L'apoteosi di un'interpretazione; il gioco della voce, la capacità di porgere piani e pianissimi, smorzature inaspetttate, devono aver divertito moltissimo Juan Diego Florez. Un divertimento che è il matrimonio tra la novità del canto, l'esordio in un nuovo ruolo, la combinazione tra chi canta perchè ha la musicalità innata chi unisce la partecipazione emotiva, al gusto, alla tecnica esemplare, alla luminosità di una voce che apre a chi l'ascolta orizzonti carichi di tensioni, anche drammatiche, di commozioni, sovente sepolte da anni di pragmatismo, e sospinge verso sospiri e silenzi carichi di tensione, di attenzione, di anime rivolte alla purezza ed alla bellezza. Jdf non nasce melomane: non è un tenore che abbia deciso fin da subito che l'opera sarà la sua vita: egli nasce musicista; un uomo, un ragazzo prima, a cui piace far musica, qualunque essa sia, basta che sia porta con gusto, con eleganza, oggi con una classe cristallina, che evidentemente ha sempre avuta e di cui è dotato come solo i Grandi cantanti possono esserlo.
Il 2 giugno, a questa serata appena trascorsa, che ancora tutto mi sembra un trascolorare realtà e memoria, mi riferisco: una di quelle occasioni alle quali si aggiungono sovrapposte le immagini di una musica che Jusus Lopez Cobos, riesce a sostenere con grande esperienza e con la bravura dei fuoriclasse, assecondato da una grande orchestra. So a proposito che in Spagna, a Madrid non pensano che il Real sia dotato di una compagine orchestrale di livello assoluto: invece chi la critica dovrebbe ascoltare con attenzione le altre orchestre europee ed essere pronto a riconoscere che il suono è bellissimo, che i legni suonano stupendamente e che anche i fiati, pur con qualche incertezza, sono all'altezza per poter proporre qualunque autore.
Ma tornando all'opera, in cui la stessa orchestra è protagonista, si sono presentate altre due cantanti all'esordio al Real. La signorina Marianelli, bella, simpatica, felice, giovane che ha proposto un Amore semplice ma estremamente musicale. Quando uscirà dalla interpretazione post scolastica ed entrerà nel ruolo della professionista conscia dei propri mezzi, ha le potenzialità per recitare un ruolo importante, in campo lirico, non limitandosi alla pura emissione di note vocalizzate perfettamente, ma che vanno inquadrate in un discorso complessivo, affinchè l'episodio di una frase, unita alle altre, diventi racconto.
Ainhoa Garmendia era Eudice. Ha cantato con eleganza. Non ha trasmesso le stesse emozioni di Jdf perchè forse preoccupata dall'emissione e dal come porgere la voce, trascurando, nei dettagli, un approccio interpretativo, drammatico-amoroso, che altre interpreti più navigate hanno offerto nel passato. Non ha sbagliato nulla, intendiamoci, ma non ha emozionato. La sua prestazione però non è stata quella di un comprimario, ma di una protagonista eccellente.
Tornando al coro e all'orchestra ed alla prestazione di Florez, l'orecchio più attento non può non aver notato quanti colori hanno dipinto un quadro d'insieme in cui nella mia mente si intrecciavano i chiaroscuri e le pennellate drammatiche, essenziali, dalle forti sensazioni di Guernica, alla linearità di Fiume, al calore ed alla follia, in questo caso d'amore, della conquista intellettuale e cromatica dei quadri di Mirò. La trasfusione di arte nell'arte, la pittura in questo caso con la genialità dell'Autore, offerte da Jdf ancora più bravo che in altre occasioni, capace di far scoprire al melomane ciò che può esprimere l'intelletto, se unisce alla cultura, l'alto magistero di una voce che ha incantato con le sue luminosità, con gli abbandoni, con piani e pianissimi da manuale, aprendo una nuova strada nella carriera del tenore, specificatamente, ma anche utile per altre maturazioni, ben udibili ad esempio nella recente "Pour me rapprocher de Marie", nella Fille du Regiment.
Oggi si può parlare di un grande artista acclamato per come sa interpretare, smuovere i sentimenti, incollare l'attenzione del pubblico, in un assordante silenzio, quasi religioso, nel primo atto soprattutto, trasformato poi in trionfo consapevole, serio, senza se e ma, dopo "J'ai perdu mon Euridice", attesa non come l'aria ad effetto che il cantante prepara per ottenere l'applauso, ma come logica altissima conclusione di una lezione di canto, sorprendente, che deriva dalla nobiltà del porgere le note; quella nobiltà universale, cioè quella che appartiene solo a chi serve l'Autore, con uno spessore che gli deriva da un insieme di valori che non risiedono solo nelle sue corde vocali, ma che conoscono lo studio, non solo musicale e che affondano le radici nella preparazione, nella tecnica perfetta, nell'aver respirato l'arte in senso lato.
Il tutto con un segno che è di Florez, solo di Florez, oggi: la sicurezza di poter "godere" la musica, tutta la musica quasi fisicamente, ma che è, come già ho accennato altre volte, una conquista intellettuale.
Inutile dire che il Teatro gli ha tributato applausi trionfali, che la fila di fans cominciava dai camerini e continuava per strada anche se il tenore ha dovuto correre via per un'intervista-partecipazione in diretta ad una trasmissione televisiva spagnola, del canale 2 nazionale, terminata ben oltre la mezzanotte.
P.S.
Come ho già anticipato a Matteo, telefonicamente, mi scuso con il Dott. Bagnoli se questo post non è esclusivo e originale.
ATTENZIONE: QUELLO CHE SEGUE E' STATO MODERATO DALL'AMMINISTRATORE