I rischi di certe interpretazioni

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Tucidide » mer 02 apr 2008, 14:16

A seguito di alcuni scambi di vedute su qualche interprete d'opera, vi rendio partecipi di un mio dubbio.
La mia riflessione parte dalla questione sulla genericità di taluni interpreti, e sulla genialità, diversità, innovazione di altri.
Per non dilungarmi, comincio con gli esempi.
Prendiamo il caso di Jon Vickers: un tenore straordinario, un grandissimo interprete, capace di dare un volto ed una personalità nuovi a diversi personaggi da lui affrontati. Tralasciando ogni questione sull'aspetto tecnico, e concentrandomi sull'intepretazione, noto che Vickers aveva la tendenza a "problematizzare" i personaggi che cantava. Difficile immaginare un Infante di Spagna più controverso, smarrito e complessato di quello del 58 di Vickers, così come il suo celebratissimo Otello resta un paradigma di introspezione psicologica e di lacerazione via via più pronunciata. E gli esempi potrebbero essere molteplici.
Però, c'è un "però"! :D
Ammesso e non concesso che tutti i ruoli cantati da Vickers si giovino di un'interpretazione così tormentata e scavata, mi chiedo: e tutti gli altri? In altre parole: tutti quegli altri tenori che hanno affrontato o affrontano ruoli cantati da Vickers, non partono forse svantaggiati, dovendo comunque fare i conti con il suo modo di affrontare e risolvere i personaggi?
E proseguendo... siamo poi così sicuri che l'iper-problematizzazione che Vickers fa dei suoi personaggi sia davvero necessaria?
Per fare un altro esempio e non rinunciare ad un po' di autoreferenzialità, pongo il caso dell'Alcina della Fleming. Al di là dei gusti, della vocalità e delle questioni tecniche, ho cercato nella mia recensione di indagare i motivi del successo della sua personoficazione del ruolo della maga handeliana, spiegando i motivi che credo siano alla base della sua scelta interpretativa.
Tutto bene. Ma... ricordiamoci che siamo di fronte ad un FALSO. :)
Insomma, Handel NON aveva in mente un'Alcina così! :) Quella è una creazione della Fleming, che buona parte del pubblico ha assai apprezzato e che è rimasta nel cuore di molti. Ma sempre di falso si tratta.
E se io pretendessi di ritrovare il divismo hollywoodiano della Fleming in TUTTE le altre Alcina della storia, sarei ingiusto nei loro confronti. Loro fanno bene a NON fare come la Fleming.
E tornando a Vickers... il suo Don Carlo è complessato e lacerato, ma... non è che per caso si tratti di una sorta di falso anche questo? E' davvero così, Don Carlo, infante di Spagna? O non è semplicemente una GIGANTESCA, SCONVOLGENTE, SOVRUMANA interpretazione di Jon Vickers, ma pur sempre personale e discutibile?
La riflessione mi sorge leggendo i post di Matteo, Somerset e Pietro che lamentano un Bergonzi troppo ragioniere della musica, ed auspicando per Riccardo un fraseggio tormentato e lacerato, proprio come Vickers. Ora... è davvero necessario lo scavo psicologico lacerato e problematico di Jon Vickers per Riccardo, o si tratta piuttosto di un'altra magistrale interpretazione del tenore canadese, ma pur sempre sua e non obbligatoria?
Insomma, facendo un esempio paradossale: non ricordo se Vittorio Gassman o Carmelo Bene lesse con enfasi teatrale e voce impostata la lista della spesa, facendo sembrare le zucchine e la pasta concetti sconvolgenti e lacerazioni psicologiche enormi... Ma ovviamente, era un eccesso. Non mi si venga a dire che, solo perché abbiamo sentito come può essere emozionante la lista della spesa letta in quel modo, adesso ogni lettura diversa è sbagliata... Suvvia... la lista della spesa, lista della spesa è e lista della spesa rimane! Quella di Gassman o Bene è una meravigliosa impostura.
E Riccardo, Riccardo è e Riccardo rimane... anche se Vickers ce lo ha fatto sentire alla sua maniera! :)

Salutoni
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Messaggioda tatiana » mer 02 apr 2008, 14:47

Alberto, è molto interessante quello che scrivi. Ti risponderò più a lungo con calma. E davvero intrigante il tema che ci proponi.

A presto con una risposta più esauriente
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda VGobbi » mer 02 apr 2008, 22:23

Complimenti davvero Alberto per il tuo thread ricchissimo di spunti. E' logico che l'interpretazione di certi grandi artisti, tu giustamente hai citato Vickers come paradigma (ma si potrebbe citare un nome ancor piu' noto come quello della Callas), abbiano potuto influenzare gli spettatori, tale da minimizzare le interpretazioni di altri cantanti, giudicati - forse troppo frettolosamente o superficialmente - generici.

Il discorso, personalmente, lo suddividerei a tre categorie di appassionati :

:arrow: i melomani digiuni di nozioni musicali (per citare un esempio e riferendomi agli iscritti di questo forum, rientra il sottoscritto).

:arrow: i critici che sanno tranquillamente leggere lo spartito o saper distinguere una nota da un'altra (e' il caso di teo.emme).

:arrow: i critici-melomani, ovverossia coloro che sanno discernere la tecnica vocale del cantante, senza pero' restarne ancorato per poter giudicare una sua prestazione (rientra ad esempio il Marazzo).

Queste suddivisioni le trovo del tutto necessarie per un semplice motivo. I tre tipi di fruitori/melomani hanno necessariamente approcci totalmente diversi di ascolto. Il primo privilegia nel cantante la capacita' di coinvolgere l'ascoltatore emozionandolo, il secondo cura sopra tutto il lato musicale, la capacita' del cantante di sapersi attenere fedelmente allo spartito, il terzo e' una sintesi delle prime due categorie di ascoltatori.

Personalmente, rientrando nella prima specie, io ti rispondo solo da questo punto di vista. Ammettiamo che il Don Carlo di Vickers (live londinese del '58) sia clamorosamente un "falso", per me e' indifferente. Lo e' anzi tutto perche' sa regalare emozioni (la capacita' di regalare vari topos musicali con il fraseggio e l'intelligenza musicale che lo contraddistingue) e per la capacita' di coinvolgere l'ascoltatore con un'interpretazione partecipe, viva, reale, rendendo il suo tipo di canto ancor al giorno d'oggi attuale.

Spero di essere stato chiaro e di non aver scritto cavolate. :oops:
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda VGobbi » mer 02 apr 2008, 22:23

Complimenti davvero Alberto per il tuo thread ricchissimo di spunti. E' logico che l'interpretazione di certi grandi artisti, tu giustamente hai citato Vickers come paradigma (ma si potrebbe citare un nome ancor piu' noto come quello della Callas), abbiano potuto influenzare gli spettatori, tale da minimizzare le interpretazioni di altri cantanti, giudicati - forse troppo frettolosamente o superficialmente - generici.

Il discorso, personalmente, lo suddividerei a tre categorie di appassionati :

:arrow: i melomani digiuni di nozioni musicali (per citare un esempio e riferendomi agli iscritti di questo forum, rientra il sottoscritto).

:arrow: i critici che sanno tranquillamente leggere lo spartito o saper distinguere una nota da un'altra (e' il caso di teo.emme).

:arrow: i critici-melomani, ovverossia coloro che sanno discernere la tecnica vocale del cantante, senza pero' restarne ancorato per poter giudicare una sua prestazione (rientra ad esempio il Marazzo).

Queste suddivisioni le trovo del tutto necessarie per un semplice motivo. I tre tipi di fruitori/melomani hanno necessariamente approcci totalmente diversi di ascolto. Il primo privilegia nel cantante la capacita' di coinvolgere l'ascoltatore emozionandolo, il secondo cura sopra tutto il lato musicale, la capacita' del cantante di sapersi attenere fedelmente allo spartito, il terzo e' una sintesi delle prime due categorie di ascoltatori.

Personalmente, rientrando nella prima specie, io ti rispondo solo da questo punto di vista. Ammettiamo che il Don Carlo di Vickers (live londinese del '58) sia clamorosamente un "falso", per me e' indifferente. Lo e' anzi tutto perche' sa regalare emozioni (la capacita' di regalare vari topos musicali con il fraseggio e l'intelligenza musicale che lo contraddistingue) e per la capacita' di coinvolgere l'ascoltatore con un'interpretazione partecipe, viva, reale, rendendo il suo tipo di canto ancor al giorno d'oggi attuale.

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Maugham » gio 03 apr 2008, 12:45

La riflessione mi sorge leggendo i post di Matteo, Somerset e Pietro che lamentano un Bergonzi troppo ragioniere della musica, ed auspicando per Riccardo un fraseggio tormentato e lacerato, proprio come Vickers. Ora... è davvero necessario lo scavo psicologico lacerato e problematico di Jon Vickers per Riccardo, o si tratta piuttosto di un'altra magistrale interpretazione del tenore canadese, ma pur sempre sua e non obbligatoria?


Innanzitutto vorrei chiarire che Matteo e Pietro hanno dato questa definizione di Bergonzi.
Io no. Assolutamente.
L'ho definito addirittura uno dei miei tenori da comodino! :D :D :D
Ne ho però riconosciuto i limiti d'interprete. Che ci sono e che appaiono sempre più evidenti man mano che il tempo passa.
Perchè l'opera è teatro. E quindi si adatta (o almeno dovrebbe) adattarsi come un guanto ai tempi e ai contesti sociali che cambiano.
Tra tutte le forme d'arte è quindi quella che invecchia prima.
Il fatto che io ascolti con immenso piacere e rispetto Bergonzi è un elemento del tutto ininfluente ai fini di una discussione sulla drammaturgia verdiana.
E' un mio problema! :D
Non lo sarebbe se, cocciutamente, io mi incaponissi a considerare Bergonzi la pietra di paragone con cui misurare tutti i tenori successivi e addrittura precedenti e rimbeccassi chiunque si azzardasse a sostenere il contrario.
Ovvero elevassi a regola di discussione in una comunità il mio gusto personale.
Sarei un fan. E ai fans io non riconosco nemmeno il beneficio dell'emotività. In tutti i campi, sono solo degli sciocchini.
Poi, che le pantofole emiliane non convincano Matteo e io invece abbia in uggia l'olio d'oliva catanese se sparso ovunque, ci sta tutto e fa parte delle sensibilità individuali.
Perchè Matteo e Pietro e tu e altri in questo gruppo (a differenza di quanto accade in molte comunità virtuali simili) ci interroghiamo non solo sull'opera come fatto musicale (o ancora peggio esclusivamente vocale) ma come forma d'arte che ha come fine il palcoscenico.

Perdona la lunga premessa ma penso non sia inutile.

Da quello che ho scritto avrai capito che sono un possibilista e non sopporto i dogmatici.

Quindi il concetto di "interpretazione" obbligatoria per me non esiste.

Nè esiste, a ben guardare, l'interpretazione che salta fuori dal nulla come un coniglio dal cilindro.

In teatro tutto, anche l'interpretazione più innovativa e sconvolgente non nasce per caso nè tantomeno per illuminazione improvvisa di un cantante o di un regista particolarmente dotato.
Il Ring di Chereu -che tutti hanno definito rivoluzionario- nasce dalle letture wagneriane politiche di Herz nella Germania dell'Est che a sua volta si rifacevano al Wagner di Ejzenstein che a sua volta partiva da Appia. Per non parlare dell'incompiuto Ring ronconiano della Scala in cui molte idee sviluppate da Chereau (vedi lo specchio durante Als junger lebe che in Ronconi era lo scudo riflettente di Brunnhilde) già in potenza c'erano. E che Chereau conosceva bene perchè all'epoca era a Milano con Strehler. Chereau le ha ovviamente accolte e le ha trasformate in teatro mentre Ronconi le aveva messe giù, come suo solito, con intrigante accademismo.
Con questo non voglio dire che Chereau abbia copiato Ronconi! :D :D :D
Dico solo che tutto era nell'aria.
E quindi non posso coniugare il termine obbligo con qualcosa che invece fluisce, deriva, si rincorre...

Al massimo, per seguire il tuo ragionamento, potrei parlare di interpratazione vincolante.
Ovvero una lettura così persuasiva da cui pubblico e interpreti non possono prescindere a meno di non tornare indietro.


Ammesso e non concesso che tutti i ruoli cantati da Vickers si giovino di un'interpretazione così tormentata e scavata, mi chiedo: e tutti gli altri? In altre parole: tutti quegli altri tenori che hanno affrontato o affrontano ruoli cantati da Vickers, non partono forse svantaggiati, dovendo comunque fare i conti con il suo modo di affrontare e risolvere i personaggi?


Tutto dipende da quanto sia stata incisiva la lettura di Vickers o di chi per lui.

Tu parli di prosa e quindi (mi scuso se vado OT) voglio citare un esempio che penso possa definire meglio quanto intendo.

Quando Strehler si avvicinò al Giardino dei ciliegi di Cechov fu così convincente al punto da ... convincere tutti che la sua visione (incredibilmente arbitraria) di quel testo fosse "tradizione". Lettura, tra l'altro, anche questa non nata dal nulla ma che affonda le sue radici negli allestimenti russi di Stanislavski che Majakovski già allora definiva "fetore"... :roll:
Fondali bianchi, recitazione sussurrata e vagamente destrutturata, foglie che cadono, costumi chiari, battute appena accennate che vagano per la sala come bolle di sapone, malinconia impalpabile, vuoti al posto di pieni...
E pensare che Cechov aveva scritto il Giardino con in testa i ritmi, l'ironia, il disincanto del vaudeville!!!! :shock:
Strehler però fu così persuasivo ed esteticamente formidabile che per quasi vent'anni nessuna compagnia o teatro primario in Italia allestì il Giardino.
Perchè il pubblico della prosa aveva in testa quello di Strehler.
O almeno così credevano gli impresari.

Poi, a metà degli anni Novanta, arriva Gabriele Lavia.

E il Giardino acquista un ritmo, un nerbo, un chiaroscuro così marcato da far sobbalzare sulla sedia. Ti accorgi che i personaggi sono fatti di sangue, carne, che le passioni che li animano sono l'avidità, la protervia, l'egoismo, la stupidità, il capriccio...
Parafrasando una celebre frase del mio avatar... con Lavia ti accorgevi che anche le donne di Cechov hanno organi genitali e intestini.
Uno spettacolo straordinario.
Vincolante quanto quello di Strehler.
E dopo questo nessuno ha osato toccare il Giardino per altri dieci anni. :D
Era diventata un'altra tradizione.
Quest'anno ci hanno provato, con ottimi risultati, Bruni e De Capitani riportando il testo di Cechov alle origini "leggere" dell'originale.
Sta di fatto che nessuno, con un minimo d'intelligenza e spirito pratico, può ripresentare un Giardino alla Strehler.
L'allora "obbligatoria" lettura di Strehler è diventata... passato.

E Riccardo, Riccardo è e Riccardo rimane... anche se Vickers ce lo ha fatto sentire alla sua maniera! :)


Secondo me Riccardo, o il Giardino, i Ring invece cambiano.
O cambiamo noi.
E quindi anche loro cambiano.
Dipende se sei tolemaico o copernicano :D :D :D
Complimenti per gli argomenti tirati in ballo e per la rece dell'Alcina.

Saluti
William Somerset Maugham
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda MatMarazzi » ven 04 apr 2008, 17:55

Tucidide ha scritto:La riflessione mi sorge leggendo i post di Matteo, Somerset e Pietro che lamentano un Bergonzi troppo ragioniere della musica, ed auspicando per Riccardo un fraseggio tormentato e lacerato, proprio come Vickers. Ora... è davvero necessario lo scavo psicologico lacerato e problematico di Jon Vickers per Riccardo, o si tratta piuttosto di un'altra magistrale interpretazione del tenore canadese, ma pur sempre sua e non obbligatoria?


Caro Tucidide,
parto da questa frase, benché posta a chiusura del tuo post! :)
FErmo restando (ma lo dirò dopo) che io non ritengo affatto così "tormentato e lacerato" il Riccardo di Vickers, ti faccio presente che io:
1) non ho mai detto di cercare per Riccardo un fraseggio come quello di Vickers anche negli altri interpreti.
2) non ho mai preteso che la sua lettura fosse obbligatoria.

Ho citato Vickers (ma anche Pertile... e Pietro anche Roswaenge... ) solo come esempio di cantante che si rapportasse al personaggio per farne emergere qualcosa (discutibile, come tutto, ma tangibile) che avesse senso teatralmente e musicalmente.
Chiunque quanti Verdi (o qualsiasi altro ruolo del repertorio) questo dovrebbe fare.
Non ho affatto detto (come vorresti far credere! ;) ) che Pavarotti delude come Riccardo perché è diverso da Vickers!
Mi deluce perché non compie nulla di "teatralmente" e "musicalmente" rilevante (ammesso e non concesso che sia rilevante ciò che fa a livello vocale: sai, io non ho mai avuto i brividi nemmeno per il suo "iper-mediatizzato" timbro).
Vickers non è un'icona intimidatoria, e non è nemmeno un modello da imitare (e tantomeno la Fleming!:) )
Ma il fatto che sia riuscito a creare un Riccardo teatralmente e musicalmente vivo, non dovrebbe diventare una scusa per gli altri a fare "male".

Io non cerco nè genialità, nè diversità, nè innovazione (tutti termini che mi hai attribuito tu)
Io cerco, l'ho detto tante volte, solo teatro e musica.
...fermo restando che emettere dei suoni non è musica, e starsene immoti al centro del palcoscenico, come uno scolaretto che reciti la poesia di Leopardi senza capirci nulla... non è teatro.

Vickers è pieno di difetti, non è affatto il mio tenore prediletto, tantomeno in Verdi.
Lo trovo anzi spesso enfatico fino alla comicità, carismatico - certo - ma anche terribilmente goffo con quelle pose da "attorone", quel gesticolare gradasso, quel lambiccarsi nella dinamica e in altri compiacimenti di fraseggio.
Non parliamo del "buonismo" bigotto, da "colossal" anni 50, che contaminava tanti suoi personaggi "eroici" wagneriani.
Però, vedi, Vickers - quali che siano i risultati che ottiene - si pone problemi teatrali e musicali, quegli stessi che i Bergonzi, i Corelli, i Pavarotti non si pongono affatto!!!!
Quando si parla di Vickers, per contestarlo o ammirarlo, si parla di teatro e di musica.
E' un interprete d'opera, infatti.
...Non è uno che canta.


Però, c'è un "però"! :D
Ammesso e non concesso che tutti i ruoli cantati da Vickers si giovino di un'interpretazione così tormentata e scavata, mi chiedo: e tutti gli altri?


Io non li trovo affatto così "scavati" i personaggi di Vickers.
Lo sembrano al confronto di Bergonzi e Corelli o Pavarotti, ma di per sè Vickers è tutt'altro che un fine psicologo! :)
Se definiamo così lui, non saprei come definire Langridge ad esempio.
Come ho detto sopra, l'unica cosa che fa Vickers è rifelttere sulle ragioni teatrali e musicali di un ruolo, lavorarci sopra e pervenire a risultati che io non considero affatto "SOVRUMANI" come te, ma semplicemente RISULTATI, alle volte notevoli, alle volte strepitosi, alle volte modeste. Ma almeno sono risultati: ossia raffigurazioni teatrali e musicali di un personaggio.

In altre parole: tutti quegli altri tenori che hanno affrontato o affrontano ruoli cantati da Vickers, non partono forse svantaggiati, dovendo comunque fare i conti con il suo modo di affrontare e risolvere i personaggi?


:shock:
Bergonzi svantaggiato rispetto a Vickers?
Bergonzi che ha cantato la parte centinaia di volte in tutto il mondo, l'ha incisa due volte... mentre il povero Vickers l'ha fatto solo a Parigi e a Londra?
Avevo sempre pensato che partisse svantaggiato Vickers, perché privo di quelle sonorità "carine" che fanno impazzire il ...celebrato "pubblico".
Sarà un caso che il Radames di Vickers, il suo Don Carlos, il suo Riccardo (e praticamente anche il suo Otello) in Italia non si sono visti?

E proseguendo... siamo poi così sicuri che l'iper-problematizzazione che Vickers fa dei suoi personaggi sia davvero necessaria?


Come ho detto, secondo me non è affatto una "iper-problematizzazione"!!!!!
Non c'è nulla nei Verdi di Vickers (a livello di poetica e psicologia) che non sia tradizionale, romantico, "melodrammatico".
Dove avrebbe sfidato la tradizione? Dove avrebbe introdotto nuovi "problemi"?
Semmai è a livello di canto e di tecnica che Vickers ha introdotto elementi nuovi.
Ma a livello interpretativo non ci vedo nulla che trascenda una tradizionale lettura dei personaggi, certo molto ben realizzata.

Non è che vogliamo far passare per "iper-problematico" Vickers, solo per salvare la faccia di chi (a differenza sua) ha fallito l'obbiettivo di un interprete d'opera?
Non è che tentiamo di far passare per "sovraumano" (?) il fraseggio di Vicker solo per far passare per "umani" cantanti che non vanno oltre al solfeggio?

Insomma, facendo un esempio paradossale: non ricordo se Vittorio Gassman o Carmelo Bene lesse con enfasi teatrale e voce impostata la lista della spesa, facendo sembrare le zucchine e la pasta concetti sconvolgenti e lacerazioni psicologiche enormi... Ma ovviamente, era un eccesso. Non mi si venga a dire che, solo perché abbiamo sentito come può essere emozionante la lista della spesa letta in quel modo, adesso ogni lettura diversa è sbagliata... Suvvia... la lista della spesa, lista della spesa è e lista della spesa rimane! Quella di Gassman o Bene è una meravigliosa impostura.
E Riccardo, Riccardo è e Riccardo rimane... anche se Vickers ce lo ha fatto sentire alla sua maniera! :)


Riccardo è e rimano una creatura fatta di musica e di teatro.
E va esaltata sotto questo duplice aspetto.
Se Pavarotti (non essendone capace) ne fa una specie di "lista della spesa", non possiamo certo darne la colpa a Vickers! :)
L'impostura - per me - è quella di Pavarotti.

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Tucidide » ven 04 apr 2008, 18:59

MatMarazzi ha scritto:Ma il fatto che sia riuscito a creare un Riccardo teatralmente e musicalmente vivo, non dovrebbe diventare una scusa per gli altri a fare "male".

Sicuramente, questo è pacifico. :D

Vickers è pieno di difetti, non è affatto il mio tenore prediletto, tantomeno in Verdi.
Lo trovo anzi spesso enfatico fino alla comicità, carismatico - certo - ma anche terribilmente goffo con quelle pose da "attorone", quel gesticolare gradasso, quel lambiccarsi nella dinamica e in altri compiacimenti di fraseggio.
Non parliamo del "buonismo" bigotto, da "colossal" anni 50, che contaminava tanti suoi personaggi "eroici" wagneriani.
Però, vedi, Vickers - quali che siano i risultati che ottiene - si pone problemi teatrali e musicali, quegli stessi che i Bergonzi, i Corelli, i Pavarotti non si pongono affatto!!!!
Quando si parla di Vickers, per contestarlo o ammirarlo, si parla di teatro e di musica.
E' un interprete d'opera, infatti.
...Non è uno che canta.

Beh, allora siamo almeno in due a non amare alla follia VIckers... Anche se dal mio punto di vista è un interprete di straordinaria complessità... perché...

Dove avrebbe sfidato la tradizione? Dove avrebbe introdotto nuovi "problemi"?
Semmai è a livello di canto e di tecnica che Vickers ha introdotto elementi nuovi.
Ma a livello interpretativo non ci vedo nulla che trascenda una tradizionale lettura dei personaggi, certo molto ben realizzata.

... è questo secondo me il punto :D
Vickers cantava con emissione apertissima, non si curava per nulla della rotondità del suono, emetteva spesso suoni gracchianti e a volte davvero sgradevoli... come Blake, anche peggio. :D
Però è questo, come dicevo, il punto.
In Verdi, e anche in Wagner, quel tipo di canto rappresentava, soprattutto in quegli anni, una novità assoluta. Il mio amato Melchior, tenore orgogliosamente declamatorio, baritonale e dai suoni sempre saldissimi, non avrebbe mai emesso quei suoni. E c'è poco da fare: l'interpretazione è veicolata soprattutto dai suoni che il cantante emette. Il Tristan di Vickers è un personaggio tormentato perché è tormentata la sua voce: a lui basta, come tu dici, esasperare la dinamica, adagiarsi, e il tutto, che suonerebbe convenzionale se affidato ad una tecnica di emissione "tradizionale", diventa per incanto innovativo. E anche il personaggio ne esce scavato, tormentanto, sofferente. Non senti nel canto di Vickers l'insoddisfazione, la solitudine, la sconsolatezza? Certo, se quello stesso fraseggio fosse affidato alla voce di Melchior, o anche di Suthaus o Lorenz, sarebbe convenzionale, e non sortirebbe quell'effetto.
Per Verdi, lo stesso: da Tamagno a Del Monaco, quasi tutti gli Otello sono lucenti, eroici, in posa statuaria (con la grande eccezione di Vinay), poi arriva questo qua, e nell'Esulatate rimani interdetto: voce sfibrata, gracchiante, rauca... PAM!!! Fine delle certezze! :D
Dov'è l'eroe?

Non è che vogliamo far passare per "iper-problematico" Vickers, solo per salvare la faccia di chi (a differenza sua) ha fallito l'obbiettivo di un interprete d'opera?
Non è che tentiamo di far passare per "sovraumano" (?) il fraseggio di Vicker solo per far passare per "umani" cantanti che non vanno oltre al solfeggio?

Che poi sarebbe il "negativo" della domanda che mi pongo io... :D :wink:

Riccardo è e rimano una creatura fatta di musica e di teatro.
E va esaltata sotto questo duplice aspetto.
Se Pavarotti (non essendone capace) ne fa una specie di "lista della spesa", non possiamo certo darne la colpa a Vickers! :)
L'impostura - per me - è quella di Pavarotti.

Ma secondo te, nel primo atto del Ballo, dove Riccardo è spavaldo, sicuro, guascone, americanone convinto, il fraseggio ingenuamente solare di Pavarotti non è azzeccato? Che poi non sia frutto di una scelta consapevole, ma magari solo di una naturale propensione, è un altro discorso...
Magari manca il personaggio morso dal dubbio dell'ultimo atto, ma direi che Riccardo sia una delle interpretazioni migliori di Pavarotti...
Poi, per carità, son gusti... :wink:
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Maugham » sab 05 apr 2008, 10:53

Tucidide ha scritto:Ma secondo te, nel primo atto del Ballo, dove Riccardo è spavaldo, sicuro, guascone, americanone convinto, il fraseggio ingenuamente solare di Pavarotti non è azzeccato?


Davvero tu vedi così Riccardo nel primo atto?
Io ho qualche dubbio sulla genuinità di quella così esibita spensieratezza.
Guarda la tonalità dell'aria; fa diesis maggiore. :shock:
Strano che Verdi abbia scelto un tono così "femmineo" per esprimere spavalderia e sicurezza.
Di solito quando vuole esprimere la virilità e la mascolinità unita alla giovinezza usa armature più brillanti.
Radames entra in Si bemolle maggiore, il Duca in La bemolle Maggiore.
E quell'ambiguo passaggio in minore alla terza battuta?
E i cromatismi appena accennati che rendono la linea musicale così mobile e inquieta e mettono un fondo di amaro, di cupo, oserei dire di inquietante in questo sogno d'innamorato?
Secondo me Riccardo non ce la racconta tutta. :D
E quindi ritengo che a Pavarotti, così comiziante, sfugga una bella fetta del personaggio.
Ciao
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Teo » sab 05 apr 2008, 12:59

Maugham ha scritto:Secondo me Riccardo non ce la racconta tutta. :D
E quindi ritengo che a Pavarotti, così comiziante, sfugga una bella fetta del personaggio.


A mio parere qui sta il nocciolo della questione.
Non ci vedo nulla in Riccardo di spavaldo, guascone o di americanone, anzi tutt'altro.
Riccardo è un personaggio raffinato, ironico, ma anche pieno di lati oscuri e questo a mio avviso non ci viene presentato solo nelle scene finali dell'opera.
Non dimentichiamoci inoltre che il libretto nasce dall'opera di Scribe e Auber, Gustave III ou Le Bal masqué, l'ambientazione era la Svezia, nulla a che vedere con Boston e le colonie americane.
Come è noto, questa scelta fù certamente imposta prima dalla censura napoletana (inizialmente l'opera doveva andare in scena a Napoli) e poi, rotto l'accordo con Napoli, da quella di Roma. Ciò non toglie che quest'opera venne egualmente definita "una commedia con lati oscuri" e che per i suoi protagonisti, rimasero intatte le varie tinte e linee psicologiche del dramma iniziale (appunto Gustave III).
Anche la partitura è ricca di elementi ironici e drammatici (indubbie sono le influenze dell’opera francese).

A mio avviso il ruolo di Riccardo, sopratutto dagli anni 20 in poi, non è stato preso debitamente in considerazione da quella che è stata definita la cosiddetta ‘Verdi Renaissance’, poiché lo stile eterogeneo ha fatto pensare, a torto, a superficialità e a scarso approfondimento psicologico.

Che poi possa piacere un fraseggio solare come quello di Pavarotti o di un Carreras (caro Pietro anche io ho quel video scaligero e l'incisione in studio con la Caballe del 79, e a prescindere dalla diversa forma vocale rispetto al live da me inserito, che è innegabile, il risultato sul piano intepretativo non cambia, sempre li siamo...), è un altro conto, così come ritengo giustamente che Vickers offra un certo tipo di interpretazione anche se dalla sua non ha certo qualità vocali da vendere (IMHO ovviamente).
Dice bene l'amico Marazzi a proposito del paragone Lima & the others:
MatMarazzi ha scritto:Più che a suo merito, questo va - secondo me - a grave demerito degli altri


Il concetto è : vocalmente sei splendido, sentire per es. il Pava nel "la rivedrò nell'estasi" esteticamente parlando si rimane a bocca aperta...ma questo basta? viene inoltre da chiedersi : ma si sarà chiesto chi è sto Riccardo? avrà mai provato ad andare oltre quelle che sono le questioni legate alla linea di fraseggio o la messa a fuoco dei suoni? visto il risultato, dubito fortemente...
Anch'io spesso rimango estasiato dalla bellezza di una voce solare, ma se già in certi ruoli è un elemento che non basta ad appagare i miei sensi, figuriamoci in questo. Riccardo secondo me è proprio tutt'altra cosa.

Salutissimi.

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Maugham » sab 05 apr 2008, 16:15

l'incisione in studio con la Caballe del 79, e a prescindere dalla diversa forma vocale rispetto al live da me inserito, che è innegabile, il risultato sul piano intepretativo non cambia, sempre li siamo...)


Mah... a me Carreras in quel Ballo di Davis mi ha sempre dato l'idea di un Bruce Willis in canotta finito per caso sul set di un film di Ivory....

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda pbagnoli » sab 05 apr 2008, 18:00

Teo ha scritto: caro Pietro anche io ho quel video scaligero e l'incisione in studio con la Caballe del 79, e a prescindere dalla diversa forma vocale rispetto al live da me inserito, che è innegabile, il risultato sul piano intepretativo non cambia, sempre li siamo

Guarda, non ho l'incisione in studio, ho solo l'audio del live... et le charme opère.
Non sono un fanatico di Carreras (ma mi affascina in alcune interpretazioni), a prescindere non lo sceglierei come Riccardo (o Gustavo) ideale, eppure secondo me quella sera la imbrocca alla grandissima.
Poi - siamo d'accordo - le interpretazioni devono nascere da un progetto strutturato, devono ripetersi, eccetera, eccetera; però, quando sento quei dischi ho la sensazione di trovarmi veramente di fronte a Riccardo.
Sarà un caso, ovviamente. Però mi piace! :D
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda MatMarazzi » sab 05 apr 2008, 18:36

Tucidide ha scritto:Vickers cantava con emissione apertissima, non si curava per nulla della rotondità del suono, emetteva spesso suoni gracchianti e a volte davvero sgradevoli... come Blake, anche peggio. :D
Però è questo, come dicevo, il punto.


Be' Tucidide, se posso permettermi la battuta :), ho l'impressione che per te il "suono" sia molto importante, tanto da attribuirgli (al suono) responsabilità di tipo musicale e drammatico.
Insomma sei un po' dalla parte di Celletti, con la differenza che lui "esclude" tutta una serie di suoni (in quanto non belcantistici) che invece tu "ammetti" sulla scorta del piacere che procurano e dell'entusiasmo popolare che hanno suscitato.
Questo spiega perché tu ami gente come Melchior, la Flagstad, lo stesso Pavarotti (posso metterci, almeno per diversi personaggi, la Fleming?), benché come attori e musicisti abbiano spesso poco da dire o da dare. :)
Almeno a me pare così...

Ora io non ho nulla contro il suono, solo che non lo considero veicolo diretto di emozioni teatrali e musicali (se non in misura molto limitata).
Non mi convince l'idea che un suono "così e così" possa essere espressione di sensualità, o eroismo, o "iper-problematicità"...
Non nego che ci sia un po' di vero, e che un embrione di emozione teatrale e musicale sia contenuto già nel suono, ma poi l'arte del canto e dell'interpretazione sono cose talmente complesse da far passare il suono in secondo o terzo piano, almeno per me.

E' come quando (per fare un esempio) ti dicono che il tedesco è una lingua dura, dai suoni arcigni, mentre l'italiano ha una cantabilità infinitamente maggiore.
Ok, sarà pure vero... però quando senti un lied di Schubert o di Brahms, una simile constatazione ti appare inutile, di nessun interesse.
E, di tutto quello che avresti da dire, l'ultimo problema è "la durezza del tedesco".

Per me è lo stesso se parliamo di suono vocale.
Anche a me interessa che un cantante possieda una voce e una tecnica compatibile con le esigenze specifiche di un'opera (e credo che sia Vickers, sia Bergonzi, sia Pavarotti fossero da questo punto di vista dei Riccardi accettabili), ma giunti a questo siamo ancora a monte del problema.
Se bastasse aver un timbro "potenzialmente" giusto per essere degli interpreti operistici allora sarebbe un mestiere facile.
Il vero problema sono poi gli aspetti musicali e drammatici che configurano un'interpretazione.

In Verdi, e anche in Wagner, quel tipo di canto rappresentava, soprattutto in quegli anni, una novità assoluta.


Quindi secondo te l'effetto shock di Vickers è dovuto principalmente a ragioni vocali.
Io non credo.
Ricordo la prima volta che ho sentito "Dio mi potevi scagliar" dell'edizione Serafin (la scoprii nei primi anni '80)
Rimasi di stucco.
Ritenevo quel brano noioso ed enfatico, scarso di ispirazione, un insopportabile indugio narrativo utile solo a mettere in evidenza il tenore: questo era l'effetto (devo essere sincero) che mi aveva procurato Del Monaco e non solo lui.
Vickers è stato una rivelazione: con lui "Dio mi potevi scagliar" sembrava un grande Lied, anzi l'adagio di una sonata romantica.
La voce, il timbro nemmeno lo sentivo: sentivo la ricerca espressiva dell'interprete, fin nel cuore del colore, e la consapevolezza del musicista (che si impossessa del ritmo, lo manipola, se ne fa trascinare; che fra sussurri, crescendi, colori cangianti esalta la linerarità ossessiva e dolcissima del tema).
Stessa emozione con Aida: in teoria Vickers non ha niente di quel che mi aspetto da Radames (per cui preferisco un'interpretazione giovane e una vocalità acuta), ma almeno sento un tenore verdiano che è anche interprete e musicista.
Lauri Volpi ha tutte le caratteristiche che cerco in un Radames e che Vickers non ha.
E' acuto, giovanile, squillante, idealista.
Eppure alla fine preferisco Vickers, perché - anche se non ha la voce che vorrei - è un attore e un musicista di maggiore statura. E il suo Radames vive di questo.

E c'è poco da fare: l'interpretazione è veicolata soprattutto dai suoni che il cantante emette.

Per te! :) Per me è veicolata dalle sue risorse musicali e interpretative.

Il Tristan di Vickers è un personaggio tormentato perché è tormentata la sua voce: a lui basta, come tu dici, esasperare la dinamica, adagiarsi, e il tutto, che suonerebbe convenzionale se affidato ad una tecnica di emissione "tradizionale", diventa per incanto innovativo.

Io però non ho affatto detto questo.
Intanto per me il Tristano di Vickers non è poi così tormentato (certo! Può sembrarlo paragonato a Melchior! :) )
E' espressivo, è coinvolgente, ma non mi dà l'idea di una particolare profondità di intenti, nè di una vera comprensione di Schopenauer.
Ma se anche fosse come tu dici, se Vickers fosse un tristan tormentato e solitario, questo dipenderebbe secondo me dalla sua visione del personaggio e dalla capacità di comunicarla.
Non dal fatto (come tu pretendi) che sia tormentata la sua voce.

La Callas aveva una voce tragica e grandiosa? si, ok.
E questo spiega l'efficienza della sua Norma!
Ok, allora come giustifichiamo Fiorilla, Amina e Cio-cio-san?
Il "suono" non conta, nella definizione di una psicologia o di una poetica: conta la capacità tecnica dell'interprete e del musicista.
Devo dirla tutta? Spesso una voce molto caratterizzata, secondo me, lede un'interpretazione, perché l'interprete finisce per affidarvisi troppo.
Quante cantanti, con la voce sensualissima, finiscono per essere delle Carmen noiose?

Per Verdi, lo stesso: da Tamagno a Del Monaco, quasi tutti gli Otello sono lucenti, eroici, in posa statuaria (con la grande eccezione di Vinay), poi arriva questo qua, e nell'Esulatate rimani interdetto: voce sfibrata, gracchiante, rauca... PAM!!! Fine delle certezze! :D
Dov'è l'eroe?


Perché secondo te l'eroismo è dato dal timbro?
Un personaggio, secondo me, è eroico se "musicalmente e teatralmente" viene fatto eroico.
Non si è eroici perché - sia merto sia caso - uno si ritrova una voce stentorea.
Scusa se cito ancora il caso di Lauritz Melchior, come esempio di voce stentorea e saldissima, ma anche di personalità paccioccona, rilassata, prevedibile (con la facciotta sorridente, la panciotta abbondante, l'allegria da attempato chansonnier scandinavo). Non riuscirei a pensare a un Tristano meno eroico del suo.

Tu per esempio dici che nell'Esultate Vickers sembrava poco eroico?
Io ho i miei dubbi.
Quando il pubblico vedeva irrompere in scena quel gigante che si muoveva come un leone fra lampi e marosi, lanciando sferzanti sguardi "azzurri", non credo che avesse una sensazione di eroismo inferiore a quella che dava Del Monaco, piccoletto, coll'orecchino e molto meno spettacolare nella recitazione.
Inoltre a me l'"Esultate" di Vickers ha sempre dato l'idea di una forza smisurata.
Sarà per come si avventava sul ritmo (invece di indugiare mezz'ora su ogni nota); sarà per come articolava le sillabe e arrotava le r (l'orrrrgoglio, in marrr, nostrrrra, glorrrrria), sarà anche per quell'impeto di lotta contro gli elementi che l'appoggiatura sul si naturale - steccata la metà delle volte - non riusciva a ridurre.
L'"Esultate" di Del Monaco era elettrizzante (a livello sonoro) ma Vickers lo superava per l'intensità gigantesca e guerriera.

L'ho già detto tante volte e so di risultare pedante e ripetitivo: ma per me si può essere terrorizzanti con una voce chiara e acuta, così come si può essere seducenti con voci aspre, o eroici con voci morbide e vellutate.
Se usi gli strumenti della musica e della recitazione, il suono si riduce a essere un accessorio, imprescindibile ok, ma pur sempre accessario.
Almeno per me.

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Tucidide » sab 05 apr 2008, 21:12

Ti giuro, Mat: discutere di queste cose mi fa un enorme piacere.
Rispondo volentieri alle tue argomentazioni (queste sì, argomentazioni, non dogmi stupidi) :D

MatMarazzi ha scritto:Be' Tucidide, se posso permettermi la battuta :), ho l'impressione che per te il "suono" sia molto importante, tanto da attribuirgli (al suono) responsabilità di tipo musicale e drammatico.

Hai perfettamente ragione. :D
Insomma sei un po' dalla parte di Celletti, con la differenza che lui "esclude" tutta una serie di suoni (in quanto non belcantistici) che invece tu "ammetti" sulla scorta del piacere che procurano e dell'entusiasmo popolare che hanno suscitato.

E ti pare una differenza da poco? :wink:
E poi io non li "ammetto", quei suoni, ma li reputo fondamentali, storicamente e drammaturgicamente.
Esempio: vidi una recita amatoriale o quasi di Antigone di Sofocle dove Creonte talvolta urlacchiava con suoni rauchi, e del tutto non "impostati". Forse, era l'attore poco bravo :wink: , ma ricordo che mi fece molto effetto, perché suoni così sgradevoli, sforzati, brutti, che ricordavano i discorsi di Hitler, mi creavano un qualcosa di nuovo, un Creonte nuovo.
Questo spiega perché tu ami gente come Melchior, la Flagstad, lo stesso Pavarotti (posso metterci, almeno per diversi personaggi, la Fleming?), benché come attori e musicisti abbiano spesso poco da dire o da dare. :)
Almeno a me pare così...

Ti pare benissimo: esempio per ciascuno dei nomi che citi: Melchior come Siegfried (quella forgiatura!!!!), la Flagstad come Isolde (e quando è declinante, quel timbro sontuoso con crepe aperte... una libidine assoluta :oops: ), Pavarotti come Duca di Mantova (un corpulento signorotto rozzo e provinciale, ingenuo e scanzonato), la Fleming come Alcina, per tutti i motivi che spiego nella recensione.
Ora io non ho nulla contro il suono, solo che non lo considero veicolo diretto di emozioni teatrali e musicali (se non in misura molto limitata).
Non mi convince l'idea che un suono "così e così" possa essere espressione di sensualità, o eroismo, o "iper-problematicità"...
Non nego che ci sia un po' di vero, e che un embrione di emozione teatrale e musicale sia contenuto già nel suono, ma poi l'arte del canto e dell'interpretazione sono cose talmente complesse da far passare il suono in secondo o terzo piano, almeno per me.

Sai, per me la voce, soprattutto quando parliamo di dischi, non di esperienze live o video d'opera, è come la faccia ed il fisico per un'attrice o un attore.
Esempio: prendiamo Marilyn Monroe o Anna Magnani. Con tutta la stima che posso avere per l'abilità attoriale di entrambe (più della seconda che della prima), io non riuscirei ad immaginarmi la Magnani in "A qualcuno piace caldo" o la Monroe in "Roma città aperta".
Insomma, prima ancora dell'allure che le due attrici sprigionavano, in entrambi i casi straordinaria, è proprio dalla fisicità di esse che si ha il primo forte impatto per lo spettatore.
Poi, tu potrai dire che fermarsi alla faccia popolana della Magnani sia riduttivo, così come lo è fermarsi alle procaci forme di Marilyn, ma insomma, quello è un biglietto da visita forte, almeno per me.
Per me è lo stesso se parliamo di suono vocale.
Anche a me interessa che un cantante possieda una voce e una tecnica compatibile con le esigenze specifiche di un'opera (e credo che sia Vickers, sia Bergonzi, sia Pavarotti fossero da questo punto di vista dei Riccardi accettabili), ma giunti a questo siamo ancora a monte del problema.
Se bastasse aver un timbro "potenzialmente" giusto per essere degli interpreti operistici allora sarebbe un mestiere facile.
Il vero problema sono poi gli aspetti musicali e drammatici che configurano un'interpretazione.

Beh, dal mio punto di vista qualsiasi voce, anche la più "comune", ha una serie di ruoli per i quali è tagliato particolarmente.
Ma non è facile come dici tu... perché un cantante non può cantare all'infinto gli stessi tre o quattro ruoli. E dove il timbro non ti assiste, devi cercare altre risorse.
Per fare un esempio: Alagna ha per me il timbro perfetto per Nemorino: simpatico, schietto, ruspante. E difatti Alagna è un Nemorino stupendo, che personalmente preferisco a TUTTI gli altri che conosco.
Ma Rototò non poteva cantare l'Elisir tutta la vita, e per altri ruoli s'è dovuto impegnare di più (a volte ha combattuto la natura del suo timbro, con i risultati :? che sappiamo).
Quindi secondo te l'effetto shock di Vickers è dovuto principalmente a ragioni vocali.
Io non credo.
Ricordo la prima volta che ho sentito "Dio mi potevi scagliar" dell'edizione Serafin (la scoprii nei primi anni '80)
Rimasi di stucco.
Ritenevo quel brano noioso ed enfatico, scarso di ispirazione, un insopportabile indugio narrativo utile solo a mettere in evidenza il tenore: questo era l'effetto (devo essere sincero) che mi aveva procurato Del Monaco e non solo lui.
Vickers è stato una rivelazione: con lui "Dio mi potevi scagliar" sembrava un grande Lied, anzi l'adagio di una sonata romantica.
La voce, il timbro nemmeno lo sentivo: sentivo la ricerca espressiva dell'interprete, fin nel cuore del colore, e la consapevolezza del musicista (che si impossessa del ritmo, lo manipola, se ne fa trascinare; che fra sussurri, crescendi, colori cangianti esalta la linerarità ossessiva e dolcissima del tema).
Stessa emozione con Aida: in teoria Vickers non ha niente di quel che mi aspetto da Radames (per cui preferisco un'interpretazione giovane e una vocalità acuta), ma almeno sento un tenore verdiano che è anche interprete e musicista.
Lauri Volpi ha tutte le caratteristiche che cerco in un Radames e che Vickers non ha.
E' acuto, giovanile, squillante, idealista.
Eppure alla fine preferisco Vickers, perché - anche se non ha la voce che vorrei - è un attore e un musicista di maggiore statura. E il suo Radames vive di questo.

Ti do ragione, ma allora sei d'accordo con me: :) non trovi convenzionali i suoi personaggi verdiani...
Ma ti faccio un'obiezione: secondo te, un tenore alla Del Monaco, o alla Corelli, dalla voce e dall'emissione più "normali", sortirebbero lo stesso effetto, se cantassero con la stessa cura di fraseggio di Vickers? Insomma, se dessi l'intelligenza musicale e teatrale di Vickers a Del Monaco, non cambierebbe nulla? Secondo me sarebbe tutta un'altra storia. Ma magari mi sbaglio, per carità.

Intanto per me il Tristano di Vickers non è poi così tormentato (certo! Può sembrarlo paragonato a Melchior! :) )
E' espressivo, è coinvolgente, ma non mi dà l'idea di una particolare profondità di intenti, nè di una vera comprensione di Schopenauer.
Ma se anche fosse come tu dici, se Vickers fosse un tristan tormentato e solitario, questo dipenderebbe secondo me dalla sua visione del personaggio e dalla capacità di comunicarla.
Non dal fatto (come tu pretendi) che sia tormentata la sua voce.

La Callas aveva una voce tragica e grandiosa? si, ok.
E questo spiega l'efficienza della sua Norma!
Ok, allora come giustifichiamo Fiorilla, Amina e Cio-cio-san?
Il "suono" non conta, nella definizione di una psicologia o di una poetica: conta la capacità tecnica dell'interprete e del musicista.
Devo dirla tutta? Spesso una voce molto caratterizzata, secondo me, lede un'interpretazione, perché l'interprete finisce per affidarvisi troppo.
Quante cantanti, con la voce sensualissima, finiscono per essere delle Carmen noiose?

OK. Tirando fuori la Callas, dovrei sentirmi "battuto". :D Perché in effetti la Callas è una grande Amina e Fiorilla (per Butterfly, sono più dubbioso).
Ma adesso vorrei introdurre una cosa per me importante, ossia "l'effetto sorpresa".
Dopo anni di Amine sopranini, sentire la Callas, con quella voce tragica e grandiosa, era una RIVOLUZIONE. Insomma, anche se poi c'era alle spalle (e chi lo potrebbe negare?) il suo mostruoso talento di fraseggiatrice, si partiva dalla frizione fortissima con la tradizione.
Secondo me, un soprano con l'intelligenza della Callas e la voce della Dessay non avrebbe fatto un'Amina così rivoluzionaria.
Però... c'è un però! Quando canti un ruolo per il quale la tua voce sarebbe "non indicata", devi essere davvero bravo, e rendere il tutto coerente.
Vickers non ha, per me, il timbro da Otello, ma per le virtù di fraseggio che tu hai sapientemente (e ti rinnovo l'invito a scrivere qualcosina e pubblicarlo :wink: ) enucleato, ti fa un Otello sconvolgente: e l'effetto è tanto più grande, quanto più la sua voce è la negazione di Otello (o dell'Otello che io ho ion mente).

Perché secondo te l'eroismo è dato dal timbro?

D'emblée, sì.
Tu per esempio dici che nell'Esultate Vickers sembrava poco eroico?
Io ho i miei dubbi.
Quando il pubblico vedeva irrompere in scena quel gigante che si muoveva come un leone fra lampi e marosi, lanciando sferzanti sguardi "azzurri", non credo che avesse una sensazione di eroismo inferiore a quella che dava Del Monaco, piccoletto, coll'orecchino e molto meno spettacolare nella recitazione.
Inoltre a me l'"Esultate" di Vickers ha sempre dato l'idea di una forza smisurata.
Sarà per come si avventava sul ritmo (invece di indugiare mezz'ora su ogni nota); sarà per come articolava le sillabe e arrotava le r (l'orrrrgoglio, in marrr, nostrrrra, glorrrrria), sarà anche per quell'impeto di lotta contro gli elementi che l'appoggiatura sul si naturale - steccata la metà delle volte - non riusciva a ridurre.
L'"Esultate" di Del Monaco era elettrizzante (a livello sonoro) ma Vickers lo superava per l'intensità gigantesca e guerriera.

Tutto vero, ma secondo me proprio la patina aspra del timbro contribuisce: la "lotta contro gli elementi" mi viene (almeno per il mio sentire) veicolata proprio da quella voce rauca, che quasi sembra non voler uscire, o uscire a fatica...
L'ho già detto tante volte e so di risultare pedante e ripetitivo: ma per me si può essere terrorizzanti con una voce chiara e acuta, così come si può essere seducenti con voci aspre, o eroici con voci morbide e vellutate.
Se usi gli strumenti della musica e della recitazione, il suono si riduce a essere un accessorio, imprescindibile ok, ma pur sempre accessario.
Almeno per me.

Ancora tutto vero, ma dal mio punto di vista, aggiungerei una cosa: si può essere tutto quello che dici tu, ad esempio "terrorizzanti con una voce chiara ed acuta", ma l'interpretazione sarà commisurata alla voce.
Per questo dico che se hai la voce "contraria" al personaggio che interpreti, sarai costretto a cercare un fraseggio 'diverso', e questo si manifesterà in un'interpretazione più "personale" di quella di chi ha la "voix du role", che magari rischia di cantarsi addosso. :D

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda MatMarazzi » dom 06 apr 2008, 13:55

Tucidide ha scritto:Sai, per me la voce, soprattutto quando parliamo di dischi, non di esperienze live o video d'opera, è come la faccia ed il fisico per un'attrice o un attore.

Anche per me! :)
Esempio: prendiamo Marilyn Monroe o Anna Magnani. Con tutta la stima che posso avere per l'abilità attoriale di entrambe (più della seconda che della prima), io non riuscirei ad immaginarmi la Magnani in "A qualcuno piace caldo" o la Monroe in "Roma città aperta".

Neanche io, ma non credo che sia solo questione di fisico.
Anzi, credo che quello sia l'aspetto meno importante.
Io non mi intendo di cinema, ma ritengo che entrambe le dive avessero uno stile estremamente connotato, che per giunta hanno applicato a parti sempre piuttosto simili.

Però se tu avessi sostituito marylin con una qualsiasi altra bionda maggiorata, l'effetto di "a qualcuno piace caldo" non sarebbe stato lo stesso. L'inimitabile cocktail di manierismo, candore e impudicizia che Marylin sapeva produrre non sarebbe stato facilmente sostituibile quanto un bel paio di tette.
Lo stesso sarebbe successo se tu avessi sostituito Nannarella in "Roma città aperta" con una qualsiasi attrice italiana mora e romanaccia della sua epoca. Intervengono, infatti, connotazioni "attorali", mimiche, di pronuncia, di gestione dei tempi, di articolazione delle espressioni, di manierismi persino che rendono uniche le grandi performances di un attore... ben al di là dell'aspetto fisico.
D'altronde basta prendere attrici un po' meno "connotate" (anzi, fieramente eclettiche) come Meryl Streep per vedere come l'aspetto fisico divenga elemento sempre meno interessante. Da quello stesso corpo sono uscite donne sofisticate e operaie passionarie, malinconiche sognatrici e spudorate mangia-uomini.
Tutto sta (almeno per me) in quella difficilissima arte che è l'interpretazione.

Beh, dal mio punto di vista qualsiasi voce, anche la più "comune", ha una serie di ruoli per i quali è tagliato particolarmente.

:)
Mi spiace Tucidide... ma proprio non la penso per niente così! :)
Anzi, questa è una delle tesi che più avverso!
Non è la voce che ti rende "tagliato" per un ruolo.
E' la personalità! E' il talento tecnico, la consapevolezza musicale...

Alla voce io richiedo solo di essere più o meno compatibile con le esigenze di un ruolo.
Ma una che non sa nemmeno cos'è il sesso, non potrà essere "tagliata per Carmen" solo perché ha una voce così e così...
Una che ha l'autorevolezza umana di una dattilografa non potrà essere "tagliata per la Regina Elisabetta" solo perché ha una voce così e così.
un cantante non può cantare all'infinto gli stessi tre o quattro ruoli. E dove il timbro non ti assiste, devi cercare altre risorse.

Ma secondo me il timbro non ti assiste mai, secondo me, come un volto non assiste un attore, se non c'è un determinante lavoro di costruzione interpretativa.
Poi è chiaro che Carlo delle Piane a settant'anni non potrebbe essere convincente come Romeo.
Ma non sarà convincente come Romeo nemmeno uno dei palestrati protagonisti del Grande Fratello, se non sa recitare.
E non basterà il "volto" ad assisterlo.

Per fare un esempio: Alagna ha per me il timbro perfetto per Nemorino: simpatico, schietto, ruspante. E difatti Alagna è un Nemorino stupendo, che personalmente preferisco a TUTTI gli altri che conosco.
Ma Rototò non poteva cantare l'Elisir tutta la vita, e per altri ruoli s'è dovuto impegnare di più (a volte ha combattuto la natura del suo timbro, con i risultati :? che sappiamo).


L'evidenza di Alagna nell'Elisir non riguarda solo il timbro, ma un certo tipo di adesione, di fisicità, di sensibilità, di mimica, di espressività.
Il fallimento di Alagna in altri personaggi non è certo dovuto al trimbro. Anzi, se lo avesse assecondato di più (il suo vero timbro) sarebbe probabilmente rimasto il miglior Radames della sua generazione, come parve a me quando lo sentii al suo debutto nel ruolo a Copenhagen.

vorrei introdurre una cosa per me importante, ossia "l'effetto sorpresa".
Dopo anni di Amine sopranini, sentire la Callas, con quella voce tragica e grandiosa, era una RIVOLUZIONE. Insomma, anche se poi c'era alle spalle (e chi lo potrebbe negare?) il suo mostruoso talento di fraseggiatrice, si partiva dalla frizione fortissima con la tradizione.

Ma... e basta questo?
:)
Quando la Callas fu scritturata alla scala in Turco in Italia (54) la gente fu ancora più costernata che per Lucia.
In fondo, come Lucia, la Callas era comunque in un terreno tragico.
Ma in questa petulante damina dai femminismi napoleonici e dagli amorazzi piccolo-borghesi come avrebbe potuto sopravvivere la tragicità della Callas.
La Callas in questo ruolo conquista al primo ascolto: è divertentissima, ironica, allusiva. E al timbro non ci fai nemmeno caso: ed è normale! Non è per il timbro che riesce ad essere divertente, ironica, allusiva; lo è per i giochi di colore, per l'ariosità del fraseggio, per gli indugi ritmici (certi sincopati "swing" deliziossimi), per gli ammiccamenti espressivi, ossia per tutto quello che è e riguarda l'interpretazione musicale e drammatica.

dal mio punto di vista, aggiungerei una cosa: si può essere tutto quello che dici tu, ad esempio "terrorizzanti con una voce chiara ed acuta", ma l'interpretazione sarà commisurata alla voce.

In che senso? Che se una ha una vocina chiara e acuta non potrà poi essere ...così terrorizzante e quindi dovrà "umanizzare" il personaggio? :)
Ne sei davvero sicuro?
Io non la penso affatto così! :) il volume non terrorizza! Il colore nemmeno. L'interprete sì!
Ci sono certi sussurri di Langridge come Sujiski che ti gelano il sangue.
Tutte le urla di Gobbi in Scarpia al confronto sono una filastrocca da bambini.
Provare per credere... :)

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda VGobbi » dom 06 apr 2008, 22:58

MatMarazzi ha scritto:Ne sei davvero sicuro?
Io non la penso affatto così! :) il volume non terrorizza! Il colore nemmeno. L'interprete sì!
Ci sono certi sussurri di Langridge come Sujiski che ti gelano il sangue.
Tutte le urla di Gobbi in Scarpia al confronto sono una filastrocca da bambini.
Provare per credere... :)

Le urla, come te le chiami, di Gobbi son per me suoni significanti. Qualche problema? :twisted:

E' curioso che soprassiedi sulle urla di un Vickers, o meglio (direi peggio a dir la verita') di una Brouwenstijn e ti fermi al registro acuto di Gobbi, di cui anche i sassi sanno che non e' mai stato il suo forte. Erano ben altre le doti del baritono veneto, tanto acclamato in tutto il mondo ed artista preferito di una certa Callas, che di lirica, di canto e d'interpretazione qualcosa ne sapeva. Di Gobbi si ammira il fraseggio, la dizione, una voce che si adatta al personaggio che interpreta. Checche' ne pensiate, e' tutt'altro che artista monocolore. E' un falso luogo comune che sarebbe ora di smentire.
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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