa da questo pianista incredibile, che è anche un pensatore della musica. E, infine, perché nella musica esiste quel che Dimitri Mitropoulos chiamava «l'elemento sportivo», la curiosità, l'avventura, la sperimentazione. Vi posso garantire che collaborare con Gould nel corso di questa settimana, nel Concerto di Brahms, è stata una vera e propria avventura. E' con questo stato d'animo che ora lo presenteremo."

Il giorno dopo le critiche dell'ambiente musicale furono pesantissime. "Ridicolo" e "funereo" lo definirono quel concerto, "totalmente antimusicale".
A Bernstein (che per molti aveva preso semplicemente le distanze, ma che in realtà aveva fatto esattamente il contrario) chiesero cosa pensava di Gould ora, rispose "adesso lo amo ancora di più!".

Non è di Gould che voglio parlare, ma di Ivo Pogorelich.
Personaggio altrettanto controverso, antipatico e divo si è spesso detto. E' più facile del resto dare del ciarlatano ad un divo, quasi se lo merita!
Pogorelich ebbe un inizio carriera già turbolento.
Nel 1980 al Premio Chopin fu eliminato al terzo turno.
La grande pianista Martha Argerich disse di lui che era un genio, e per protesta abbandonò la giuria. Da lì il lancio, la collaborazioni coi più grandi direttori d'orchestra, il contratto con la DG. In molti hanno continuato negli anni a detestarlo e a dargli dell'imbroglione. Del resto si è sempre preso troppe libertà, facendolo però con una coerenza (e con delle idee non chiare ma chiarissime) che ci sarebbe da inchinarsi solo per questo. Io ho avuto da ragazzino la fortuna di sentirlo dal vivo, perchè venne nella mia città. Non ricordo di preciso cosa suonò, c'era Chopin in programma, ricordo che era diverso da qualsiasi altra cosa avessi mai ascoltato. Accanto a me una coppia attempata ed elegante commentava a bassa voce "ah ma questo non è Chopin, dov'è l'eleganza? il sentimento?". Ricordo mi fece impressione l'effetto pecussivo su un passaggio "alla marcia" della fantasia in fa minore. Pensai in quel momento "cavolo è così che deve suonare, ora ha senso!". Il pubblico era scocciato, 1 perchè non aveva trovato il suo Chopin (quello di Rubistein i cui dischi avevano consumato), 2 perchè Pogorelich era giovane e... antipatico! E alla gente piace l'artista simpatico, si sa... anche mediocre, ma che sia simpatico!

Come se non bastasse aveva anche sposato la sua insegnante di piano (più vecchia di vent'anni). E l'italiano medio è di un perbenismo da fare schifo.
Sua moglie morirà a metà anni 90, di cancro. Pogorelich, che già aveva un carattere non proprio "lineare", cade in preda a profonda depressione. Si taglia i capelli a zero, e dirada enormemente i suoi concerti. Le sue letture si fanno sempre più singolari, a volte incredibilmente lente, altre incredibilmente "secche", sempre però con quel gusto per i livelli sonori, per le sfumature dinamiche che lo aveva contraddistinto.
Mi è capitato di recente di leggere su internet delle impressioni riguardo i suoi ultimi concerti. Qualcuno l'ha definito "un relitto", altri "patetico", altri "buffone", altri ancora hanno paventato un suo degrado tecnico (a mio avviso non è più fallace di un Horowitz), altri invece hanno osservato "rallenta i pezzi perchè non li sa più suonare" (falsissimo visto che nei passaggi rapidi è ancora efficace e accurato nelle dinamiche).
Ovviamente i più buoni si limitavano a dire "Ma questo non è Rachmaninov", altri con finta compassione "è un uomo sofferente, non sta bene, da quando è morta la moglie è così, che peccato".

Mi sono fatto una crassa risata quando ho ascoltato la sua intepretazione del Rach 2, ma il riso è scaturito dai commenti letti, non dall'esecuzione.
E' vero, non si è mai sentita una cosa del genere! Il Rachmaninov di Pogorelich non ha più nulla di decandente, di tardoromantico, di ruffiano, è sfigurato (diranno i detrattori) è TRASFIGURATO, dico io. E chi si intende di esecuzioni pianistiche, badando bene di non avere alcun pregiudizio, si accorgerà che NULLA nell'esecuzione del pezzo è casuale (e dura da ammettere per chi sostiene che "lo fa apposta per fare quello strano"). Mi rendo conto che possa essere estrema, irrispettosa, e non condivisibile la sua visione (neanche Bernstein condivideva quella di Gould), eppure apre uno squarcio enorme in quella patina un po' perbenista-esteriore e anche kitch che la musica di Rachmaninov si portava appresso. Una lettura di una modernità sconvolgente. Una lettura del 2008.
E' Rachmaninov? no! (è certamente diversa dall'incisione in disco dello stesso autore), è semmai quanto di più profondo si possa cavarne fuori, il che forse (anzi a mio modo di vedere sicuramente) è ancora più interessante.
A Rachmaninov sarebbe piaciuta? forse no, ma sono certo che si sarebbe complimentato.

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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda pbagnoli » gio 19 ago 2010, 14:35

Io sono ignorante in tecnica pianistica e grandi esecutori. Potrei risponderti come avevo risposto a teo.emme: a me piace moltissimo Lang Lang, mi sembra un fenomeno, rimango molto colpito da tutti i trucchi messi in campo per stupire l'ascoltatore.
Pogorelich, per come lo capisco io che sono ignorante sul tema, punta maggiormente su un coinvolgimento emotivo epidermico dell'ascoltatore, Lang Lang sul fatto di strappare allo spettatore un "Oooh!" di meraviglia.
Se questi erano gli scopi, con me sono perfettamente ottenuti.
Dipende dal fatto che non so nulla di tecnica pianistica?
Mah, non so.
Io appartengo ancora alla generazione che si faceva incantare da Glenn Gould e dal suo Bach
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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda Triboulet » gio 19 ago 2010, 15:55

Grazie pietro prima di tutto per la tua risposta. Pensavo che l'argomento cadesse nel vuoto, e un po' mi dispiaceva la cosa.
Il problema sono proprio i trucchi messi in campo per stupire l'ascoltatore.
Quelli di Glenn Gould, benchè stupissero, non erano "trucchi", avevano un fondamento concettuale rigidissimo.
E tutta la tecnica era sviluppata in maniera così personale al fine di raggiungere quegli obiettivi.
Pogorelich è stato contestatissimo, proprio perchè in lui si ravvisavano "trucchi per stupire". Quando il pianismo è non convenzionale merita sempre una analisi più approfondita per capire, in parole povere, se uno "ci è o ci fà". Nel caso di Pogorelich, dopo alcuni ascolti, capisci che sotto c'è una visione particolare dei pezzi che interpreta, magari non condivisibile, ma comunque ragionata. Il fraseggio, il tocco, l'impostazione del pezzo, è tutto pensato. Poi puoi essere in totale disaccordo con lui, ma questo è un altro discorso.
E' la differenza che passa tra il vocalizzare della Caballè (spesso un trucco per farti dire "oooooh che brava") e quello di una Gencer, magari non meno suggestivo, ma messo là al preciso scopo di comunicare un'idea.

Riporto un anedotto raccontato dal grande Horowitz:

Ho debuttato [in America] con Beecham suonando il concerto di Tchaikowsky che io stesso scelsi di suonare. Sapevo che avrei potuto ottenere effetti di suono, di velocità, di chiasso e altre cose che il pubblico sarebbe andato in visibilio. Io volli fare questo, ma inconsciamente l'ho fatto per avere un successo tale che non sarei dovuto tornare nel mio Paese. Ho voluto avere successo in tutto il mondo soltanto per non tornare indietro, perché se non avessi avuto successo in Europa e in America sarei dovuto tornare a casa. Dissi: Caro il mio Lord inglese, io vengo da Kiev e adesso te la faccio vedere io. E così iniziai ad accelerare a tal punto che ebbi anche un rimprovero di Rachmaninov: mi disse che avevo fatto tutto troppo veloce e troppo chiassoso, e che non era necessario né musicale, e allora io gli spiegai la faccenda e lui si mise a ridere.

Ecco tu pensa che quel che Horowitz aveva fatto per cause contingenti Lang Lang mi sembra (dò sempre il beneficio del dubbio ai giovani pianisti) lo faccia in maniera sistematica :D e questo anche a scapito della qualità del suo stesso virtuosismo.
Certo è ancora giovanissimo, a meno di 30 anni un pianista è ancora artisticamente in fasce. Vedremo tra una decina d'anni dove sarà arrivato.

Questo non vuol dire che altri grandi pianisti non hanno usato trucchetti per essere più spettacolari. Però è sempre il solito discorso che quando sotto c'è qualcosa "di grosso" in termini artistici ti puoi permettere anche di sparare qualche fuoco d'artificio. Guarda Rubistein negli anni 40 (lui, considerato uno dei meno virtuosi tra i pianisti storici):




Poi c'è tutta l'altra scuola di virtuosismo "interiore", artisti non meno bravi e affascinanti, magari anche estremi, ma in maniera non esteriore.
Schiff o Sokolov (secondo me tra i più intelligenti pianisti contemporanei) possono far parte di questa categoria, almeno in tempi recenti.
E' ovvio che i loro approcci richiedono maggiore impegno d'ascolto, perchè catturano meno l'attenzione, o meglio la catturano in maniera meno accattivante, proprio come accade a quei cantanti che noi definiamo "cerebrali".
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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda Triboulet » gio 19 ago 2010, 18:30

Proviamo quindi un approccio meno eversivo di quello di Pogorelich (non vorrei far passare il messaggio che per essere geni bisogna essere strani).
Andras Schiff è considerato specialista di Bach, Mozart, Schubert e ultimamente anche di Beethoven, del quale ha registrato di recente un integrale delle sonate che da quel che ho sentito si prospetta interessantissimo (presto me lo regalerò).
L'approccio di Schiff è assai analitico ma mai sterile, sempre equilibrato ma mai freddo. Pur non essendo il mio pianista ideale è un artista dalla cultura enorme.
Se capite qualcosina di inglese (è l'inglese di un ungherese, quindi abbastanza comprensibile) ascoltate l'analisi che fa della celebre sonata "Al chiaro di luna".
Scoprirete che il celeberrimo primo movimento, stando alle indicazioni di Beethoven, dovrebbe suonare molto più veloce di come lo si esegue di solito, ricalcando la scena dell'omicidio del Commendatore nel Don Giovanni mozartiano (pensate, quel birbante di Gould ha realizzato l'esecuzione più filologica! :D).
E scoprirete mille altre cose, ma aldilà di questo quel che incanta è l'approccio artistico-immaginativo con cui Schiff tratta la musica di Beethoven. Anche quì lo studio filologico è solo un punto di partenza per costruire una visione personale del discorso poetico (in questo caso un Beethoven evocativo ma misuratissimo, ricercato ma mai manierato, a tratti pre-schubertiano).
Penso che assieme all'integrale di Bellucci (animato da tutt'altri principi e presupposti), questo sarà uno dei nuovi punti di riferimento della discografia beethoveniana.



Da menzionare anche il suo Schubert (l'autore con cui secondo me va più a nozze) ma anche il suo Bach, meno accattivante di quello gouldiano, ma animato da un equilibrio ammirevole tra pulizia ed espressività.
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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda Triboulet » gio 26 ago 2010, 21:34

@ pbagnoli:
Torno su Lang Lang perchè per caso ne riascoltavo alcune interpretazioni.
Devo dire che in questa occasione mi piace anche abbastanza:



Quando non cerca di dimostare quanto è bravo (e quindi di arruffianarsi il pubblico) il suo pianismo appare frizzante e spensierato, il tipo di approccio che mi piace nei compositori del 700. E mi pare anche abbastanza studiato il tutto.

Se vogliamo ci sono buoni propositi anche quì:



Il piglio è assolutamente anti-chopiniano (nel senso in cui siamo abituati a sentire Chopin, alla Rubinstein/Magaloff ecc.), e per questo è interessante.
Però quì cade nei suoi soliti eccessi, rubati eccessivi e ruffiani, superficialità in alcuni passaggi, gestione della dinamica un po' lasciata al caso ecc.
Diciamo che su pezzi come questo si avverte di più.

In brani del genere invece lo perdiamo totalmente :D... :



e non è per le smorfie, i pianisti smorfiosi ci sono sempre stati, il guaio è che la musica diventa come gigantesca improvvisazione.
Rachmaninov direbbe che non è necessario nè musicale, un po' come nell'aneddoto di prima.
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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda pbagnoli » ven 27 ago 2010, 8:04

Tu dici:
Il piglio è assolutamente anti-chopiniano (nel senso in cui siamo abituati a sentire Chopin, alla Rubinstein/Magaloff ecc.)

Io ti rispondo, da ignorante: cos'è chopiniano, quindi? L'esecuzione ritmicamente corretta e adeguata, seria, composta, affabile, sorridente, deliziosamente romantica, un po' fanée, col rubato appena accennato?
E' questo che intendi?
Se è questo cui fai riferimento, pur comprendendo le tue ragioni di appassionato ed esperto, io sto con il pubblico e, quindi, sto anche con Lang Lang. Non sarei mai andato a vedere Magaloff o Rubinstein in teatro, farei la fila di notte per vedere Lang Lang.

E allargo il discorso, necessariamente in un terreno a me più consono: quello dell'interpretazione.
Questo qua fa il buffone sul palcoscenico: va bene. Entro certi limiti lo faceva anche Rockwell Blake, con le sue smorfie e le zanne da vampiro esposte in generosa visione.
Ma l'uno e l'altro sono - tecnicamente - dei fenomeni! Portano sul palcoscenico quel quid istrionico che molti fuoriclasse hanno nel loro bagaglio!
Perché lo fanno? Perché si parli di loro, perché è nel loro carattere, perché si riconosca a primo orecchio "il Rachmaninov di Lang Lang" o "il Rossini di Blake".
Io ho iniziato ad amare il personaggio del Conte di Almaviva da quando Blake ha tracciato una strada diversa da quella degli Alva e dei Valletti che avevano imperversato ai tempi della mia giovinezza. Lui è diverso! Lui stravolge tutto! Lui è un matto che entra come una furia sul palcoscenico e spazza tutto quello che trova sul suo cammino, convenzioni comprese. Certo, a me piacerebbe sentire un conte di Almaviva come lo cantava Marcel Wittrisch, ma quel modo di cantare, probabilmente più rossiniano (e qui mi riallaccio alla tua premessa, l'idea di chopiniano) è qualcosa che non esiste più.
Perché?
Perché è cambiato il gusto esecutivo, il gusto del pubblico, il diapason, tutto quello che vuoi.
Ma soprattutto, perché abbiamo riscoperto il gusto dei fuochi d'artificio, dell'improvvisazione, dell'invasione culturale.
Certo, la cosa va fatta partendo da una solida base tecnica; non da cialtroni.

Questo Lang Lang è - tecnicamente parlando - un fenomeno; almeno così mi sembra.
Potrebbe accontentarsi di fare il fenomeno: sarebbe uno dei tanti pianisti orientali ipertecnici e bravissimi. Non lo fa, preferisce spiazzare e dividere il pubblico e, mi sembra, ci riesce benissimo.
Trasferiamoci nuovamente in ambito tenorile.
Blake era - tecnicamente parlando - un fenomeno, ma anche lui si divertiva a spiazzare il pubblico con invenzioni, trovate, fuochi d'artificio. Tutt'ora farei la fila di notte per vederlo.
Flòrez è - tecnicamente parlando - anch'egli un fenomeno. Personalmente lo trovo ormai di una noia mortale: nell'esibizione dei suoi numeri non c'è un filo di sale. DI sicuro non farei la fila di notte per vederlo.
La mia idea è che l'interpretazione sia fatta, in larga parte, anche di improvvisazione: mi aspetto e pretendo che un artista, per coinvolgermi, mi apra orizzonti impensati. Dello Chopin canonico non so più che farmene: ne ho ascoltato tanto nella mia vita. Adesso voglio ascoltare qualcosa di diverso, in cui il virtuosismo tecnico sia un ponte che magari mi proietta verso posti che con Chopin non hanno nulla a che spartire. Sceglierò poi io, spettatore, se quello che ascolto e vedo mi piace oppure no.
Non so se ti ho chiarito il mio pensiero
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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda Triboulet » sab 28 ago 2010, 1:22

Il tuo discorso non fa una piega pietro... però dovresti quotare le mie frasi per intero : Chessygrin :

Triboulet ha scritto:Il piglio è assolutamente anti-chopiniano (nel senso in cui siamo abituati a sentire Chopin, alla Rubinstein/Magaloff ecc.), e per questo è interessante.

Quindi non approfondisco tutta la disquisizione sull'idea di chopiniano... ti sarà sfuggito quel passaggio e hai commentato come se io avessi detto "non suona Chopin come Rubinstein quindi fa schifo", no io volevo dire l'esatto contrario, non suona come Rubistein quindi parte già benone! :D

Se riuscisse ad incanalare (ma con l'età e l'esperienza lo farà mi auguro) certe belle trovate che ha (variazioni improvvise della dinamica, uso parchissimo del pedale, mood spensierato ecc. e anche il virtuosismo acceso) in un disegno che sia meno casuale e meno votato all' "adesso ve faccio vede io che mostro che so" o all'' "ehi ragazzi la sto a fa' diversa!!"... sarebbe perfetto.
Sono daccordo con te, neanche io so che farmene di un clone di Rubinstein (che ritengo un grandissimo musicista, sublime fraseggiatore, ma pianista assai poco rivoluzionario pure all'epoca), come non so che farmene del Mozart di certi mozartiani graziosi e ammosciati o del Beethoven di certi beethoveniani eroico-roboanti. Però deve maturare un "Lang Lang pensiero" e soprattutto una tecnica che sia a servizio di quello che fa.
Quel maledetto/benedetto Gould era un virtuoso assoluto, anche spettacolare (velocissimo come pochi), suonava Bach come nessuno prima (e dopo), era eccentrico, faceva le faccette e mugugnava... un personaggio si disse. Eppure se uno ascoltava/ascolta la musica di Gould il "Gould pensiero" arriva chiarissimo, perchè la sua tecnica (anzi le sue TECNICHE, che usava a seconda del repertorio) riflettevano esattamente un'idea, anzi addirittura un'estetica. Se io non ci sento un'idea chiara sotto (o se ce la sento e la vedo realizzata come viene) la cosa non mi prende di testa, al più mi può prendere di pancia (fai tu il parallelo con le donne :D). So che quello è Lang Lang, ma non capisco che cosa mi vuole dire attraverso quell'opera d'arte.
Gulda, lo cito spesso anche lui, era un tizio totalmente anticonvenzionale, Bach Mozart e Beethoven suonati (magnificamente) come nessun altro (nel senso di diversi dai riferimenti storici), eppure dietro quel fare apparentemente "rapsodico" e naturale era palese un disegno precisissimo. Poi Gulda ai concerti ti faceva un pezzo di Bach e un quarto d'ora di variazioni su Light My Fire dei Doors, e sfogava così la sua anarchia e la sua ruffianaggine.
Anche la mia amata Callas aveva una tecnica da paura a inizio carriera, ma le sue primissime registrazioni messicane del 1950 colpiscono di più per la tecnica e non per quello che aveva da dire la Callas artista. Se avesse continuato così avrebbe fatto centinaia di Aide col mi bemolle, Medee furibonde tutta la vita, e Lucie infiorettate per bene con cadenze stratosferiche, e forse il pubblico l'avrebbe seguita come un fenomeno, però... Ecco come fortunatamente la Maria ha messo la sua tecnica a servizio di quel che aveva da dire (in maniera molto poco accademica peraltro) mi auguro che Lang Lang saprà col tempo fare altrettanto, senza rinunciare ai fuochi d'artificio, ai quali non sono certo contrario.
Perchè Pietro, se poi io ascolto un disco di Lang Lang (e io ne ho ascoltato più di uno, specie i concerti piano e orchestra) là devo capire le idee che c'ha sto ragazzo, perchè sul disco puoi circenseggiare molto meno (o meglio l'appeal si riduce), e fino ad ora non mi pare che abbia introdotto novità eclatanti. Se mi devo comprare un altro Rach 3 ne deve valere la pena, se no mi tengo Horowitz, con tutti i fuochi d'artificio che pure lui faceva.

Dirò pure che non è nè il primo pianista che fa della tecnica impressionante un'arma, nè il primo che ondeggia e fa smorfiettine... no perchè lo si dipinge pure come un rivoluzionario, quando questa è una storia che si ripete dall'epoca di Liszt e Thalberg (metà ottocento) fino ad oggi.... beccati questi due minutini:





A proposito, beccati pure l'imitazione di Liszt in un film russo degli anni 50 credo.
Lui (non si direbbe conoscendo il tipo) è l'immenso Sviatoslav Richter.
Dimmi un po' se non ti pare un Lang Lang di 150 anni fa : Chessygrin :



PS: Liszt si scocciò peraltro in fretta delle baracconate, a 40 anni se non vado errato. Credo che sia il primo ritiro dallo star-system nella storia della musica.
Un po' come faranno i Beatles nel '66 :D
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Gulda

Messaggioda Riccardo » mer 01 set 2010, 21:26

pbagnoli ha scritto:La mia idea è che l'interpretazione sia fatta, in larga parte, anche di improvvisazione: mi aspetto e pretendo che un artista, per coinvolgermi, mi apra orizzonti impensati.

Forse a Pietro potrebbe piacere questo pianista. Che è anche una mia passione.
Qui alle prese col finale del Concerto 26 di Mozart.
Poi ne parliamo!

Ich habe eine italienische Technik von meiner Mutter bekommen.
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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda Triboulet » mer 01 set 2010, 23:58

Si parliamone in un thread dedicato molto volentieri! io se hai notato Riccardo l'ho spesso citato altrove, lo ritengo uno dei geni del XX secolo! Ma Gulda non era improvvisatore! improvvisava nel jazz ma nella classica aveva la rara abilità di essere studiatissimo e suonare il più naturale di tutti... ma poi ne parliamo se hai voglia.
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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda Donizetti » ven 10 set 2010, 16:53

Triboulet ha scritto:
Scoprirete che il celeberrimo primo movimento, stando alle indicazioni di Beethoven, dovrebbe suonare molto più veloce di come lo si esegue di solito, ricalcando la scena dell'omicidio del Commendatore nel Don Giovanni mozartiano


Molti anni fa, quando ero ancora un adolescente studente di pianoforte, portai il celebre primo movimento dell'op. 27 n° 2 di Beethoven al saggio finale del secondo anno. Premesso che la mia esecuzione non è passata alla storia e che nessuno mi ha mai accostato a Gould, ricordo che, insieme con il mio professore, discutemmo sull' "Adagio sostenuto", ossia su come andasse eseguito il brano dal punto di vista della agogica. Benché quattordicenne e quindi pressoché ignaro di cosa fosse lo studio filologico di un'opera d'arte, pure il mio istinto mi suggeriva che non si dovesse eseguire questo brano con eccessiva lentezza, ma anzi con un ritmo (dettato dalle terzine della mano destra) che in qualche modo desse senso alla semplice, ma struggente melodia che si sovrappone già alla quinta battuta a questo accompagnamento; un senso che non rivelasse semplicemente un pianto o uno stato d'animo disperato, ma che evidenziasse piuttosto una malinconia virile e una dolcezza (nell'accezione romantica del termine) estrema. Tanto più che Beethoven indica chiaramente che "si deve suonare tutto questo pezzo delicatissimamente e senza sordino". E così lo eseguii.
Per quanto detto, dunque, ho sempre trovato l'interpretazione di questo brano da parte di Gould (e, quindi, anche di Schiff) molto affascinante e corrispondente a quello che ho sempre pensato dovesse suscitare nell'ascoltatore l'Adagio sostenuto. Tutti gli altri pianisti da cui ho ascoltato questo brano hanno "tradito" la mia aspettativa, interpretandolo, chi più, chi meno, lentamente; fino ad Anton Kuerti (di cui ho già parlato), che lo fa durare quasi 8 minuti!
Chiunque abbia studiato uno strumento musicale, sa che per interpretare un brano occorre innanzitutto appropriarselo dal punto di vista tecnico; solo dopo si può cominciare a dare un senso, appunto, alla musica che si suona. Ciò implica, quindi, la ripetizione quasi ossessiva del brano, anche quando, come in questo caso, non ci sono passaggi tecnicamente difficili; lo ripeti mille e mille volte, perfezionando ogni volta qualcosa, introducendo piccole variazioni interpretative, fino a quando non ti sembra che venga fuori quello che hai in testa. Una volta raggiunto questo punto (se mai lo si raggiunge), si comincia veramente a "suonare" quel brano; ma non è detto che ciò che ne viene fuori sia sempre la stessa musica! Tutto ciò per dire che, almeno ai livelli ai quali ho suonato (ma credo che anche per i professionisti valga la stessa cosa), ci sono altre componenti che entrano in gioco quando suoni: la concentrazione, lo stato d'animo o la tensione che possono influire sull'esecuzione in maniera significativa, anche per un brano che hai imparato alla perfezione. Probabilmente diverso il discorso per chi incide in uno studio la musica: puoi sempre decidere (almeno credo) di cancellare la registrazione ed effettuarla di nuovo.
Un saluto a tutti voi.
Donizetti
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Re: Pianisti contemporanei

Messaggioda Triboulet » ven 10 set 2010, 20:01

Donizetti ha scritto:Per quanto detto, dunque, ho sempre trovato l'interpretazione di questo brano da parte di Gould (e, quindi, anche di Schiff) molto affascinante e corrispondente a quello che ho sempre pensato dovesse suscitare nell'ascoltatore l'Adagio sostenuto. Tutti gli altri pianisti da cui ho ascoltato questo brano hanno "tradito" la mia aspettativa, interpretandolo, chi più, chi meno, lentamente; fino ad Anton Kuerti (di cui ho già parlato), che lo fa durare quasi 8 minuti!


Hai detto una cosa che condivido molto, non nei contenuti ma nei principi. Secondo me è una questione di aspettative, o meglio di essere più o meno convincenti, ovvero di attendere le aspettative dell'ascoltatore, conscie o inconscie. Per "aspettativa inconscia" intendo quella strana sensazione che abbiamo da una musica che abbiamo sempre ascoltato e che non ci ha mai pienamente convinto, poi troviamo l'interpretazione giusta e... pam! così doveva essere allora!
Il discorso del "convincimento" è molto soggettivo, ciò che convince te può non convincere me. E però anche due cose diametralmente opposte (dal mio punto di vista) possono risultare entrambe convincenti, come se illuminassi lo stesso oggetto ora dall'alto ora dal basso, ottenendone l'esaltazione di aspetti diversi. Un pezzo come quello ad esempio ha secondo me due vie percorribili, quella più filologica del tempo rapido, che quindi esalta sia il ritmo da marcia funebre sia il senso della melodia, e quella lentissima, nella quale la melodia sembra svanire completamente in una immobilità minimalista quasi trasfigurante.
Secondo me c'è Beethoven nell'una e nell'altra, nonostante l'autore stesso abbia suggerito la SUA via. Ecco io parto dal presupposto che la sua via non debba essere necessariamente la mia (è un po' impopolare come discorso al giorno d'oggi :D).

Sono pronto per questo ad accettare entrambe le opzioni. Il vero problema dell'interpretazione è secondo me la tradizione! La tradizione ti blocca in una via di nessuno perchè ti fa lavorare sostanzialmente sul lavoro degli altri. In questo caso la tradizione propone un elemento "a programma" ("al chiaro di luna") che ti porta necessariamente ad una lettura romantica da "notturno", enfatizzata ancor di più dalla convinzione storica che Beethoven sia il primo tra i romantici (e quindi tutti gli elementi di proto-romanticismo nella sua musica vanno automaticamente enfatizzati). Ecco quello sbrodolamento pseudo-chopiniano che ne deriva secondo me si allontana di più dall'essenza di Beethoven (ma chi può dirlo? lo dico io, certo). E' un paradosso, ma la tradizione finisce quasi sempre per essere la più traditrice tra le opzioni interpretative.
A parte tutte queste considerazioni, tendo a prediligere in genere gli interpreti che partono da zero o quasi (mi rendo conto che non si può mai prescindere totalmente dal passato) e che quindi si pongono in modo personale davanti allo spartito, in modo adesivo o distruttivo che sia. Anche lo stravolgimento e la ricostruzione (se fondato concettualmente) porta in sè una nuova verità, che è compiuta e definita perchè è come se fosse appena sgorgata. Una intepretazione "nel solco" rischia invece di essere la variazione della variazione della variazione di un'idea (bisogna vedere se buona), che non è più una verità, è l'imitazione di un ricordo da dare in pasto al pubblico più pigro.
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