Beethoven: Sonate per pianoforte

sinfonia, cameristica e altri generi di musica non teatrale.

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Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Triboulet » mar 19 gen 2010, 23:24

Essendo pianista mooooolto dilettante, mi appassiona anche l'ascolto di molta musica dedicata a questo strumento.
Le sonate di Beethoven sono un caposaldo del repertorio pianistico, e forse (assieme ai quartetti) sono l'unico ciclo di composizioni beethoveniane che ci danno precisamente un'idea globale della evoluzione stilistica del compositore tedesco.
Qualcuno di voi possiede uno o più integrali (o anche sonate spurie)? quali intepreti preferite?
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Enrico » mer 20 gen 2010, 1:40

Integrali di W.Kempff anni '60 e F.Gulda (sonate e concerti).

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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda pbagnoli » mer 20 gen 2010, 13:57

Anch'io ho l'integrale di Kempff. Se esiste ancora, è un cofanetto economico ben rimasterizzato!
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Triboulet » gio 21 gen 2010, 2:26

L'argomento non stimola molto alla riflessione vedo : Hurted :
Dirò io qualcosa... sostanzialmente le mie scelte sono quelle di enrico, alle quali aggiungerei Arrau.
I primi a registrare l'integrale beethoveniano, manco a dirlo, furono i tedeschi.
Schnabel, il pioniere di turno, consegna negli anni 30 i primi dischi del Beethoven pianistico che, per lungo tempo, rimasero riferimenti unici e imprescindibili. Si può ben immaginare però come suoni un disco dell'epoca.
Poi arrivarono Backhaus, Nat e Kempff. Tra questi scelgo anche io decisamente l'ultimo. Backhaus è da molti considerato interprete di riferimento, in virtù di una certa monoliticità tutta teutonica, un eroismo austero e quasi incolore. Kempff, seppur meno virtuoso (a un orecchio attento non sfuggiranno certi piccoli pasticci) riesce, sempre all'interno di un equilibrio che guarda al classicismo illuminista, ad infondere squarci di luce che, al mio orecchio, costruiscono quella terza dimensione che al rigoroso Backhaus manca.
Poi ci sono Arrau e Gulda. Due mondi agli antipodi, due interpretazioni comunque validissime e da conoscere.
Arrau coglie lo spirito proto-romantico, ma non in maniera esteriore come gli interpreti più superficiali hanno realizzato (fortissimi esagerati, pedalizzazioni eccessive, velocità stratosferiche ecc.). L'intuizione di Arrau è far "respirare" Beethoven, renderlo "cantabile", con un fraseggio quasi umano, con variazioni costanti di tempo e dinamica anche molto accentuate, scelte stilisticamente impensabili per la scuola tedesca, ancorata ad una scansione ritmica implacabile ed una dinamica a toni di grigio. Gulda fa l'esatto contrario, ovvero accelera i tempi in maniera frenetica, "asciuga" le sonorità da ogni risonanza superflua (il suo pianismo è quasi metallico a volte), fa di Beethoven un degno figlio di Bach e Haydn. Non solo, il Beethoven di Gulda è, per la prima volta, privo di ogni retorica seriosa-pomposa-filosofica, è semplicemente musica, che spesso si colora di spensierata ironia.
Sconsiglierei Brendel che, almeno in Beethoven, è derivativo e dispersivo, scarsamente e difficilmente efficace. Forse meglio Baremboim, alla ricerca di un compromesso che equilibri le istanze classiciste e quelle neoromantiche. Neanche Annie Fischer mi ha convinto. Ci troverete tanta energia, un tocco molto stentoreo, suggestivo ma per me non lascia il segno.
Tra le new-entry invece da segnalare András Schiff; non conosco il suo integrale, ma da quel che ho letto è assai accurato nella ricerca dei colori, dei fraseggi e dell'uso del pedale.
Fuori gara Gilels, che purtroppo non riuscì a completare il suo integrale. Quel che ne resta (che poi sono la maggior parte delle sonate) unisce il solido virtuosismo di scuola russa (alla Richter per intederci) alla visione umanizzante di Arrau, portata a conseguenze meno estreme. Difficile da raccontare, ma vi assicuro è un gran bel sentire!

PS: ovviamente, almeno quelle da lui incise, sono da ascoltare le sonate di Gould. Al solito tutt'altro che di riferimento, ma assolutamente emozionanti nella loro scabra e perfetta architettura. In Gould si gode anche dello spazio tra una nota e l'altra (la sua Appassionata, lentissima e per molti una mezza vaccata, è invece un tentativo riuscito di guardare dentro la musica e oltre la musica).
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Enrico » gio 21 gen 2010, 14:06

L'argomento è interessante, ma in questo periodo non riesco a scrivere molto.
Dopo ciò che hai detto su Gulda potrà sembrare strano notare che in alcuni movimenti è (o sembra?) molto più lento di altri:per esempio nell' Adagio Sostenuto dell'op.27 n.2, almeno nell'edizione che ho io, che è quella del 1967. Le prime sonate che ho ascoltato da piccolo sono state l'op.13 e l'op.27 n.2 in un LP di Rubinstein molto graffiato e consumato. Di Kempff esiste anche qualche registrazione degli anni '30, dal suono accettabile. Di Barenboim ricordo il ciclo integrale delle sonate trasmesso in televisione tanti anni fa.
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Donizetti » ven 28 mag 2010, 9:38

Un saluto a tutti voi.

Mi sono appena iscritto a questo forum, avendo scoperto casualmente questo splendido sito, cercando gli interpreti secondari di un Rigoletto del 1955 con la Callas e Di Stefano. Mi pare sia chiaro che sono un appassionato di musica (non specifico classica, per il vezzo un po' integralista, lo riconosco, di considerare tutto ciò che non è classica rumore più o meno organizzato): benché il mio nome utente possa indurre a pensare che sia solo un melomane, nasco come "pianista", nel senso che ho studiato pianoforte e, quindi, la mia passione iniziale era la musica da camera.

L'argomento in questione mi ha molto stuzzicato, sia perché Beethoven è... Beethoven, sia perché le sue sonate per pianoforte rappresentano una delle vette più alte della musica di tutti i tempi. Ebbene, nella mia ricerca di nuovi interpreti di tale colosso musicale, dopo avere per anni ascoltato i "soliti" Arrau, Kempff, Backhaus, Barenboim, Brendel, ho scoperto altri pianisti, molto meno noti, ma che, a mio parere, hanno affrontato l'ardua salita con umile determinazione, oltre che con serietà professionale. Vorrei solo indicare tali nomi "nuovi" solo per dare uno spunto per riflessioni e commenti futuri e rimandando eventualmente mie considerazioni sulle loro interpretazioni: Jénö Jandó, Richard Goode, Stephen Kovacevich, Anton Kuerti, Paul Lewis.

Grazie per l'attenzione e scusatemi per l'irruzione.
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda MatMarazzi » ven 28 mag 2010, 14:26

Donizetti ha scritto:Un saluto a tutti voi.

Mi sono appena iscritto a questo forum, avendo scoperto casualmente questo splendido sito, cercando gli interpreti secondari di un Rigoletto del 1955 con la Callas e Di Stefano. Mi pare sia chiaro che sono un appassionato di musica (non specifico classica, per il vezzo un po' integralista, lo riconosco, di considerare tutto ciò che non è classica rumore più o meno organizzato): benché il mio nome utente possa indurre a pensare che sia solo un melomane, nasco come "pianista", nel senso che ho studiato pianoforte e, quindi, la mia passione iniziale era la musica da camera.

L'argomento in questione mi ha molto stuzzicato, sia perché Beethoven è... Beethoven, sia perché le sue sonate per pianoforte rappresentano una delle vette più alte della musica di tutti i tempi. Ebbene, nella mia ricerca di nuovi interpreti di tale colosso musicale, dopo avere per anni ascoltato i "soliti" Arrau, Kempff, Backhaus, Barenboim, Brendel, ho scoperto altri pianisti, molto meno noti, ma che, a mio parere, hanno affrontato l'ardua salita con umile determinazione, oltre che con serietà professionale. Vorrei solo indicare tali nomi "nuovi" solo per dare uno spunto per riflessioni e commenti futuri e rimandando eventualmente mie considerazioni sulle loro interpretazioni: Jénö Jandó, Richard Goode, Stephen Kovacevich, Anton Kuerti, Paul Lewis.

Grazie per l'attenzione e scusatemi per l'irruzione.



Grazie a te del tuo intervento e di essere entrato a far parte della nostra comunità.
Purtroppo non ho moltissimo da dire in proposito, essendo un modestissimo esperto in materia pianistica.
Purtroppo ho ascoltato nelle sonate di Beethoven solo i "soliti" che hai citato, trovando Kempff (per asciuttezza, rigore ma anche profondità di emozione) ben superiore a Baremboim e persino Brendel.
Dei "nuovi" che hai citato, non ho ascoltato nessuno e men che meno in Beethoven: ne sono molto incuriosito e mi piacerebbe che dessi qualche dritta in più (nella speranza che anche altri abbiano qualcosa da dire in merito).
Un salutone e benvenuto.
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Teo » ven 28 mag 2010, 16:00

Innanzitutto benvenuto Donizetti : Thumbup :

Pur amando da sempre il canto, il mio primo approccio strumentale, anche per me, è stato il "pianoforte", che dall'età di 11 anni mi ha accompagnato per diverso tempo.
Nonostante le sonate di Beethoven, in campo pianistico, siano tra le mie esecuzioni preferite, ammetto di non conoscere quasi per nulla questi "nuovi" pianisti da te citati (ad eccezione di Anton Kuerti).
Premesso che oltre ai nomi dei pianisti cosiddetti "conosciuti" da te citati se ne potrebbero aggiungere altri, per quanto riguarda il mio modo di sentire e per l'esperienza che mi lega oggi al canto, il massimo dell'espressione e dell'esaltazione artistica io la sento nel genio di Horowitz. Semplicemente meraviglioso.

Quello che c'è di incredibile nel suo modo di suonare è la profonda aderenza del corpo con la testiera, dove le dita, diventano solo un terminale, come il pennello per un pittore o come la bocca per un cantante. Il lui il suono nasce dal corpo (tutto), è il corpo che vibra prima ancora delle corde del suo pianoforte.
Il suo forte non è MAI ripeto MAI pestato o spinto, il suo forte è "imponente" perché "è presenza".
Il suo virtuosismo non è MAI ripeto MAI sospeso o distaccato dalla tastiera, ma sempre in penetrazione (pur essendo leggero come il volo di una farfalla).
Tutto ciò in lui a mio modesto avviso, è possibile proprio perché lui canta con il suo corpo e il pianoforte canta con lui.
Il suo desiderio fin da piccolo era infatti quello di poter cantare con il pianoforte; penso che sia uno dei pochi che vi sia riuscito per davvero.
Genio, pazzo, schizzato e comunque sia UNICO.

Vi prego, ascoltate il primo movimento dell'Appassionata e il terzo movimento della Patetica (ma anche il secondo bisognerebbe menzionare) che sotto vi riporto e poi confrontatelo con chi volete e sappiatemi dire se è paragonabile a qualsiasi altro pianista...io scommetto proprio che vi sarà impossibile.





Buon ascolto e salutissimi.

Teo
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda MatMarazzi » sab 29 mag 2010, 11:34

Carissimo Teo,
Be' che dire... Grazie infinite.
ascolti bellissimi e senza ombra di dubbio Horowitz è un gigante.
Lo hai descritto in un modo perfetto e credo che nessuno, almeno fra quelli che conosco io, riesce a essere così profondamente "dentro" le note, con tutta la sua personalità, senza un cedimento, una distrazione....
Anche io, quando penso ai pochi pianisti che conosco, volo rapidamente alle generazioni antiche (i brividi con Gieseking, la Haskil, Lipatti...).
Però alle volte mi chiedo (ed è il senso del post di Donizetti) non è che questo nostro volgerci quasi unicamente al passato (sul fronte del pianoforte) non sia dovuto anche a una scarsa conoscenza del presente, a uno scarso desiderio di conoscere i contributi attuali, tutti pieni - come siamo - delle emozioni che ci danno i "classici"?

Forse anche fra i cultori di pianoforte c'è una forte tendenza passatista?
NOn lo nego: è possibile che a metà del Novecento ci fossero personalità più forti, più poetiche... Non me intendo abbastanza, e quindi non escludo che ciò possa essere vero. E che oggi sia un'epoca i crisi.
Ma non escludo nemmeno che anche nel mondo del pianoforte (come in quello dell'opera) la nostalgia sia dovuta anche all'attuale enormità di materiale ascoltabile, il pochissimo tempo che la vita ci concede, la difficoltà di orientarsi in un mondo sempre in movimento, con migliaia di nomi nuovi e a noi estranei e un linguaggio artistico (il canto? il suono pianistico?) che evolve a tradimento e che ci lascia indietro, prima che ce ne rendiamo conto.

In pratica passatismo operofilo e passatismo pianofilo hanno la stessa radice?

E dire che si tratta di passatismo assai diversi: il "passatismo" dell'opera lamenta una crisi della "tecnica" (oggi non si canta più bene come una volta); mentre il secondo lamenta l'opposto: ossia il sopravvento della tecnica a scapito dei contenuti (vedi fenomeni come Lang Lang).
Ma se partiamo dal concetto che solo dalla non conoscenza del presente nasca il passatismo, allora in realtà sono atteggiamenti uguali: rimpiango perché non ho il tempo, l'energia, la forza di tenermi al passo.

Forse i siti specialistici come il nostro servono proprio a questo: ad aiutare il disorientato melomane nel complesso e ricchissimo presente operistico. A non lasciarsi spaventare dalla "foresta nera" della contemporaneità ma anzi a trovare (nei nostri dibattiti) sentieri da percorrere per ammirarne le bellezze. Mantenendo ovviamente il piacere di volgersi indietro e guardare il bello che è alle sue spalle, ma aggiungendovi quello di ammirare ciò che gli è intorno e che compone il proprio tempo).

Bene, sarei felicissimo se fosse possibile lo stesso anche nell'ambito pianistico.
Mi piacerebbe scoprire che anche il pianismo di oggi non si limita alla velocità delle note e che le personalità vere sono scomparse, come dicono in tanti.
Ma solo che è più difficile - per il tipo di vita che facciamo, l'eccesso di informazione rispetto al sempre più limitato tempo "di ascoltare" e approfondire - scovare le bellezze del presente.

Per queste ragioni mi piacerebbe che - anche se il nostro sito è principalmente operistico - si ragionasse si approfondisse la questione dei nuovi artisti che Donizetti ha citato e noi - significativamente - conosciamo pochissimo.
Dicci Donizetti! Quali sono per te le caratteristiche che rendono interessante il Beethoven di Jénö Jandó, Richard Goode, Stephen Kovacevich, Anton Kuerti, Paul Lewis?

Salutoni,
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Tucidide » sab 29 mag 2010, 12:43

MatMarazzi ha scritto:Forse anche fra i cultori di pianoforte c'è una forte tendenza passatista?

:D Beh... in quale ambito artistico NON c'è una tendenza passatista?

E dire che si tratta di passatismo assai diversi: il "passatismo" dell'opera lamenta una crisi della "tecnica" (oggi non si canta più bene come una volta); mentre il secondo lamenta l'opposto: ossia il sopravvento della tecnica a scapito dei contenuti (vedi fenomeni come Lang Lang).

A dire il vero, io che non mi intendo di pianoforte e che leggo distrattamente qualche commento quando mi capita fra capo e collo, ho sentito dire proprio l'opposto: Lang Lang sarebbe, secondo alcuni, una specie di istrione tutto dedito a fare facce strambe e contorsionismi gratuti sullo sgabello per mascherare incapacità tecnica e pochezza musicale. Una sorta, sempre per i passatisti, di Bartoli della tastiera. :D
Io non so assolutamente nulla, dunque mi taccio. : Sig :
Ho sentito parlare, in termini altrettanto poco lusinghieri ma per altri motivi, anche di altri due pianisti assai in voga adesso: Ramin Bahrami e Hélène Grimaud. Per, sono solo due nomi, al pari del cinese succitato.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda MatMarazzi » sab 29 mag 2010, 20:55

Tucidide ha scritto:Lang Lang sarebbe, secondo alcuni, una specie di istrione tutto dedito a fare facce strambe e contorsionismi gratuti sullo sgabello per mascherare incapacità tecnica e pochezza musicale. Una sorta, sempre per i passatisti, di Bartoli della tastiera. :D


Non so quanto possa valere la mio opinione, caro Tuc, ma personalmente ho sentito Lang Lang tre volte dal vivo e in contesti passabilmente prestigiosi (il Festival di Salisburgo... la Philharmonie di Berlino...).
Be', sulla sua musicalità si può dire quel che si vuole (e non a torto); ma non sulla sua tecnica.
E' semplicemente disumano. La velocità e la nettezza di ogni suono lasciavano allibito il pubblico, me compreso. Mai sentito nulla di simile...

Poi che esso non rappresenti (benché popolarissimo solo in virtù del virtuosismo stratosferico) il "meglio" del pianismo attuale (che in quanto pianofilo generalista sono condannato a non conoscere), credo non vi siano dubbi.
Come d'altronde credo che non vi siano dubbi sul fatto che gente come Rubinstein o Kempf venissero idolatrati e lo siano ancora oggi per tante cose, ma non per la precisione e lo splendore del virtuosismo; forse abbiamo sentito opinioni diverse, ma io sento spessissimo dire che oggi il livello strettamente tecnico è aumentato al punto che ad esso ci si ferma (in ambito pianistico), mentre al tempo dei "grandi" erano altri valori a renderli tali.

Parlo da incompetente al massimo, però come sai io mi fido sempre poco delle nostalgie.
Per questo il post di Donizetti mi aveva tanto eccitato.

Salutoni,
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Enrico » dom 30 mag 2010, 3:53

Fra i tantissimi che ho sentito dal vivo anche più volte, dai giovani ignoti ai famosi (e tra questi Lazar Berman, Shura Cherkassky, Aldo Ciccolini, Ivo Pogorelich, Alexander Lonquich, Jorg Demus, Rudolf Buchbinder, Jean-Marc Luisada, e altri molti), il primo (anche in senso cronologico) e "perfettissimo" è Nikita Magaloff: che non fosse solo un "mito della memoria", ma un vero grandissimo pianista, me lo confermano, a più di vent'anni da quando l'ho ascoltato l'ultima volta in concerto (1989), i suoi dischi, in particolare l'integrale delle composizioni per piano di Chopin (temo ormai introvabile).
Per Beethoven ho indicato nei post precedenti i miei riferimenti discografici: non saprei indicare un pianista beethoveniano di riferimento tra quelli ascoltati del vivo perché ho sentito più volte sonate e concerti isolati, mai cicli integrali (anche se in una cronaca più dettagliata tornerebbero spesso alcuni dei nomi che ho fatto prima, eventualmente anche in duo o in trio con altri strumentisti).
Purtroppo da alcuni anni, per vari motivi, mi tengo lontano dalle sale concertistiche, salvo rare occasioni. A Torino mi piace assistere di tanto in tanto ai concerti di giovani promettenti (spesso semplici studenti del Conservatorio, ma bravi). Andando un momento fuori tema, vi cito il nome di quello che, tra i giovani, è il mio violoncellista prediletto: Eduardo dell'Oglio, ventenne, non ancora diplomato ma già diverse volte impegnato in concerti di ottimo livello, perfino con l'orchestra della Rai l'anno scorso come solista nel concerto in do di Haydn. Se diventerà famoso, come gli auguro, potremo riparlarne in questa sezione del forum. La sua interpretazione della sonata op.5 n.2 (più volte eseguita in concerto, ma non disponibile in registrazione ufficiale), è la più bella appassionante elettrizzante rilassante brillante trascinante sorridente commovente che io abbia ascoltato.
Dei nuovi pianisti citati dal nostro nuovo forumista, che finalmente ha ridato vita a questa discussione dimenticata, non conosco nessuno.
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Teo » lun 31 mag 2010, 11:31

MatMarazzi ha scritto:Non so quanto possa valere la mio opinione, caro Tuc, ma personalmente ho sentito Lang Lang tre volte dal vivo e in contesti passabilmente prestigiosi (il Festival di Salisburgo... la Philharmonie di Berlino...).
Be', sulla sua musicalità si può dire quel che si vuole (e non a torto); ma non sulla sua tecnica.
E' semplicemente disumano. La velocità e la nettezza di ogni suono lasciavano allibito il pubblico, me compreso. Mai sentito nulla di simile...

Poi che esso non rappresenti (benché popolarissimo solo in virtù del virtuosismo stratosferico) il "meglio" del pianismo attuale (che in quanto pianofilo generalista sono condannato a non conoscere), credo non vi siano dubbi.
Come d'altronde credo che non vi siano dubbi sul fatto che gente come Rubinstein o Kempf venissero idolatrati e lo siano ancora oggi per tante cose, ma non per la precisione e lo splendore del virtuosismo; forse abbiamo sentito opinioni diverse, ma io sento spessissimo dire che oggi il livello strettamente tecnico è aumentato al punto che ad esso ci si ferma (in ambito pianistico), mentre al tempo dei "grandi" erano altri valori a renderli tali.


Carissimo Matt, innanzitutto mi fa davvero piacere che ti siano piaciuti i due ascolti di Horowitz, specialmente per quanto hai scritto in proposito :wink:

Hai ragione quando dici che sarebbe interessante andare oltre, ovvero cercare nel presente qualcuno che ancora oggi tenta di comunicare attraverso una musica che non ha tempo, il nostro tempo, il nostro vissuto.
Purtroppo qui io non ti posso essere d'aiuto, ho premesso che il pianoforte è stato il mio primo approccio vero alla musica, ma il canto alla fine ha avuto il sopravvento : Chessygrin :

Ritengo comunque interessante questa discussione che vede a confronto un mondo pianistico (ma penso valga anche per altri strumenti) e quello operistico.

Sai Matt, pensando alla questione da te posta sul discorso dell'eccessivo tecnicismo in campo pianistico, a discapito forse di una carenza interpretativa, mi sono venute in mente alcune considerazioni che in una certa qual misura e tenuto conto delle diverse necessità specifiche, potrebbero essere prese ad esempio per entrambe le situazioni (ovvero i passatisti che si lamentano sia in campo operistico che pianistico).
L'esempio che fai a proposito del fenomeno Lang Lang a mio avviso cade a fagiolo.
Non vi è dubbio infatti che Lang Lang tecnicamente sia dotato di una facilità disarmante nel mettere sulla tastiera quanto scritto in partitura e il risultato è davvero lampante, tanto che potremmo definirlo "perfetto".
Ma questa non è la tecnica a mio modo di vedere "giusta" con la quale si dimostra di essere un grande pianista.
Il virtuosismo, non è la velocità e la pulizia con cui si eseguono le note sulla tastiera, non può essere il risultato di un esercizio fisico (anche se estremamente stupefacente).
Nella sostanza, la tecnica virtuosa, non è la sola acquisizione di una perfezione esecutiva (intesa come pulizia e precisione delle note).
E' chiaro che per eseguire il secondo concerto di Rachmaninov per pianoforte ed orchestra, devi essere dotato e preparato e che quindi lo studio di base (costruito appunto negli anni e in un processo evolutivo) è NECESSARIO per poterti anche solo approcciare ad esso, ma da solo non basta per poterti permettere di "comunicare".
Il grande pianista a mio avviso, studia per costruire una tecnica che gli permetta di mettere sulla tastiera note senza tempo, ma che vibrano dentro di esso con un energia universale (ciò che possiamo anche definire il mondo delle emozioni, della emotività).
Ora tu mi dirai ma Teo, questo è quello che ho sempre sostenuto, e io ti rispondo: "è vero caro amico mio" ma ciò che forse, ripeto, forse ci pone per certi versi su due posizioni differenti è ciò che ci sta "a monte" ovvero cosa intendiamo per "studio di base" per "tecnica di base".
Questo a mio avviso è una questione che forse non è stata ancora sviscerata.
Se è vero infatti che il virtuoso non è colui che esegue semplicemente delle note perfette e pulite, è però altrettanto vero che non puoi eseguire le variazioni di quel genio di Horowitz sul tema della Carmen di Bizet (http://www.youtube.com/watch?v=Qnla_5zr ... re=related) senza avere la padronanza e il controllo perfetto che le due mani richiedono per potersi muovere liberamente sulla tastiera, senza opporre ostacoli o impedimenti che possano privare la bellezza del suono ricercato, voluto, sperimentato.
In sostanza, anche il genio studia anzi, forse per essere tale studia ancora di più. Horowitz diceva che il pianoforte è lo strumento più facile da suonare all'inizio, e il più difficile da dominare alla fine.

Tornado comunque sul tema della tecnica pianistica e sull'esempio Lang Lang, ragionando sul discorso del "grande pianista", mi è venuto in mente un pianista americano che non ha quasi nulla a che vedere con i pianisti fino ad ora citati, ma che comunque in qualche occasione si divertiva a colorare con la sua incredibile vita, anche brani di musica classica :)
Una certa parte della critica (i famosi soloni), rimase indignata da questa sue esecuzioni, mentre grandi pianisti come ad esempio Horowitz e Rachmaninov, rimasero semplicemente esterrefatti. Rachmaninov arrivò persino a considerarlo il più grande pianista vivente, mentre Horowitz, dopo averlo ascoltato, disse che se avesse per disgrazia avesse preso seriamente il repertorio classico, il giorno dopo avrebbe smesso di suonare...
Credo tu abbia perfettamente capito che sto parlando del grande Art Tatum.
Questo che riporto è uno di quei momenti in cui Tatum, si diverte con la grande classica (nel caso specifico Humoresque di Dvorak); piccolo esempio a dimostrare cosa intenda per tecnica virtuosa (e se ascolti bene qualche nota la canna pure) che rende grande un pianista.



Salutissimi,

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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Donizetti » lun 31 mag 2010, 16:07

Un saluto a tutti voi, cari amici. Devo dire che qui mi sento come a casa: è come se invitassi amici ad ascoltare musica e a discutere di questo argomento così interessante. Ringrazio tutti per questo.

Non sono un critico musicale, è bene che io lo premetta: quindi tutto ciò che dico sulla musica e sulle interpretazioni degli artisti è frutto esclusivamente di impressioni, di moti dell'anima suscitati dall'ascolto e da ragionamenti per lo più contorti della mia mente. Altra premessa necessaria è che non ho ancora avuto modo di ascoltare e riascoltare le interpretazioni delle sonate di Beethoven dei pianisti da me citati: fino ad oggi ho potuto ascoltare qualche brano qua e là di ciascuno di loro, per cui è difficile esprimere giudizi complessivi. Ultima premessa: mi accontenterei di saper suonare un centesimo di come suona il "peggiore" di loro! Per dire che al di là di ogni considerazione, ho sempre il massimo rispetto di chi si cimenta in queste imprese (tra l'altro è l'atteggiamento che ho anche nei confronti dei cantanti lirici che mi capita di ascoltare con una certa frequenza in manifestazioni di provincia: anche i più scalcinati, i meno dotati, i meno intonati sono degni di applausi, se non altro per l'impegno che profondono).

Quel che mi sento di dire è che Richard Goode è quello che a mio parere si avvicina di più alla mia concezione delle sonate di Beethoven: suona forte quando deve, con la giusta potenza e il peso ben appoggiato ed è capace di rendere quella che definisco la malinconia di fondo delle melodie beethoveniane, suonando certi piani in maniera secondo me perfetta (esempio: il "molto cantabile ed espressivo" della sonata n° 30, dove il tema così struggente è reso con un mezzo forte e non con un piano eccessivo).

Anton Kuerti, invece, non mi convince del tutto: dilata i tempi in modo un po' arbitrario (la sua "Patetica" dura almeno 4-5 minuti più della media! e l'Hammerklavier termina dopo 52 minuti!!), lo trovo un po' troppo sdolcinato per Beethoven. Tuttavia ci sono momenti (tra quelli che ho ascoltato, ricordo) di indubbio fascino, come per esempio il terzo movimento della suddetta Hammerklavier: qui il tempo estremamente rallentato (trasforma l'adagio sostenuto in un molto adagio) conferisce al brano un'intimità che non avevo mai riscontrato prima; molto attento al legato e alla resa timbrica delle idee beethoveniane, sembra voler tenere in tensione l'ascoltatore, conducendolo verso il tema (una delle pagine più incredibili dell'intera musica) attraverso un'esposizione quasi titubante della lunga premessa, fino alla malinconia struggente del tema, dove l'estrema dilatazione del tempo sembra voler sottolineare la sofferenza di cui sono impregnate le note. Non condivido, ma emozionante.

Direi più classico Jénö Jandó: tutto molto corretto, ma finora poche emozioni profonde. Ma di lui, così come di Lewis e Kovacevich ho ascoltato troppo poco per potermi esprimere in maniera non dico completa, ma almeno significativa.

Tanto per aggiungere qualche altro pianista, ho l'integrale delle sonate beethoveniane di Dino Ciani ancora da ascoltare (registrate tutte dal vivo: ho sentito qualcosa e, benché l'audio non sia il massimo, ho intuito qualcosa di profondamente intrigante), così come quelle di Schiff. Ho qualche sonata interpretata da Andrea Lucchesini (notevole la sua interpretazione dell'op. 111), da Oppitz (che a me piace assai).

Per finire voglio citare Maurizio Pollini: secondo me il migliore dei "moderni". Con tutto il rispetto che si deve ad un mostro sacro come Horowitz, l'Appassionata di Pollini è semplicemente stupenda. Come tutte le sonate che fino ad oggi ha inciso: mi sembra sempre tutto giusto: oltre alla tecnica che gli permette di non preoccuparsi delle note, secondo me interpreta magnificamente tutto. Che ne pensate?

Saluti a tutti.
Donizetti
 
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Re: Beethoven: Sonate per pianoforte

Messaggioda Enrico » lun 31 mag 2010, 22:06

Sul video di Kempff postato precedentemente ("La tempesta") mi sembra significativo un breve commento on-line del mio amico dell'Oglio: "a vederlo sembra che nei suoi pensieri ci sia solo concetto, sembra che abbia ormai sgusciato l'idea e ne sia giunto al nocciolo".
Mi sembra una definizione perfetta del classicismo di Kempff.
Enrico B.
Enrico
 
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