Un Ballo in Maschera (Verdi)

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Un Ballo in Maschera (Verdi)

Messaggioda DottorMalatesta » dom 29 giu 2014, 12:34

Telegrafica e malinconica recensione de Un ballo in Maschera visto venerdì sera in Arena insieme con reysfilip:

Questo Ballo in Maschera rappresenta un po´ un compendio del Pizzi regista (oddio, regista?), scenografo e costumista ma anche, naturalmente, architetto e pittore: architetture (pseudo)neoclassiche; tavolozza in cui, accanto agli unici quattro colori che Pizzi ha utilizzato negli ultimi anni (bianco, nero, rosso e, molto meno, blu), sorprendentemente riappare il viola, il rosa e l´oro come nelle produzioni di molti anni fa (Orlando Furioso e Tancredi); costumi tiepoleschi; alberi (naturalmente cipressi) stilizzati; le famigerate piume di struzzo (che però in Pizzi non vedevo da anni) e gli ancor più famigerati veli. Sorprendentemente, niente statue. Tutto molto elegante, tutto molto chic, tutto molto molto molto noioso. Coro fermo a fare il coro, cantanti con movenze e gestualitá da vigile urbano costretti a defatiganti passeggiate per l´amplissimo proscenio prive della minima motivazione, assurdità drammaturgiche a iosa… Insomma, l´ennesima dimostrazione che gli anni passano per tutti, ma non per l´evergreen Pizzi, che forse (ma ho seri dubbi) è rimasto magister elegantiarum, ma non è certo diventato un regista.
Francesco Meli, Riccardo, non si risparmia, eseguendo alcune prodezze di cui nessuno si accorge e che quindi a mio parere, in accordo con il precetto evangelico del non gettar perle ai porci, poteva risparmiarsi: acuti sfumati, mezzevoci, salto di tredicesima alla barcarola… Un Riccardo forse non memorabile, ma decisamente “centrato”. Tecnica solidissima, voce immascheratissima (a mio personalissimo gusto forse persino troppo) e ben proiettata, timbro privilegiato, buona capacitá di caratterizzazione del personaggio, bravissimo nel non perdersi negli attacchi al terzetto dell´antro di Ulrica nonostante disti chilometri dalle due donne. Resta comunque il fatto che lo spazio gigantesco dell´anfiteatro lo porta inevitabilmente a forzare, soprattutto negli acuti, e all´ultimo atto se non arriva allo scrocco poco ci manca. La domanda di fondo resta: ma chi glielo ha fatto fare?
Luca Salsi fa il solito Renato declamatore, vociante, con acuti sparati, intonazione precaria e tutti i cliché vocali per cattivo. Siamo in Arena, e fa bene a cantare come in un politeama estivo anni ´50.
Virginia Tola, Amelia, a forte disagio negli acuti è per giunta piuttosto carente di personalità. L´Ulrica della Fiorillo ha la voce spezzata in due o tre tronconi, ed è affetta da un vibrato che compromette ogni possibile valutazione ulteriore. Eccellente invece la Gamberoni: un Oscar spigliatissimo vocalmente e scenicamente.
La direzione di Battistoni ha il merito di garantire una certa coesione all´orchestra e di limitare le (inevitabili) sfasature tra buca e palcoscenico. Le scelte dei tempi sono ragionevoli, così come l´accompagnamento delle voci. Dire qualcos´altro in merito ad una “interpretazione” è impossibile tenuto conto del livello davvero penoso dell´orchestra (quegli ottoni!!!!) e dell´acustica areniana dove, ferma restando l´eccezionalità del luogo, la sua storia, la sua tradizione, le sue dimensioni: 1. Non si sente nulla; 2. Quello che si sente sarebbe meglio non sentirlo; 3. Gli echi e i riverberi del suono sono davvero pervasivi. Coro che ha iniziato bene, ha proseguito male e ha finito peggio.
Arena desolatamente vuota (ed era venerdì sera!!!): due interi settori (i più laterali) addirittura chiusi al pubblico, gradinata numerata quasi deserta, e platea piena per un terzo. Italiani pochi pochi, molti tedeschi.

A mio parere urge ripensare completamente la “filosofia” del festival areniano se non si vorrà arrivare, nel giro di pochi alla débacle.
I problemi sono tantissimi (al confronto la Scala è un teatro "normale"e , di fatto, così è), e legati a molti aspetti. Cosí, in ordine sparso:

1. Peculiaritá del teatro: uno spazio enorme, con ripercussioni indubbie su acustica e possibilitá di lavoro sulla gestualitá e mimica dei cantanti. Al primo problema si potrebbe ovviare con un´amplificazione (impresa tecnicamente al limite del sovrumano). Il secondo problema non è risolvibile a meno di piazzare dei maxischermi. Il gioco vale la candela?

2. Repertorio: impossibile (forse) rinunciare a titoli di grande richiamo. Impensabile che, sulla base del solo titolo e senza considerare come esso venga realizzato, si possa riempire l´Arena con titoli come Don Giovanni o La Gioconda.

3. Pubblicità: occorre pensare ad un rilancio dell´immagine del festival. La martellante campagna pubblicitaria in TV con Domingo e i manifesti uguali nella grafica da almeno dieci anni non aiutano piú di tanto.

Il fatto è che, a mio parere, andrebbe condotta prima di tutto una seria indagine di mercato per capire chi sono le persone che vengono in Arena (nazionalità di origine, appassionati, curiosi, famiglie, vecchi, giovani, uomini, donne….), quali motivazioni li spingano e cosa si aspettino di trovare. L´impressione è che questo non sia stato fatto, o non a sufficienza. Ma capire che razza di pubblico hai davanti è essenziale per la programmazione! Esempio: se hai davanti in maggior parte giovani abituati all´ascolto di musica iPod e a vedere video-clip su MTV non puoi pensare di fare il pienone con l´Aida del 1913: li freghi un anno, ma l´anno dopo non tornano!!!
Se la realtá che emerge è quella di un pubblico estremamente eterogeneo la soluzione non può che essere una programmazione eterogenea. Ossia l´esatto contrario delle monotone zeffirelliadi e pizziadi che abbiamo visto in questi ultimi anni.
Che dite?

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Re: Un Ballo in Maschera (Verdi)

Messaggioda vivelaboheme1 » lun 30 giu 2014, 8:15

Bisognerebbe capire se la carenza di pubblico da te riscontrata sia una costante, o se si sia trattato d'una serata di scarsa affluenza. Lo dico perché nei giorni scorsi avendo tentato di andare a Carmen all'Arena, non ho trovato posto.
Tuttavia, che il Festival estivo areniano sia un po' "seduto" sugli allori è problema annoso: la questione dell'acustica penso non sia una vera causa. Dubito che all'Arena si vada per ascoltare: penso ci si vada per lo "spettacolo", in senso lato che, se l'allestimento (e il titolo) è adatto, rinnova l'indubbia suggestione del luogo. Non vado spesso all'Arena ma quando ci sono andato non mi è mai capitata una serata "vuota" di gente come quella descritta qui sopra. Ripeto: bisognerebbe verificare su più serate consecutive. Il luogo è delicato: le "messe in scena" (regie non sono) di Pizzi o gli spettacoloni di Zeffy sono senz'altro invecchiati, l'anno scorso la pur ardita e discussa Aida della Fura (ripresa) ha avuto il merito di far discutere, ma sicuramente ha assolto uno dei due compiti di un teatro quale l'Arena: far spettacolo. L'altro, piaccia o no, è far cassa, introiti, quattrino. E, su questo piano, bisogna stare attenti ai gusti del pubblico (immaginabilmente turistico) che frequenta il luogo. E alla pubblicità (è possibile che il faccione di Domingo, da solo, non tiri in eterno...).

marco vizzardelli
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Re: Un Ballo in Maschera (Verdi)

Messaggioda reysfilip » mer 02 lug 2014, 19:18

Concordo con la recensione di Francesco. Una serata malinconica, un tuffo indietro di 30 anni con questo Pizzi manierista di sé stesso, tra simboloni grossi come case, cori statici e alberi di carta-pesta che ormai non usa più nemmeno Wilson. Almeno Meli e la Gamberoni hanno tirato un po' su il livello, anche grazie a Battistoni che alla fine, date le premesse, ha diretto in modo encomiabile.

DottorMalatesta ha scritto:Il fatto è che, a mio parere, andrebbe condotta prima di tutto una seria indagine di mercato per capire chi sono le persone che vengono in Arena (nazionalità di origine, appassionati, curiosi, famiglie, vecchi, giovani, uomini, donne….), quali motivazioni li spingano e cosa si aspettino di trovare. L´impressione è che questo non sia stato fatto, o non a sufficienza. Ma capire che razza di pubblico hai davanti è essenziale per la programmazione! Esempio: se hai davanti in maggior parte giovani abituati all´ascolto di musica iPod e a vedere video-clip su MTV non puoi pensare di fare il pienone con l´Aida del 1913: li freghi un anno, ma l´anno dopo non tornano!!!
Se la realtá che emerge è quella di un pubblico estremamente eterogeneo la soluzione non può che essere una programmazione eterogenea. Ossia l´esatto contrario delle monotone zeffirelliadi e pizziadi che abbiamo visto in questi ultimi anni.


I ragazzi non li freghi di certo con l'Aida 1913. Da questo punto di vista, l'Aida della Fura, che ancora però non ho visto, potrebbe essere una risposta valida, almeno dialoga col nostro tempo. Però mi chiedo, come è possibile che in Arena si facciano questi allestimenti che nascono già vecchi, mentre a Bregenz, che penso presenti problemi simili, hanno avuto Carsen, Jones e Poutney?
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Re: Un Ballo in Maschera (Verdi)

Messaggioda mattioli » lun 07 lug 2014, 6:57

Anch'io ho visto a suo tempo l'imbarazzante Ballo in maschera di Pizzi. Concordo in tutto e per tutto con il sommo Dottor Malatesta, ma non vale davvero la pena di riparlarne.
Invece credo sia molto interessante riflettere un po' sul pubblico dell'Arena, perché il problema non riguarda solo l'Arena ma tutta l'opera in Italia e quelli che si ostinano a combattere la battaglia persa di un modo di farla che non ha più riscontri nel resto del mondo.
Il punto è che l'opera non è più in Italia quella forma di cultura o di spettacolo nazionalpopolare che era. Non sto qui a discutere la pertinenza della definizione di Gramsci, che comunque resta illuminante, né a ricordare quanto scritto da John Rosselli, che spiegava che sì, nell'Ottocento l'opera era anche un fenomeno popolare, ma solo nelle città, quindi presso una minoranza di italiani.
Sta di fatto che le folle liriche che andavano all'Arena o riempivano i loggioni non esistono più. Le cause si possono discutere, ma la constatazione è abbastanza evidente. E allora è chiaro che deve cambiare anche il tipo di spettacolarità che viene proposto. Una persona di media cultura e sana di mente che avesse visto quel Ballo o la maggior parte delle "nuove" produzioni che si fanno nei teatri italiani (giunge la notizia che Muti aprirà la stagione di Roma con un'Aida affidata a Pier'Alli, figuriamoci) ne esce convinto che l'opera sia qualcosa di irrimediabilmente vecchio, dunque inutile, e destinato a un pubblico di vecchi che per giunta non c'è più.
L'Aida della Fura non era un bello spettacolo e nemmeno uno spettacolo riuscito, perché di spettacoli riusciti la Fura non ne fa più, come ha dimostrato anche il Faust di Amsterdam. Ma almeno si poneva il problema di declinare per una volta un'idea di spettacolarità al presente e non al passato per di più remoto. Le dimensioni stesse dell'Arena, la sua non sacralità musicale, passatemi l'espressione, sono un atout, non un limite. Potrebbero essere l'occasione per provare, finalmente, a contaminare il linguaggio visivo dell'opera con altri linguaggi più vicini alla contemporaneità. Ma queste benedette regie areniane datele a quelli del Cirque du soleil o dei videoclip!
E invece l'Aida della Fura non è piaciuta alle care salme e quest'anno, con il sollievo dei soliti noti, si è tornati a Pizzi. Però, stando a quel che scrivete (io ero naturalmente alla prima e l'Arena era abbastanza piena), senza recuperare pubblico. E' sintomatico che l'Arena affidi la sua promozione a uno show televisivo con la Clerici all'insegna del trash più imbarazzante: è il tentativo di recuperare il nazionalpopolare lirico estinto con il nazionalpopolare televisivo, peraltro in estinzione. Una battaglia di retroguardia, destinata a essere persa come tutte le battaglie di retroguardia.
E' chiaro che all'Arena non puoi fare Cerniakov o Guth. Non ci arriva il pubblico della Scala (o meglio: una parte minoritaria ma rumorosa degli spettatori della Scala, ma anche - ed è ben più grave - chi avrebbe il compito di spiegarglieli), figuriamoci quello dell'Arena. Ma si potrebbe fare, come giustamente notava reysfilip, come a Bregenz, dove evidentemente almeno c'è qualcuno che prova a pensare.
Altrimenti si finisce per dar ragione a chi dice che l'opera è in crisi, quando mai nella sua storia ha avuto altrettanto pubblico. L'opera semmai è in crisi in Italia ed è in crisi esattamente per colpa di chi va nel panico quando gli togli Pizzi e non capisce che vuole un'arte metaforicamente morta per un pubblico che invece è fisicamente morto, proprio non c'è più, non esiste più.
Vabbé, scusate la sbrodolata.
Buona estate a tutti

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