Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

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Re: Racconti di Hoffmann-Scala

Messaggioda pbagnoli » lun 30 gen 2012, 19:30

vivelaboheme ha scritto:Tornerei a Carsen e poi a Jones.
...

Credo che lui, Carsen, e Tcherniakov (altro fantastico regista) siano fra coloro (con qualche altro raro nome) cui il teatro lirico deve di più, negli anni recenti. Non riesco a contrapporli, in quanto li apprezzo tutti e tre, nel rispettivo stile

Caro Marco,
un post assolutamente esemplare e condivisibile dalla A alla Z.
Io andrò a vedere questo spettacolo domenica pomeriggio assieme a un piccolo manipolo di amici, poi racconterò le mie (nostre) impressioni
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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda beckmesser » lun 26 nov 2012, 12:02

PARIGI 2012 - SALLE PLEYEL

Già non capita spesso di assistere all'interpretazione di un caposaldo del repertorio operistico che faccia esclamare “Da ora cambia tutto”; ancor meno spesso capita di poterlo dire con riferimento al testo stesso di quel caposaldo. Eppure è ciò che è successo sabato sera alla Salle Pleyel di Parigi: per la prima volta dal 1881 i Contes sono stati eseguiti così come Offenbach li aveva concepiti e lasciati al momento della morte (che poi, fosse vissuto, la versione finale sarebbe stata ancora diversa è ovviamente altro discorso). C'era andato vicino Nagano con la sua incisione, ma qualche pezzo ancora mancava (anche essenziale, come il finale dell'atto di Giulietta); l'aveva sfiorato lo stesso Minkowsky nel ciclo di recite con lo spettacolo di Pelly ma, complici le esigenze dell’allestimento, qualcosa era stato tagliato. Stavolta c'era proprio tutto. Risultato: tre ore e quaranta minuti di musica, praticamente il Parsifal di Boulez. Troppi? Decisamente no: semmai, erano troppo pochi quelli assemblati nell'edizione Choudens, che ora è veramente tempo di mettere in archivio, per il semplice fatto che, almeno per metà, con Offenbach non c'entra proprio niente. Questa edizione, che si basa in tutto sul nuovo testo critico Keck/Kaye, dimostra una cosa molto semplice: che Offenbach, guarda caso, sapeva il fatto suo... La struttura da lui pensata (per quanto non in modo definitivo) presenta infatti una coerenza ed una ricchezza fenomenali, basate su una doppia ed irresistibile progressione: musicale in primo luogo, con i tre atti centrali che crescono in complessità e ricchezza di struttura, per culminare nei due grandi assiemi dell'atto di Giulietta (proprio quello che, nella vecchia edizione Choudens, faceva sgonfiare il tutto come un soufflè mal riuscito) il cui nuovo finale, come era già emerso dalle precedenti esecuzioni minkowskyane, è veramente un capolavoro assoluto; progressione emotiva in secondo luogo, dato che in ogni atto la situazione di Hoffmann cresce in tragicità e parossismo, preparando la catarsi del grandioso concertato alla fine dell’epilogo.

Si può poi discutere su alcune scelte testuali marginali (la scelta fra diverse versioni alternative di una stessa aria, per esempio), ma ormai è chiaro: questa e solo questa è la versione che rende ragione al genio di Offenbach. Per la cronaca, può essere utile precisare che in questa occasione Minkowsky ha optato (complice forse la forma di concerto) per le versioni più lunghe di tutte le possibili alternative: nell'atto di Olympia, Niklausse canta il “Voyez-la sous son éventail” (versione anteriore, e già nota, alla definitiva “Poupée aux yeux d'émail”) preceduta da un andante, “O reve de joie”, che fa assumer al brano una struttura da scena-aria-cabaletta. Nell'atto di Giulietta Dapertutto non canta il definitivo “Tourne miroir” ma una versione anteriore, “Répands tes feux dans l'air”, che Minkowsky aveva già usato nelle rappresentazioni con Pelly e che è un capolavoro assoluto, anche se presenta lo svantaggio di far perdere il nesso con la musica dell'ultima pantomima dell'atto, che sul “Tourne miroir” si basa. Non è invece stata eseguita la ricostruzione del duetto finale fra Hofmann e Stella (che invece Minkowsky aveva eseguito nella precedente occasione): trattandosi di un frammento elaborato dal curatore, la cosa ha un senso, anche se è un peccato, dato che quel frammento contiene le uniche pagine dell’opera orchestrate da Offenbach (Guiraud ha fatto un lavoro egregio nell’orchestrazione, ma resta l‘ovvia considerazione che in questi casi chi è chiamato a completare non può far altro che imitare quanto l’autore aveva fatto fino a quel punto, non certo immaginare cosa avrebbe fatto in seguito, e quel frammento ci dice che Offenbach aveva probabilmente in mente qualcosa di diverso da quanto fatto fino a quel momento).

Quanto all'esecuzione, è chiaro che tutto ruota intorno a Minkowsky. Ben conoscendo la registrazione del suo precedente accostamento all’opera (accesissima e ricca di contrasti), mi aspettavo avrebbe proseguito sulla stessa strada. Niente affatto: avendo a disposizione i suoi Musiciens du Louvre, la strada è stata del tutto diversa, e confesso che all’inizio mi ha spiazzato. Orchestra ridotta (una cinquantina di elementi), pochissimo vibrato negli archi, timbri puri e nettissimi (impressionante in particolare come gli ottoni, bravissimi, si “sedimentassero” sul tappeto degli archi senza mai fondervisi completamente), a creare un suono asciutto, persino un filo neutro sul piano dei colori, che però un virtuosismo dinamico spettacolare rendeva uno strumento narrativo irresistibile. E, finalmente, Offenbach perde quella bonomia di fondo (un po’ da “ma in fondo la vita è bella”) che quasi sempre gli viene fatta assumere, per acquistare contorni inquietanti, a tratti quasi marionettistici, di chi dipinge una società della quale ha scientemente deciso di far parte ma che non per questo finge di non conoscere.

Nel cast, mancava crudamente la Dessay, originariamente prevista: anche sfasciata, avrebbe comunque messo in pista quel mix di carisma e personalità indispensabile per affrontare i tre ruoli. Sonia Yoncheva ha una voce splendida (uno dei timbri più belli che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi), buona tecnica (anche se perfettibile, specialmente in alto) e discrete doti di interprete; gioca di rimessa con Olympia, e poi sale di quota, così da portare a casa la serata con onore, ma per un’operazione del genere serviva qualcosa di più (fuori gioco la Dessay, ci sono comunque altre possibilità: la Damrau, la Petersen…). Naouri è, molto semplicemente e come già noto, il migliore interprete che i quattro ruoli diabolici possono sperare. Anche Osborne esce con onore da una parte che l’integralità assoluta rende una delle più massacranti del repertorio: come spesso avviene con questo tipo di cantanti, tuttavia, l’uscita dal suo repertorio tipico mette in luce una personalità non proprio debordante ed una capacità di lavorare sull’accento abbastanza limitata. Comprimari straordinari (a partire dal glorioso Fouchécourt) e con addirittura Sylvie Brunet come Voce della madre di Antonia.

A questo punto, verificata la strepitosa tenuta musicale, non resta che verificare quella teatrale: la parola passa quindi a qualche sovrintendente illuminato. Speriamo bene…

Saluti,

Beck
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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda mattioli » lun 26 nov 2012, 12:54

Grande Beck!
Analisi perfetta. Aggiungerei di mio le lodi al coro e il rimpianto per la Petersen, che al momento, Dessay esclusa, mi sembra possa essere LA titolare delle quattro parti femminili.
Di certo si è trattato di una serata a suo modo storica (cercherò di bissare sabato, all'unica replica). Presente e sentenziante in sala anche il Divino. Notata invece una grande assenza, quella del GM. Fonti ben informate dicono che ha preferito una Lucia di Lammermoor diretta da Oren con la regia di Pizzi, protagonista Mariella Devia... :twisted:
Ciao miao bao

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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda pbagnoli » lun 26 nov 2012, 18:21

Bellissima rece quella di Beck. Era uno spettacolo che tutti aspettavamo con ansia proprio per conoscere le vere "ragioni" di Offenbach, anche se va dato almeno l'onore delle armi a chi ci ha fatto conoscere - sia pure in parte - questo meraviglioso capolavoro: la povera edizione Choudens, insomma. Certo, va archiviata definitivamente: su questo sono totalmente d'accordo. Però, come spesso è capitato nella Storia del teatro d'opera, queste edizioni monche hanno permesso - soprattutto in altri tempi - la diffusione di lavori che in altra veste avrebbero avuto molta difficoltà a farsi conoscere.
Non conosco la Yoncheva; la Petersen, invece, sì. E concordo in pieno con l'idea che per progetti così importanti è necessario avere il meglio che ci sia a disposizione.
Stessa considerazione per Osborn, che decisamente non è il mio ideale per una parte del genere...
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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda Maugham » gio 29 nov 2012, 10:48

mattioli ha scritto: Presente e sentenziante in sala anche il Divino.

AM


Non potevo sentenziare visto che ero stretto tra te (che ti muovi nel bel mondo parigino come come se ci fossi nato) e Beckmesser (che si muove tra le varie edizioni dei Contes come se le avesse curate lui). Io tacevo e ascoltavo.
Da buona Cenerentola dopo vi ho preparato anche un notturno piatto di spaghetti. : Chef :

Dico solo che all'inzio ho pensato: "qui butta male".
Una direzione tutta spigoli, rigida, metronomica, quasi scolastica. Quelle cose che, lo sapete, a me fanno venire il nervoso come tutti i compiti da primo della classe. Anche il suono dell'orchestra e del coro era quasi prosciugato. D'accordo che i Contes non li si ascolta per chissà quali meraviglie timbriche però se togli il vibrato ai pochi archi che hai, usi i legni come se fosse Rameau, chiedi ai corni durezze e corposità prewagneriane, spingi il coro (esiguo) a cantare aperto, piaccia o meno, rimani spiazzato. Tra me e me mi sono detto: un bianco-e-nero del genere per quattro ore?
Invece, man mano che il macchinone teatrale andava avanti, ecco che le scelte timbriche di Minkowski (su quelle ritmiche non ho mai avuto nessun dubbio, perfette!)mi sono parse le più logiche, giuste e puntuali. Capisci inoltre chiaramente che per Offenbach questa era l'opera della vita e, soprattutto, l'opera del suo "riscatto" come compositore. Ma soprattutto alla fine delle quattro ore ti rendi conto di essere di fronte ad un'esecuzione, per ora, definitiva.
Quest'o aggettivo è infatti quello che legherei a questa serata.
Questi Contes hanno definito uno standard nella storia di quest'opera.
Dal mese di dicembre 2012 chiunque voglia avvicinarsi a questa partitura (non importa se alla Scala o in culo al mondo) non potrà prescindere da quanto Minkowski e una cast in linea di massima più che buono hanno fatto alla Salle Pleyel per due sole recite.
Spettacolare soprattutto l'atto veneziano (notoriamente un troncone in altre edizioni) qui articolato in mille giravolte espressive. Il finale poi mi ha ribaltato. Con tutto quell'odore di Tannhauser mi ero quasi dimenticato di essere a Parigi. :D
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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda mattioli » gio 29 nov 2012, 12:51

Qualche chiosa sui Contes della Salle Pleyel:

1) il Divino è divino anche quando cuoce gli spaghetti : Chef : ;
2) non mi sarei aspettato di leggere proprio su Operadisc delle critiche al coro perché cantava "aperto". Credo fosse una scelta stilistica ed espressiva insieme: intanto, era un coro davvero da opéra-comique; poi, per la prima volta in vita mia ho capito ogni parola;
3) nessuno ha ricordato la Losier, che faceva Nicklausse: voce non bella e non grande, forse un po' "tirata" nell'acuto, ma che interprete!
4) i Contes di Minkowski sono come i Troyens di Gardiner: per la storia interpretativa di queste opere, c'è un prima e un dopo.

Se riesco sabato replico.
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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda Maugham » gio 29 nov 2012, 13:18

mattioli ha scritto:2) non mi sarei aspettato di leggere proprio su Operadisc delle critiche al coro perché cantava "aperto". Credo fosse una scelta stilistica ed espressiva insieme: intanto, era un coro davvero da opéra-comique; poi, per la prima volta in vita mia ho capito ogni parola;


Mocchè critiche! :D :D :D
Figurati io sono un sostenitore -se non ricordo male anche su queste pagine- dei cori "aperti". Ovvero all'opposto di quelli milanesi e fiorentini con i loro bei passaggi di registro su "pugnerem colle braccia e coi petti"....
Adoro il Monteverdi Choir (la Carmen di Gardiner) per non parlare dell'Arnold Schoenberg (Messiah di Guth).....
WSM


P.S. E comunque io sono un fan di Bergonzi. :mrgreen: :mrgreen:
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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda DottorMalatesta » sab 22 feb 2014, 15:04

Uscito in DVD lo spettacolo con la regia di Pelly, registrato al Liceu di Barcellona. Spyres protagonista, Naouri nei tre ruoli "cattivi", la consorte Dessay come Antonia (!), Kathleen Kim come Olympia, Tatiana Pavlovskaya come Giulietta. Dirige Stéphane Denève.





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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda pbagnoli » dom 23 feb 2014, 10:15

Che revisione dell'opera viene adottata?
Non sarebbe male se una volta tanto in video venisse abbandonata la vecchia versione...
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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda beckmesser » dom 23 feb 2014, 11:26

L'edizione è quella giusta, la Kaye/Keck. Resta l'inesplicabile anomalia del taglio integrale della scena della festa di Giulietta, con relativa aria. Trattandosi della ripresa dello spettacolo di Lione del 2005, in cui lo stesso taglio era stato operato, suppongo sia dovuto ad una scelta di Pelly, ma rimane un'insensatezza.

Per il resto, direi si tratta di un'edizione mancata. La direzione di Denève è soporifera: molle nei ritmi, povera di colori, uniforme nelle dinamiche; sarebbe accettabile in una ripresa di un teatro periferico, ma per un'occasione così importante è del tutto fuori luogo. Si era molto parlato dello spettacolo di Pelly ed ero molto curioso di riuscire a vederlo: niente di che... Come si dice in questi casi: suggestivo, piacevole da vedere, ben costruito, ma non un'idea che sia una; mai un momento in cui sembri porsi il problema di provare a farci capire cosa per lui sia quest'opera tanto particolare. Come regista d'opera, il fenomeno Pelly si ridimensiona ad ogni spettacolo nuovo.

Quanto al cast, è chiaro che tutto poggiava in origine sulla Dessay: che, come Antonia, è notevole. Certo, la voce è ormai tiratissima negli acuti, ma fraseggio, recitazione, capacità di penetrazione del personaggio restano fenomenali. Il problema è, ormai lo si è capito, che non si può spezzare quel ruolo (perché uno soltanto è il ruolo) fra più interpreti diversi, pena il fallimento di qualsiasi allestimento: avendone a disposizione uno solo, si può solo giocare di rimessa. Anche perché le sostitute sono abbastanza scadenti: questa Kim come Olympia è un giocattolino a cucù abbastanza insipido, e terribile è la Giulietta della Pavlovskaya.

Spyres è vocalmente fenomenale: sicurissimo, non un solo passaggio che lo veda in difficoltà (tranne forse la Romance dell'atto di Giulietta). Ma non dà mai l'impressione di aver veramente centrato il personaggio. Resta il fenomenale Naouri, che si conferma il miglior interprete dei quattro ruoli demoniaci: un po' poco, specie considerando che ormai lo si conosce bene...

Saluti,

Beck

PS: mi prosterno di scuse con il divino, che mi ha aspettato per vedere il questo spettacolo: non ho resistito e ho comprato il dvd... spero non ricorra a fulmini e saette...
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Re: Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda beckmesser » gio 13 mar 2014, 18:14

vittoriomascherpa ha scritto:Qualcuno saprebbe indicarmi le differenze, se ci furono, tra Losanna 2003 e Lione 2005?


Credo non ci fosse nessuna differenza , dato che era lo stesso allestimento co-prodotto da diversi teatri che è stato ripreso a Barcellona e ora registrato.
Io ho la registrazione abusiva di una recita di Losanna, e come versione corrisponde a quanto eseguito a Barcellona e quindi anche, suppongo, a Lione. In tutti i casi si tratta sostanzialmente dell’edizione Keck/Kaye, seguita piuttosto fedelmente con, appunto, l’anomalissima eccezione dell’atto veneziano, da cui viene espunta in toto la scena della festa che ingloba l’aria di Giulietta. Lessi da qualche parte che si trattava di una decisione di Pelly, e mi stupii molto che Minkowsky l’avesse avvallata.

Quanto all’edizione di Losanna, per me è stata la migliore esecuzione mai sentita fino a quella, sempre di Minkowski, alla Salle Pleyel nel 2012. In particolare mi ha sorpreso molto l’Hoffmann di Miller: mai immaginato che un delicato tenorino britteniano potesse reggere con una simile intensità un personaggio come Hoffmann.

Saluti,

Beck
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