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Passione secondo Marco di L. Perosi (Gerelli, Capecchi)

MessaggioInviato: ven 24 apr 2009, 22:19
da Rodrigo
Le festività pasquali hanno propiziato una “rispolverata” di un’incisione che giaceva nel mio (non enorme) archivio: La Passione di Cristo secondo S. Marco di Lorenzo Perosi. E’ il primo oratorio del sacerdote piemontese la cui composizione si svolse in due tempi. Dapprima (1896) venne scritta una cantata dal titolo "La cena del Signore" per baritono, coro e orchestra eseguita a con successo a Venezia. L’anno successivo il compositore tornò sulla partitura aggiungendovi altre due sezioni: "L’orazione al Monte" (Parte seconda); "La morte del Redentore" (Parte terza). Il tutto venne eseguito a Milano con successo strepitoso. Perosi evita i momenti più “mossi” del testo evangelico, come gli interrogatori o le scene della flagellazione (che forse gli avrebbero creato più di un problema in sede di realizzazione musicale), privilegiando una sorta di percorso-contemplazione che evoca i tratti salienti della Messa: Eucarestia, Preghiera, Sacrificio. E non escluderei, da un punto di vista drammaturgico, una qualche reminescenza dal Parsifal (partitura che molto impressionò il sacerdote compositore).
Sul piano del linguaggio musicale viene adottato una sorta di arioso che permette alla narrazione, affidata praticamente al solo testo evengelico in prosa, di snodarsi con poche giunture all’interno dei tre pannelli. Di tanto in tanto compaiono momenti prossimi all’aria come il primo intervento del Cristo, una vera e propria “aria del tradimento” (Unus ex duodecim, qui intingit mecum manum in catino…). Il coro si attesta su stilemi pseudo rinascimentali (sovente “a cappella”) o ispirati al barocco, come nei finali delle prime due parti: due fugati concertati con tanto di cornette evocanti fasti bachiani o hendeliani. L'ascendenza wagneriana, su cui insiste certa critica, è in termini strettamente musicali riducibile – a mio avviso - a mere suggestioni. In questo senso leggerei il "corale" degli ottoni sulle parole Surgite, et eamus o il coro finale (Plange quasi virgo): dolente compianto omoritmico in do minore accompagnato da un ostinato degli archi memore del “mormorio della foresta”.
Sul piano strutturale a questo eccletismo corrisponde una non perfetta omogeneità tra la prima parte ed il seguito. L'assemblaggio reca insomma i segni di una qualche frettolosità. Infatti, mentre nella “Cena” il dialogo si instaura esclusivamente tra il baritono nel ruolo di Cristo e il coro (nella doppia veste di storico e di turba), successivamente (senza ragioni legate al testo musicato) compaiono un basso e un basso profondo nel ruolo di storico. Anche lo strumentale si presta a simili rilievi: la prima parte è strumentata per archi e ottoni (che a parte il corno non compaiono che nel finale), le altre due presentano in partitura anche 2 oboi e 2 fagotti.
L’edizione riascoltata è stata incisa dall’orchestra dell’Angelicum di Milano e dal coro polifonico di Torino sotto la guida di Ennio Gerelli negli anni Sessanta. Renato Capecchi interpreta Cristo, gli storici sono invece Giorgio Tadeo e Giuseppe Zecchillo. Sorprendente per certi versi la prova di Capecchi, noto soprattutto per i ruoli comici. Alle prese con un ruolo tragico quale altri mai (frequentato anche da baritoni quali Bastianini e Protti) sfoggia un colore scuro nobilissimo e una gamma molto omogenea. Il fraseggio è sempre corretto e mostra una misura abbastanza insolita per un cantante di un’epoca in cui nel comico facilmente si “caricava” (si vedano certe esibizioni di Corena, Luise e compagnia). Semmai quello che inficia la prova del baritono, ma anche le scelte direttoriali, è l'avere sposato fin troppo il versante tardo romantico dell’oratorio. Intendiamoci: Gerelli viene a capo senza patemi di una partitura tutt’altro che difficile, ma si limita ad una lettura diligente che non si cura di sostenerne le fragilità. Nei momenti meno ispirati un simile approccio accentua una sensazione di pesantezza e di turgore oggi non del tutto digeribile. Logicamente anche la vocalità “presente” e timbrata dei solisti (un po’ avari di sfumature) contribuisce alla sensazione di gravità non propriamente (o non solamente) ecclesiastica.
Eppure Perosi, sia pure tra manchevolezze e “ingenuità” (certa uniformità di colore, l’abuso di movimenti terzinati, alcune pesantezze scambiate per magniloquenza), potrebbe rivelare ben altro. La sonorità “neobarocca” dell’orchestra (che esclude flauti e clarinetti), il recupero di una coralità d’ascendenza palestriniana, alcune evocazioni modali gregoriane suggerirebbero – vista anche la molta acqua oggi passata sotti i ponti - una lettura della Passione più intima, più sofferta, alla ricerca magari di una tinta più chiara. Si tratterebbe insomma di apparentarla alla produzione della generazione dell’Ottanta (tra Pizzetti e Malipiero) o del tardo Debussy attenuando dunque clangori e slanci che tanto piacevano ai tempi che furono, ma che alle nostre orecchie appaiono molto meno allettanti. Molto più suggestivo rivelarne la componente "arcaica": eco pia del tempo antico, direbbe Verdi.
Va detto però che anche la più recente edizione del 1998 (direttore Frezza, protagonista Alberto Gazale) sembra riproporre -in un contesto di buon livello esecutivo -le scelte espressive che furono di Gerelli e Capecchi. Con Perosi, insomma, siamo ancora a Ben Hur o al Re dei re, non ancora al Vangelo di Pasolini.

Re: Passione secondo Marco di L. Perosi (Gerelli, Capecchi)

MessaggioInviato: dom 26 apr 2009, 19:01
da MatMarazzi
CAro Rodrigo,
ho trovato di straordinario interesse il tuo pezzo (che, se tu sei d'accordo, proporrei a Pietro di trasportare pari pari sulla home page del sito, alla voce discografie: perché escludere gli oratori?).
Purtroppo conosco Perosi solo di nome; me ne teneva distante soprattutto la sensazione di una gravità tardoromantica che, ho capito dal tuo pezzo, potrebbe essere dovuta a scelte interpretative.
Interessante la questione di Capecchi: non è che la patina delle forzature d'accento ci ha impedito di concentrarci di più su questo artista?

Salutoni e complimenti,
Mat

PS: Tadeo risulta apocalittico vocalmente anche in questa registrazione?

Re: Passione secondo Marco di L. Perosi (Gerelli, Capecchi)

MessaggioInviato: dom 26 apr 2009, 19:51
da pbagnoli
Sono d'accordo.
Se Rodrigo è d'accordo, appena posso lo faccio.
Naturalmente occorrerebbe qualche riferimento in più su elenco completo interpreti, direttore, casa discografica, ecc: insomma, tutte le cose che mettiamo sempre nelle nostre recensioni.
Pietro

PS Matteo, specie di scansafatiche accidioso, lo potresti fare anche tu, no? :evil:

Re: Passione secondo Marco di L. Perosi (Gerelli, Capecchi)

MessaggioInviato: dom 26 apr 2009, 22:02
da Rodrigo
MatMarazzi ha scritto:Purtroppo conosco Perosi solo di nome; me ne teneva distante soprattutto la sensazione di una gravità tardoromantica che, ho capito dal tuo pezzo, potrebbe essere dovuta a scelte interpretative.
PS: Tadeo risulta apocalittico vocalmente anche in questa registrazione?


Grazie per le belle parole!
Allora, non hai torto a parlare di gravità (grEvità) tardoromantica (io parlerei di "retorica del clangore"). A mio avviso si tratta di una tara che occhieggia sì in questa partitura, ma anche in moltissimi autori di quell'epoca (penso a certo Mascagni o al Bruckner sacro). Il punto è che l'interprete dovrebbe cercare di mettere la sordina ad un gusto che era un po' nell'aria e scavare alla ricerca delle "pepite" insite nella composizione. Qualcuno potrebbe obiettare che annullare degli "effetti" voluti (forse cercati) dall'autore è operare un falso estetico. Ma qui si apre un abissale problema: quanto è vincolante la "visione dell'autore" per gli interpreti?
Non mi azzardo a dare una risposta. Osservo però che le composizioni perosiane sono affette da due sciagure: 1) in un catalogo oceanico c'è parecchio che probabilmente non merita il ripescaggio; 2) quello che merita di essere ascoltato di fatto è riserva di caccia di "volenterose" iniziative simil parrocchiali che logicamente nemmeno si pongono il problema di tentare un approccio innovativo. Per loro è giù molto, detto con rispetto, arrivarci in fondo.

Tadeo è rocciosissimo e tibratissimo (un po' alla Giulio Neri). Il problema è che un approccio così "sano" e tetragono contribuisce come la resa un po' morchiosa dell'orchestra alla patina datata dell'interpretazione in esame.