Don Giovanni (Mozart)

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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda VGobbi » sab 10 dic 2011, 1:35

Sono riuscito anch'io a prendere visione ed ascolto di questo Don Giovanni. Intanto una premessa. L'ho sentita su Sky Classica e confesso che l'audio mi pareva assai ma proprio assai scarso.

Comunque i vincitori della serata, almeno per me, sono :

:arrow: la grandissima regia di Carsen (a me il suo spettacolo mi e' piaciuto tanto ma davvero tanto, capace di non annoiare ... ed in Don Giovanni, diciamolo, c'e' questo grande rischio), sia nell'impianto scenico, senza sfarzo e nell'immensa bravura di rendere attori provetti, anche chi non sa recitare (penso ad esempio la Frittoli).

:arrow: Mattei, un Don Giovanni di classe, signorile, vero gentiluomo seppur dotato di anima nera nel tradire le donne.

:arrow: Terfel, quale gigantesco Leporello, non solo fisico ma anche caratterialmente, dotato di grandissimo carisma e debordante personalita', a fronte di un organo vocale a disagio, da chi e' abituato a cantare ultimamente Wagner. Terfel forever!!!

Gli altri se la cavano bene, chi sfoggiando grande temperamento ma dizione confusa (Netrebko), dizione nitida ma vibrato nel registro acuto (Frittoli) ed una voce imponente come quella del Commendatore di Kwangchul Youn.

Rimane la soubrette Prohaska come Zerlina, bella piu' da vedere che da sentire. Il pauroso Ottavio di Filianoti (sentire solo qualche anno fa come sfidava spavaldo un ruolo impervio come l'Amenofi del Mose' in Egitto), il pessimo Masetto di Kocan e la letulenta direzione di Barenboim, sopra tutto se si ha nelle orecchie l'ultimo Don Giovanni discografico tratteggiato splendidamente da Rene' Jacobs.
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda MatMarazzi » sab 10 dic 2011, 17:41

vivelaboheme ha scritto:Ho letto il "La Verità è la fuori" di Matteo, corredato dal perfetto filmato di "Capriccio". Vorrei solo dire che ero presente alla prima di Don Giovanni e non solo concordo in toto con la riflessione di Matteo ma la trovo illuminante. Di tutto ciò che ho letto in questi giorni, è quanto si avvicina di più al nocciolo di questa, anche per me, straordinaria messa in scena di Robert Carsen.
Mi sono iscritto al forum a seguito di tale lettura, che da un amico mi era stata suggerita. E' così, a mio avviso, che si "vive" una rappresentazione artistica, e il teatro d'opera in particolare
marco vizzardelli


:) Grazie infinite Marco!
Hai fatto bene a iscriverti! Benvenuto fra noi e non vedo l'ora ci sia l'occasione di un bel dibattito!

A proposito... Quindi tu eri alla prima? Fortunello! :)


Venendo a Tuc...
che Kant scrivesse solo per accademici e Dante per coltissimi mi pare davvero tirata per i capelli!
Sono settecento anni (o quasi) che la Commedia viene presentata con glosse e spiegazioni a margine.
Tutta colpa di Dante, che ha sbagliato qualcosa! :)

Comunque io ho solo un grande ricordo dell'università.
Ed è stato il corso monografico che Alfonso Traina tenne sul "De Breuitate Uitae" ;) di Seneca.
Conoscevo a memoria quel trattatello, però ...quel che ne tirò fuori Traina mi aprì un universo!
Avrei forse dovuto restarci male ...perché non c'ero arrivato da solo; avrei dovuto prendermela con Seneca (pessimo comunicatore) che mi fa capire le cose solo dopo che Traina me le ha spiegate!
E invece ero semplicemente felice di essere lì, mettere in moto il cervello e magari trovare delle risposte dove non pensavo nemmeno che ci fossero delle domande.
Che devo dirti... sono strano.

Salutoni,
Mat
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda pbagnoli » sab 10 dic 2011, 19:25

Tucidide ha scritto:
Per chi lavora Carsen? Per i professionisti della semiologia registica? Allora la regia d'opera rischia veramente di diventare una scienza per pochi iniziati.

Domanda interessante, Alberto.
La risposta potrebbe essere: per chi ne ha voglia.
Ci sono persone che rinunciano aprioristicamente a mettere in moto le sinapsi: per essi vanno bene quattro fondali dipinti, oppure - meglio ancora - la rappresentazione in forma di concerto: tanto c'è la musica, chi se ne frega.
Direi che per questo tipo di pubblico è già troppo complesso anche Zeffirelli; e non è questo il target né di Carsen, né di nessun altro regista contemporaneo. Il target è il pubblico che si stia a farsi coinvolgere, a vedere il lavoro noto e stranoto (è appunto il caso di DG) da un'altra angolazione che ancora non aveva considerato.

Tucidide ha scritto: Mentre la parte musicale dell'opera si sta "modernizzando" e per certi versi "popolarizzando", svestendo i paludamenti della tradizione e facendo l'occhiolino alla musica moderna, la regia sta diventando un castello di simboli, magari di perfezione ariostesca, ma pur sempre ostico da comprendere per chi non abbia familiarità con questo linguaggio.

Sei proprio sicuro che i più non abbiano familiarità con questo linguaggio?
Pensi davvero che la sovrintendenza della Scala affidi a un ermetico l'inaugurazione della Scala? E che questo ermetico affidi il proprio pensiero a un insieme di simboli talmente oscuri che solo pochi iniziati - guarda caso, tutti concentrati su questo sito - possono interpretarlo?
No, io non credo.
Io penso piuttosto che alcuni spettacoli siano talmente pieni di idee da stimolare le riflessioni più varie a seconda della sensibilità di chi vi assiste.
Poi, è chiaro, ci sono persone che hanno approfondito questo linguaggio e sono più avanti nella comprensione tecnica: Matteo è, indiscutibilmente, quello fra di noi che ci capisce di più (nessuno si offenda, è solo una constatazione), ma ciò non impedisce che gli altri possano trarre le loro conclusioni, magari potenzialmente interessanti tanto quanto.
Se ci pensi, è lo stesso rapporto che c'è fra chi fruisce della musica essendo musicista professionista, e chi lo fa essendo semplice appassionato: i livelli sono diversi, va bene, ma le potenzialità non solo di fruizione, ma anche di esegesi sono assolutamente equivalenti.

Per concludere, vi offro una piccola chicca: è uno spezzone di "Policarpo, ufficiale di scrittura", film del 1958 di Mario Soldati. Il protagonista, Renato Rascel, è un calligrafo che rifiuta l'introduzione della macchina da scrivere. Vuoi mettere poi la scrittura professionale :lol: :lol: :lol: dove andrà a finire?
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda Enrico » sab 10 dic 2011, 21:53

Ho da fare alcune domande, perché non tutti gli elementi (o simboli) di questo Don Giovanni di Carsen mi sembrano chiari (o incontrovertibili) e quindi per certi aspetti mi sfugge la perfetta coerenza che tutto lo spettacolo dovrebbe avere nel suo complesso.

Perché Don Giovanni strappa il sipario salendo sul palco dalla platea? è un uomo che viene dal mondo reale ed entra nella finzione scenica? guarda lo specchio (e se stesso), guarda il pubblico come per presentarsi e dire: "Guardate cosa sto per fare"; e poi entra in scena, si spengono le luci, entrano i tecnici, ci troviamo dietro le quinte di un teatro, e comincia la finzione.
A me sembra una sorta di attore/regista che decide di entrare nella finzione e organizzare una rappresentazione nella quale anche lui recita una parte, mentre noi assistiamo sia a ciò che viene rappresentato (personaggi che recitano davanti ai siparietti) sia a ciò che avviene dietro le quinte (con Leporello capo macchinista/servo di scena) sia ai cambi d'abito in camerino: a meno che non si siano altri significati nel fatto che Don Giovanni si trascini dietro il suo guardaroba (e lo specchio!) nei luoghi più improbabili: perché però, nel secondo atto, prima dell'apparizione del commendatore, Don Giovanni si veste da donna?
Quando assiste seduto alle scenette rappresentate dagli altri non mi sembra uno che voglia fingere di essere parte del pubblico, ma semplicemente un regista che assiste alla recita (o piuttosto alle prove) con accanto l'amichetta di turno.
Don Giovanni è forse Carsen che allestisce il Don Giovanni alla Scala e con un gesto comanda i movimenti del sipario o i cambiamenti di luce o perfino gli attacchi di Barenboim?
Finito il primo atto fugge dal palco ed entra nel mondo reale, va a farsi l'intervallo nel foyer con la gente normale, rientra tranquillo e contento dalla platea, col bicchiere in mano (seguito da Leporello e perfino da una signora che va ad accomodarsi nelle ultime file di platea), interagisce con un signore seduto in prima fila prima di risalire sul palco... Che significa tutto questo? qui non vedo il terrore per il mondo esterno e per la realtà di cui parla Matteo (perché Don Giovanni e Leporello entrano sereni dalla porta centrale della platea, la stessa da cui escono Elvira e Leporello nel finale: quella vera, non quella finta raffigurata in scena o riflessa dallo specchio).
L'apparizione di Elvira alla finestra e la serenata rivolta al pubblico sono ciò che ho visto diverse volte anche nelle più tradizionali produzioni in teatri provinciali: è vero che la sala e le luci dei palchi della Scala danno una più suggestiva atmosfera notturna (anche in questo caso le luci si spengono al comando del Regista/Primo Attore). Va bene anche come serenata rivolta a tutte le donne in generale (sarà la canzoncina che Don Giovanni ha sempre cantato a tutti): ma che senso avrebbe come "dichiarazione d'amore" rivolta al pubblico? è forse il Regista che esprime il suo amore per lo stesso teatr oche diventa personaggio della sua rappresentazione?

Anche le "signore maschere" arrivano dalla platea: rappresentano il pubblico che accusa Don Giovanni? nessuno dei tre sembra molto convinto di ciò che fa, Anna ci stava fin dall'inizio, Elvira non fa che spogliarsi davanti a lui, e Ottavio non sembra molto deciso nei suoi propositi di vendetta. Ma ciò che capisco ancora meno è perché Anna e Ottavio verso la fine del secondo atto appaiano come due spettatori appena usciti dal teatro, lei col programma di sala in mano: anche in questo caso non riesco a vederli come accusatori credibili o come "pubblico antagonista" di cui Don Giovanni possa veramente avere paura (ma stanno uscendo dal teatro, o stanno entrando? o forse siamo di nuovo nel foyer, come se ci fosse di nuovo una specie di piccolo intervallo prima del banchetto finale?)

La gigantografia della sala vuota sullo sfondo del banchetto non mi sembra più reale della sala vera o di quella riflessa nello specchio: anzi sembra quasi che dal riflesso vero si passi alla gigantografia e poi alla stessa immagine frammentata, sempre meno reale a mano a mano che si avvicina la fine della recita: il commendatore appare dalla sala finta in uno scenario di distruzione (fumo e luce livida, quasi un'atmosfera da teatro bombardato), la finzione si sgretola, stiamo recitando nel Don Giovanni ma forse non ci crede più nessuno: solo il Regista riappare alla conclusione del finalino moraleggiante, beffardo e con la sua sigaretta tra le dita, per far sparire nel nulla tutti gli altri e ricordarci che si trattava solo di una finzione, di una sua creazione che in qualunque momento può finire o ricominciare.
Ultima modifica di Enrico il dom 11 dic 2011, 2:04, modificato 1 volta in totale.
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda Tucidide » dom 11 dic 2011, 1:03

pbagnoli ha scritto:Io penso piuttosto che alcuni spettacoli siano talmente pieni di idee da stimolare le riflessioni più varie a seconda della sensibilità di chi vi assiste.
Poi, è chiaro, ci sono persone che hanno approfondito questo linguaggio e sono più avanti nella comprensione tecnica: Matteo è, indiscutibilmente, quello fra di noi che ci capisce di più (nessuno si offenda, è solo una constatazione), ma ciò non impedisce che gli altri possano trarre le loro conclusioni, magari potenzialmente interessanti tanto quanto.

Pietro, per rispondere a Matteo parto proprio dalla tua frase, che secondo me centra alla perfezione il nodo del problema. Tu metti sul tavolo un problema fondamentale, quello della fruizione di un'opera d'arte a più "livelli". Ebbene sì, l'arte è spesso così: c'è un piano "base", che tutti sono in grado di recepire, e tutta una serie di piani più "alti", attingibili solo da chi abbia competenze specifiche sempre più elevate.
Rifacendomi all'esempio di Matteo, professatagli la mia invidia verde per l'aver frequentato un corso senecano tenuto da Traina :!: :!: :!: , vorrei appunto dire che il suo esempio rientra in questo campo. :) Il "De brevitate vitae" di Seneca può essere letto da chiunque: il Matteo ventenne, brillante ex studente liceale, di sicuro conosceva benissimo il testo, e non è che la sua comprensione fosse sbagliata rispetto a quella del grande latinista Traina: semplicemente, lo studioso era andato molto più in profondità o, invertendo la prospettiva, si era elevato ad un livello più alto. Ma anche la comprensione più "elementare" del giovane Mat era legittima, e anche a quella possibilità pensava Seneca quando scrisse il trattatello.
Faccio un altro esempio: io sono un lettore appassionato dei romanzi gialli di un autore che si firma Peter Tremayne, che hanno come protagonista una monaca irlandese del VII secolo, sorella Fidelma. Avendo in passato studiato un po' il monachesimo celtico, i suoi rapporti con la chiesa anglosassone e la storia delle Isole britanniche nell'Alto Medioevo, riesco ad apprezzare alcuni punti che presuppongono una conoscenza, o almeno una familiarità con determinate questioni storiche e dottrinarie. Chi conosce meglio di me il monachesimo celtico saprà sicuramente afferrare anche altri dettagli che a me sfuggono. Nondimeno, chi non sa assolutamente nulla di tutte queste questioni può comunque leggere i romanzi di P. Tremayne: li leggerà come semplici gialli storici, seguendo la catena dei delitti e le indagini di Fidelma. Insomma, anche qui vale la storia dei molteplici livelli di fruizione.
La "Critica della Ragione pura" di Kant, invece, non è così: se uno non padroneggia alla perfezione il dettato kantiano, non capisce assolutamente nulla e abbandona la lettura dopo cinque pagine (se resiste). Hai voglia a leggerla per svago! :D :D :D E' un'opera pensata per specialisti, non presenta piani differenti di lettura: c'è solo un piano, e tanto peggio per chi non riesce ad attingerlo.
A me pare che Carsen sia stato poco perspicuo ed abbia lasciato intendere il proprio spettacolo solo a chi padroneggi benissimo il linguaggio registico e carseniano in particolare. Non ci vedo un livello "basso" molto ben sviluppato. Anzi, la vicenda è narrata in modo perfino un po' slegato, e non sembra nemmeno fluire benissimo, perché a volte ci sono scene che lasciano interdetti. Per esempio, la scena citata da Enrico in cui Anna entra insieme ad Ottavio col programma di sala in mano per cantare "Non mi dir" sortisce un effetto un po' spiazzante: essa ha una sua logica, a quanto pare, ma solo se si è afferrata alla perfezione l'ottica "destrutturata" di Carsen.
Tanto per fare un paragone, il DG di Guth è molto profondo, ma lascia comunque integra nella maniera più assoluta la narrazione, che è pertanto comprensibile veramente da chiunque.
Oh, almeno io la vedo così... però questa discussione mi piace davvero tanto e resto alla finestra a leggere e intervenire. : Thumbup :
: Sailor : Buona domenica!
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda MatMarazzi » dom 11 dic 2011, 11:59

CAro Enrico,
grazie mille per le tue domande che permettono di approfondire il progetto Carseniano oltre al tema principale (che almeno a me è parso tale) e addentrarci nei dettagli.
Dettagli che purtroppo mi richiederebbero elementi maggiori che non la sola memoria, giacché ho visto lo spettacolo solo nella diretta televisiva e non ho ancora recuperato una copia.
Spero di non ricordare male.

Partiamo dalla tua prima osservazione.

Enrico ha scritto:Don Giovanni strappa il sipario salendo sul palco dalla platea? è un uomo che viene dal mondo reale ed entra nella finzione scenica? guarda lo specchio (e se stesso), guarda il pubblico come per presentarsi e dire: "Guardate cosa sto per fare"; e poi entra in scena, si spengono le luci, entrano i tecnici, ci troviamo dietro le quinte di un teatro, e comincia la finzione.


Non solo all'inizio dell'opera, ma anche all'inizio del secondo atto, Don Giovanni entra dalla platea (in questo caso insieme al macchinista Leporello).
In sintonia col tema principale già affermato (Don Giovanni sarebbe l'artista, l'uomo della finzione), questo ingresso dalla platea potrebbe significare due cose.
O a Carsen premeva farci capire la capacità di "controllo" che il personaggio principale (Don Giovanni) esercita sul fittizio - nel senso che lui lo crea e dunque lo domina, osservandolo dalla platea - oppure (come mi pare tu hai giustamente affermato) l'artista in quanto "uomo che fa arte" condivide le due dimensioni: è un uomo come noi oltre a essere personaggio.
E' l'esempio (mi stupisco che nessuno si sia scandalizzato :) ) della casa del grande fratello.
I personaggi sono gli stessi (esseri umani) dentro e fuori: ma dentro sono "rappresentazione" e in quanto tali interessano; fuori sono reali e non interessano a nessuno.
Questo non toglie che in loro c'è una dimensione reale e ce n'è una virtuale.
Facendo salire Don Giovanni dalla platea prima di ogni atto, Carsen potrebbe aver voluto sottolineare questa duplicità dell'artista: l'essere umano (insignificante e confuso nella storia, ma reale) che varcando il confine diventa rappresentazione.
L'una e l'altra ipotesi non modificano la premessa: in fondo che l'artista sia anche uomo è cosa nota. Il problema è che la rappresentazione non deve essere anche realtà.
Ed è per questo che la tragedia (e il tema della morte) iniziano solo quando Don Giovanni abbatte il sipario... Non prima.

a meno che non si siano altri significati nel fatto che Don Giovanni si trascini dietro il suo guardaroba (e lo specchio!) nei luoghi più improbabili: perché però, nel secondo atto, prima dell'apparizione del commendatore, Don Giovanni si veste da donna?


Questo aspetto, almeno a me, non ha creato troppi problemi interpretativi.
In quanto creatore del fittizio, Don Giovanni modifica continuamente le sue identità e quelle degli altri (e come meglio far intendere tutto questo se non con il cambiare d'abito e farlo cambiare ai personaggi?).
Si veste da donna, nel punto che hai sottolineato, per lo stesso motivo.
Che sta facendo? Sta narrando una storia (lui che incontra la ragazza di Leporello, ecc...) e la sta creando!
Al sovrano del fittizio basta infilarsi un costume alla rovescia e la storia è creata.

Quando assiste seduto alle scenette rappresentate dagli altri non mi sembra uno che voglia fingere di essere parte del pubblico, ma semplicemente un regista che assiste alla recita (o piuttosto alle prove) con accanto l'amichetta di turno.
Don Giovanni è forse Carsen che allestisce il Don Giovanni alla Scala e con un gesto comanda i movimenti del sipario o i cambiamenti di luce o perfino gli attacchi di Barenboim?


Non credo che Don Giovanni sia Carsen.
Credo che sia, come ho detto, il creatore del fittizio che invidia la superiorità della realtà rispetto a ciò che lui ha creato (forse più bello, ma non vero).
Questa "invidia del reale" era già la tragedia di Tosca sempre nell'allestimento di Carsen.
In quanto tale a me non pare strano che il nostro eroe voglia imporci il fatto di poter essere anche "pubblico"! :)
Se io fossi Carsen e volessi dare l'idea di un regista che controlla il proprio lavoro, lo farei intervenire durante la scenetta: che so... si alza, cambia una luce, sposta un personaggio... ecc... Così non ci sarebbero dubbi sul fatto che lui è il regista!
Invece questo Don Giovanni se ne sta proprio lì a fare il pubblico... Si diverte, commenta, si spupazza la ragazza (e spoglia anch'essa)...
Oddio, non credo che cambi molto il fatto che qui prevalga l'idea di Don Giovanni come creatore o come pubblico... Il sunto finale non cambia: egli si astrae dalla recita e questo, a mio parere, conta.

Finito il primo atto fugge dal palco ed entra nel mondo reale, va a farsi l'intervallo nel foyer con la gente normale, rientra tranquillo e contento dalla platea, col bicchiere in mano (seguito da Leporello e perfino da una signora che va ad accomodarsi nelle ultime file di platea), interagisce con un signore seduto in prima fila prima di risalire sul palco...


Bellissimo dettaglio, mi era sfuggito.
Però mi pare che ci sia una perfetta intesa con quello che dicevo.

qui non vedo il terrore per il mondo esterno e per la realtà di cui parla Matteo (perché Don Giovanni e Leporello entrano sereni dalla porta centrale della platea, la stessa da cui escono Elvira e Leporello nel finale: quella vera, non quella finta raffigurata in scena o riflessa dallo specchio).


Ma chi lo dice che Don Giovanni abbia terrore della realtà!
Tutt'altro... è proprio questo che muove la sua sfida: non ne ha paura!
Anzi... vuol convincerci e convincersi di dominarla!
Non c'è torrore nemmeno quando scende al proscenio e rivolge a noi la sua Serenata (Guardatemi! Amatemi! Io domino questi quassù e posso dominare voi allo stesso modo!)
La sua Ubris dipende proprio dal fatto che non teme di mescolare due dimensioni che (per l'amor di Dio!) noi PRETENDIAMO siamo separate.
(per inciso... l'idea che CArsen faccia rivolgere la serenata alle ...signore in platea, come omaggio cavalleresco, mi sembra ben poco credibile, conoscendo il tipo). :)

Anche le "signore maschere" arrivano dalla platea: rappresentano il pubblico che accusa Don Giovanni?


Ecco, questo è un punto molto interessante.
Data la lunghezza estenuante del post, non mi ero dilungato sugli altri personaggi.
Mi premeva sottolineare lo schianto realtà-finzione incentrato su Don Giovanni e ho liquidato gli altri come creature del fittizio da lui create.

Ma giustamente, come ci fai osservare, le cose non sono così semplici.
Gli altri personaggi fanno qualcosa, in realtà...
Osteggiano Don Giovanni!
Comprendono il pericolo insito nella sua eversione: comprendono con terrore il rischio a cui Don Giovanni (col suo processo di "realizzazione" :) della finzione) li sta esponendo.
E qui torno ancora all'esempio del Grande Fratello, il problema di ogni "personaggio": dentro sei tutto, fuori scompari.

C'è una scena stupenda (tecnicamente parlando) in questo Don Giovanni.
Durante "ah pietà signori miei", non si capisce come (gioco di luci favoloso), i personaggi è come se cominciassero ad annegare nel buio, che sale dai loro piedi come una marea e progressivamente sembra annegarli.
Questo è ciò che loro rischiano nel momento in cui la finzione (in cui esistono) e la realtà (in cui scomparirebbero) si dovessero confondere.

E' quindi normale che osteggino Don Giovanni, che cerchino di fermarlo, che lo combattano.
E' normale che gli si rivoltino contro alla fine del primo atto.
E' normale che le maschere (pur vestite del rosso fittizio) si rifugino in platea per il loro terzetto (richiamate da Leporello al loro dovere), quasi non volessero più assecondare il loro padrone.
E' normale che Anna si avvinghi al programma di sala (oggetto che prova il suo essere solo personaggio).
E' normale che Elvira si spogli per Giovanni: la condizione di nudità è quella che più si presta a qualsiasi ulteriore travestimento.

Ovviamente queste sono solo mie interpretazioni, ma, sempre nell'ottica della coerenza, non mi pare mettano in crisi un progetto teorico che, per altro, appartiene alle regie di Carsen da vent'anni.

Aspetto le tue repliche e ti ringrazio moltissimo.
Il discorso, come dice Tuc, si sta arricchendo ad ogni post.

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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda Luca » dom 11 dic 2011, 13:39

Carissimi amici,

ho letto le vostre riflessioni intelligenti e ricche ed ho rivisto lo spettacolo in tv stamani. Ma è il Don Giovanni di Mozart oppure quello di Carsen (pur con la 'genialità' che gli si vuole attribuire)? Secondo: libretto, musica e gestualità non vi pare che in alcuni punti di questo spettacolo siano abbastanza scollati tra loro ? Terzo: il cast vocale mi pare si sia posto un pò in ombra.... In alcuni momenti si è un pò tornati indietro nel gusto.... La direzione inoltre mi è parsa abbastanza alterna.
Lo spettacolo scaligero in questione presenta molti lati oscuri o non riconducibili né alla trama, né al contesto storico in cui è stata prodotta.

Saluti domenicali, Luca.
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda beckmesser » dom 11 dic 2011, 16:06

Luca ha scritto:Ma è il Don Giovanni di Mozart oppure quello di Carsen (pur con la 'genialità' che gli si vuole attribuire)? Secondo: libretto, musica e gestualità non vi pare che in alcuni punti di questo spettacolo siano abbastanza scollati tra loro ?


Io partirei proprio da questa domanda. Dopo aver visto lo spettacolo la cosa che mi veniva da chiedermi era come sia possibile accusare lo spettacolo di Carsen (bello o brutto che lo si giudichi) di non essere coerente con gli elementi essenziali dell'opera di Mozart. Cosa racconta in sostanza il Don Giovanni? Semplificando fino alla brutalità, mi verrebbe da rispondere: la storia di una linea e di un uomo che non accetta il divieto di varcarla, e che varcandola scatena una serie di reazioni che portano a ristabilire lo status quo (almeno in apparenza, dato che il semplice fatto che la linea sia stata varcata comporta che nulla potrà più essere esattamente come prima). Questa la sostanza, da cui non si può prescindere, pena il fallimento della messinscena. Poi, di che natura sia la linea (metafisica? religiosa? etica? morale?) e chi sia il soggetto che punisce il trasgressore (Dio? lo Stato? la giustizia umana?) sono accessori che dipendono dalla fantasia, dalla cultura, dalla sensibilità del regista, non cambiano la sostanza. Bene, in tanti Don Giovanni che mi è capitato di vedere, mai mi è sembrato che la sostanza dell'opera fosse stata colta come in questo caso, anche perché Carsen sceglie come “linea” una linea fisica che è di tutta evidenza per il pubblico: la linea del proscenio, e l'atto di sfida è appunto il varcare il confine che separa realtà e finzione. Certo, è la tematica-simbolo di Carsen, ma che male c'è? Quella è la sua ossessione, il centro delle sue riflessioni, e l'importante non è decidere se l'idea è nuova o vecchia (anche perché non è vecchia solo per Carsen, è vecchia come il mondo...), ma 1) se si adatta alla drammaturgia dell'opera cui viene applicata e 2) se è realizzata bene o male.

Mi riallaccio poi a questa osservazione:

MatMarazzi ha scritto:una delle categorie dell'arte è la polisemia.
Però io credo che questo valga soprattutto per gli oggetti artistici del passato: essendo fuor di dubbio che non potremo mai comprendere fino in fondo la mentalità di un artista di vari secoli or sono, via libera alle "riletture" e alla giostra di interpretazioni... Cosa in fondo persino divertente.
Ma Carsen è uomo di oggi: condivide lo stesso orizzonti di esperienze di tutti noi; se volesse potrebbe prendere la parola e diri lui perché ha messo lì quel segno, e là quell'altro.


Non sono d'accordo: il tempo certo certo accresce la polisemia di un'opera d'arte, ma il nocciolo di tale polisemia sta nell'opera. L'esempio di Odissea nello spazio mi sembra istruttivo: è a noi vicino temporalmente, eppure fin dal giorno successivo alla sua uscita si sono scatenate discussioni su opposte interpretazioni. Questo perché un regista non elabora teorie, produce immagini: e ferma restando la necessità che una messinscena consenta almeno la chiara decifrazione del “nocciolo” di ciò che il regista intendeva (altrimenti l'operazione è un fallimento), sulla "decodifica" di come l'idea di base è stata sviluppata per arrivare ad esprimere il “nocciolo” mi sembra normale possano esserci chiavi diverse, su cui influiscono la sensibilità e la cultura del singolo spettatore. Questo per dire che mentre mi sembra che sul “nocciolo” la mia idea sia in tutto simile a quella di Matteo, sul come si arriva a tale nocciolo la mia interpretazione (o meglio decodifica) credo sia abbastanza diversa.

Dunque, c'è una linea che separa un “di qua” (la realtà) e un di là (la finzione artistica). Per Matteo (se ho ben capito) Don Giovanni è l'artista (che in quanto tale fa parte del mondo della finzione) che, non accettando i limiti che a questo mondo sono fissati, sfida il mondo della realtà (il pubblico). Io ho ricevuto un'impressione opposta: Don Giovanni è sì un artista-creatore ma, in quanto tale, appartiene al mondo della realtà. Solo che non si accontenta del gesto creatore che, creando un mondo di finzione, mantiene comunque fissa la linea: vuole far parte del mondo che ha creato. Il gesto iniziale (che è veramente uno dei più inquietanti di cui abbia mai avuto esperienza) mi sembra chiaro: Don Giovanni è in platea, è uno di noi, ma ad un tratto si alza e strappa il sipario e ci fissa. A me sembra significhi: “io vado di là, voi che fate?”. Ovviamente “noi” non possiamo seguirlo, e a quel punto succede un'altra cosa incredibile: lo specchio che ci riflette (che era ancora sulla linea del proscenio) indietreggia sempre più e poi viene coperto da un nuovo sipario. Si è creata un'altra linea, che però non è più esattamente a metà fra i due mondi, è spostata indietro e l'effetto è che da quel momento l'equilibrio è rotto, e ci sarà un costante sconfinamento di un mondo nell'altro. Sotto questo punto di vista, c'è un altro aspetto che credo di vedere diversamente, ossia:

MatMarazzi ha scritto:È questa la zona riservata alla finzione, alla rappresentazione, all’arte.
Lì Don Giovanni è il padrone indiscusso.
Come un regista, un primattore, un Divo… domina l’universo del fittizio, vi si pavoneggia fiero e consapevole della sua onnipotenza,


Io mi sono fatto un'idea diversa: dopo che Don Giovanni ha varcato la linea, non riesce mai a governare i suoi personaggi. Lui cerca di guidarli, di indirizzarli, di muoverli, ma loro “si ribellano” in modo sempre più evidente, fino all'evidenza del finale del primo atto. L'artista/creatore ha arrangiato la scena, ha vestito tutti di rosso e ha pensato una “sceneggiatura” (lui che riesca a farsi Zerlina) ma tutto va ancora storto; i personaggi si ribellano, si svestono degli abiti di scena e minacciano spade alla mano Don Giovanni che, per salvarsi, fa un gesto straordinario: chiude il sipario (che chiudendosi fa cadere le spade di mano ai personaggi) e se ne va nel foyer, nella realtà, fra i suoi simili, ma ci va però ancora vestito con l'abito di scena; l'equilibrio resta rotto...

Se il primo atto mostrava gli effetti del gesto di sfida di Don Giovanni dal punto di vista del mondo della finzione, che si ribella ai suoi limiti, il secondo mostra la reazione del mondo della realtà che interviene dando l'ultima occasione all'artista-creatore di “pentirsi” e rientrare nei ranghi. E veramente, come notato da Matteo, la scenografia della scena del Commendatore lascia annichiliti: sulla struttura dei prosceni è proiettata la sala del teatro; per un momento i due mondi sono del tutto sovrapposti in una situazione del tutto insostenibile, da cui si esce con un coup de théatre formidabile. In un primo momento sembra che la vittoria sia del mondo della finzione: l'artista/creatore sprofonda e i personaggi sembrano aver guadagnato una vita propria; sono al di qua del sipario e si rivolgono, nella morale, direttamente a noi del pubblico. Ma è solo una finta: l'artista-creatore ritorna e li distrugge. Quel che resta è un palcoscenico del tutto vuoto, senza più nulla: resta solo la vuota realtà, almeno finché una nuova finzione verrà creata da un nuovo artista-creatore che traccerà una nuova linea e cercherà a sua volta di superarla.

Sarebbe poi lungo dilungarsi su tutti gli snodi ed i personaggi, ma almeno un accenno a quello per me è il più emozionante: Donna Elvira. E anche la concezione di questo personaggio è esempio di come un regista veramente grande non possa far altro che partire da un elemento che è già nel testo di partenza e potenziarlo con una nuova serie di rimandi e relazioni: così come la Donna Elvira di Da Ponte è l'unico personaggio che nonostante tutto resta fedele a Don Giovanni e cerca di costringerlo a rispettare i suoi obblighi sociali, nella visione di Carsen lei è l'unica che resta fedele all'artista-creatore e che cerca di obbligarlo a rispettare il suo ruolo, facendo di tutto per impedirgli che i suoi tentativi di interferire con le sue creature vadano a buon fine.

Uno spettacolo veramente straordinario, funestato solo da una direzione d'orchestra impossibile: non è tanto questione di lettura vecchia o nuova, quanto di totale mancanza di idee, in una lettura grigia, slentata e noiosissima. Peccato.

Saluti,

Beck
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda Enrico » dom 11 dic 2011, 16:21

MatMarazzi ha scritto:
Enrico ha scritto:qui non vedo il terrore per il mondo esterno e per la realtà di cui parla Matteo (perché Don Giovanni e Leporello entrano sereni dalla porta centrale della platea, la stessa da cui escono Elvira e Leporello nel finale: quella vera, non quella finta raffigurata in scena o riflessa dallo specchio).


Ma chi lo dice che Don Giovanni abbia terrore della realtà!
Tutt'altro... è proprio questo che muove la sua sfida: non ne ha paura!
Anzi... vuol convincerci e convincersi di dominarla!


Avevi scritto nella tua spiegazione precedente che Elvira e Leporello sono terrorizzati dalla realtà esterna, e questo mi è sembrato in contraddizione col fatto che Leporello attraversi la platea molto serenamente.

MatMarazzi ha scritto:Cosa l’ha terrorizzata? Quale ombra l’ha fatta gridare? ...
Leporello la insegue; si infila a sua volta nella porta della platea. Esce.
Poco dopo si sentirà anche il suo urlo.
Cosa avranno mai visto, l'una e l'altro, di così agghiacciante?
Cosa c’è di più spaventoso - per un personaggio fittizio - che la vista della Realtà?
Leporello rientrando (grande Terfel!) è come trasfigurato dal terrore, gli occhi sbarrati. E annuncia l'ingresso del più tremendo dei convitati!
La verità è là fuori!
Enrico B.
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda Enrico » dom 11 dic 2011, 17:56

Luca ha scritto:
il cast vocale mi pare si sia posto un pò in ombra.... In alcuni momenti si è un pò tornati indietro nel gusto.... La direzione inoltre mi è parsa abbastanza alterna.


Il problema di fondo è a mio parere l'assoluto disinteresse mostrato nei confronti del cast sia dal direttore sia dal regista: motivo per cui ognuno dei cantanti ha fatto ciò che sapeva (o che poteva in base alle condizioni fisiche e psichiche del momento: un po' di tensione per la "prima alla Scala" c'era sicuramente). Sono convinto che Carsen avrebbe realizzato uno spettacolo identico a quello che abbiamo visto anche se al posto delle grandi star ci fossero stati gli studenti di un saggio di conservatorio di provincia.
Chi era in buona forma (Mattei) o comunque dotato di grande materiale vocale (Netrebko) ha semplicemente replicato in un contesto diverso la caratterizzazione già data altre volte al personaggio, senza aggiuungere nulla di nuovo come invece ci saremmo aspettati trattandosi di una nuova produzione per di più affidata a un grande regista. Questo succedeva quando i cantanti si concentravano esclusivamente sulla resa vocale, facendo della perfetta emissione l'obiettivo principale se non l'unico della loro esibizione: Kraus o Pavarotti in quarant'anni di carriera non hanno mai modificato nemmeno di una nota la loro esecuzione di "Una furtiva lacrima" o "Libiamo" o "Parigi o cara", convinti che bastasse la perfetta esecuzione vocale ben calibrata a livello di produzione del suono (qui un crescendo, qui la mezza voce, qui l'acuto) per rendere anche scenicamente il personaggio: e questo era ciò che a loro veniva chiesto da direttori e registi. Ma oggi, quando le grandi star non fanno più della "perfetta emissione" né l'obiettivo principale né l'unico mezzo per dar vita al personaggio, ci aspetteremmo che la loro interpretazione fosse ripensata e rielaborata in funzione del nuovo contesto e non semplicemte riprodotta sulla base di uno schema generico precedente e buono per tutti gli usi: non solo l'Elvira della Frittoli abusava della convenzionale gestualità melodrammatica, ma anche il Leporello di Terfel non mi sembrava così lontano dall'Otto Edelmann del vecchio filmato diretto da Furtwaengler!
Ora Leporello può essere simpatico ma pauroso e sciocco e un po' truffaldino com'era Furlanetto con Karajan, può essere volgarotto e sempliciotto come Edelmann o umanissimo (per quanto mentalmente "bruciato") come Schrott a Salisburgo, e può essere anche truce e gigione come quello che ci ha fatto vedere Terfel: il problema è capire se la caratterizzazione è adatta al contesto o se l'interprete ha fatto una sua scelta autonoma indipendentemente dalla indicazioni ricevute (o NON ricevute) da parte del direttore o del regista. Che Terfel avesse qualche problema di affaticamento vocale era abbastanza evidente: tuttavia l'impostazione vocale che ha scelto è la stessa che a volte ha utilizzato per personaggi che probabilmente ritiene negativi o truffaldini o bugiardi (è una delle sue tante possibili voci, per quanto possa apparire "sguaiata"): e risate e parlati e cachinni saranno anche una scelta autonoma o vezzi tollerati da direttore e regista?
Stesso discorso farei per la Netrebko, voce corposa e di bel timbro, figura matronale che quasi mi faceva ripensare alla Tomowa-Sintow, concentrazione sulla voce nei momenti più difficili (alcuni acuti o le agilità dell'ultima aria): ma anche lei spesso un po' estranea a una concezione unitaria dello spettacolo: dicono che abbia fatto meglio all'anteprima, ma io che non posso andare a vederla dal vivo devo giudicarla dal filmato che è l'unico documento ufficiale della rappresentazione.
La Frittoli non mi ha mai convinto nemmeno nelle sue prove migliori; Masetto e Zerlina non mi sono sembrati vocalmente adatti alla scrittura mozartiana; Filianoti con lo sguardo di un Buster Keaton vittima degli eventi ha lottato strenuamente contro le difficoltà delle sue arie e con ottime intenzioni, purtroppo con i limiti che abbiamo notato (ma sugli acuti forzava e gofiava la voce già ai tempi dell'Assedio di Corinto a Pesaro!); e il Commendatore faceva la sua bella figura quando appariva nel palco reale, ma quando stava sul palcoscenico sembrava poco in sintonia con ciò che gli accadeva intorno.
Della direzione di Barenboim, lenta o lutulenta, qualcuno ha anche notato elementi positivi: ho letto riflessioni di chi, dalla sala o dalla galleria, ha percepito un suono leggero e vellutato (l'organico era anche limitato rispetto all'ipertrofia di altre occasioni) che sicuramente i microfoni della Rai non hanno colto: ma ciò che mancava, indipendentemente dalla maggiore o minore quantità del suono, era una concertazione che unisse il suono orchestrale alle intenzioni dei cantanti e a quelle del regista (ma ho l'impressione, e qui Matteo potrebbe rimproverarmi, che Carsen avrebbe ottenuto gli stessi risultati se i cantassi si fossero limitati a recitare il libretto senza note e senza orchestra!): tutto scolasticamente corretto, ma senza il minimo dettaglio musicale degno di ricordo.
I tempi spesso lenti hanno creato problemi di fiato ad alcuni cantanti, ma in alcuni casi li hanno aiutati (in "Fin ch'han dal vino" per la prima volta Mattei è riuscito a non incespicare nelle parole): tutto però mancava di ritmo e risultava complessivamente piatto e statico. Anche il suono del clavicembalo, in orchestra o a sostegno dei recitativi, aveva qualcosa di freddamente meccanico. Ma in fondo tutto questo era ciò che da Barenboim ci aspettavamo.

Ora, detto questo sulla parte vocale, e viste le diverse direzioni che sul senso complessivo dello spettacolo hanno preso i nostri interventi in questo forum, ci aspetteremmo, Luca, un resoconto più articolato del tuo giudizio e delle tue impressioni sulla regia.
Ultima modifica di Enrico il mar 13 dic 2011, 0:34, modificato 2 volte in totale.
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda Enrico » dom 11 dic 2011, 18:13

MatMarazzi ha scritto:Se io fossi Carsen e volessi dare l'idea di un regista che controlla il proprio lavoro, lo farei intervenire durante la scenetta: che so... si alza, cambia una luce, sposta un personaggio... ecc... Così non ci sarebbero dubbi sul fatto che lui è il regista!
Invece questo Don Giovanni se ne sta proprio lì a fare il pubblico... Si diverte, commenta, si spupazza la ragazza (e spoglia anch'essa)...


Mattei/Don Giovanni fa un gesto, muove un dito, alza un braccio, e si spostano i sipari o si accendono o si spengono le luci: anche al momento della serenata le luci si abbassano quando lui decide che deve arrivare la notte; fa alzare il fondale da cui appare la statua (è lui che apre la porta!); fa sparire con un gesto i personagi della finzione. Ciò che fa con la ragazza mi sembra meno importante, ma mi viene in mente un regista (non ricordo il nome) che durante la prove di un Don Giovanni si comportava esattamente come lui. Mancava solo che desse ordini agli altri col microfono, ma non poteva farlo, vista la fastidiosa e ingombrante presenza dell'orchestra di Barenboim. Inoltre questo Don Giovanni diventa pubblico solo quando non deve recitare (come quegli orchestrali - trombe egizie dell'Aida, per esempio - che quando non devono suonare vanno a sedersi in galleria o sui gradini alti dei teatri all'aperto, o vanno fuori a fumare negli intervalli. Un personaggio che vuole farsi pubblico, uscire dalla scena e guardare ciò che fanno gli altri lo può fare anche nel momento in cui lui stesso è presente (e può essere l'Enrico IV di Pirandello o Maltman che ascolta il catalogo di Leporello accarezzando Donna Elvira!). Non vorrei dover dire che forse si è trattato soltanto di uno stratagemma didascalico utilizzato per legare fra loro alcune scene del libretto che di solito sembrano drammaturgicamente un po' deboli: Don Giovanni canta la serenata in veste di Leporello, arriva la servetta che lo crede appunto Leporello, si siede con lui e si fa spupazzare mente il vero Leporello viene scambiato per Don Giovanni: poi, quando torna Leporello, il padrone gli racconta la nuova avventura che di solito è appunto soltanto raccontata mentre qui è stata rappresentata.
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda MatMarazzi » mer 14 dic 2011, 18:40

beckmesser ha scritto:mentre mi sembra che sul “nocciolo” la mia idea sia in tutto simile a quella di Matteo, sul come si arriva a tale nocciolo la mia interpretazione (o meglio decodifica) credo sia abbastanza diversa.


Caro Beck,
la tua lettura, ne convengo, è affascinante e pure convincente.
La sfida dunque sarebbe quella dell'artista che scombina i piani di realtà e finzione volendo fondere l'una nell'altra.
Non capisco però, in questa chiave, il senso del finale.
Perché il Commendatore è vicino alla sua bara? Non si può certo dire che sia un semplice accessorio che accompagna il personaggio dopo che è stato ucciso, dato che nel palco reale non ce n'era alcuna... La bara è lì in quanto simbolo di morte.
E allora che legame ha con l'atto di sfida di un artista che vuole fondere realtà e finzione?
Come spieghi la riapparizione di Don Giovanni e lo sprofondare degli altri? (sì, lo so che vi hai già accennato, ma non mi è molto chiaro lo stesso).

Venendo a Enrico, concordo assolutamente - e non sono il solo - sulle tue perplessità circa la resa vocale e orchestrale.
Sia pure con una certa cautela (che è giusto accordare a cantanti mitici come Mattei e la Netrebko), già Pietro aveva espresso i medesimi dubbi che successivamente tutti, nel forum, hanno avallato.
Questo Don Giovanni ha dimostrato, a chi già non lo sapesse, che non basta chiamare grandi artisti per avere un grande cast.
E soprattutto conferma il nostro disappunto su un limite che la Scala di Lissner ancora non ha superato: la modesta gestione dei cast.
Siamo felici che sul piano degli allestimenti la nostra Scala si sia issata ai livelli dei grandi teatri; siamo anche felici che i grossi nomi non ci disertino più.
Manca solo un ufficio casting che sappia compiere quel delicato ma fondamentale mestiere che consiste nell'associare un certo ruolo a un certo cantante.
Speriamo che, prima che siano trascorsi altri sette anni, anche questo aspetto possa essere risolto! :)

Un salutone e grazie a tutti per le bellissime considerazioni.
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda vivelaboheme » mer 14 dic 2011, 20:06

Concordo in pieno sulla considerazione sui cast e sulla necessità di un attento casting. Non dimenticando però un particolare: questo Don Giovanni, se non sbaglio, era inizialmente previsto come una... Lucia di Lammermoor. E' nato da un dribbling ( e, a voler essere cattivi, non riesco neppure ad immaginare quali sarebbero state le reazioni e i commenti di... tutti ad una Lucia-firmata-Baremboim...). Mi sembra che il particolare abbia un suo peso. Consideriamo i "tempi" di lavoro di un grande teatro. Il dribbling, un vero salto mortale, è stato acrobatico. Era immaginabile, alla prima lettura della "formazione" di questa squadra-Don Giovanni, che il pur stellare cast potesse dar vita a qualche esito "con riserva". Infatti mi sembra stiano altrove i maggiori pregi (a parte, per me, la prova di Mattei e in buona percentuale quella della Frittoli) di questo, per me affascinante, allestimento (regia e direzione).

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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda VGobbi » mer 14 dic 2011, 22:12

MatMarazzi ha scritto:Questo Don Giovanni ha dimostrato, a chi già non lo sapesse, che non basta chiamare grandi artisti per avere un grande cast.
E soprattutto conferma il nostro disappunto su un limite che la Scala di Lissner ancora non ha superato: la modesta gestione dei cast.
Siamo felici che sul piano degli allestimenti la nostra Scala si sia issata ai livelli dei grandi teatri; siamo anche felici che i grossi nomi non ci disertino più.
Manca solo un ufficio casting che sappia compiere quel delicato ma fondamentale mestiere che consiste nell'associare un certo ruolo a un certo cantante.
Speriamo che, prima che siano trascorsi altri sette anni, anche questo aspetto possa essere risolto! :)

INCONTENTABILE!!!
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Don Giovanni (Mozart)

Messaggioda Alberich » dom 25 dic 2011, 19:01

Splendido spettacolo. Purtroppo la direzione è stata pessima, molle e noiosa, con qualche grande momento, ma niente più.
Terfel, Prohaska, Youn, Frittoli e D'Arcangelo tra il buono e l'ottimo. La Tamar purtroppo ha sostituito una "indisposta" Netrebko, portando a casa la serata, ma riuscendo a buttar via uno dei pochi momenti riusciti di Barenboim. Filianoti secondo me è semplicemente troppo teso e ogni tanto rischia la stecca. Kocan molto, molto meglio dal vivo rispetto alla ripresa RAI.
In definitiva paragonando quanto trasmesso e quanto visto in teatro devo dire che la regia televisiva era da denuncia, e la ripresa delle voci era terrificante.
Carsen, visto davvero e non con i primi piani continui, fa uno spettacolo molto suggestivo. Non ho molto da aggiungere a quanto scritto da Matteo. In realtà l'avevo, ma mi son dimenticato le mie brillantissime considerazioni.
Fa abbastanza ridere che critici di vaglia si siano limitati a dire che lo specchio è una cosa già vista, che le scene erano troppo scarne (???) e che le sedie erano un omaggio a Martone. Io di regia non capisco niente, ma almeno sto zitto...ricordando Oscar Wilde.
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