Peter Grimes (Britten)

recensioni e commenti di spettacoli visti dal vivo

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Re: Peter Grimes

Messaggioda VGobbi » gio 24 mag 2012, 22:25

Finito il secondo atto.

Ellen petulante per i miei gusti. Non mi garba, a tratti direi noiosa.

Graham-Hall, a fronte di una voce sgraziata e non baciata dalla natura, si riscatta grazie ad un commovente monologo. Attorialmente superbo!

Iniziato terzo atto senza pausa.
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Re: Peter Grimes

Messaggioda VGobbi » gio 24 mag 2012, 23:00

Finita l'opera in questo momento.

I migliori Purves, direzione, coro e regia.

Graham-Hall partito in sordina e' uscito alla grande. Si tratta di abituarsi ad un timbro di voce davvero insolito, almeno per me.

La Ellen della Gritton, insomma ...

Palmer basta da sola la sua presenza scenica.

Non vedo l'ora di vederlo dal vivo giovedi' prossimo.
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Re: Peter Grimes

Messaggioda Maugham » ven 25 mag 2012, 14:36

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Re: Peter Grimes

Messaggioda VGobbi » ven 01 giu 2012, 21:15

Ieri ho assistito a questo splendido spettacolo. Capisco come al Marazzo, Richard Jones sia il suo preferito. E' un regista che capisce di musica (e questo e' gia' un ottimo punto di partenza), sa creare un impianto scenico valido, sa far recitare le parti principali e le comparse, sa muovere le masse, il movimento scenico e' funzionale alla musica!

Insomma un vero e proprio genio!

Una domanda. Per chi e' andato alla Scala, qualcuno sa dirmi, a fine recita, chi e' il vecchio che si e' presentato al proscenio dopo il direttore? Era il regista?

Quanto all'opera, bella bella da morire ... tanto che non l'immaginavo cosi' bella, forse anche aiutato dalla bravura degli interpreti (mi ha convinto moltissimo, a differenza che in tv, la Ellen della Gritton), con un Purves autentica superstar della serata (alla fine non ho potuto tirarmi indientro nel gridargli a squarciagola il suo meritatissimo "bravo"!!!). Graham-Hall esce molto bene nei monologhi, specie nel secondo e terzo atto, nonostante un timbro di voce in effetti non baciato dalla natura. La Palmer bravissima scenicamente, quanto vocalmente deboluccia (facevo fatica a sentirla).

Coro e direzione semplicemente superlativi!!!

Ho una voglia matta di ritornarci, probabilmente martedi' 5 giugno.

@ Maugham : risolto i dubbi sulla recita?

@ Marazzi : cosa ne pensi?
Ultima modifica di VGobbi il dom 03 giu 2012, 11:07, modificato 1 volta in totale.
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Re: Peter Grimes

Messaggioda Maugham » sab 02 giu 2012, 12:24

VGobbi ha scritto:
@ Maugham : risolto i dubbi sulla recita?



nessun dubbio. Lo spettacolo è semplicemente magnifico.
L'ho rivisto e apprezzato ancora di più.
Diciamo che tutte le "sorprese" (e ce ne sono) non le avevo colte alla prima visione. Ma è un problema mio.
Lo rivedrò per l'ennesima anch'io.
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Re: Peter Grimes

Messaggioda doncarlos » sab 02 giu 2012, 12:45

Una premessa: ci sono spettacoli che ti rimangono dentro per la vita e che rappresentano qualcosa di paradigmatico. Per me così è stato il Grimes che vidi alla Scala nel '75, con Vickers, diretto da Colin Davis e con la splendida regia di Elijah Moshinsky. Molto bello anche lo spettacolo genovese, diretto da Gary Bertini e con la regia di Willy Decker, dove però il tenore (John Treleaven) non era granché.

Detto questo, non esito a definire memorabile la recita del 31, e concordo con (quasi) tutto.
Di Ticciati dirò solo che l'ho trovato potentemente analitico e analiticamente potente (perdonate il bisticcio).
Poi, sono grato a Jones per NON aver "sceneggiato" gli interludi, alcuni dei quali bastano e avanzano a creare l'atmosfera marina (anche se per me i gabbiani sono più che sufficienti, come la livida luce da mare nordico).
Peccato alcune ingenuità: quando, al primo atto, Balstrode e Keene aiutano Grimes ad azionare il cabestano per riportare a riva la barca, io sento nella musica una fatica e una circolarità, chiaramente riferite alla fatica per manovrare l'argano, mal rappresentate dallo sforzo necessario a portare a riva nove cassette nove (o sei?, non ricordo bene) di pesce. E l'ingresso di Grimes al pub perde di potenza se invece di stagliarsi improvviso all'apertura della porta è costretto a entrare dalla destra e a salire, di schiena al pubblico, una breve scaletta.

Si può dire: quisquilie. Ma io le noto, e mi urtano, proprio perché non si tratta di una regia stravolgente ma aderente al testo e musicalissima, realizzata con teatralità eccelsa.

Perfetta la delineazione dei personaggi, tutti buoni od ottimi cantanti ed eccellenti attori. Graham-Hall è stato giudicato negativamente da alcuni che hanno negli occhi e nelle orecchie Vickers: ma forse non sanno che Britten detestava l'interpretazione del grande canadese, ritenendola troppo eroica come voce. Graham-Hall ha risposto benissimo alle esigenze della parte, come attore e come cantante, nella linea dei Pears, Rolfe-Johnson e via dicendo.
Mi è piaciuto in particolare l'aver fatto di Mr. Swallow non il solito vecchio pomposo, ma un giovane avvocato. Quanto a Ellen Orford, Susan Gritton mi ha convinto vocalmente, andando in crescendo per tutta la serata (eccellente l' "Embroidery aria") e cucendosi adosso il personaggio come voluto da Jones. E qui è una delle scelte più interessanti. Invece della vedova di mezz'età abbondantemente repressa, abbiamo qui una giovane che sfoga la sua altrettanta repressione in iper-dinamismo, sociale e fisico: è (almeno in parte) colpevole dell'esito catastrofico per aver incanalato questo attivismo su Grimes? Jones non sembra aver risposte, se non, forse, che delle buone intezioni... con quel che segue.

[ATTENZIONE: SPOILER!]

Per il Borough la risposta è invece chiara. Ha bisogno di aver un colpevole, e lo trova, o se lo crea, perché deve auto-assolversi.

Un saluto a tutti

Maurizio
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Re: Peter Grimes

Messaggioda Maugham » dom 03 giu 2012, 9:38

doncarlos ha scritto:
Di Ticciati dirò solo che l'ho trovato potentemente analitico e analiticamente potente (perdonate il bisticcio).


Io ho apprezzato molto Ticciati. In primo luogo perchè rifiuta quel suono levigato che parte da Davis e arriva a Runnicles attraverso Haitink. L'ho sentito molto vicino alla lettura di Britten. Inoltre ha mostrato una dote rara nel dialogo con il palcoscenico. I colori dell'orchestra, i suoi ritmi, certe dinamiche apparentemente bizzarre altro non erano che la trasformazione in suoni dell'idea cromatica e drammaturgica di Jones. E viceversa. Poi, è giovane, non ancora trentenne, pieno di talento... è ovvio che ogni tanto faccia il primo della classe mettendo sotto la lente di ingrandimento questo o quel particolare per "far vedere che ha capito". Splendido poi il rapporto con il coro. Sentire i coristi della Scala, abituati ai leon di castiglia e ai tetti natii, cantare aperto, con sventagliate rabbiose, sentire i coristi della Scala aggredire certi ostici passaggi ritmici con la scioltezza e la spavalderia di compagini meno tradizionali è stato, per me, un'esperienza nuova.


Peccato alcune ingenuità: quando, al primo atto, Balstrode e Keene aiutano Grimes ad azionare il cabestano per riportare a riva la barca, io sento nella musica una fatica e una circolarità, chiaramente riferite alla fatica per manovrare l'argano, mal rappresentate dallo sforzo necessario a portare a riva nove cassette nove (o sei?, non ricordo bene) di pesce. E l'ingresso di Grimes al pub perde di potenza se invece di stagliarsi improvviso all'apertura della porta è costretto a entrare dalla destra e a salire, di schiena al pubblico, una breve scaletta.
Si può dire: quisquilie. Ma io le noto, e mi urtano, proprio perché non si tratta di una regia stravolgente ma aderente al testo e musicalissima, realizzata con teatralità eccelsa.


Secondo me non sono nè ingenuità nè quisquilie.
Jones ha dichiarato di aver ambientato la vicenda nell'Inghilterra dei primi anni Tatcher. Siamo in una città di mare, con tanto di panchine sull'affaccio e passeggio serale. Un'argano a mano -come nell'Ottocento- sarebbe, quella sì, un'ingenuità. Non trovi? Le barche non si tirano più a riva se non quelle piccoline. E più naturale che Grimes chieda aiuto per svuotare in fretta la sua barca, mettendo al sicuro il pescato, perchè sta per arrivare una tempesta. Inoltre la circolarità di quel passaggio in minore si riferisce, sì, alla fatica, ma soprattutto alla spirale di molevolenza che monta attorno a Grimes.
L'ingresso di Grimes mi è invece sembrato magnifico.
Perfettamente coerente con l'idea registica del personaggio.
Jones non si pone la domanda se Grimes sia buono o cattivo, se abbia davvero fatto del male a qualcuno oppure no. Semplicemente Grimes esiste e non fa parte della tribù. Si capisce che è un adulto non del tutto formato a livello psicologico. In lui la spinta infantile è potente. Non sa ancora (forse non lo saprà mai) gestire l'aggressività. Nel secondo atto vediamo che vive in un roulotte che in pratica è la stanza di un bambino cresciuto, con i letti gemelli perfettamente in bolla, la tivù sintonizzata sui cartoni. Quando l'apprendista scoppia in lacrime (un apprendista cresciuto, quasi un fratello minore) Grimes capisce che lui si sta comportando con il ragazzino come si sono comportati sempre con lui. Capisce di aver fatto una scenata di gelosia per un maglione con l'ancora, guardacaso lo stesso maglione con l'ancora che lui ha addosso e che forse Ellen gli ha ricamato.
Quando Balstrode (Purves lo rende come un signore tranquillo, ti immagini il capocondominio più anziano, quello che gestisce le piccole manutenzioni, sa calmare gli animi nelle riunioni) cerca di convincerlo a entrare nel pub per ripararsi dalla tempesta, Grimes reagisce come un adolescente di fronte a un adulto che gli propone una soluzione ragionevole. Punta i piedi per non darla vinta. E la sua aggressività nasconde solo una paura tremenda di entrare in quell'ambiente dove, se va bene, lo sputtanano appena ci mette piede e, se va male, lo pestano (i teppisti che lo minacciano durante la tempesta e Grimes si ripara il volto schiacciato contro la parete). E allora si mette lì, sulla panchina, con la faccia di di uno che dice "vado a culo di tutto, della tempesta, di Balstrode, della gente". Io sto qui e non mi muovo. Poi la tempesta si infittisce, è un mezzo uragano, la scarpata sotto la sua casa è franata (nel pub dicono che è venuta giù la casa) e allora deve anche lui cercare riparo. E allora entra di corsa. Vince la paura. Rimane fermo di fronte alla porta mentra il pub ondeggia. Va nella tana del leone. Poi, a testa bassa entra e si siede su un tavolo con un birra mentre tutti lo guardano in silenzio. Ha l'atteggiamento di uno che vorrebbe essere invisibile.
Finalmente, dico io, finalmente! non ho visto la solita porta che si spalanca all'arrivo dell'orco tutto spettinato, sporco e fradicio. Finalmente! Un momento per me potentissimo.

Graham-Hall è stato giudicato negativamente da alcuni che hanno negli occhi e nelle orecchie Vickers: ma forse non sanno che Britten detestava l'interpretazione del grande canadese, ritenendola troppo eroica come voce. Graham-Hall ha risposto benissimo alle esigenze della parte, come attore e come cantante, nella linea dei Pears, Rolfe-Johnson e via dicendo.


Anch'io ho delle perplessità su Graham-Hall ma non perchè non aderente al modello Vickers. Che ormai è stato fortunatamente (lo dico in generale, anche a me il Grimes di Vickers emoziona) superato. Ma perchè ha affrontato il personaggio un pelo troppo tardi. E io non reggo quel vibrato senile, tipo elastico in gola... So che ad altri da' meno fastidio. Detto questo, è stato bravissimo. Ma molto.

Saluti e grazie del resoconto
WSM
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Re: Peter Grimes

Messaggioda pbagnoli » dom 03 giu 2012, 12:23

In un'interessante discussione telefonica con MM, ieri pomeriggio ho affermato che non sono riuscito a farmi coinvolgere in modo devastante dalla visione di Jones perché ho sempre pensato che sia il borgo - per me, vero protagonista dell'opera - a creare il mostro. Nel bellissimo controfinale di Jones, il borgo crea la nuova vittima, perché di questo ha bisogno: di qualcuno con cui accanirsi.
Quest'interpretazione sociologica del problema è per me alla base di una vicenda umana che, se fosse un mero fatto di cronaca nera, non avrebbe nulla di particolare né di teatrale da raccontarci. Altrimenti detto: se Peter fosse colpevole, sarebbe "solo" (si fa per dire) un depravato, un disgustoso pedofilo per il quale non proveremmo nessuna simpatia.
Britten lascia l'argomento sospeso, irrisolto, come fa in altre circostanze, per esempio nel Turn of screw; ma non è questo il punto.
L'idea che ho sempre avuto io è che Grimes sia un povero sfigato, un CTF o "completamente tagliato fuori" come si definiva quelli come lui quand'ero al liceo. Non c'è una ragione ben precisa, uno non deve essere necessariamente un sociopatico: come dice Maugham, potrebbe essere un infantile, un insicuro. All'inizio ha dei manierismi, dei gesti ripetitivi da ossessivo-compulsivo; e la diagnosi potrebbe essere confermata da altri dettagli, come per esempio l'allineamento dei lettini nella roulotte.
Non sempre c'è una ragione per cui una comunità emargina un soggetto, ma di solito si tratta dei più deboli, anche fra gli animali.
La comunità ce l'ha veramente con Grimes in quanto tale?
No.
Quando Peter si autoelimina, la vita - nell'opera di Britten - ricomincia talis qualis.
Nessuno batte le mani sulle spalle dell'altro dicendo: l'abbiamo fatto fuori quello schifoso pedofilo. Nessuno si sente migliore per questo. Non c'è nessuna evidenza di "giustizia è stata fatta".
La comunità ha eliminato il corpo estraneo, esattamente come succede in certe comunità di animali: la vita riprende come prima.
Fino al prossimo mostro, il prossimo corpo estraneo contro cui accanirsi.
Ellen Orford, per come ce la rappresenta Jones, è un'altra disadattata: si presta magnificamente a incarnare questo ruolo.
Un'altra cosa: non può esserci la contrapposizione di tipo protoromantico che aveva incarnato Vickers nello spettacolo di Moshinsky.
Come può ribellarsi Peter? Ammazzando bambini o dando l'idea che lo faccia? Picchiando tutti?
No: Grimes subisce, continuamente.
E' il borgo che comanda e detta le regole.
Lui, come dice giustamente WSM prima di me, ha il problema di non riuscire a gestire la propria aggressività: ma questo non è eroismo.
Posso capire che - per quanto affascinante - Britten detestasse l'interpretazione di Vickers. Anch'io, che pure l'ho amata, la considero ormai lontanissima...

Di più.
Le ultime registrazioni audio del Grimes - quella Chandos di Hickox e quella LSO di Davis - hanno superbamente evidenziato il ruolo del coro, grazie a compagini stratosferiche.
Il borgo.
E' il borgo che decide, che fa e disfa tutto.
Non c'è un motivo ben preciso: basta una debolezza qualunque per essere estromessi.
Non sempre lo scemo del villaggio ha i titoli per esserlo: è sufficiente che lo decida il borgo.

Quindi, per quanto mi riguarda, questa è la regia più britteniana che io abbia mai visto di questo capolavoro.
Me la sono scaricata e rivista ieri, e ho trovato confermato la mia opinione
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Peter Grimes

Messaggioda MatMarazzi » dom 03 giu 2012, 14:02

Caro Bagnolo,
andando per ordine... che il Grimes rappresenti un dualismo è fuori discussione.
E' un individuo contro una collettività.
E io partirei da questo.
Poiché tutta l'opera si fonda su questa dialettica (uno vs comunità) non ha molto senso per me chiedersi chi sia il protagonista.
Accordare al borough il titolo di protagonista annullerebbe la dialettica di base.
Se prevale uno degli interlocutori, non c'è più dialettica.

Si può dire lo stesso di altre opere imperniate sulla medesima contrapposizione.
Medea? Uno contro una collettività
Don Giovanni? Uno contro una collettività.
Falstaff? Uno contro una collettività.
Tutte opere strutturate sullo stesso motore drammaturgico del Peter Grimes!

E' giustissimo afermare che queste opere NON sono un "One man show": non ci presentano (come alcuni pensano) un grande protagonista e tanta intuile gentucola intorno a lui.
Tutte e quattro le opere, al contrario, ci presentato non uno, ma due personaggi principali: un individuo e una collettività.
I personaggi di Medea, Falstaff, Don Giovanni e (ovviamente) Grimes, non presentano interesse in quanto tali, ma nel rapporto dialettico con gli altri.
E' vero quindi che, in queste opere, la comunità non è contorno, ma "co-protagonista" : l'eroe del titolo, senza il suo avversario, non esisterebbe nemmeno.

Affermare però che il Borgo, da co-protagonista divenga addirittura protagonista del Peter Grimes (e questo perché le ultime incisioni sfoggiano grandi cori) mi sembra davvero eccessivo.
Sarebbe come dire che gli abitanti di Corinto sono i protagonisti di Medea o che le comari di Windsor le protagniste del Falstaff!

Ti faccio notare, inoltre, che se Britten e Slater avessero voluto fare del Borgo il vero protagonista, perchè mai cambiare il titolo del libro di Crabbe a cui si sono ispirati?
Il libro infatti si chiamava "The Borough"; loro 'hanno invece intitolato il loro libretto "Peter Grimes".
Strano contegno per gente che vorrebbe fare del Borgo il protagonista...


Cambiando argomento (ma solo apparentemente) ci si potrebbe interrogare sul perché esista questa frattura... Il Borgo da una parte e Grimes dall'altra.
Cosa ha prodotto questa voragine? Questo abisso di diversità.
Tu dici che Britten e Slater sono ambigui in merito...
Per la stessa ragione allora ambigue sono anche le cause che hanno prodotto la stessa voragine fra Medea e la civiltà greca, fra Falstaff e il villaggio di Windsor, fra Don Giovanni e la società del suo tempo.
Ma in realtà non sono ambigue, solo che gli autori non ci si soffermano sopra, perché ciò che interessa loro è altro: la voragine in sè!

E' la lotta in sè, il contrasto in sè, fra una comunità che mette la propria "appartenenza" al di sopra della propria "individualità", contro qualcuno che fa esattamente il contrario!
Poi che lo faccia volutamente, come sfida intellettuale (come Don Giovanni e forse Falstaff) o semplicemente perché "diverso" (come Medea o forse Peter Grimes) non importa.
Importa che lui, il protagonista, l'eroe, o persino il "maledetto", è ALTRO dal Borgo.
E da questa ALTERITA' (non dalla morte del mozzo) che nel Peter Grimes di Britten e Slater si scatena la drammaturgia.

Interrogarsi sulla "colpevolezza" di Grimes nei confronti del bambino è secondo me ozioso.
Scusate se mi ripeto, ma questa non è un'opera sui maltrattamenti ai minori, ma sulla guerra eterna fra una comunità e un isolato.
La guerra di Grimes col Borgo sarebbe rimasta tale anche senza alcun bambino morto: è la guerra di tutta la sua vita.

Balstrode (che è parte della comunità) lo capisce...
Il bambino morto non c'entra nulla! C'entra che Grimes non entra mai nel Pub, non va a messa, non vive in paese ma in una barca rovesciata vicino alla scogliera, non riesce a intavolare una conversazione che una sia!
Ce lo dice anche il coro finale: gridano forse, gli abitanti del villaggio, parole di cordoglio e di vendetta per il povero bambino scomparso?
Macché mai... le parole che ripetono sono "chi ci disprezza, noi lo distruggeremo".

Ecco perché non è poi così importante, per me, chiedersi se Grimes sia o non sia colpevole!
Perché, ripeto, il problema non è il bambino, la cui tragedia funge solo da casus belli.
Il problema è la diversità.
Lo dico scherzando, ovviamente, ma secondo me pensare che per Britten l'opera si risolva nell'interrogativo se Grimes "sia colpevole o no" a me pare un tipico atteggiamento da Borgo! :)
E' il problema che si pone Ellen (che infatti è un tipico prodotto della comunità)... Ma Britten... credo si ponesse ben altri problemi.

Insomma, nel Peter Grimes di Britten (come nel Don Giovanni, nella Medea, ecc...), il problema sta nella contrapposizione, che presuppone un'ALTERITA' a monte, fra l'individuo e il gruppo.
Tutto questo se parliamo di Britten, di Slater e della loro opera.
Le cosa cambiano però se parliamo di Richard Jones e della sconvolgente, meravigliosa rilettura che ci ha proposto.


Devo dire che sono rimasto abbastanza colpito nel leggere, sulla stampa e su internet, come in tanti abbiano ritenuto la regia di Jones "rispettosa" del testo, non stravolgente.
Forse questo dipende dal fatto che Jones ha fama di scatenato rielaboratore di storie, e pertanto ci si aspettava che intervenisse drasticamente in senso narrativo.
Al contrario, egli ha lasciato le articolazioni della storia quasi tutte al loro posto, ma non per questo la sua lettura è stata davvero aderente.
Si può mantenere quasi inalterato il plot (come ha fatto) ma contemporaneamente stravolgerne il significato più profondo.

Se infatti Jones avesse seguito Britten (come fanno tutti i registi) avrebbe lavorato sull'ALTERITA' di Grimes, sulla sua diversità, sulla sua inconciliabilità "a monte" rispetto al Borgo.
E invece ha fatto il contrario:
- prima presentandoci un Grimes più normale del solito (niente capelli irti e spettinati, niente vestiti logori: anzi ben vestito, col capello biondo in ordine, le scarpe "timberland", la giacca di pelle),
- poi alludendo a una continuità fra lui e il mozzo (ugualmente emarginato dai ragazzi del paese)
- infine con quel contro-finale di puro genio, uno dei più sconvolgenti che abbia mai visto: Ellen che, con espressione d'orrore (la stessa che era stata di Grimes), si rende conto di essere diventata lei "il nuovo mostro".

Così facendo Jones ribalta completamente il fondamento stesso dell'opera di Britten.
Non esiste più l'ALTERITA'. Non è più contro Grimes (il diverso, l'individuo, l'eroe) che si accanisce il gruppo.
Ma è contro... uno qualsiasi! :) Uno dei suoi figli, uno come un altro...

Il problema non sta più nella "diversità" di Grimes, nel suo essere ALTRO, nel suo essere fuori della società (come è in don giovanni, Medea, Falstaff e nello stesso Peter Grimes, QUELLO DI BRITTEN)... Il problema per Jones è che è il gruppo stesso ad averlo "selezionato" per farne un mostro, come prima ha fatto per altri e come continuerà a fare dopo di lui (Ellen...).

In pratica, riprenedendo la felicissima sintesi di doncarlos, Il Borgo ha bisogno di aver un colpevole e lo trova, o se lo crea.

Non si potrebbe dire meglio di così.
Però... Pietro... questo non è in Britten!
In Britten il problema è quello dell'individuo che soccompe al processo di omologazione o distruzione che la comunità esercita sulla sua DIVERSITA'.
Mentre, il Grimes di Jones non è un diverso. E' solo l'eletto! :)
E' quello che la comunità, un bel giorno, ha deciso di sacrificare dal proprio seno, fra i propri stessi figli!
Esattamente come farà con Ellen...
Ed esattamente come si suppone abbia fatto con tantissimi altri Grimes prima del nostro (ai cui processi, possiamo supporre, avrà partecipato lo stesso Grimes - quando ancora era "integrato" - magari scuotendo a sua volta il capo sulle "accidental circumstances" decretate dal giudice).


Qui sì, Pietro, in questa sensazionale e sconvolgente regia, hai ragione ad afferm are che il "Borgo è protagonista".
Non è lo è Grimes, come non lo sarà Ellen.. Perché è il gruppo che li seleziona e li trasforma in diversi.
Qui sì.
Ma non in Britten!
C'è una differenza ENORME, anche per il pubblico, con questo tipo di lettura.
In un Grimes veramente tradizionale (cosa che quello di Jones non è) il pubblico si mette tutto dalla parte del diverso-vittima: ossia di Grimes, come si metterebbe dalla parte di Violetta! :)
E così siamo portati a credere che, in fondo, anche noi siamo individui, e vittime dell'incomprensione altrui.
Sapere che ci sono i buoni e i cattivi a questo mondo è sempre consolatorio.
Con Jones invece non possiamo: perché Grimes ed Ellen sono a loro volta parte della comunità (che a un certo punto li "elegge" come vittime).
E a noi tocca riconoscerci nell'unico personaggio rimasto in gioco: la comunità, della quale di volta in volta possiamo essere tanto le vittime quanto i carnefici.
Un po' meno consolatorio, direi...


Così almeno la vedo io.
salutoni,
Mat

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Re: Peter Grimes

Messaggioda VGobbi » dom 03 giu 2012, 14:36

Ringrazio vivamente per gli interessanti spunti, sopra tutto registici, in merito a questo bellissimo Peter Grimes scaligero.

Un altro splendido Peter Grimes, anche registicamente parlando, e' quello con Langridge, la direzione musicale di Atherton e la regia di Gavin.

Possiedo pure quello con Vickers, ma in effetti e' troppo caricato ... enfatizzato, per rendere veritiero il personaggio. Almeno c'e' John Tomlinson nei panni del carrettiere Hobson. : Love : : Love : : Love :
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Re: Peter Grimes

Messaggioda pbagnoli » dom 03 giu 2012, 14:58

MatMarazzi ha scritto:
Però... Pietro... questo non è in Britten!
Britten si chiedeva: può sopravvivere un INDIVIDUO contro la comunità? ...
Il Grimes di Jones, invece, non è un diverso.
E' solo l'eletto! :) quello che la comunità un bel giorno ha deciso di sacrificare dal proprio seno, fra i propri stessi figli!
Esattamente come farà con Ellen...
Ed esattamente come si suppone abbia fatto con tantissimi altri Grimes prima di lui (ai cui processi, possiamo supporre, avrà partecipato lo stesso Grimes - quando ancora era "integrato" - magari scuotendo a sua volta il capo sulle "accidental circumstances" decretate dal giudice).

Qui sì, Pietro, in questa sensazionale, grandiosa, sconvolgente regia di Jones puoi dire che il "Borgo è protagonista".
Qui sì.
Ma non in Britten!

Quando io personalmente fui vittima di bullismo alle medie, non avevo fatto nulla per essere emarginato dal "mio" borgo.
Il "mio" borgo, come tutti i borghi che si rispettino, aveva bisogno di crearsi una vittima, e si scelse il più debole a disposizione: io.
Non avevo nulla per incarnare quel ruolo: non ero né ricco né povero, né vincente né perdente, né il migliore né il peggiore: ero banalmente un abitante della terra di mezzo, che non voleva rotture di palle nella scuola più difficile per un ragazzo, e cioè le medie.
L'unica cosa che mi distingueva, se vuoi, era che ero un ragazzino educato e vestito in modo più formale rispetto alla media dei miei coetanei maschi, già testosteronici nella manifestazione di un'aggressività non solo sessuale di cui io non ero capace.
Io sono stato il Peter Grimes della mia classe.
Fui preso a sberle dal bullo più bullo di tutti e nessuno fece una piega: era normale.
Ma non solo: più tardivamente, fui preso a sberle anche da un altro che, invece, non aveva mai manifestato né ipertestosteronismo, né tendenze aggressive. E' una cosa che ricordo ancora molto bene...
Lo stesso evento è accaduto, proprio alle medie, a tanti altri ragazzini contemporaneamente e dopo di me.
Se qualcuno avesse composto un'opera lirica sulla mia vita di terza media, l'avrebbe intitolata "La III E Meucci", e non "Pietro Bagnoli".

Ora, come puoi capire data questa premessa personale, io sono molto propenso a credere che la ragione per cui il romanzo di Crabbe si intitola "Il borgo" e per cui Britten inizialmente voleva intitolare l'opera (sublime) ricavatane alla stessa maniera, era proprio questa: il ruolo protagonista che ha la comunità nella definizione dei criteri degli sfigati da mettere in un angolo prima, ed eliminare poi.
Ora, tu puoi dire quello che vuoi ma, nella mia vicenda personale (e in quella di Peter Grimes, ovviamente), non c'è mai stato molto spazio per la dialettica. Che dialettica potevo avere con un branco di energumeni che, oltre a prendermi a sberle, ha trascinato sulla stessa strada anche quelli che, almeno inizialmente, sembravano dalla mia parte (il Balstrode della situazione)?
Dici di Don Giovanni, ma quello è più di un eroe: è un archetipo prometeico. Come, infatti, vorrebbe essere anche Vickers, ma col risultato di comporre un personaggio affascinante che non c'entra nulla con Britten (e che Britten, infatti, ripudia).
Grimes non è un eroe: è uno sfigato, come lo ero io alle medie.
E' a disagio.
E' un emarginato.
E' infantile (lo ero anch'io, alle medie).
Come dice giustamente WSM, non sa gestire la propria aggressività: nemmeno io ci riuscivo. La volta che mi ribellai, a momenti ammazzo uno di questi bulli...
Non ha dialettica con (o contro) il borgo, ma solo con se stesso.
Questo sarebbe il Don Giovanni di Britten?... :D
Ma no, Matteo, dai!
La drammaturgia si scatena dalla profonda riflessione sulla moltitudine che, a un certo punto, prende di mira uno dei propri componenti: il più debole, il più sfigato, lo scemo del villaggio. In ogni borgo ce n'è uno e, come ti dicevo nel mio post precedente, non è necessariamente uno scemo.
Tu dici: Peter Grimes, secondo Jones, è uno dei tanti.
Io rispondo: mah.
Nel processo è vestito bene e passabilmente decoroso: altrimenti detto, non è l'orco tipo Vickers. Ma è infantile, debole, sfigato: così è apparso a me e a quelli che erano con me.
Ellen Orford? Lo stesso! Con la sua gonnellina scozzese, i capelli di un improbabile rosso tizianesco che fa tanto ghita di paese... è predestinata a essere la prossima Grimes!
E questa drammaturgia è, secondo il mio modesto parere, profondamente britteniana.
Che poi sia stata meravigliosamente evidenziata da quel gran bravo regista che è Richard Jones, sono d'accordo con te.
Quella realizzata alla Scala è una splendida regia che ha spiazzato me e quelli che erano con me perché ci aspettavamo una rilettura, un ribaltamento di prospettive: e invece, abbiamo assistito alla più britteniana delle interpretazioni.
Così, almeno, è come la vedo io
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Peter Grimes

Messaggioda MatMarazzi » dom 03 giu 2012, 16:19

pbagnoli ha scritto:Se qualcuno avesse composto un'opera lirica sulla mia vita di terza media, l'avrebbe intitolata "La III E Meucci", e non "Pietro Bagnoli".


Strano che Britten, però, abbia intitolato la sua opera proprio "Pietro Bagnoli" e non "III E Meucci". :)

data questa premessa personale, io sono molto propenso a credere che la ragione per cui il romanzo di Crabbe si intitola "Il borgo" e per cui Britten inizialmente voleva intitolare l'opera (sublime) ricavatane alla stessa maniera, era proprio questa


Già, ma ancora una volta ti ricordo che Britten non ha chiamato la sua opera come quella di Crabbe (The Bourogh), ma proprio "Peter Grimes" :)

Vedi Pietro, tu hai descritto una tua esperienza personale... che dà ragione a Jones! :)
Chi ha mai negato che, nella vita reale, le cose possano stare come tu le descrivi, ossia che la comunità ha un ruolo da protagonista nella definizione dei criteri degli sfigati ?
Se l'approccio di Jones è tanto sconvolgente è proprio perché ci ha sottoposto una verità su cui riflettere.
Io dico solo che questa verità non emergeva da Britten e da Slater: io dico solo che loro parlavano d'altro.

Una precisazione.
Se dico che il rapporto fra undividuo e comunità descritto nel Don Giovanni, nella Medea, nel Falstaff e nel Peter Grimes è una forma di "dialettica" drammaturgica, non intendo - ovviamente - affermare che essi si mettessero intorno a un tavolo con i loro avversari a discutere... confrontando sulle rispettive posizioni! :)
Parlando di dialettica, non intendevo "conversazione", ma interazione e scontro di principi contrapposti!

Altra precisazione.
Equiparando il caso di Don Giovanni a quello di Grimes, non volevo - ovviamente - assimilare i due personaggi, le loro motivazioni, le loro psicologie, i loro caratteri, i loro gradi sociali o culturali.
Grazie di avermi spiegato che si tratta di personaggi diversi! :) Ma non ce n'era bisogno.
Sottolineavo semplicemente l'affinità del motore drammaturgico che è alla base di entrambe le opere!
Tanto "Il" Don Giovanni - inteso come opera - quanto "il" Peter Grimes - idem - si sviluppano dalla contrapposizione fra un individuo e una collettività.

Grimes non è un eroe: è uno sfigato, come lo ero io alle medie.
E' a disagio.
E' un emarginato.
E' infantile (lo ero anch'io, alle medie).


Bene, se dobbiamo giocare al gioco di individuare le radici della "diversità" di Grimes, della sua emarginazione o auto-emarginazione dal gruppo (ragioni che Slater e Britten lasciano nell'ombra, forse perché a loro interessava l'alterità in sé, più delle sue radici), allora ci posso giocare anche io.
Sì ok, timido, infantile, sfigato... Non mi sembra abbastanza...
Forse gli puzzava l'alito..
Forse aveva i peli sulle spalle...
Forse era un omosessuale...
Forse era semplicemente un orso... a cui non frega nulla di assomigliare agli altri e di chiacchierare con loro...

Possiamo continuare a fantasticare quanto vogliamo, a fare "i piccoli psicologi" (come appunto i vari Balstrode e Ellen) ma continueremo a concentrarci su un problema inutile: il vero problema è la diversità del personaggio, la sua non-appartenenza, la minaccia che un individuo "non integrato" rappresenta per tutto il resto della comunità.
Essa può tentare di omologare il diverso, di redimerlo (come cercano di fare Donna Elvira o Ellen) o di distruggerlo...
Ma non lasciarlo così com'é, libero di agire indisturbato: perché la sua solo diversità, la sua sola "autonomia", il suo solo "esserci" scuote le fondamenta stesse del vivere sociale.
L'affermazione della diversità è un pericolo da annientare: è questo che - come un suol uomo - ci dicono opere come Medea, Don Giovanni, Falstaff e Peter Grimes.
Il tema è bellissimo e non mi stupisce che tanti capolavori operistici lo abbiano trattato.

Però Jones ci dice che la "diversità" non è il vero problema, per lui: in seno a un gruppo, siamo tutti diversi e tutti siamo parte di un meccanismo interrelazionale...
e tuttavia è proprio quel meccanismo che presuppone la creazione di "altri da noi" perchè ha (come i tuoi bulletti di III media) l'interiore necessità di una contrapposizione, di una "unità contro qualcuno".
Tu, con la tua storia, non hai fatto altro che confermare la grandezza di Jones, il quale ci ricorda che nella vita vera capita più spesso di incontrare casi come quello da lui descritto, che non di inontrare dei "Don Giovanni" o delle "Medee".

E questa drammaturgia è, secondo il mio modesto parere, profondamente britteniana.

Ok, ma se è questo è vero, non c'è mai stato finora un regista del Peter Grimes che sia stato "britteniano".
Non Moshinsky, non Schlesinger, non Ponnelle, non Lievi, non Alden (per citare alcuni di quelli che ho visto) che abbia capito Britten, perché nessuno ha evidenziato le cose che ha evidenziato Jones.
E perché tutti loro (seguendo il libretto) hanno usato il finale per descrivere la "ricomposizione" della comunità, dopo la scomparsa del diverso (altra affinità con Don Giovanni...).
...Mentre Jones (contravvenendo al libretto) l'ha usato per inscenare un nuovo processo, uguale a quello con cui l'opera era iniziata.
Esattamente un finale opposto: con britten si eliminava l'inviduo non integrato, con Jones ci si appresta a crearlo.

Salutoni,
Mat
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Re: Peter Grimes

Messaggioda Maugham » dom 03 giu 2012, 17:00

MatMarazzi ha scritto:
Bene, se dobbiamo giocare al gioco di individuare le radici della "diversità" di Grimes, della sua emarginazione o auto-emarginazione dal gruppo (ragioni che Slater e Britten lasciano nell'ombra, forse perché a loro interessava l'alterità in sé, più delle sue radici), allora ci posso giocare anche io.
Sì ok, timido, infantile, sfigato... Non mi sembra abbastanza...
Forse gli puzzava l'alito..
Forse aveva i peli sulle spalle...
Forse era un omosessuale...
Forse era semplicemente un orso... a cui non frega nulla di assomigliare agli altri e di chiacchierare con loro...


:lol: :lol: :lol:
Quest'ultima no. Accidenti se a Grimes gliene frega di essere come gli altri... non fa altro che invidiarli. Sbraita la sua indipendenza ma vorrebbe....

Possiamo continuare a fantasticare quanto vogliamo, a fare "i piccoli psicologi" (come appunto i vari Balstrode e Ellen) ma continueremo a concentrarci su un problema inutile: il vero problema è la diversità del personaggio, la sua non-appartenenza, la minaccia che un individuo "non integrato" rappresenta per tutto il resto della comunità.


Non credo che Pietro volesse fare il piccolo psicologo o il piccolo sociologo. Nè che stia fantasticando. Almeno non di più o di meno di quanto stiamo facendo tutti.
E Balstrode ed Ellen fanno proprio l'opposto di quello che dovrebbe fare uno psicologo. Empatia zero, egopatia a mille.
Magari -poi te lo dirà lui- forse semplicemente non è rimasto sorpreso quanto te di alcune scelte di Jones. Per te rivoluzionarie, per lui -che le aveva sempre viste così- più consuete. Per uesto le chiama "britteniane". Forse.
Inoltre mi sembra che Jones -visto come "muove" Grimes- si sia invece molto impegnato a farci vedere "come" il nostro eroe si mostri "diverso". E lo ha fatto in modo, per me, assolutamente originale rispetto ad altri registi. Tutti presi a dimostrare come questa diversità fosse in realta "migliore" o perlomeno più "coraggiosa" della omologazione altrui.
Che poi questa diversità derivi da una constatazione di varie sfighe evidenti oppure sia solo una sfiga cieca che ha colpito lui e non un altro... a me interessa poco.
Ciò non toglie che per te invece sia il centro dello spettacolo e la lettura della sua originalità.

Ciao
WSM
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Re: Peter Grimes

Messaggioda beckmesser » dom 03 giu 2012, 18:55

Maugham ha scritto:Accidenti se a Grimes gliene frega di essere come gli altri... non fa altro che invidiarli. Sbraita la sua indipendenza ma vorrebbe....


Per come io vedo il Grimes, il punto è esattamente questo. Che l'opera sia incentrata sul conflitto fra un “diverso” (qualunque sia la ragione della diversità, poco importa) e la società in cui vive mi sembra evidente, ma non è questo conflitto il punto centrale. Che esista un conflitto fra un individuo e la società in cui vive è una situazione abbastanza normale, che può evolvere in diversi modi: il “diverso” può evolversi in senso eccezionale (che so, diventa un artista...), criminale (che so, diventa un serial killer...), medico (che so, diventa un disadattato). Il problema di Grimes è un altro: lui non accetta di essere un “diverso”, lui vuole integrarsi nella società; vuole diventare un imprenditore di successo, sposare una donna del borgo, magari diventarne anche sindaco. E' questo voler uscire dal suo ruolo di “diverso” a scatenare la reazione del borgo. Nel primo atto, infatti, la situazione è abbastanza equilibrata: il borgo tollera il “diverso”, lo assolve anche, pur nella equivoca forma delle “accidental circumstances”. Nel loro duetto, in fin dei conti, Balstrode quello dice: lascia stare le tue ambizioni di normalità, resta nel tuo ruolo istituzionale di diverso e nessuno avrà nulla da recriminare. Ma Grimes non ci sta: vuole un altro apprendista (altro simbolo di normalità nella vita del borgo) e anche quando persino Ellen gli dice che non c'è più nulla da fare, lui si ostina e decide di continuare da solo. Il paradosso è che se un “diverso” decide di diventare “normale”, negando la propria essenza, si vota alla autodistruzione. Un “diverso” non può esistere che in quanto “diverso”. C'è un momento, che è poi il culmine di tutta l'opera, in cui questa situazione diventa lampante: quando, ad onta di tutto e tutti, mentre persino Ellen riconosce l'impossibilità del suo voler essere “normale”, lui canta “And God have mercy upon me”; sono esattamente le stesse note e lo stesso ritmo (solo su un tempo più lento) del tema su cui subito dopo il coro canterà “Grimes is at his excercise”. E' lo stesso Grimes, nel momento in cui decide di perseverare nel suo progetto di normalità, a fornire al borgo il tema su cui il borgo decide di scatenare la caccia all'uomo per distruggerlo. E' Peter che decid eil proprio destino rifiutando il proprio ruolo. A quel punto il borgo non può che distruggerlo.

A me convince molto la tesi portata avanti da Philip Brett (probabilmente il più geniale esegeta britteniano, di cui un saggio è stato incluso anche nel programma di sala di questo Grimes, ma in modo talmente manomesso da risultare incomprensibile: nemmeno i programmi di sala sanno più fare, alla Scala) che questo tema rifletta la situazione cui Britten era giunto circa l'accettazione della sua omosessualità (e non è per buttarla sempre sulla tematica gay, ma mi sembra indubbio che quella fosse la “diversità” che per lui contava). Nel gruppo di artisti con cui Britten si era confrontato in quegli anni, e per i quali la manifestazione della propria omosessualità (non solo nella vita normale, ma anche nella vita artistica) era un problema non di poco conto (essendo l'Inghilterra di quei decenni un paese in cui su quello ci si giocava la reputazione ed anche la testa), le soluzioni erano state diverse ma tutte in qualche modo drammatiche: Isherwood e Auden erano fuggiti in America per potersi esprimere liberamente; Foster aveva concentrato tutto in un solo romanzo (Maurice, ovviamente non pubblicato) e per il resto aveva sepolto tutto, condannandosi ad un progressivo inaridimento artistico. Britten si era normalizzato: era rientrato in patria, non si nascondeva e non si esibiva; trattava il tema nelle sue opere in modo evidente ed elusivo al tempo stesso. Il Grimes mi sembra la metafora di quello che lui pensava fosse il destino tragico del “diverso” che vuole entrare nella società: destino tragico che esorcizzò scrivendo l'opera, mentre lui in fin dei conti visse felice e contento...

Quanto allo spettacolo di Jones, il problema per me è stato esattamente quello descritto da Matteo: ormai ci ha abituati a ribaltamenti di prospettive narrative talmente grandiose che io ero entrato a teatro aspettandomi come minimo che il cattivo fosse l'apprendista. Sono stato tutto lo spettacolo ad aspettarmi il “colpo di scena” e, non avendolo avuto, ero rimasto perplesso. Rivisto lo spettacolo in video e sapendo fin dall'inizio cosa aspettarmi, lo spettacolo mi è sembrato strepitoso, sotto tutti i punti di vista. A volte i geni finiscono vittima delle aspettative che il loro genio crea...

Saluti,

Beck
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Re: Peter Grimes

Messaggioda pbagnoli » dom 03 giu 2012, 21:29

Maugham ha scritto:
Magari -poi te lo dirà lui- forse semplicemente non è rimasto sorpreso quanto te di alcune scelte di Jones. Per te rivoluzionarie, per lui -che le aveva sempre viste così- più consuete. Per uesto le chiama "britteniane".

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