Castrazione e regie

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Castrazione e regie

Messaggioda PQYD » mar 27 nov 2007, 1:32

Dal sito Haendel.it

Domenico Checchi, in arte Cortona

L’appellativo Cortona gli venne dalla città di nascita: durante la sua vita viveva con un atteggiamento di normale matrimonio con una bella ragazza, Barbaroccia. Era fortemente cattolico, timoroso ed osservante la fede cristiana, e allora maturò il desiderio di sposarsi, regolarizzando la sua posizione agli occhi di Dio e della Chiesa.
Per sposarsi però era necessario ottenere un consenso papale, e il Cortona non fu fortunato poichè il Papa in carica al momento era soprannominato Papa Minga (che in dialetto lombardo vuol dire “no”) e anche “Il Bacchettone”: si trattava di Benedetto Odescalchi (1676 – 1689), che ascese al soglio pontificio col nome di Innocenzo XI: era il capostipite di una delle famiglie romane più potenti, proprietaria dell’omonimo palazzo in Piazza Santi Apostoli e del castello Orsini Bracciano. Perseguiva costumi severissimi tanto che in nome della purezza diede il consenso alle persecuzioni subite dai Valdesi per opera dei Savoia. Era talmente rigido questo Papa che arrivò ad un punto tale di bigottismo che fece prelevare dagli sbirri in ogni lavanderia e stireria della capitale tutte quelle vesti femminili con maniche corte e mezze maniche e quelle con la scollatura alla francese, che faceva intravedere il seno.
Nella supplica il Cortona spiegava che l’ostacolo della castrazione subita non era rilevante dal momento che l’operazione era stata eseguita male, lasciando quindi indenne la potentia coeundi. Quando al Papa giunse la richiesta di Cortona, di proprio pugno scrisse
“Che si castri meglio!” , negando il matrimonio. Questo rifiuto finì per far desistere il Cortona dal richiedere il matrimonio, affievolendosi la passione per Barbaroccia: rinunciò alla fine a lei e passò sul fronte opposto diventando il favorito di Gian Gastone de’ Medici, fratello di Cosimo III, vanesio, abulico e bigotto: con Gian Gastone morto senza eredi si estinse la famiglia de’ Medici, la famiglia che aveva fato storia per ben 4 secoli.

In grassetto il mio commento sui video proposti.
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Messaggioda Tucidide » mar 27 nov 2007, 12:44

Oddio :lol: :lol:
Non riesco a smettere di ridere :oops: :D
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Messaggioda MatMarazzi » mar 27 nov 2007, 13:51

Belcantismo ha scritto: [girando per i teatri d'opera al giorno d'oggi, soprattutto quelli del centro/nord Europa (ma anche la penisola iberica non scherza!) ci sono messe in scena e "costumi" per i cantanti che, in quanto a comicità irrefrenabile, non hanno niente da invidiare... :wink:


Purtroppo invece sulle regie proposte nei teatri d'opera in Italia non c'è proprio niente da ridere! :cry:
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Messaggioda teo.emme » mar 27 nov 2007, 15:26

Beh, la situazione degli allestimenti in Italia (ma non solo) è davvero pessima.

Da una parte ci stanno regie di un tradizionalismo polveroso, anonimo, ridicolo; dall'altra scimmiottature di avanguardie ormai fuori tempo massima (roba da provocazioni anni '70) o che sono apertamente e dichiaratamente in contrasto con musica e storia narrata.

In Europa poi, soprattutto nell'area tedesca, si assiste a scempi inconcepibili, a vere e proprie riscritture che testimoniano solo l'ignoranza, l'arroganza e la malafede (oltre che la stupidità) di chi le ha ideate.

Vi faccio alcuni esempi tra i più "gustosi":

1) un Lohengrin ambientato tra i banchi di una scuola elementare, coi maschietti vestiti con blusetta e pantaloni corti, e le femminucce (tra cui una Elsa che sfiora i 100 kg) con gonnellino e blusetta rosa con collettone bianco. I nobili brabantini sono una marea di monelli che si fanno i dispetti sui banchi e che il preside o il maestro (che sarebbe il Re) punisce mettendoli dietro la lavagna, facendosi annunciare dal capoclasse lecchino (Araldo). Telramund e Ortrud sono due mocciosi che fanno i bulletti. Elsa è la classica bambinona con trecce che si piglia la cotta per il nuovo arrivato, Lohengrin. La marcia nuziale si svolge nell'intervallo e rappresenta un gioco che fanno i bambini (dove Ortrud fa lo sgambetto a Elsa per farla inciampare)... Di questa roba c'è pure il DVD!
2) un Trovatore ambientato in una specie di fonderia con ciminiere e altoforni, in pieno conflitto tra "padrone" e operai sindacalizzati... No comment! Pure di questo c'è il DVD.
3) un Ring che, per una volta, abbandona le consuete metafore nazionalsocialiste, per approdare in situazioni di degrado umano e sociale: nel Siegfried, il protagonista, con addosso una striminzita magliettina bisunta (con su scritto Siegfried), abita in una specie di cucina cenciosa dove un Mime con grembiulino cucina minestroni su di un sudicio fornello. Non so cosa succeda nella scena della forgiatura della spada, forse Notung sarà il dato che viene gettato nel brodo! Boh... Wotan arriva con giubbetto di pelle, occhiali da sole e berrettino dei New York Yankees! Anche di questo abbiamo il DVD!
4) Tannhauser. Vi racconto solo l'overture: il protagonista arriva con valigiona in mano (del resto sta per fuggire dal Venusberg, mica può lasciar lì i suoi effetti personali), ma mentre sta per andare si siede su una seggiola posta in mezzo al palco, con una smorfia di dolore. E da dietro spunta di tutto: omini nudi pitturati di verde. Un'armatura che si muove come un Robot, delle belle fanciulle discinte (della serie "tira di più un pelo di etc."), un coccodrillo che striscia (?), dei nani e roba del genere... DVD pure per questo!

Questi pochi esempi, danno un'idea del tutto sbagliata su come si possa fare una regia moderna e rispettosa. Questi registi, infatti, non si sono neppure curati della musica e del senso che deve avere.

Per me una regia può essere provocatoria, tradizionale, può spostare l'ambientazione fin che vuole, ma deve mantenere il senso musicale dell'opera, deve mostrare i significate, mantenere i rapporti e le problematiche: quest'estate vidi a Cremona la Dafne, con la regia di Livermore, che trasformò la favola aulica (pallosetta e ormai priva di un qualsiasi interesse per noi) in vero teatro musicale, spostò la vicenda in un manicomio, ma mantenne inalterato il senso del trama, il significato (variandone il mero significante). Fu uno spettacolo splendido, molto più efficace di un'ambientazione pastorale e farlocca. Già l'opera era noiosa e musicalmente povera, se si fossero mantenuti i pastorelli e le ninfe al termine del breve spettacolo, il pubblico bisognava svegliarlo con iniezioni di adrenalina... Questo è solo un esempio di regia intelligente, che sposta l'ambientazione, ma che mantiene integro il senso del testo. Così pure Carsen (anche se tende ad uniformare ogni storia nell'ambito del teatro borghese tardo ottocentesco).

Non se ne può più del minimalismo truffatore che spaccia pareti e stanze vuote con due cubi in mezzo, come opera simbolica e complessa. Non ci casca più nessuno. Non ha più senso. E' solo mancanza di idee. Così pure certe forzature ronconiane, talmente macchinose dal risultare inutili. Mastodontiche e non funzionali. Ronconi (il cui successo trovo spiegabile solo per appoggi, fortissimi si sa, di natura politica), soffoca con la macchinosità la sua incapacità nle delineare il gesto singolo, l'espressione, la luce, il dettaglio. Le sue regie sono elefanti iper costosi e inutili. Clichè che perpetuano se stessi in ogni titolo. Già temo il Trittico scaligero, sicuramente con le solite prospettive sghimbesce, come l'orrida sua Tosca! Altro insopportabile è Pier'Alli...esteticamente e formalmente le sue regie sono oscene! Piene di simbolismi sciocchi e inutili (ricordo un'orrida Beatrice di Tenda, una Lucia e pure un Freischutz). Pure Pizzi, con le sue scalinate e archetti e colonnate, con sfondo di cielo grigio o nero....basta!

Per me i più grandi restano Strelher, immenso, il più grande regista italiano; Ponnelle e pochi altri.
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Messaggioda MatMarazzi » mar 27 nov 2007, 16:29

Il discorso sui registi è complesso.
Quindi mi limito a fare solo alucne precisazioni.

Anzitutto vorrei dire che Carsen è tutto fuorché minimalista (anche se è piuttosto normale avere questa falsa prospettiva in ragione dell'uso molto "ampio" che lui fa dello spazio scenico).
Per altro secondo me Carsen è un regista immenso, uno dei più raffinati e veri registi d'opera (nell'accezione specifica e tecnica di questo termine).
Per avere un'idea di quanto ha sconvolto la tradizione registica bisognerebbe aver vissuto (come me) la sua rivoluzione fin da quando lo "scoprii" (nel 1991) al Festival di Aix, nel "Midsummer Night's dream".
Purtroppo allora in Italia nessuno sapeva chi fosse.

Inoltre, invece di citare le provocazioni di Konwitschny e compagni (per altro, bisogna dire che le regie di Konwitschny saranno pure irritanti ma dimostrano un mestiere e una conoscenza specifica notevolissima), secondo me, Teo.Emme, avresti dovuto fare riferimento a gente come Kusej e Vick, che secondo me rientrano perfettamente nella tua descrizione di dilettanti politicamente orientati.

Però è limitativo e probabilmente scorretto pensare di circoscrivere a questo l'evoluzione tecnica e linguistica strepitosa delle regie d'opera nello scorso ventennio.
Se vogliamo parlare seriamente di registi d'opera bisognerebbe fare riferimento a colossi come Jones, Bondy, Joosten, Warner (oltre per me lo stesso Carsen).
Con tutto il rispetto per Strehler (che fu uomo di grande cultura, talento e personalità), io credo che i suoi risultati nello specifico delle regie "musicali" siano stati alquanto modesti (con la sola eccezione del Flauto Magico, che infatti tutta musicale non è).
Ponnelle è un caso a parte: tecnicamente (ai suoi anni) innovativo, capace di soluzioni di straordinaria pregnanza (non sempre...).
Oggi però è arrivato il momento di piantarla di riallestire i suoi rossini.
Il genere è talmente evoluto che, di fronte a certe produzione di Jones, le regie di Ponnelle mi paiono di un'ingenuità tecnica paurosa.

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Messaggioda walpurgys » mar 27 nov 2007, 17:53

Ehi, quel Tannhauser con la regia di Alden è bellissimo!!! :D
Allora non hai visto la Walkiria in dvd diretta da Christoph Nel...credo uno degli spettacoli più orrendi e presuntuosi che siano mai stati consegnati al video
Di Vick ho visto solo i Maestri Cantori qui a Firenze ed è stato uno spettacolo stupendo!
Poi vabbè, la Traviata con la Bambolona di Verona c'è chi dice sia orrenda c'è chi grida al miracolo...

A me non danno fastidio gli spettacoli con regie alla tedesca, o attualizzati o decontestualizzati purchè anche nella loro ''non tradizionalità'' abbiano una loro coerenza, un loro coraggio, una IDEA sopratutto e siano portati in porto con genialità senza offendere ne la musica ne l'intelligenza del pubblico (che fischia e bua e non è cosi' scemo).
Ad esempio:
il Lohengrin politico di Ronconi
La Traviata liberty del Teatro di Cluj
l'Iris astratta e Manga di Modena
il Ring virtuale della Fura dels Baus
Il Barbiere labirintico di de Ana
Parsifal, Ring e Olandese di Kupfer
Salome alla Scala e quella di Svoboda
Don Carlo Londinese
Gli spettacoli di Miller, Asari, Brockhaus e Brooks
Etc.
Ma ci sono anche spettacoli ''tradizionali'', ma assolutamente mediocri come l'Aida a Verona di questa estate o quella Scaligera, oppure Trovatore portato a Firenze dal Teatro di Cluj assolutamente imbarazzante
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Messaggioda teo.emme » mar 27 nov 2007, 20:30

MatMarazzi ha scritto: Inoltre, invece di citare le provocazioni di Konwitschny e compagni (per altro, bisogna dire che le regie di Konwitschny saranno pure irritanti ma dimostrano un mestiere e una conoscenza specifica notevolissima), secondo me, Teo.Emme, avresti dovuto fare riferimento a gente come Kusej e Vick, che secondo me rientrano perfettamente nella tua descrizione di dilettanti politicamente orientati.


Mi spiace di essere stato frainteso: considero Carsen regista geniale (anche se forse un pò monointerpretativo), e non l'ho affatto inserito tra i minimalisti o giù di lì... Gli esempi che ho portato erano solo a titolo di divertimento, sono tra le cose più assurde mi sia capitato di vedere. So che c'è di peggio.

Su Strelher non sono d'accordo: per me è stato il più grande regista italiano (soprattutto di teatro), capace con pochi gesti e luci di "fare teatro", e pure nel teatro musicale ha fatto cose grandissime: Lohengrin, Così Fan Tutte, Nozze di Figaro, Don Giovanni, Simon Boccanegra, Ratto del Serraglio...insomma, secondo me sono state regie semplicemente sensazionali, tradizionali nella messa in scena, ma modernissime per il piglio teatrale. Pensa al Falstaff, coi suoi richiami padano/emiliani, che rimandano a certa nostra campagna (la stessa di Verdi), certe cascine e ville. Assolutamente geniale. O al Don Giovanni nelle ville venete e palladiane.
teo.emme
 

Messaggioda MatMarazzi » mar 27 nov 2007, 23:45

teo.emme ha scritto:Su Strelher non sono d'accordo: per me è stato il più grande regista italiano (soprattutto di teatro), capace con pochi gesti e luci di "fare teatro"


Vedi, Teo.Emme,
è vero che Strehler era uomo di grande cultura, sensibilità, senso del teatro (genericamente inteso).
Posso essere d'accordo con te che le idee alla base di certe regie di Strehler fossero efficaci (anche se le ville palladiane le aveva già ampiamente esplorate Losey).
Ma vorrei dire, in astratto, che le intenzioni, le idee, i punti di vista non bastano quasi mai, se si parla di arte.

Ci vuole la cosidetta "tecnica" (sia pure nell'accezione relativistica e convenzionale che siamo arrivati a darne in questo forum).
Se un regista non domina le specificità linguistiche del genere "opera" o in generale dello spettacolo musicale, è destinato a fallire l'obbiettivo.
E non perché non sia un grande "regista" in senso lato, ma perché si trova sguarnito di strumenti specifici.
Come un compositore d'opera non si valuta solo per la musica, ma per l'interazione contrappuntistica fra ogni singola nota e la parola su cui si innesta, così una regia d'opera non si dovrebbe - per me - valutare dalle idee o dalle provocazioni (o dalle fedeltà) o dalle ambientazioni, ma dal rapporto che riesce a costruire fra ogni singola immagine e ogni singolo suono proveniente dalla fossa.

Le regie di Strehler documentate dal video dimostrano a mio avviso le tipiche lacune della gestione musica-immagine proprie di chi è solito dedicarsi al teatro di parola (sia pure in modo molto icastico e immaginifico).
La sua fragilità di fronte a un concertato, ad esempio, o comunque a un pezzo chiuso, l'impaccio nel "muovere" la musica assecondandone ritmi, modulazioni, suggestioni sono tali che è persino imbarazzante proiettare un brano del suo celebre Macbeth a confronto con quello (discutibile finché vuoi a livello contenutistico ma tecnicamente fantasmagorico) di Pountney.
Un po' come mettere a confronto un frammento del suo Don Giovanni con quello tecnicamente virtuosistico e abbacinante di Brook.

Secondo me, Strehler non avrebbe dovuto dedicarsi alla regia dell'opera; per la stessa ragione per cui un grande pianista non dovrebbe fare un concerto in veste di violoncellista.
Per uscir fuori, la grandezza interiore ha bisogno di una capacità tecnica ed espositiva notevolissima.
Altrimenti... meglio uno un po' meno grande, ma tecnicamente più ferrato.

Certo, se il confronto è tra gli impacci e le fragilità di Strehler e quelli altrettanto gravi di Kusej (che ha per giunta l'aggravante di contenuti sciocchi e offensivi), allora meglio Strehler! :)

Quanto a Carsen, secondo me incappa nella ripetitività di cui parli solo quando affronta opere sbagliate per lui.
Uomo intelligentissimo, dominatore di linguaggi come nessun altro, mi pare che incespichi di fronte a opere di complessità intellettuale.

Intendiamoci: è un fortuna per Carsen di non essere il solito malinconico, supercilioso intellettuale all'europea.
Ma proprio per queseto, il suo essere così legato alla cultura di oggi, al giovanilismo di Internet, del cinema e della tv, il suo essere raffinato psicologo delle piccole o grandi nevrosi odierne, gli preclude (a mio pare) la comprensione della antiche inquitudini della nostra vecchia europa.
Niente di male ad essere espressione di una weltanschaung più giovane, globalizzata e moderna (che dell'Europa non sa più che farsi...), purché non si voglia mettere in scena il Cavaliere della Rosa o il Tannhauser!

Secondo me, il suo maggiore problema attualmente è di essere stato superato da ciò che lui stesso aveva originariamente scatenato: la rivoluzione immaginifica della regia attuale, che da decenni - prima del suo arriva - era arenata fra i fatiscenti totem ideologici di un certo intellettualistico euro-trash.

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Messaggioda teo.emme » mer 28 nov 2007, 0:47

Non sono d'accordo con te sulle presunte lacune di Strehler (e il confronto del suo Don Giovanni con quel pasticcio firmato da Losey lo trovo improprio). Comunque ciascuno ha i suoi gusti e le sue sensibilità. E naturalmente si parla comunque di grandi.

Su Carsen sono d'accordo con te, nel senso che alcune opere affrontate non gli erano congeniali. Trovo alla fine, che il ridurre tutto al dramma borghese (Ibsen, Checov, Strindberg) sia a volte abusato. A discapito di certi elementi che vengono tralasciati. Soprattutto penso al sacrificio della dimensione mitica (ad esempio in Rusalka).

Kusej è effettivamente pessimo, così come Konwitschny, Vick, Mussbach, Ronconi, Pier'Alli e compagni...

Mi piace molto Pelly, che ha realizzato un Elisir esattamente come lo immaginavo, ambientato negli anni '50... E Miller pure. Peccato non abbiano colto l'inutile 150° pucciniano per riprendere la sua Fanciulla del West alla Scala, invece dell'ormai decrepita Boheme (che con cadenza biennale ci tocca). E come dimenticare il Ring di Chereau?
Ultima modifica di teo.emme il gio 29 nov 2007, 13:38, modificato 1 volta in totale.
teo.emme
 

Messaggioda MatMarazzi » gio 29 nov 2007, 12:07

Caro Teo.Emme,
sulla Rusalka di Carsen si potrà prima o poi riprendere il discorso. Io ero a Parigi alla prima dell'opera e ti assicuro che la dimensione mitica non era affatto eliminata ma semplicemente trasferita da un piano favolistico a un piano (diciamo così) epico-contemporaneo.

Per ora, mi preme di più chiarire che personalmente non metterei sullo stesso piano un Kusej con gli altri da te citati:

teo.emme ha scritto:Kusej è effettivamente pessimo, così come Konwitschny, Vick, Mussbach, Ronconi, Pier'Alli e compagni...


Ronconi è un niente, sono d'accordo con te! dal punto di vista della gestione del materiale operistico e delle tecniche specifiche del teatro musicale è semplicemente un dilettante.
Di fronte alla povertà linguistica e formale delle sue regie musicali, arrivo a preferire le vergognose baracconate di Zeffirelli (che almeno la dialettica musica-immagine sa cos'è).
Sullo stesso piano di dilettantismo cronico metterei Vick.
Pier'alli poi è un piccolo prodotto italiano senza nessun reale interesse.
Al contrario Konwitschny e Mussbach non sono affatto improvvisati (specie il secondo).
Le loro regie sono tecnicamente molto raffinate e complesse: possiamo non condividere i contenuti, ma non accusarli di non conoscere il mestiere.
Una cosa è portare avanti estremismi e provocazioni SAPENDOLO FARE (come Mussbach e in parte Konwitschny); altra cosa è NON SAPENDOLO FARE (come Kusej e Bjeito).

Vorrei inoltre precisare che il confronto Strehler-Losey era solo dovuto al fatto che tu avevi elogiato l'ambientazione dongiovannesca del primo fra le ville palladiane: l'idea non era sua. tutto qui.
Per altro (considerata l'epoca) io non trovo così orrendo il Don Giovanni di Losey, anzi gli riconosco un'abilità nel accordare l'immagine (sia pure cinematografica) alla musica di tutto rispetto.

De gustibus... :)
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Messaggioda PQYD » gio 29 nov 2007, 21:26

MatMarazzi ha scritto:Una cosa è portare avanti estremismi e provocazioni SAPENDOLO FARE (come Mussbach e in parte Konwitschny); altra cosa è NON SAPENDOLO FARE (come Kusej e Bjeito).


Alt! Io sono un "detrattore" 8) giurato di Bieito, ma non mi sentirei di negarne la preparazione tecnica, tutt'altro. Il suo Wozzeck, per citare un titolo a caso, c'entra poco o nulla con l'opera di Berg ma è, sul mero piano tecnico, uno spettacolo di prim'ordine, con soluzioni visive di grande impatto e una gestione scafatissima dello spazio teatrale. Insomma ridurlo a una specie di dilettante mi sembra ingeneroso...
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Messaggioda MatMarazzi » sab 01 dic 2007, 11:51

PQYD ha scritto:Alt! Io sono un "detrattore" 8) giurato di Bieito, ma non mi sentirei di negarne la preparazione tecnica, tutt'altro. Il suo Wozzeck, per citare un titolo a caso, c'entra poco o nulla con l'opera di Berg ma è, sul mero piano tecnico, uno spettacolo di prim'ordine, con soluzioni visive di grande impatto e una gestione scafatissima dello spazio teatrale. Insomma ridurlo a una specie di dilettante mi sembra ingeneroso...


Non ho visto il Wozzeck, quindi su questo titolo gli posso concedere il beneficio del dubbio. Anche se, paradossalmente, credo sia molto più facile fare bella figura col Wozzeck che con Macbeth o Don Giovanni.
Purtroppo, invece, ho proprio visto Macbeth e Don Giovanni (per non parlare dell'obbrobrio più allucinante: il Rake's Progress).
Queste sono opere in cui le strutture musicali sono ingombranti...

Oddio, lo sono anche nel Wozzeck, ma la gente non se ne accorge: la musica del Wozzeck (per chi non sia in grado di riconoscere una passacaglia o un rondò dodecafonici) viene gestita dai registi come una persuasiva "colonna sonora" al dramma, che essi possono gestire come se fosse teatro di prosa.
Mille volte più difficile è restare a galla, laddove la musica si articola in forme solide e riconoscibili dal pubblico.
E' lì che si può giudicare la specifica capacità di un regista d'opera: che non è tanto quella di saper gestire lo spazio (qualsiasi regista anche di prosa lo deve saper fare) quanto di tenere in pugno l'interrelazione fra suono e immagine, fra struttura musicale e movimento.
In questo Bieito mi è parso un bambino che balbetta... e che ha successo solo grazie ai coiti e ai falli che distribuisce a piene mani nei suoi spettacoli.
Così tutti gli intellettualini che popolano i teatri d'opera (e che manco si accorgono di tutti le debolezze strettamente tecniche) possono uscire gongolanti dicendo: "ma che coraggioso è questo regista!" :(
:(

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Messaggioda PQYD » dom 02 dic 2007, 15:33

MatMarazzi ha scritto:saper gestire lo spazio (qualsiasi regista anche di prosa lo deve saper fare)


La verità è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere, diceva Lenny Bruce... :?
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Messaggioda Maugham » lun 18 feb 2008, 11:26

DA ALTRO THREAD

MatMarazzi ha scritto:
Epperò... se il telefono smettesse di suonare, mi piacerebbe sinceramente sentire le tue opinioni in merito.


E' un discorso piuttosto vasto che la comunità del forum ha già affrontato e che non ho ancora letto interamente. Perdona quindi le ripetizioni.

Cerco di esprimere il Maugham-pensiero :shock: in materia premettendo che non ho visto poi molto, in opera, e che non giro altrettanto molto. Quindi le mie esperienze sono legate soprattutto al video.

In cima alla piramide ci sono i registi d’opera "veri", come li definisci tu. Ce ne sono di grandi, di immensi, di piccoli, di piccolissimi. Hanno però un dato che li accomuna. Si tratta di artisti di grande intelligenza e cultura, che conoscono bene la sintassi dell’opera, hanno concetti più o meno originali (non importa) ma sanno comunque organizzarli in una poetica perfettamente riconoscibile. Sotto il profilo delle tecniche di palcoscenico sono dei magnifici professionisti e sanno far recitare anche un tronco. Quando raggiungono alti risultati i loro spettacoli sono una perfetta fusione tra musica, scene, luci, tempi comici o drammatici. Rivelano lati nascosti di opere che pensavi di conoscere a menadito, ti ribaltano prospettive, ti fanno sorgere domande. Insomma, mandano avanti la storia dell’opera nel nostro tempo. Poi, come dicevo, non metterei sullo stesso piano Carsen e Mussbach o Pelly e Boussard. Ma, senza dubbio, sono registi autentici. E te ne rendi conto anche quando sbagliano uno spettacolo. Non "svaccano" mai.

Poi ci sono (non in gerarchia, ovviamente) i registi che io chiamo “di tendenza” a cui offro diritto di cittadinanza ma che mi interessano il giusto, più come fatto di costume che di cultura. Tra i tanti, ad esempio Kusej, Bieito, Nel, tanto per restare in tema. Si tratta di artisti o anche solo di abili professionisti che si esprimono attraverso segni grafici più o meno incisivi. Con loro non è –o magari non è ancora- possibile parlare di poetica perché questi segni, riconoscibili immediatamente in quanto parte del nostro quotidiano, sono solo giustapposti e a volte nemmeno sviluppati. Si tratta solo di topoi presi dalla cultura maistream e delle mode più popolari del momento senza particolari elaborazioni. Pescano nel mondo delle convenzioni, dei trip, dei giovanilismi più smaccati e popolari, dei videogiochi e a volte confezionano il tutto con una buona dose di furbizia. Non sono mica visivamente brutti i loro spettacoli, intendiamoci!, semmai sono poveri di contenuti. Di solito questi registi, che ti immagini intenti a creare in qualche loft minimalista berlinese con le scrivanie di Alvar Alto, hanno un'ossessione che informa tutte le cose che fanno. Kusej, tanto per citare il già citato, è ossessionato dalla claustrofobia e dal sesso visto come sterile coazione a ripetere quindi priva di significato. :roll: Altri hanno, butto lì, il circo, l'ecologia, il militarismo, il multietnico... Quando quest’ossessione viene applicata a tappeto le forzature sono evidenti. Si tratta comuque di personaggi che parlano un linguaggio "tecno-estetico" proprio del nostro tempo e, se imbroccano lo spettacolo, come Kusej in Elektra o Bieito nel Wozzeck, si fanno ricordare. Quando toppano, o sono fastidiosi o semplicemente innocui. A volte il presunto aggiornamento di linguaggio di cui si fregiano è semplice giustapposizione. Come se un editore pubblicassi una nuova versione della Certosa accompagnando il testo di emoticons tanto per far vedere di essere al passo con i tempi.

Infine ci sono i registi che io definisco “arredatori”, ovvero quelli per cui una regia d’opera si esaurisce solo nella scenografia, nei costumi e nell’attrezzeria. :cry: Sia che facciano la cartolina Liebig o spendano capitali in pedane, ascensori, macchine idrauliche, pareti mobili, gira e volta, tutto finisce lì. Non c’è sviluppo, lavoro sui personaggi, drammaturgia. Amano le ambientazioni astratte poi i cantanti -lasciati a loro stessi- gesticolano come se fossero in un allestimento di Benois. I più aggiornati sotto il profilo tecnico lavorano molto con il multimediale (schermi, pannelli al plasma, proiezioni, laser) utilizzando questi mezzi per coprire, a volte, vuoti d’ispirazione o snodi teatrali di cui non sanno come venire a capo. Di tutti sono per me i più insidiosi perché, se il regista di tendenza nel bene o nel male comunque si espone, questi invece sanno come nascondersi nello sfarzo della confezione che, quasi sempre, è di gradevole impatto estetico per pubblico e stampa. Un esempio per me lampante di questa categoria è il neonato Ring della Fura a Firenze.

Ultimi, metto i simbolisti e i ricercatori attempati (Nekrosius), alcuni ancora fermi a Grotowsky e Artaud che, detto per inciso, è roba di un secolo fa. Loro procedono per enigmi, vedere i loro spettacoli è come fare i rebus su un giornale enigmistico. :?: :evil:

Ovviamente la mia divisione in categorie non è fissa. :D C'è chi trasmigra da una famiglia all'altra, c'è invece chi non trasmigra mai, c'è chi è salito in su e in giù....

Saluti
Willie
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Re:

Messaggioda Maugham » mar 11 mar 2008, 18:02

teo.emme ha scritto:3) un Ring che, per una volta, abbandona le consuete metafore nazionalsocialiste, per approdare in situazioni di degrado umano e sociale: nel Siegfried, il protagonista, con addosso una striminzita magliettina bisunta (con su scritto Siegfried), abita in una specie di cucina cenciosa dove un Mime con grembiulino cucina minestroni su di un sudicio fornello. Non so cosa succeda nella scena della forgiatura della spada, forse Notung sarà il dato che viene gettato nel brodo! Boh... Wotan arriva con giubbetto di pelle, occhiali da sole e berrettino dei New York Yankees! Anche di questo abbiamo il DVD!


E per fortuna che ce l'abbiamo. Il Siegfried di Morabito è molto interessante e forse il tassello meglio riuscito di quello strano Ring edito dalla TDK. Forse ti è sfuggito (anche perchè a quanto leggo ne hai visto solo un pezzetto - e non so come tu possa quindi esprimere un giudizio :wink: ) il senso di questo Siegfried che, scena dopo scena, cresce e matura arrivando a diventare uomo nell'ultima scena con Brunnhilde -che lo inizia alla femminilità- dopo aver ucciso e superato, tappa dopo tappa, le figure maschili (Mime, Wanderer, Fafner) che avrebbero dovuto essere per lui un viatico e invece erano solo ingombri.
Era la prima volta che vedevo quest'opera letta come un romanzo di formazione e devo dire che, come idea, ci sta tutta e mi ha convinto. Certo, perdonami, che se ci si ferma alle magliette, ai tinelli, ai berrettini, alle canne... e non li si legge come icone di un adolescente (cosa che, per Wagner, Siegfried deve essere) ma solo come trovatine per scandalizzare... è meglio mettere su un CD e immaginarsi panorami alpestri, dentate giogaie e romantici uragani :D :D :D
Saluti
William Somerset Maugham
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