Hippolyte et Aricie (Rameau)

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Hippolyte et Aricie (Rameau)

Messaggioda MatMarazzi » mer 11 lug 2012, 12:33

PARIGI 2012

In mezzo a tante riprese noiose e titoli inutili, l'unica proposta interessante della primavera parigina (almeno per me) è stata il riallestimento dell'Hippolyte al Palais Garnier, nella produzione tolosana che tre anni fa raccolse grande successo.
L'idea (a priori discutibile, apparentemente reazionaria) era quella di ricostruire un allestimento praticamente identico a come poteva essere uno spettacolo nel 1733, soffocato di veli dipinti, fondali prospettici, costumi barocchi, coregrafie "sautée", macchinerie volutamente ingenue, luci pastello e autunnali, paesaggi di pitture settecentesche e staticità scultorea.

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Tutto ciò è assai poco in linea con le tendenze attuali, quelle che solo vent'anni fa erano audacia e che oggi sono consuetudine, quelle in base a cui il motore della drammaturgia musicale barocca sarebbe da ricercarsi esclusivamente nel contrasto espressionistico fra musica antica e immagine contemporanea.
Quando all'inizio mi sono visto uscire le pastorelle di Diana vestite da damine settecentesche, graziosamente disposte in formazione geometrica, sono rimasto sconcertato, poi progressivamente coinvolto dalla forza e coerenza dell'immagine, proprio per la sua - paradossale - novità.

Mi spiego: quando da ragazzo vidi a Aix les Indes Galantes con la regia di Arias (era il 1990) fui folgorato dalla novità espressa dal contrasto fra un coro di rameau e una coreografia rap, da neri per le strade del Bronx, che vi si scatenava sopra.
La novità del gesto mi parve entusiasmanate. Oggi non lo sarebbe più
Oggi quel contrasto è diventato da grandi magazzini: lo fa chiunque tanto che chiunque, in un'opera settecentesca, si aspetta balli anacronistici, come se fossero d'obbligo.
Paradossalmente è di fronte a una coreografia "filologica" (come quella di Natalie Van Parys) che restiamo stupefatti.

Altro esempio: quando ero ragazzo, il simbolo risibile di ciò che "non si doveva più fare" era l'immagine del tenore che canta il suo amore immobile al proscenio, l'occhio fisso sul pubblico (o sul direttore) e la mano sul cuore.
Oggi però nessuno (nemmeno il peggior tenore, nemmeno il peggior regista) addotterebbe una simile postura e nessuno (nemmeno il pubblico italiano :)) l'accetterebbe più. Tanto che oggi quella postura non è più vecchia e risibile, quanto inattesa, strana, ...nuova.
Specie se ad assumerla è un tenore come Topi Lethipuu, attore stratosferico, scioltissimo, atletico che starebbe benissimo in un film di Hollywood.
Quell'immobilità non è più - per il pubblico giovane - come era ai tempi di Bergonzi... oggi è talmente intattesa che a vederla il pubblico drizza le antenne; comprende essere "troppo strana per essere casuale".

E' proprio questo che cercavo di dire nel Thread sul recupero delle produzioni antiche. Il gesto "antico" ci costringe a riflettere su di esso, ci impone di scovarvi legami con la contemporaneità (proprio come avvenne col suono "antico" riesumato dai filologi) tanto da allargare il nostro bagaglio di evocazioni e possibilità espressive.
Imporsi di gestire un dialogo senza ricorrere a espressioni o moti cinematografici, ma riconducendolo a un rapporto geometrico di posizioni simboliche, ricavando la gestualità dai trattati di recitazione classica e dalle posture pittoriche dell'epoca, richiede una concentrazione estrema, in quanto quei gesti, quelle fissità, quei rimandi a una cultura figurativa lontanissima dalle nostre abitudini reclamano di essere posti in relazione con noi, e diventare "comunicativi".
Esattamente come è avvenuto con i suoni "barocchi" che oggi - dopo decenni di sperimentazione interpretativa - ci parlano con la stessa eloquenza dei suoni Rock.

Non voglio dire che lo spettacolo di Alexandre rappresenti esattamente questa rivoluzione.
Siamo ancora in una fase pionieristica della quale, probabilmente, rideremo fra vent'anni.
Basti dire che a muoverlo non è il recupero di un ben preciso allestimento antico (che so... quello della creazione nel 1733 a Parigi), bensì l'invenzione di un "come se", di per sè meno interessante.
In pratica siamo ancora fermi all'Atys di Villegier...
E tuttavia l'enorme effetto che quest'Hippolyte ha prodotto sul pubblico parigino è stato illuminante.

Queste quattro ore di fondali dipinti che si sollevano su mondi meravigliosi, questi continui trapassi macchinosi di quinte in cartone che, nel volgere di pochi attimi, fanno adirare il mare, sorgere mostri e esplodere l'inferno, questi movimenti stilizzati che progressivamente ci coinvolgono in un meccanismo teatrale avvincente... sono la prova che il nostro patrimonio di emozioni teatral-musicali ha bisogno anche di reinventare l'immagine antica, specie in un momento come questo che si sta avviando a uno dei ciclici ristagni a cui l'Opera va frquentemente soggetta.

Unico limite dell'operazione è che sarebbe risultata meglio su altre opere di Rameau: è un testo troppo profondo e dalle tematiche troppo sconcertanti.
Il pubblico di oggi infatti (non ancora abituato al nuovo linguaggio dell'immagine barocca) per alcuni anni lo considererà come una sorta di "divertissement" oleografico.
Ovviamente è falso: ma all'inizio è sempre così e pertanto occorre andare per gradi.
Gli esecutori baroccofili non sono partiti da Don Giovanni... Semmai da Haendel, Lully e Purcell.
A Don Giovanni (che il pubblico sentiva come più profondo e complesso) ci si è arrivati in un secondo tempo, quando la novità del suono barocco era già digerita e la sua sintassi talmente dominata da permettere approcci contenutistici profondi.
Rilanciare una nuova lingua (come l'immagine antica) e usarla subito per tradurre i testi di filosofia è arrischiato.

Il cast.
E' rimasto praticamente immutato dai tempi di Toulouse, con due cambiamenti significativi, legati alle maggiori possibilità economiche dell'Opéra rispetto al Capitole: Sarah Connoly come Fedra e Topi Lethipuu come Ippolito.
Partiamo da quest'ultimo.
Lethipuu è da un certo punto di vista uno dei maggiori artisti di oggi: come musicista e come interprete è straordinario; la sua flessibilità stilistica, la capacità di adattarsi ai più vari repertori e alle più diverse psicologie giustificano la grande considerazione di cui è circondato.
E tuttavia i limiti della sua voce si fanno sempre più allarmanti.
A pochi mesi di distanza, l'ho visto Pelleas a Helsinki fragile e sfumatissimo, atletico e adolescente, e ora aulico, stilizzato e cavalleresco Hippolyte a Parigi.
E tuttavia a Helsinki non riuscivo praticamente a sentirlo, annegato dall'orchestra; a Parigi sentivo un disagio insopportabile ogni volta che dai recitativi (abilissimamente resi) si passava a brani chiusi.
La voce è piccola, la linea incerta, gli acuti periclitanti. Non riesco davvero a immaginare ruoli adatti a valorizzare le sue attuali condizioni vocali.

Anche sull'altra star della serata, Sarah Connoly, nutro alcune perplessità.
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Fedra dovrebbe essere il motore tragico dell'Opera, la portatrice di affetti incestuosi e inconfessabili, la "tragedienne".
La Connoly è straordinariamente brava: la voce è magnifica, le sfumature infinite e degne di una Baker, il controllo stilistico-musicale esemplare e l'autorità scenica indiscutibile.
Eppure alla fine abbiamo in lei solo la classica "cattiva" operistica. Non ho ritrovato quel senso di orrore e di paura, misto a speranze impossibili (proprie di chi nutre un amore senza futuro) che invece la Hunt o la Normann lasciavano percepire. La Connoly sembrava la solita Eboli o la solita Amneris, che fa da contrappunto alla vera eroina, quella "buona".

Molto, molto bene (ma senza sorprese) Anne Catherine Gillet, che si sta rivelando una delle più efficaci realtà del panorama francese.
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E ora veniamo al gigante della serata: Stéphane Degout.
Il baritono francese è indubbiamente uno dei maggiori cantanti oggi nel mondo. Un artista geniale che sa fondere tutte le conquiste dei baritoni "coloristi" anglosassoni, scandinavi e liederisti a sonorità piene e rifulgenti che piacciono anche al pubblico tradizionalista.
La presenza scenica è nobilissima eppure incendiaria.
Il suo Teseo è fenomenale e valeva da solo il viaggio.

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Abbiamo trovato l'interprete ideale e definitivo dei ruoli Chassé.


Concludo con un entusiastico plauso, per la prima volta, a Emmanuel Haim e al suo Concert d'Astrée.
Nelle precedenti occasioni (tutte haendeliane) non mi aveva esaltato.
Tutta quella rotondità, tutta quella retorica di sensualità a buon mercato, quell'incapacità di valorizzare i contrasti timbrici... mi pareva un modo per ridurre il Barocco a stereotipi da cartolina.
Anche in questo Hippolyte (forse per il pregiudizio accumulato) ero rimasto freddo ai primi due atti.
Ma devo dire che dal terzo in poi ho dovuto cambiare opinione: la Haim si è avventata su questa musica strana, audace, soprendente con una tale foga di effetti e perfezione di articolazioni da potersi considerare uno dei motori del successo.
Evidentemente la Tragédie Lyrique fa per lei! Sarei curioso di sentirla anche in opere più antiche: ad esempio in Lully.


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Re: Hippolyte et Aricie (Rameau)

Messaggioda Maugham » mer 11 lug 2012, 13:31

MatMarazzi ha scritto:PARIGI 2012

In mezzo a tante riprese noiose e titoli inutili, l'unica proposta interessante della primavera parigina (almeno per me) è stata il riallestimento dell'Hippolyte al Palais Garnier, nella produzione tolosana che tre anni fa raccolse grande successo.
L'idea (a priori discutibile, apparentemente reazionaria) era quella di ricostruire un allestimento praticamente identico a come poteva essere uno spettacolo nel 1733, soffocato di veli dipinti, fondali prospettici, costumi barocchi, coregrafie "sautée", macchinerie volutamente ingenue, luci pastello e autunnali, paesaggi di pitture settecentesche e staticità scultorea.



Grazie Mat del resoconto!
Domanda: come hanno risolto la faccenda luci? Hanno ricreato l'effetto candela e quindi, praticamente, perenne penombra oppure hanno usato un disegno luci moderno?
Ciao
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Re: Hippolyte et Aricie (Rameau)

Messaggioda MatMarazzi » mer 11 lug 2012, 14:29

Maugham ha scritto:come hanno risolto la faccenda luci? Hanno ricreato l'effetto candela e quindi, praticamente, perenne penombra oppure hanno usato un disegno luci moderno?


Esatto: l'effetto candela era predominante.
Colori pastello, seppiati e di atmosfera autunnale.
Molto raramente si percepivano fari puntati e al proscenio una fila di antiche sagome di ribaltine davano l'illusione che la luce venisse da lì.
Eppure raramente ho avuto la sensazione che la luce fosse più nitida, emozionante e rivelatrice.
Effetti particolarmente raffinati si percepivano in certi casi sui fondali; per esempio il quarto atto aveva per sfondo una spiaggia solitaria con un cielo ricco di nembi e nuvoloni cangianti. L'illuminazione servivaalla luminosità del cielo un'atmosfera alla Claude Lorrain.

Dal punto di vista tecnico ti saresti divertito moltissimo, perché i designer erano delle tigri.
La luci erano di Hervé Gary; scene e costumi sono stati affidati allo stesso team della Reine Margot di Chéreau: Antoine Fontaine e Jean-Daniel Vuillermoz. Una festa per gli occhi.

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Re: Hippolyte et Aricie (Rameau)

Messaggioda pbagnoli » mer 11 lug 2012, 18:35

Mi parleresti un po' dell'opera di per se stessa?
Io ho un'incisione discografica (quella di Christie) che ho provato più volte ad ascoltare, ma non riesco proprio a digerirla, non so perché...
Non sono pregiudizialmente contro il Barocco, che anzi - come sai - amo in tutte le sue forme.
Però... Vivaldi, Haendel.
Rameau, invece, mi presenta grossi problemi di comprensione e adattamento.
Come posso fare?
Qual'è la chiave di lettura?
Mi puoi aiutare?
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Hippolyte et Aricie (Rameau)

Messaggioda MatMarazzi » mar 31 lug 2012, 16:41

Un'anima generosa ha postato su Youtube TUTTA L'OPERA!!

Ecco il link.



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Re: Hippolyte et Aricie (Rameau)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 31 lug 2012, 20:52

La Musa Erato gliene e tene renda merito!!!! :) :) :) :) :)
Grazie,
Francesco
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