Romèo et Juliette (Gounod)

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Romèo et Juliette (Gounod)

Messaggioda pbagnoli » dom 03 ago 2008, 18:10

SALZBURG 2008

Quanto segue è tratto dal forum Operaseria a cura di Lionello Torti, uno che apprezzo incondizionatamente e di cui avevo già citato uno scritto sul nostro forum. Spero che l'amico Riccardo Domenichini non me ne voglia se quoto paro paro il messaggio di Lionello
E' nata ieri sera un nuovo "Traumpaar" (coppia di sogno) al Festival di Salisburgo? Nella stupenda, ma assai impegnativa cornice della Felsenreitschule, con il palcoscenico chiuso da una parete rocciosa ed estremamente largo, ieri sera appunto è andata in scena Roméo et Juliette di Gounod, con la regia dell'americano Bartlett Sher, sceneggiaura di Michael Yeargan e direzione del giovane francese Yannick Nézet- Séguin.
Assieme a Rolando Villazon doveva cantare Anna Netrebko, che ha dovuto rinunciare in seguito alla nota gravidanza. A sostituirla il sovrintendente del Festival, Jürgen Flimm, ha inaspettatamente chiamato la giovanissima (25 anni)e bella georgiana Nino Machaidze, ed è stato un trionfo incredibile, tanto che la critica tedesca unanime già parla appunto di una nuova "coppia di sogno" nel mondo della lirica.
Grandi ovazioni pure al regista e al sceneggiatore che hanno creato un' ambientazione molto tradizionale, con dei costumi dichiaratamente ispirati a Fellini, e al giovane direttore franco-canadese. La televisione austriaca ha trasmesso l'opera live e vi posso assicurare che i due protagonisti sono stati semplicemente fantastici e Villazon ha confermato di essere
non solo un grande tenore, completamente recuperato dopo il periodo di malattia, ma un fantastico attore e si è pure
dimostrato un provetto spadaccino. La scena del duello è qualcosa di semplicemente mai visto su un palcoscenico operistico
La Machaidze, dal canto suo, non ha fatto rimpiangere la Netrebko, né per la voce né per la passione che ha profuso nelle scene d'amore con Villazon, che è noto per la sua bravura interpretativa. Bene anche gli altri interpreti, con una menzione speciale per il basso russo Mikhail Petrenko nel ruolo del frate Laurent e di Falk Strukmann in quello del conte Capuleti.
Non mi meraviglierei se, al pari della Traviata del 2005, che ha suggellato la grande carriera di Anna Netrebko, questa Roméo et Jueliette, rappresenti l'inizio di un futuro parimenti fantastico della bella Nino Machaidze.


Mi fa piacere quotare questo scritto per alcuni motivi:
:arrow: seguo sempre con molta attenzione quello che viene scritto su Operaseria, un sito che fa onore al proprio nome, dove scrivono persone competenti ma che non sentono il bisogno di sparare trombonate. Lionello Torti è una di queste persone, e spero che siate d'accordo con me
:arrow: non ho visto la performance di cui parla Lionello, ma sono convinto del fatto che abbia ragione. Villazon è realmente una delle più importantio realtà dei nostri tempi, così come Anna Netrebko, ed è giusto affermarlo a piena voce, al di là dei gusti personali. Poi potranno anche non piacere; ma negarne la statura attuale è pura malafede
:arrow: queste considerazione portano seco una terza: stiamo vivendo un gran bel momento per chi, come noi, è appassionato di quest'arte. Anzi, di più: una vera e propria età dell'oro, impreziosita anche dall'esplorazione di nuovi ambiti e repertori che sino ad un po' di tempo fa erano sperimentali o giù di lì, e mi riferisco, ovviamente, al Barocco e a tutto ciò che si è sviluppato per la sua esecuzione, con tutto il successivo magico transfert nel repertorio classico (pensiamo a quanto fa quotidianamente quel geniaccio di Minkovski, per esempio). Rolando Villazon, Anna Netrebko e, così sembra, anche Nino Machaidze, sono tutti figli di questa epoca, alla stregua di nuovi amici che vengono ad affiancare quelli più vecchi. Perché avere una nuova amicizia non vuol dire rinnegare i vecchi compagni di strada, e questo è un punto fondamentale che vale anche per quelli - come me - che hanno sempre il naso all'aria come un cane da trifola, in cerca di novità per le quali valga la pena di fare un sacrificio. E in questo, concedetemelo, io sono molto "marazziano"!

Da appassionato come sono dei cimeli discografici storici, credo che l'errore dogmatico più grave che un appassionato possa fare sia quello di fermarsi al disco storico come valore assoluto in cui rifugiarsi onanisticamente alla ricerca di un piacere più che egoistico. Il disco storico, che io adoro al punto di averne la casa piena, è uno strumento prezioso - anzi, indispensabile - per la piena comprensione del percorso esecutivo; e questo è non solo un bene, ma anche un dovere per chi come noi di questo sito cerca di individuare le regole del gioco.
Ciò che di deteriore è connesso alla mera laudatio temporis acti è il suo essere fine a se stessa: di più, il suo fondamento al cupio dissolvi che c'è in una frangia non minoritaria di sedicenti appassionati per i quali tutto ciò che c'è in giro è escrementizio e, come tale, da ruzzare nel primo cesso a disposizione.
Certo, ci può essere anche l'atteggiamento dello studioso, che fa del disco storico l'oggetto di una vera e propria ricerca archeologica: pensiamo per esempio a quello che ha fatto il nostro amico Dottor Cajus con i dischi dei cantanti italiani che hanno svolto una carriera in circuiti minori, e i termini del problema risulteranno ben chiari a tutti. Ma non tutti - ahinoi - possono vantare la decennale competenza di Roberto, no?...

Quanto scrive Lionello mi conforta.
Se ci fermassimo ai cantanti Belle Epoque (che pure nel cuor mi stanno) non avremmo nessuna ragione per andare a Teatro, se non quella di cercare di beccare in castagna - spartito alla mano - il cantante che non rispetta l'agogica, in modo da poter affermare a ragion veduta che oggi nessuno sa più cantare.
E allora, perdonatemi lo sfogo, ma prendiamo spunto da quello che dice Lionello Torti, e cerchiamo qualche spunto per entusiasmarci di quello che di nuovo e bello ci può essere in giro: e che piffero, i plantigradi allora diedero addosso anche alla Callas!
Siccome penso che sia giusto dare una forma a quello che dico, vi propongo una fotina di Nino Machaidze, di modo che ognuno possa rendersi conto del fatto che...ho ragione io!
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Re: Romèo et Juliette a Salisburgo

Messaggioda MatMarazzi » dom 03 ago 2008, 19:12

pbagnoli ha scritto: io sono molto "marazziano"!


:shock: :shock: :shock: :shock: :shock:
Questa poi...

Comunque ho trovato bellissima la recensione di Lionello e condivisibilissime le tue parole sull'atteggiamento da tenere col passato e col presente.
Mi suscitano tristezza quelli che amano il presente solo come reazione al passato; e altrettanti quelli che - per amare il passato - devono demolire il presente.
Anche io credo che il ventennio a cavallo fra i due millenni sia stato (e sia) assolutamente fantastico... Proprio come i decenni fra '800 e '900 o i vent'anni posteriori alla seconda guerra mondiale.

Sarà che sono ... molto bagnolesco?
:D :D :wink:

Salutoni,
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Re: Romèo et Juliette a Salisburgo

Messaggioda Tucidide » dom 03 ago 2008, 23:21

Se posso dire la mia sui punti citati da Pietro, dirò che sono d'accordo sul terzo, ossia sul grande interesse che suscitano gli attuali fermenti del mondo lirico attuale.
In particolare, la cosa che credo sia diventata una bella realtà, e che per me rende stimolante questo periodo è la sinergia fra le regie, i direttori e i cantanti.
Sapere che ci sono, adesso più di un tempo, cantanti che sanno adattarsi ad uno spettacolo, e che non si limitano a riproporre il loro personaggio, quale che sia il regista, quale che sia l'impostazione direttoriale, quali che siano i partner di palcoscenico, è una boccata di puro ossigeno.
Contrariamente a quello che talvolta si sostiene, non credo affatto che il rinnovato interesse per le regie e la loro importanza, spesso decisiva anche in sede esecutiva ed interpetativa, siano un male.
Che la Dessay interpreti Zerbinetta in maniere differenti a seconda del regista con cui lavora, che Carsen e Christie sollecitino, quasi impongano alla Fleming un'Alcina in chiave divistica, a lei che si era presentata alle prove convinta di dover cantare il ruolo in maniera "barocchista", che la von Otter affronti Carmen sotto una luce diversa dal solito, creando un personaggio eccezionale nonostante un tipo di vocalità che fino a qualche decennio fa le avrebbe imposto di stare alla larga dalla sigaraia, sono tutti motivi per amare questo periodo del mondo lirico.

Quanto al resto, non so se mi debba ritenere marazziano (dopo che oggi abbiamo per l'ennesiamo volta incrociato le lame :wink: ). :mrgreen:
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Romèo et Juliette a Salisburgo

Messaggioda marco » lun 04 ago 2008, 12:27

ho visto lo spettacolo in televisione (sul canale tedesco 3sat): mi è sembrata una messa in scena abbastanza all'italiana, anche se ben fatta e ben recitata
Villazon, indiscutibile quello che i francesi chiamano engagement, inteso come impegno, presenza, ma vocalmente ha avuto un paio di infortuni all'inizio, poi ha sistematicamente "glissato" gli acuti successivi, evitandoli o con soluzioni di comodo, tranne quello alla fine dell'"aubade", sfumature pochine, insomma rispetto al cantante che udii 7-8 anni fa in Manon a Trieste fare con la voce tutto o quasi quello che voleva, il passo indietro c'è
Nino Machaidze, in Italia non è proprio una sconosciuta, si è perfezionata negli ultimi anni all'Accademia della Scala e lì ha cantato recite di Re Pastore, Fille du regiment, e quest'anno è stata la Lauretta titolare nel Trittico - io ho visto la prima in teatro e non è che abbia suscitato reazioni particolari, una voce senza caratteristiche particolari, certo il ruolo è troppo breve
certamente la sostituzione della Netrebko, non è casuale, per l'avvenenza e anche per certe caratteristiche timbriche
come Juliette mi è piaciuta, ma non griderei al miracolo
il prossimo anno comunque in Italia la si ascolterà parecchio - Gilda a Parma, Elvira in Puritani a Bologna, proprio Juliette a Venezia in coppia con Kaufmann
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romeo et juliette a Venezia

Messaggioda marco » sab 07 feb 2009, 14:25

VENEZIA 2009

per chi ancora non lo sapesse, Jonas Kaufmann ha cancellato l'impegno (ci sono varie voci sul motivo, ufficialmente è malattia), secondo il sito della Fenice, lo sostituisce Eric Cutler
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Re: romeo et juliette a Venezia

Messaggioda pbagnoli » sab 07 feb 2009, 18:58

Lo sapevamo, purtroppo.
Tal dei tempi è il costume, verrenne da dire. Eppure noi siamo inguaribili romantici che continuano a pensare che la correttezza non sia un plusvalore, ma un dato essenziale nei rapporti fra gli esseri umani.
Con tutto il rispetto per Cutler - che conosco solo di nome - è chiaro che l'attrattiva era il ben più interessante Kaufmann.
La novità, invece, dovrebbe essere il rimborso per chi ha prenotato il biglietto per Kaufmann; sarà da vedere il quando e il come
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Re: romeo et juliette a Venezia

Messaggioda Maugham » dom 08 feb 2009, 12:03

marco ha scritto:per chi ancora non lo sapesse, Jonas Kaufmann ha cancellato l'impegno (ci sono varie voci sul motivo, ufficialmente è malattia), secondo il sito della Fenice, lo sostituisce Eric Cutler


E così, ulteriormente, abbiamo perso l'occasione per un debutto importante nei lidi patri.
Comunque secondo me Kaufmann c'azzecca poco con la scrittura di Romeo.
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Re: romeo et juliette a Venezia

Messaggioda pbagnoli » dom 08 feb 2009, 12:17

Credo che tu abbia ragione, ma rimaneva la sostanza di un debutto importante, sia pure in un ruolo teoricamente non adatto.
E rimane, ahimè, la considerazione che l'Italia viene sempre di più evitata siccome la peste dai cantanti di spicco del panorama internazionale.
Perché?
Vengono pagati poco?
Le produzioni sono poco interessanti (un po' quello che era successo con la Dessay e la "Fille" alla Scala col vecchio allestimento di Zeffirelli) ?
I teatri sono poco seri?
Il pubblico italiano è ancora troppo arroccato sulle parrocchiette pro (o più spesso contro) Tizio o Caio, e quindi si presenta a teatro col proposito non di conoscere, bensì di fischiare preconcettualmente?
Insomma, in sintesi, i grandi nomi non vogliono mettersi in gioco in realtà che - anche quando importanti (come la Fenice) - sono minati dal pregiudizio di provincialismo?
E se è così, accidenti, non sarebbe il caso che qualcuno si ponga qualche domanda seria sul tema?
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Re: romeo et juliette a Venezia

Messaggioda marco » dom 08 feb 2009, 13:17

io ho sentito Kaufmann solamente una settimana fa a Baden-Baden e mi aveva confermato l'impegno veneziano (anche se ovviamente non significa nulla perchè non sono nessuno)
le voci parlano anche di problemi di cachet (i tagli al Fus costringono i teatri italiani a chiedere riduzione di cachet agli artisti impegnati, c'è chi accetta e chi no)
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Re: romeo et juliette a Venezia

Messaggioda Pruun » lun 09 feb 2009, 2:01

Maugham ha scritto:
marco ha scritto:per chi ancora non lo sapesse, Jonas Kaufmann ha cancellato l'impegno (ci sono varie voci sul motivo, ufficialmente è malattia), secondo il sito della Fenice, lo sostituisce Eric Cutler


E così, ulteriormente, abbiamo perso l'occasione per un debutto importante nei lidi patri.
Comunque secondo me Kaufmann c'azzecca poco con la scrittura di Romeo.
WSM


Ho letto almeno tre interviste in cui Kaufmann si dichiarava entusiasta della possibilità e non vedeva l'ora di essere a Venezia per debuttare il ruolo.
Se avesse rinunciato per motivi di soldi... mi sembrerebbe una ben magra figura da parte sua e, anzi, nell'intervista su 'l'opera' (se non ricordo male) diceva pure di essere felice di tornare in Italia.
Stando all'entusiasmo che dimostrava per questo debutto mi pare che la motivazione addotta dal teatro (motivi di salute, da fonti non ufficiali sembra ernia al disco) sia più che plausibile.
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Romeo et Juliette di Gounod al Teatro di Bolzano 28.10.2011

Messaggioda stecca » dom 30 ott 2011, 18:52

Bolzano 28.10.2011

"Sulla carta" l'dea del Teatro di Bolzano (struttura, va detto, davvero ragguardevole, che si distingue per acustica, acume nella programmazione della stagione, e perfezione della organizzazione) era più che ottima. Invece che inaugurare con i soliti titoli di repertorio tipo Ballo in maschera o Tosca che già faticano non poco a trovare dei cast adeguati anche in Teatri più blasonati e che dispongono di ben altri mezzi, si prende un lavoro poco noto di un musicista apprezzato e la cui trama è così popolare e "senza tempo" da consentire di impreziosire la proposta con una regia innovativa ed originale, cosa che verrebbe meno facile con un Torquato Tasso o un Ricciardo e Zoraide. Se poi si tratta non solo della immortale vicenda dell'amore contrastato dei giovani Capuleti e Montecchi, che ha già visto apprezzabili riduzioni moderne da Bernstein al recente film con Di Caprio, ma anche di una partitura vocalmente non troppo impegnativa che prevede pure una ampia distribuzione di piccoli ruoli secondari, non c'è che ingaggiare due giovani protagonisti bellocci e fascinosi in grado di seguire il regista ed un promettente direttore che "ci crede", ed il gioco si direbbe, è fatto.
E così sin dalla apertura del sipario del primo dei cinque atti possiamo ammirare la interessante regia di Manfred Shweigkofler che dalla Verona Shakespeariana ci trasporta di colpo nel cinico mondo delle sfilate di moda dove le due famiglie rivali si sfidano, stile Beautiful, nella "collezione" di maggiore successo, e dove l'infiltrato Romeo si innamora della glamour modella che sfila per il padre su una scalinata coperta da flash alle note del celebre walzer mentre tutti sorseggiano champagne tra sorrisi e mondana apparenza. Si dia pure il caso che i due giovani amanti in scena siano, come si diceva, di insolita estetica avvenenza, e che tutti i comprimari, il prode Mercuzio in primis, spicchino per arte recitativa e agilità quasi sportiva, e poco importa a quel punto che magari non proprio tutto segua le comprovate regole del canto di scuola, anche perchè l'assenza di passate esecuzioni di grido evitano quel frenante istinto un pò nostalgico che assale talvolta l'appassionato d'opera ligio alla comparazione del tempo delle voci che furono ed inoltre, va detto, l'epoca in cui girando in provincia ci si poteva imbattere in una Azucena di una Cossotto è ormai finito illo tempore. Però si sono un pò fatti conti senza l'oste ossia senza...Gounod, la cui opera non a caso ha goduto fino ad oggi di un semi-oblio che l'ha tenuta alla larga dalla gran parte dei più apprezzati soprani e tenori del dopoguerra pure sempre alla ricerca di nuovi cimenti, ed il motivo è semplice e presto detto: si tratta di opera musicalmente debolissima, in gran parte strutturata su un interminabile duetto tra i due protagonisti tanto lungo quanto privo di momenti ispirati. A quel punto, e dopo un pò, anche la innovazione della regia e la immediata piacevolezza della fresca e giovane coppia amorosa viene ad uggia, se per oltre tre ore la troviamo intenta, tale giovane coppia, a dipanare le stesse note senza possedere in ambedue i casi, un mezzo vocale di peso o di un qualche fascino. Peraltro, va detto che se è pure vero che neppure un Kraus e una Freni (per dirne due a caso) avrebbero potuto supplire alla lunga alle carenze di questa scarsa ispirazione, è anche vero che mentre il soprano Monica Tarone è quanto meno un classico leggero esecutivamente corretto (certo il walzer della Sutherland è da rimuovere), il tenore Paolo Fanale è un leggero che presenta qualche problemuccio non appena la tessitura sale oltre un SOL e che canta tutto con una voce contratta troppo attenta alla "posizione" e senza alcuna naturalezza, e con scarsa armonia tra un registro grave troppo accentuato ed un medium poco sonoro. Peraltro anche la sua recitazione appare più da Nemorino che da Romeo, ed in questo obiettivamente la Giulietta della Tarone appare più convincente. Resta il fatto che ci pare l'ennesimo mistero dell'arte il leggere nelle note di scena che questo Romeo et Juliette avrebbe avuto un grande successo alla prima parigina visto che una Traviata o un Barbiere di Siviglia (sempre per dirne due a caso) fecero fiasco, ma tant'è, non esiste obiettività nell'arte. Anche il direttore Yver Abel ci ha messo del suo però, perchè capisco che, come egli afferma nel proprio articolo pubblicato sul libretto di sala, i timbri degli interpreti debbono essere "non di petto per rendere le sfumature espressive della immane tragedia" ma la sua concertazione musicale è apparsa eccessivamente rallentata e dilatata nei tempi a dismisura, così contribuendo non poco alla generale monotonia dell'insieme. In conclusione potremmo dire che così come è stato utile ed importante recuperare un lavoro quasi sconosciuto di Charles Gounod, la cui opera più famosa è Faust, è altrettanto augurabile forse che in futuro questo Romeo et Juliette se ne torni in quell'oblio da cui è venuto, del resto, se proprio si vogliono mettere in scena i Capuleti e Montecchi, c'è sempre il nostrano Vincenzo Bellini che come noto li ha musicati molto, ma molto meglio.
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Re: Romeo et Juliette di Gounod al Teatro di Bolzano 28.10.2

Messaggioda Riccardo » dom 30 ott 2011, 18:57

stecca ha scritto:"Sulla carta" l'dea del Teatro di Bolzano (struttura, va detto, davvero ragguardevole, che si distingue per acustica, acume nella programmazione della stagione, e perfezione della organizzazione) era più che ottima. Invece che inaugurare con i soliti titoli di repertorio tipo Ballo in maschera o Tosca che già faticano non poco a trovare dei cast adeguati anche in Teatri più blasonati e che dispongono di ben altri mezzi, si prende un lavoro poco noto di un musicista apprezzato e la cui trama è così popolare e "senza tempo" da consentire di impreziosire la proposta con una regia innovativa ed originale, cosa che verrebbe meno facile con un Torquato Tasso o un Ricciardo e Zoraide. Se poi si tratta non solo della immortale vicenda dell'amore contrastato dei giovani Capuleti e Montecchi, che ha già visto apprezzabili riduzioni moderne da Bernstein al recente film con Di Caprio, ma anche di una partitura vocalmente non troppo impegnativa che prevede pure una ampia distribuzione di piccoli ruoli secondari, non c'è che ingaggiare due giovani protagonisti bellocci e fascinosi in grado di seguire il regista ed un promettente direttore che "ci crede", ed il gioco si direbbe, è fatto.
E così sin dalla apertura del sipario del primo dei cinque atti possiamo ammirare la interessante regia di Manfred Shweigkofler che dalla Verona Shakespeariana ci trasporta di colpo nel cinico mondo delle sfilate di moda dove le due famiglie rivali si sfidano, stile Beautiful, nella "collezione" di maggiore successo, e dove l'infiltrato Romeo si innamora della glamour modella che sfila per il padre su una scalinata coperta da flash alle note del celebre walzer mentre tutti sorseggiano champagne tra sorrisi e mondana apparenza. Si dia pure il caso che i due giovani amanti in scena siano, come si diceva, di insolita estetica avvenenza, e che tutti i comprimari, il prode Mercuzio in primis, spicchino per arte recitativa e agilità quasi sportiva, e poco importa a quel punto che magari non proprio tutto segua le comprovate regole del canto di scuola, anche perchè l'assenza di passate esecuzioni di grido evitano quel frenante istinto un pò nostalgico che assale talvolta l'appassionato d'opera ligio alla comparazione del tempo delle voci che furono ed inoltre, va detto, l'epoca in cui girando in provincia ci si poteva imbattere in una Azucena di una Cossotto è ormai finito illo tempore. Però si sono un pò fatti conti senza l'oste ossia senza...Gounod, la cui opera non a caso ha goduto fino ad oggi di un semi-oblio che l'ha tenuta alla larga dalla gran parte dei più apprezzati soprani e tenori del dopoguerra pure sempre alla ricerca di nuovi cimenti, ed il motivo è semplice e presto detto: si tratta di opera musicalmente debolissima, in gran parte strutturata su un interminabile duetto tra i due protagonisti tanto lungo quanto privo di momenti ispirati. A quel punto, e dopo un pò, anche la innovazione della regia e la immediata piacevolezza della fresca e giovane coppia amorosa viene ad uggia, se per oltre tre ore la troviamo intenta, tale giovane coppia, a dipanare le stesse note senza possedere in ambedue i casi, un mezzo vocale di peso o di un qualche fascino. Peraltro, va detto che se è pure vero che neppure un Kraus e una Freni (per dirne due a caso) avrebbero potuto supplire alla lunga alle carenze di questa scarsa ispirazione, è anche vero che mentre il soprano Monica Tarone è quanto meno un classico leggero esecutivamente corretto (certo il walzer della Sutherland è da rimuovere), il tenore Paolo Fanale è un leggero che presenta qualche problemuccio non appena la tessitura sale oltre un SOL e che canta tutto con una voce contratta troppo attenta alla "posizione" e senza alcuna naturalezza, e con scarsa armonia tra un registro grave troppo accentuato ed un medium poco sonoro. Peraltro anche la sua recitazione appare più da Nemorino che da Romeo, ed in questo obiettivamente la Giulietta della Tarone appare più convincente. Resta il fatto che ci pare l'ennesimo mistero dell'arte il leggere nelle note di scena che questo Romeo et Juliette avrebbe avuto un grande successo alla prima parigina visto che una Traviata o un Barbiere di Siviglia (sempre per dirne due a caso) fecero fiasco, ma tant'è, non esiste obiettività nell'arte. Anche il direttore Yver Abel ci ha messo del suo però, perchè capisco che, come egli afferma nel proprio articolo pubblicato sul libretto di sala, i timbri degli interpreti debbono essere "non di petto per rendere le sfumature espressive della immane tragedia" ma la sua concertazione musicale è apparsa eccessivamente rallentata e dilatata nei tempi a dismisura, così contribuendo non poco alla generale monotonia dell'insieme. In conclusione potremmo dire che così come è stato utile ed importante recuperare un lavoro quasi sconosciuto di Charles Gounod, la cui opera più famosa è Faust, è altrettanto augurabile forse che in futuro questo Romeo et Juliette se ne torni in quell'oblio da cui è venuto, del resto, se proprio si vogliono mettere in scena i Capuleti e Montecchi, c'è sempre il nostrano Vincenzo Bellini che come noto li ha musicati molto, ma molto meglio.

E la Caballé?
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Re: Romeo et Juliette di Gounod al Teatro di Bolzano 28.10.2

Messaggioda VGobbi » dom 30 ott 2011, 20:10

Riccardo ha scritto:E la Caballé?

E la Baltsa? :mrgreen:
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Romeo et Juliette di Gounod al Teatro di Bolzano 28.10.2

Messaggioda MatMarazzi » lun 31 ott 2011, 23:58

Intanto grazie a Stecca per la bella e godibilissima recensione.
Ovviamente non entro nel merito del commento, ma prenderei spunto da alcune frasi per considerazioni più generali.

Partiamo da questa:

stecca ha scritto:"Sulla carta" l'dea del Teatro di Bolzano (struttura, va detto, davvero ragguardevole, che si distingue per acustica, acume nella programmazione della stagione, e perfezione della organizzazione) era più che ottima. Invece che inaugurare con i soliti titoli di repertorio tipo Ballo in maschera o Tosca che già faticano non poco a trovare dei cast adeguati anche in Teatri più blasonati e che dispongono di ben altri mezzi, si prende un lavoro poco noto di un musicista apprezzato


Già "sulla carta" non sono d'accordo! :)
Io la vedo esattamente all'opposto. Il titolo popolare può anche attrarre da solo l'attenzione del pubblico - specie in teatri medio piccoli e in provincia.
Il titolo meno noto... no!
Quest'ultimo ha bisogno di nomi importanti, che trascinino l'interesse del pubblico e della stampa.
Non dico che tutti i teatri di periferia debbano avventurarsi in Trovatori e Turandot, ma nemmeno osare "riprese" e resurrezioni che, in provincia e senza nomi di richiamo, non interesseranno a nessuno, nè al pubblico semplice del territorio, nè a quello sofisticato che viaggia.
Questo in linea di principio...
Perché nella fattispecie Roméo et Juliette di Gounod non è affatto un titolo "poco noto" o per lo meno non lo è più.
Sono quindici anni, dall'epoca del clamoroso rilancio al Met, con una coppia che allora era in vetta allo Star System (Alagna-Gheorghiou, ben prima che esplodessero i casi di Villazon, Netrebko e Kaufmann), il Roméo et Juliette è diventato uno dei titoli più eseguiti e più popolari al mondo.
Se fai un giro su Internet vedrai che non c'è teatro importante - non fa eccezione nemmeno la sofisticatissima Salisburgo - che non l'abbia allestito. E, persino in Italia (il paese dove le tendenze arrivano sempre in ritardo), l'opera è stata allestita a Venezia prima e a Milano poi.

una partitura vocalmente non troppo impegnativa

Anche in questo caso, Stecca, questa affermazione mi pare un poco impegnativa. :)
A me pare che le due parti protagonistiche sia alquanto complesse... anche e soprattutto tecnicamente.
Se in tempi recenti ci siamo deliziati a sentirvi una Netrebko e un Villazon (immensi entrambi), alla fine del secolo scorso vi si cimentavano una Patti e un De Reske!

poco importa a quel punto che magari non proprio tutto segua le comprovate regole del canto di scuola

Eh, no... calma...
"comprovate" da chi?

anche perchè l'assenza di passate esecuzioni di grido evitano quel frenante istinto un pò nostalgico che assale talvolta l'appassionato d'opera ligio alla comparazione

Già perché la Netrebko e Villazon non sarebbero di grido?
E, volendo ragionare come i vecchi barbogi, nemmeno Corelli e la Freni lo sarebbero?
Per non parlare del fatto che il valzer di Giulietta e il notturno di Romeo sono stati incisi da tutti i più grandi artisti dell'era del disco!

inoltre, va detto, l'epoca in cui girando in provincia ci si poteva imbattere in una Azucena di una Cossotto è ormai finito illo tempore.

e per fortuna! :(

Salutoni e ancora grazie,
Matteo
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Re: Romèo et Juliette (Gounod)

Messaggioda DottorMalatesta » ven 27 lug 2012, 13:41

Ieri sera Romeo et Julette di Gounod all’Arena di Verona. Innanzitutto penso sia una follia voler rappresentare un’opera così raffinata, delicata ed intimista nel gigantesco anfiteatro. Forse sarebbe ora che i responsabili della programmmazione si fermassero un poco a riflettere sul senso di rappresentare l’opera in Arena e sul futuro del festival areniano. Tre, a mio modo di vedere, le possibili soluzioni:
1. Continuare a rappresentare di tutto di più (da Don Giovanni a Carmen, da Aida a Romeo et Juliette) ma amplificando tutto, sfatando una volta per sempre la leggenda dell’acustica perfetta, con buona pace di Zenatello e Serafin.
2. Mantenere l’acustica così com’è, limitandosi a rappresentare le opere “areniane”. Per inciso penso che opere areniane non esistano, anche se forse alcune opere sono più adatte all’anfiteatro veronese di altre (Nabucco ed Attila più adatte di Aida?).
3. Intraprendere un’operazione filologica tornando a naumachie e spettacoli di gladiatori, rinunciando al sogno operistico.
Al di là di come evolverà (o involverà) il festival nei prossimi anni, lo spettacolo di ieri sera è stato caratterizzato da una direzione metronomica, imprecisa, a tratti slentata e spesso asfissiante (l’accompagnamento dell’aria di Juliette al IV atto!!!).
Compagnia di canto più che buona, considerata la follia di rappresentare un Drame lyrique in Arena! Un tenore dalla vocalità sana, con acuti ben proiettati (avessimo avuto Saccà al posto di Polenzani nella recente Manon scaligera!), un soprano lirico-leggero con ottime intenzioni interpretative, buona agilità e acuti radiosi (ad onta di un medium e di un grave un po’ debolucci), un Mercutio solido (ma un po’ troppo avaro di sfumature nella splendida Ballade de Mab). In definitiva, cast che piacerebbe poter ascoltare in altro contesto (e magari anche nel Faust). Pubblico più indisciplinato del solito.
E poi la regia. E qui mi riconfermo nella mia idea secondo cui in Arena la regia tende ipso facto ad identificarsi con la scenografia. Scenografia basata per lo più sull’elemento scenico della scala (un omaggio alla città degli Scaligeri): la scala come mezzo di incontro, come strumento di ambizione ed ascesa politica, un grovigllio di scale come prigione. Altri aspetti della scenografiaa tendono poi a sottolineare la divisione che contrappone le due famiglie rivali (e non ci vuole certo un genio per capire che anche di questo parla la vicenda): la grossa struttura circolare che si divide a metà e che ricorda il londinese Globe Theatre, le due fazioni (Montecchi e Capuleti) contraddistinte da colori contrastanti… Suggestiva, ma in fondo didascalica, l’idea di presentare Juliette come una colomba in gabbia, inizialmente presentata come prigioniera in un elemento scenico mobile che fa da supporto a Capellio e che mi ricorda un corpetto (così come l’analogo elemento mobile che sostiene frate Lorenzo al III atto mi ricorda un guardinfante): qui la scenografia sembra suggerire una sessualità repressa, un corpo chiuso in una gabbia, costretto dall’autorità paterna e dalle convenzioni sociali e familiari.
Una regia con molte idee, forse troppe, ma tutte solo abbozzate (ad esempio l’idea dei moderni Capuleti e Montecchi contrapposti gli uni agli altri quali membri di due tifoserie rivali), per lo più giustapposte le une alle altre con scarsa giustificazione drammatica complessiva, e con alcuni momenti di estrema goffaggine e al limite del ridicolo (uno fra tutti quel finale incontro dei due amanti in cima a due scale da cimitero non penso fosse un voluto omaggio alla tradizione amore e morte!!!). Forse lo spettacolo migliore della stagione areniana ma, in definitiva un allestimento che illustra, sia pure con qualche idea, con qualche simbologia, ma che oltre non va.
In questa stessa opera Damiano Michieletto aveva suggerito ben altre potenzialità espressive…
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