Parsifal Metropolitan

recensioni e commenti di spettacoli visti dal vivo

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Parsifal Metropolitan

Messaggioda DottorMalatesta » dom 17 feb 2013, 21:03

Un piccolo antipasto...

Lo vedrò al cinema il 2 marzo. Qualcuno ha la fortuna di vederlo dal vivo al Met o a Vienna?



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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda Enrico » sab 02 mar 2013, 21:07

A Torino era in programma al Cinema Centrale per il 5 marzo ma è stato annullato.
C'è la diretta radiofonica sul canale 3 della BBC. Aspettiamo il DVD.
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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda DottorMalatesta » dom 03 mar 2013, 19:14

La visione al cinema del Parsifal di Wagner diretto da Daniele Gatti e con la regia del francese Girard induce a qualche considerazione in merito al modo di mettere in scena l’estremo capolavoro wagneriano.
Il Parsifal è indubbiamente opera che sfugge ad un tentativo di definizione unitaria ed assoluta: lo stesso termine “Bühnenweihfestspiel” indica come il Parsifal sia al contempo opera da rappresentarsi a teatro (Bühnenspiel, letteralmente “spettacolo per la scena”) e opera iniziatica (in tedesco “ein-weihen” è il termine che indica iniziazione ai misteri sacri). È noto come Wagner abbia ribadito in più occasioni la natura teatrale del suo ultimo lavoro. Sembra infatti che Wagner si fosse irritato per l’abitudine del pubblico di Bayreuth di non applaudire al termine del I atto, ed egli stesso si lasciò andare a grida di entusiastica approvazione durante la scena delle fanciulle fiore. Tuttavia, i continui richiami al cristianesimo (un cristianesimo peraltro interpretato con grande libertà e persino eterodossia, si vedano ad esempio i rifeimenti alla metempsicosi di Kundry nel racconto di Gurnemanz al primo atto e nelle imprecazioni di Klingsor all’inizio del secondo atto) sembrano indirizzare chiaramente verso la natura sacrale, iniziativa, verrebbe da dire quasi oratoriale di quest’opera. E questo aspetto di ambiguità mi sembra si ripercuota sulla quasi totalità delle interpretazioni registiche di tale opera che, quasi costantemente, riprendono alcuni simboli chiave (il sangue, la ferita, la lancia) e alcune tematiche centrali dell’opera (la sofferenza, la morte e la rinascita, Parsifal come figura Christi, Parsifal come novello Adamo, Kundry come Eva, etc.), esplicitandole, potenziandole, arricchendole di nuovi significati e di nuove simbologie. Ma, in definitiva, non mi sembra che queste concezioni registiche si discostino poi molto da una mera “illustrazione” per simboli di quest’opera, lasciando in massima parte inespresso il potenziale drammaturgico del Parsifal. Questa, ad esempio, mi sembra la linea adottata da regie come quelle di Wolfgang Wagner, Otto Schenk, Denis Krief, Harry Kupfer e dello stesso Francois Girard nello spettacolo del Metropolitan. Non che tale “concezione illustrativa” sia di per sé immotivata. La natura ambigua del Parsifal la giustifica anzi pienamente. Anche senza considerare gli esiti qualitativamente differenti (è indubbio che tra Kupfer e Schenk o Krief ci sia un abisso nell’efficacia dei risultati), sempre di illustrazione si tratta, mai (o quasi mai) di una vera interpretazione drammaturgica o ri-creazione dell’opera che metta in risalto gli aspetti teatrali di Parsifal.
Così avviene anche per il Parsifal di Girard. Spettacolo di grandissima pregnanza visiva, in cui il tema del sangue e della sofferenza di Anfortas (la cui ferita è simbolo di una spaccatura tra mondo maschile e femminile, ferita che fa inaridire la terra, ferita del cui sangue si nutrono le fanciulle fiore, pallide figure vampiresche) assume una rilevanza assolutamente centrale, così come la figura di Parsifal novello Adamo che osa oltrepassare il limite imposto alla comunità del Graal riconciliando a sé la morte e la vita, il maschio e la femmina, e ridonando nuova vita, nuova speranza, nuova energia. Spettacolo di straordinario impatto visivo, quindi, merito anche di un cast che, con l’eccezione della Kundry piuttosto anonima della Daylam (cosa sarebbe la Stemme in questo ruolo!), è praticamente perfetto. E Kaufmann è, d’ora in poi, il Parsifal dal quale si dovranno giudicare tutti gli atrli. Pure, al termine di questo Parsifal la sensazione che resta è quella di uno spettacolo che si ferma alla superficie, che si limita ad illustrare aggiungendo simboli a simboli. Nulla viene detto della radice del profondo conflitto, della tensione che lacera la comunità del Graal, e il costante ricorso al simbolo sembra più un fine espressivo che un mezzo attraverso il quale porre in risalto le potenzialità drammaturgiche di questa opera. Potenzialità a mio parere ancora tutte da scoprire.

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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda DottorMalatesta » sab 09 mar 2013, 22:15

Per chi volesse farsi un'idea...



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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda Maugham » mar 12 mar 2013, 20:59

DottorMalatesta ha scritto:La visione al cinema del Parsifal di Wagner diretto da Daniele Gatti e con la regia del francese Girard induce a qualche considerazione in merito al modo di mettere in scena l’estremo capolavoro wagneriano.


Anch'io l'ho visto al cinema.
Ed è stato il Parsifal delle sorprese. Mi aspettavo il solito luccicante e sciccoso Wagner da esportazione (per certi aspetti l'allestimento lo era) e invece sono rimasto sorpreso. E felicemente sbugiardato. 8)
In primo luogo da Mattei.
Amfortas è, assieme a Kundry, il personaggio più riuscito e vero dell'opera. Sia Gurnemanz che Parsifal, chiusi nella loro rigidità teutonica e sentenziosa, più che personaggi sono figure da icona.
Amfortas è invece il sofferente, il piagato, quello che ha sbagliato e sta pagando per questo. E' talmente vero da rasentare, nello scoperchiare il proprio dolore, la spudoratezza. Non c'è nessun contegno, nessun riserbo in Amfortas. Ormai il dolore è talmente forte che nemmeno il suo ruolo a Monsalvat (dopotutto è il figlio del capo) lo spinge a darsi un contegno con i suoi sottoposti. Per questo non ho mai sopportato gli Amfortas "signori", sussiegosi, equilibrati, alla London, alla Stewart, per certi aspetti, anche alla Van Dam. Interiorizzare il dolore di Amfortas è un controsenso sia per le parole che per la musica. Tutto il suo dolore è urlato e, come in Elektra, spaventosamente agghiacciante.
E Mattei è semplicemente meraviglioso sia come interprete che come cantante. Non solo non c'è difficoltà di tessitura che lo metta in ginocchio ma la sua capacità di lavorare sulla parola a fini espressivi rende magistrale ogni più piccola e impercettibile sfumatura del testo. Come attore poi è altrettanto formidabile. Mai, in tutti i Parsifal che ho visto, ho percepito questo senso di inesorabile sconfitta, questo dolore abissale che nasce da un senso di colpa così forte e lacerante da lasciarti sbigottito. Mattei trasfigura Amfortas e lo rende di una modernità che ti inquieta. Non è più il solito cavaliere medioevale, eroico e maturo che cede alle malizie di una "furchtbar schönes Weib" di cui, diciamocelo, ce ne importa il giusto; no, Mattei fa di Amfortas un giovane rampollo di una famiglia potente che ha fatto una cretinata. Anzi, ha fatto la mamma di tutte le cretinate. Una cazzata così gigantesca da mettere a rischio la propria famiglia, l'impresa di famiglia (Monsalvat), il futuro di un pezzo d'umanità. Ed è proprio il contrasto fra l'immensità di questa colpa e l'infantilismo con cui esprime il proprio dolore questo ragazzone cresciuto troppo in fretta -e troppo in fretta gravato di un ruolo più grande di lui- a rendere formidabile questo Amfortas. Mattei li sbaraglia tutti e si qualifica come l'Amfortas del nuovo millennio.
L'altra sorpresa mi è arrivata da Gatti. Chi mi legge sa bene quanto apprezzi questo direttore sotto il profilo della tecnica e della conoscenza ma di come sia sempre rimasto perplesso di fronte alla sua pregnanza teatrale. Anche a Bayreuth il suo Parsifal mi aveva lasciato piuttosto freddo. Un Parsifal lento, spappolato nelle ritmiche, diluito in una sorta di microanalisi del tessuto timbrico fine a se stessa e, soprattutto, mortifera dopo tre ore e passa di spettacolo. Qui al Met invece tutta la direzione è come carica di significato. Forse la presenza di una cast di gran lunga superiore a quello bayreuthiano, ha consentito a Gatti di giocare le sue carte migliori in una rapporto continuo di tensioni e distensioni con il palcoscenico. L'apertura del terzo atto è magnifica. Così come tutto il primo. Forse qualche lentezza di troppo nel duetto Parsifal/Kundry allenta la tensione -la solita tendenza di Gatti all'astrazione, cosa diavolo tieni quei tempi che avrebbero già messo in difficoltà una Modl con una Dalayman brava, ma piuttosto ordinaria?- ma sono fisime: nel complesso si è trattato di una bellissima direzione. Complimenti.
Kaufmann non mi ha sorpreso. Quello mi aspettavo e devo dire che con questo Parsifal ha aggiunto un altro tassello alla sua carriera wagneriana con cui tutti gli interpreti che verranno dovranno misurarsi. Perchè Parsifal è più difficile sia di Siegmund che di Lohengrin; non tanto vocalmente (sono ruoli "comodi" per gli standard wagneriani) quanto sotto il profilo espressivo. Parsifal non è un personaggio; è un'idea, un'astrazione, un progetto filosofico che Wagner tenta di trasformare in drammaturgico. Se un tenore si limita a fare le note e ad accentare questa o quella frase perchè sulla carta ha una qualche corrispondenza con una qualche "emozione" operistica (come fanno quasi tutti i Parsifal del disco tolto Hoffmann e certi pezzetti di Kollo) ci si annoia mortalmente. La "consapevolezza attraverso la compassione" era un'impresa molto ardua da esprimere teatralmente anche per uno abituato ad esprimere sul palcoscenico concetti difficili come Wagner. Infatti non ci è riuscito. O meglio, ci è riuscito solo spiegandocela a parole e quindi solo conoscendo il libretto e ascoltando le tirate di Gurnemanz al terzo atto riusciamo a capirla.
Ma Parsifal, come personaggio, è un mezzo fallimento dal momento che non cambia sotto il profilo teatrale. E' emotivamente inerte per tutta la durata dell'opera. La musica non lo è, con il suo accavallarsi di temi ha un'eloquenza e un teatralità profonda, ma il nostro eroe no. Così entra in scena e così esce. Puro folle sempre e comunque.
Bene, Kaufmann riesce a rendere empatico Parsifal; ci credi e, all'apertura del terzo atto, la sua gestualità asciutta e la sua sofferenza espressa con un timbro denso e terroso così simile a quello di Amfortas, gettano un ponte emotivo tra le due figure e finalmente ci è chiaro dove Wagner volesse andare a parare.
Di fronte a tre giganti del genere c'è poco da fare. Pape è un Gurnemanz buono, pretesco, generico, abbastanza eloquente nel racconto del primo atto; la Dalayman si muove dentro Kundry senza mostrare di capirne del tutto le gigantesche coordinate espressive. E' in primo luogo una seduttrice e poi una delle tante Kundry-Maria Maddalena che abbiamo visto a teatro.
Allestimento carino. Visivamente incisivo in alcuni momenti, banale in altri, irritante in altri ancora. Come nel finale in cui Parsifal ficca la punta della lancia (simbolo maschile) dentro la coppa del Gral (simbolo femminile), ce la tiene un pochino, giusto per fecondarla così che finalmente le donne e gli uomini possono mischiarsi a Monsalvat dopo essere stati rigidamente separati per tutta l'opera di un ruscello di sangue. E' giusto.
Altrimenti come nasce Lohengrin? Su questa profonda pensata cala il sipario; per fortuna che l'ultima parola spetta a un Daniele Gatti qui davvero in stato di grazia.

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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda vivelaboheme » mar 12 mar 2013, 22:12

Le parole di Maugham sono MUSICA per le mie orecchie. Chissà se ci sarà dato di avere Daniele Gatti alla Scala... io ci ho fatto su anche una petizione, negli anni scorsi, anche se... auguro Gatti a Milano a me stesso milanese, ma, meno egoisticamente, non so se augurare Milano e la Scala a Gatti medesimo, dato l'ambientino pestilenziale ruotante, in città, nel teatro stesso e sui media, attorno al cosiddetto "Tempio della Lirica". Milano e la Scala hanno già parecchio maltrattato il milanese Gatti (una specialità locale, del resto, l'autolesionismo condito di eterno questionare): forse starebbe a loro - cioé all'ambiente - rendersi degni della scelta.



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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda pbagnoli » gio 14 mar 2013, 7:10

Non sono ancora riuscito a vederlo con continuità e attenzione. Pr quello che ho visto:
:arrow: mi sono entusiasmato per la direzione di Gatti. Conosce quest'opera molto bene, la ama, sa come tenerne saldo il timone, come seguirne il lento dipanarsi senza perdere il filo, sa come svelarne la poesia. L'amico Maugham l'ha visto dal vivo a Bayreuth, io mi devo accontentare di qualche registrazione audio: già allora mi aveva dato la stessa gradevole sensazione. Qui è anche meglio
:arrow: concordo su Mattei: è eccezionale. Io sono cresciuto con José Van Dam della registrazione (per me, ancora oggi meravigliosa) di HvK. Continuo a ritenere il basso-baritono belga un immenso Amfortas, ma Maugham ha ragione: Mattei getta una luce nuova sul personaggio, qualcosa che non avevamo ancora sentito in questa forma. È possibile - come già aveva detto Matteo - che il futuro di questo ruolo (e di altri ruoli wagneriani analoghi) - sia nelle mani di una schiatta di baritoni coloristi inglesi
:arrow: Kaufmann, tanto per cambiare, se li lascia indietro tutti, nessuno escluso
:arrow: la Dalayman mi lascia un po' freddino
:arrow: lo spettacolo sarà un po' ingenuo, ma mi piace, si lascia vedere e capire, non è pacchiano come il recente Ring, il cast è scelto con più sagacia
Il resto quando avrò avuto tempo di vedermelo con un minimo di continuità: trattandosi di Parsifal, direi che è indispensabile, non è un'opera da vedere a rate
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda Enrico » gio 14 mar 2013, 11:50

3 febbraio 2011
pbagnoli ha scritto:Come Lohengrin è già interprete storico, potrebbe forse essere un grandissimo Siegmund, Tristano, Tannhauser, Walther e forse Rienzi, ma non Siegfried e nemmeno Parsifal.


14 marzo 2013:
pbagnoli ha scritto: :arrow: Kaufmann, tanto per cambiare, se li lascia indietro tutti, nessuno escluso


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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda Maugham » gio 14 mar 2013, 14:49

Enrico ha scritto:3 febbraio 2011
pbagnoli ha scritto:Come Lohengrin è già interprete storico, potrebbe forse essere un grandissimo Siegmund, Tristano, Tannhauser, Walther e forse Rienzi, ma non Siegfried e nemmeno Parsifal.


14 marzo 2013:
pbagnoli ha scritto: :arrow: Kaufmann, tanto per cambiare, se li lascia indietro tutti, nessuno escluso


: Chessygrin : : Chessygrin : : Chessygrin : : Chessygrin : : Chessygrin : : Chessygrin : : Chessygrin :


Eh no, Enrico, così non si fa :lol: :lol: :lol:
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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda DottorMalatesta » gio 14 mar 2013, 23:02

Maugham ha scritto:Perchè Parsifal è più difficile sia di Siegmund che di Lohengrin; non tanto vocalmente (sono ruoli "comodi" per gli standard wagneriani) quanto sotto il profilo espressivo. Parsifal non è un personaggio; è un'idea, un'astrazione, un progetto filosofico che Wagner tenta di trasformare in drammaturgico.

...

La "consapevolezza attraverso la compassione" era un'impresa molto ardua da esprimere teatralmente anche per uno abituato ad esprimere sul palcoscenico concetti difficili come Wagner. Infatti non ci è riuscito. O meglio, ci è riuscito solo spiegandocela a parole e quindi solo conoscendo il libretto e ascoltando le tirate di Gurnemanz al terzo atto riusciamo a capirla.
Ma Parsifal, come personaggio, è un mezzo fallimento dal momento che non cambia sotto il profilo teatrale. E' emotivamente inerte per tutta la durata dell'opera. La musica non lo è, con il suo accavallarsi di temi ha un'eloquenza e un teatralità profonda, ma il nostro eroe no. Così entra in scena e così esce. Puro folle sempre e comunque.


Caro Maugham,
illuminanti come sempre le tue considerazioni. Grazie!
Se permetti vorrei approfittare della competenza ed esperienza tua e degli altri compagni di Operadisc per cercare di rispondere ad una domanda che mi faccio da molto tempo, senza finora essere riuscito a trovare una risposta che mi soddisfacesse pienamente.
COS'E' Parsifal? (Questa è la domanda. Seguono mille altre domande che da essa derivano :mrgreen: ):
Qual è il senso di quest’opera? Cosa ha voluto dirci Wagner con essa? Perché ripescare una vicenda dal ciclo bretone, a trent’anni dal Lohengrin e a più di venti dal Tristan? Perché un uomo che non si riconosceva in una confessione religiosa ben definita ha voluto mettere in scena una vicenda intrisa, grondante di simboli e linguaggio religiosi? Parsifal è opera che segna una rottura profonda con tutto quanto la precede: già Nietszche lo aveva notato, accusando Wagner di essersi genuflesso ai piedi della croce. Eppure Wagner pensava al Parsifal già da molto tempo prima… Perché creare un’opera che fin dal titolo appare come una cerimonia sacra, come una funzione religiosa (con tanto di teatro annesso), presentandosi così come qualcosa di molto diverso (almeno così pareva a Nietszche e trovo difficile dargli torto) da quanto la precede? Tu definisci la musica come profondamente teatrale ed eloquente... Ma cosa dice la musica?

Cos’è questa "consapevolezza attraverso la compassione"? Filosofia buddhista shakerata con un po’ di Schopenauer formato bignami e con qualche nozione di catechismo che mescola transustanziazione e metempsicosi senza farsi mancare un po' di sano antisemitismo? Viaggio iniziatico verso l’individuazione di una propria identità? Passaggio dalla fanciullezza (che non conosce le categorie del bene e del male perché ancora priva dell’esperienza della vita) ad un mondo adulto (fatto di persone responsabili in grado di scegliere chi essere e cosa fare) al quale si perviene solo superando e sperimentando sulla propria pelle le tempeste (e le tentazioni) dell’adolescenza? Qual è il senso del celeberrimo (e misterioso) “Zum Raum wird hier die Zeit”?
Lo spettacolo di Girard ripropone la solita caterva di simbologie più o meno viste in tutti i Parsifal (la ferita, il sangue, l’unione tra il mondo maschile e quello femminile, la coppa e la lancia…), apice forse la lettura affascinante ma davvero piena zeppa di simboli proposta da Syberberg nel suo film, senza però dare una chiara risposta alla domanda su COSA sia il Parsifal…
Un caro saluto e… bentornato!!!!
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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda Maugham » ven 15 mar 2013, 15:08

DottorMalatesta ha scritto:COS'E' Parsifal? (Questa è la domanda. Seguono mille altre domande che da essa derivano :mrgreen: ):
Qual è il senso di quest’opera? Cosa ha voluto dirci Wagner con essa?


Che domandona/e :shock:
Non potrei risponderti se non riassumendo quello che io (assieme a molti altri) ho letto sulla materia. Sarebbe quindi una cosa inutile.
Aggiungo inoltre che il fine filosofico o etico cui mira un artista nell'atto del creare mi interessa il giusto.
Non m'interessa molto sapere a che cosa mirasse Tolstoj scrivendo la Karenina o Monet dipingendo le ninfee.
Inoltre io -è un mio limite- ho una scarsissima propensione per il pensiero astratto. :( Sarei un pessimo filosofo. Quindi leggendo i percorsi mentali di Wagner m'incasino....

Detto questo sono convinto che per Wagner il Parsifal sia stato come una catartica seduta di psicoterapia. Una sorta di percorso emotivo con cui lavare i sensi di colpa e il senso di fallimento esistenziale (non solo artistico) che, dopo il 1876, sembra lo attanagliassero. Dico sembra perchè con Wagner bisogna sempre prendere tutto con le pinze: però Cosima dichiara che le sue depressioni e i suoi attacchi di panico erano al limite del patologico e lei era molto preoccupata.
Ovviamente una personalità narcisistica come quella di Wagner non poteva accontentarsi di un semplice testamento spirituale con cui regolare i conti prima di trapassare. Questo sarebbe bastato a Verdi o a Rossini. No, per Wagner, il lavacro doveva essere cosmico, superumano, immenso e fecondante. Non bastava una conversione; lui doveva fondare una chiesa bayreuthiana con la sua teologia. E così la riscrittura del mito cattolico (la compassione dei primi cristiani) mischiato alle letture orientali (il niente cui aspirare per purificarsi) con una spruzzata di ascetismo da padri rupestri di Cappadocia (niente sesso, niente cibo, niente acqua, solo pietre e sole) un po' di antisemitismo con Kundry tra i rovi come l'ebreo dei fratelli Grimm finendo con l'aristocratico snobismo dei templari, tutto questo -e anche altro che tu sai meglio di me- è diventato il Parsifal.
Bignami, dici?
Certo. Wagner era un dilettante nel più alto significato del termine. Non riusci mai a dare una dimensione organica al suo sapere e alle sue letture. Lo dimostra che nessuno dei suoi scritti è mai stato usato da qualche studioso di mitologia nordica. Ed è giusto così. Lui pescava a piene mani da tutte le parti in una sorta di disordinato websurfing ante litteram. Da Darwin a Gobineau tutto quello che leggeva, si trattasse di scienza o si storia o di critica letteraria, era solo cruda materia da prendere, prosciugare, sintetizzare, sminuzzare, cestinare, recuperare per fare teatro. Solo i più miopi -o semplicementi sgobboni- degli esegeti si chiedono il perchè di questa o quella deviazione da un sapere condiviso come se a monte di una qualche scelta o di una qualche censura ci fosse chissà quale riflessione da parte dell'artista. Forse c'era; lui ha scritto complicatissimi tomi per dircelo, ma a me sembra di no. Mi sbaglierò, ma, gratta gratta, a lui come a tutti i geni del teatro interessava il palcoscenico. E il pubblico. Molto più di quanto si creda.
Ti chiedi cos'è la conoscenza attraverso la compassione?
Nient'altro che quella che noi chiamiamo empatia. Ovvero la capacità di "sentire" come proprie le sofferenze, ma anche le gioie altrui. Guarda un po' la qualità che a un egotista come lui era sempre mancata. Perfino quando faceva il rivoluzionario Wagner faceva la sua rivoluzione. Il "problema dell'empatia" comunque è che non la puoi creare con un processo razionale. Voglio dire, o sei empatico o non lo sei; e Wagner non lo era. A prescindere da tutte lo stronazatine di amante dei cani, gatti e volatili. Perfino la tresca con la Wesendonck puzzava di razionalismo; e quindi, sotto il profilo letterario Wagner s'inventa la storia dell'empatia nella leggenda di Parsifal. Il puro folle che diventa sapiente per compassione. Cosa che nell'originale celtico mi pare non ci sia. Il punto è che questa costruzione puzza troppo di tavolino e di scrittoio. Vedi quando Gurnemanz lancia la profezia... tàcchete, ecco che il puro folle entra in scena dopo aver ucciso il cigno. Povero cigno... l'animalismo delle SS.... :D :D :D
Invece nella musica i conti tornano tutti. Perchè in quel settore il dilettantismo di Wagner (per fortuna nostra) lo ha reso il genio sperimentatore che tutti adoriamo.
Conoscenza attriverso la compassione in musica?
Facile.
Prendi il primo tema che apre il preludio. E un tema strano, più lungo del respiro umano e quindi incantabile (nessuno infatti nell'opera lo canta), tra l'altro con una ritmica pazzesca tutto sincopi. Non capisci niente, dova cada il tempo forte, quello debole.... Questo tema viene indicato come quello della cena. In una lettera a Ludwig infatti Wagner divideva in due il preludio. La prima parte faceva riferimento all'ultima cena; la seconda alla passione da Getsemani al Calvario. In realtà il tema possiamo chiamarlo della pietà o dell'amore; il messaggio di Cristo all'ultima cena.
La prima parte del preludio si basa sulle tre virtù teologali che sono, se non sbaglio, fede, speranza e carità. Wagner ribalta l'ordine. Per prima la carità con questo tema (chiamatelo della pietà o dell'amore è lo stesso); poi il tema del Graal (l'amen di Dresda, quandi la speranza) e poi la fanfara eroica e militante degli eserciti cristiani con il tema della fede.
Soffermiamoci sul primo tema.
Questo è l'ur-motiv del Parsifal. Da cui derivano quasi tutti i temi diatonici. Tipo il Natur-motiv del Rheingold..
Questo tema Wagner lo divide in tre parti.
La prima, l'esposizione, è legata all'amore.
La seconda è associata al dolore di Amfortas e al dolore in generale, e la terza alla lancia che questo dolore ha creato in Cristo prima e in Amfortas poi.
Quindi tema dell'amore, al cui interno nasce sia il tema del dolore (che questa pietà crea) che quello dell'arma la cui essenza simbolica (basta vederla) rinnova la conoscenza del dolore.
Capito consapevolezza attraverso la compassione?
Un genio. Empatia o meno.

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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda DottorMalatesta » ven 15 mar 2013, 16:18

Caro Maugham,
che rispostona!!! : WohoW :
Il fatto é che, se é vero (come scrivi e come certamente é) che a lui, come a tutti i geni del teatro, interessava il palcoscenico e il pubblico, non si capisce proprio perché anziché creare un´opera in cui accade qualcosa (!), abbia voluto creare questa nuova liturgia stracarica di simboli di dubbio gusto e di dubbissima ortodossia (prova ne sia il fatto che, volenti o nolenti, attorno a questi simoli ruotano tutte le regie del Parsifal), in cui il tempo sembra sospendersi e tutto sembra accadere a livello interiore (il processo di crescita e di maturazione di Parsifal).
Inoltre é strano, per un egoista come Wagner, pronto a calpestare amicizia e amore coniugale, pur di raggiungere il proprio „benessere“ (che significa non solo vesti di seta, ma anche sostegno economico per realizzare i propri progetti) aver voluto esaltare nella sua opera estrema proprio la virtú di cui era privo!!!! A meno di ipotizzare, come suggerisci brillantemente, che il Parsifal altro non sia se non una immensa seduta catartica di psicoterapia, una sorta di espiazione, l´esaltazione di quella virtú (l´agape, l´amore cristianamente inteso come empatia) che piú di tutte a Wagner, persona egoista, egocentrico e narcisista come nessun altro, era sempre mancata…
Come al solito... mi dai da pensare! : Thumbup :
Ciao,
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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda Maugham » ven 15 mar 2013, 22:05

DottorMalatesta ha scritto:Il fatto é che, se é vero (come scrivi e come certamente é) che a lui, come a tutti i geni del teatro, interessava il palcoscenico e il pubblico, non si capisce proprio perché anziché creare un´opera in cui accade qualcosa (!), abbia voluto creare questa nuova liturgia stracarica di simboli di dubbio gusto e di dubbissima ortodossia (prova ne sia il fatto che, volenti o nolenti, attorno a questi simoli ruotano tutte le regie del Parsifal), in cui il tempo sembra sospendersi e tutto sembra accadere a livello interiore (il processo di crescita e di maturazione di Parsifal).


Stai scherzando? :D
Il Parsifal è stato una perfetta macchina di marketing. Non solo per anni è stato il Graal per milioni di melomani perchè lo potevi vedere solo a Bayreuth. E via di pellegrinaggi, deliqui, soldi in alberghi e treni e diritti d'autore su trascrizioni per piano che andavano a ruba per chi non poteva permettersi il viaggio in Franconia.
Poi, liberalizzato il titolo, ecco la gara a chi rappresentava per primo fuori da Bayreuth il testamento artistico del maestro. Con esauriti a raffica.
Aggiungo: Wagner ha sempre pensato al pubblico. Posso dire senza paura di smentite che non ha scritto una sola nota senza pensare a un uditorio. Non a caso, appena aveva abbozzato qualcosa, lo leggeva subito pubblicamente. Per vedere se funzionava. Le sue opere -come capita a tutti i capolavori- sono leggibili a più livelli. E tuttora, sebbene difficili e complesse, le sue opere sono colonne del repertorio. Quanto Verdi e Puccini.
Ciao
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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda DottorMalatesta » ven 15 mar 2013, 22:50

Maugham ha scritto:Il Parsifal è stato una perfetta macchina di marketing.


Ancora una volta... hai ragione!
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Re: Parsifal Metropolitan

Messaggioda Enrico » dom 17 mar 2013, 15:05

DottorMalatesta ha scritto:
Maugham ha scritto:Il Parsifal è stato una perfetta macchina di marketing.

Ancora una volta... hai ragione! : Thumbup :
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Con me questa "perfetta macchina di marketing" non funziona. Perché?

Non è un'opera che conosco bene: l'ho vista in dvd per intero solo una volta.
La prima edizione che mi è capitata tra le mani, circa dieci anni fa, era quella in italiano con la Callas, comprata casualmente a quattro soldi in una libreria. Avevo anche un vecchio libretto in italiano: ma l'unico tentativo di ascolto non è andato oltre la metà del primo atto. La traduzione italiana non è bella, è vero, lo stile dei cantanti non è adatto al declamato wagneriano, è vero, ma è solo questo il problema?

L'edizione che ho visto per intero (ma suddividendola in diversi giorni) è quella in video diretta da Levine: non sarà la migliore possibile, ma non mi sembra nemmeno da buttare via. Però vederla (se non ricordo male ho usato i sottotitoli in inglese o in spagnolo; avevo anche un libretto in italiano, mi pare, anche se non so più che fine abbia fatto) è stata una fatica grande, e non solo dovevo lottare contro il sonno e la noia, ma alcune parti dell'opera le ho trovate perfino irritanti e fastidiose.

Non ha molto senso tirare fuori i soliti luoghi comuni contro le opere di Wagner, però per me la difficoltà è rappresentata principalmente dai seguenti aspetti:

- contenuti complicati e un po' contorti, nei quali tutte le implicazioni culturali storiche filosofiche religiose, di cui più volte avete parlato, mi sembrano limitare la possibilità per un normale ascoltatore/spettatore di comprendere e apprezzare l'opera a un semplice primo ascolto o visione teatrale: anche quando lo spettatore non sia del tutto ignorante e sia uno abituato a seguire opere anche impegnative. Forse nel nostro mondo moderno, abituato alla velocità e ai continui cambiamenti, diventa difficile concentrarsi? forse siamo troppo ignoranti, non abbiamo voglia di studiare?
- la lentezza esasperante con cui la vicenda si sviluppa, con discorsi lunghissimi pronunciati e declamati parola per parola in modo che molte frasi abbiano una lunghezza per me intuile senza che ciò che viene detto e raccontato corrisponda a un mio effettivo interesse o coinvolgimento (qualcosa di simile mi succede col Tristan, inutile parlare della tetralogia perché ne conosco meno di un quarto): la musica, ahimè, non mi comunica niente, a partire dal preludio, la cui mirabile "costruzione" qui avete descritto così bene: non mi dice niente, non me ne rimane in mente nemmeno mezza nota! altre parti dell'opera invece mi hanno infastidito perché mi rimanevano impresse in maniera quasi ossessionante, a livello di suoni e di ritmi, ma senza che questi suoni corrispondessero a una sensazione o ad una emozione in senso positivo: una figurazione melodica e ritmica che si ripete per dieci minuti o un quarto d'ora resta necessariamente e violentemente impressa, ma può ottenere l'effetto di respingermi più che di interessarmi; motivo per cui non ho nessuna voglia di riprovare a vedere un Parsifal, quando ci provo mi annoio, mi irrito o mi addormento, a seconda dei momenti.

Non se questo mio discorso (indubbiamente di bassissimo livello rispetto alle questioni che avete discusso sopra) abbia un senso, forse no: anche perché la soluzione di questi problemi richiederebbe un certo impegno e io invece, per ora, preferisco dedicare il mio tempo ad altro.
Enrico B.
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