il rapporto fra spartito e interpretazione

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Messaggioda Riccardo » mar 09 ott 2007, 12:19

MatMarazzi ha scritto:Ora ti faccio una domanda.
Ti capiterà di andare al cinema con i tuoi amici, naturalmente.
E ovviamente vedrai i film doppiati.
Sinceramente ogni volta che esci dal cinema gridi allo scandalo?
Ti metti a fare il pistolotto ai tuo compagni di serata su.. quanto è importante la lingua originale, su quanto sia necessario alla comprensione del film....
Rispondo io: no!
O magari lo farai una volta, quando - nel bar dopo il cinema - tu e i tuoi amici capitate a parlare dell'argomento.

Ma non è questo il caso! Io parlavo di appasionati di cinema come noi lo siamo di opera, il che ovviamente non contempla chi va al cinema una volta ogni tanto a vedere la nuova uscita per passare due ore di svago.

Parlo di chi sul cinema si interroga, studia, storicizza e ragiona. Un po' come noi per l'opera... È ben diverso da chi ogni tanto va a teatro per gustarsi un buono spettacolo, senza magari nemmeno interessarsi di chi siano gli interpreti.

"Taglio perché una volta tagliavano".

Non è molto diverso da "non taglio perchè oggi va di moda non tagliare"
Sono punti di vista che possiamo sposare o rigettare. In tutti i casi sono scelte (degli interpreti ma anche nostre). Non dogmi.
almeno per come la vedo io.

Ma certo, ma allora quali sono i dogmi?
Non certo che la Silja è brava mentre Pavarotti è inutile è trascurabile...:)

Io sono d'accordo con te che tutto sia relativo. Ma, proprio per questo, da qualche parte bisogna agganciarsi, e il testo, denominatore comune per chiunque, mi sembra il luogo migliore a cui farlo.

Io comunque non discuto la storicizzazione. Concordo sulla Callas, Serafin, i tagli etc etc.

Ma rimango dell'idea, come ho provato a spiegarti in quel lungo e cervellotico thread estetico, che un conto sia la storicizzazione, un'altro il momento in cui prendi un disco per fruire oggi, hic et nunc di un'interpretazione.
Nel momento della fruizione valgono per forza i gusti e le tendenze di oggi, per cui quel che appartiene al passato, in questo sistema di percezioni legato al presente, risulterà semplicemente vecchio!

Sulla base di questo non condivido ad esempio altre cose, come gli entusiasmi su Rattle che hai espresso in altro thread, ma meglio non andare troppo OT! :wink:

Salutoni,
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Messaggioda beckmesser » mar 09 ott 2007, 14:56

Purtroppo la generale tendenza è quella di scambiare le convenzioni di oggi (quelle a cui abbiamo giustamente aderito) per "leggi" universali.
E' una tendenza diffusissima in tutte le epoche.


Sono sostanzialmente d’accordo, ed aggiungo che a mio parere anche in questo campo, come in altri, si va a fasi. Dopo un periodo (fino agli ’60, grosso modo) in cui era considerato normale fare quello che si voleva di un testo, si è passati ad un altro periodo (credo in concomitanza con la riscoperta di un repertorio, soprattutto rossiniano, che imponeva il recupero di una prassi esecutiva ormai perduta) in cui il rispetto del testo era condizione imprescindibile per cercare di recuperare la prassi esecutiva di uno stile ormai perduto. Ora che questo stile (intendo in genere quello dell’opera italiana primo-ottocentesca) è stato recuperato, a mio parere si è pronti per ri-allentare un po’ le maglie. Quello che a mio parere è importante è che le maglie vengano allentate per una precisa scelta interpretativa, e non per semplice comodità o superficialità.

Prendiamo il caso dei tagli. Sono sempre stato abbastanza rigido nel pretendere il rispetto del testo così com’è, ma mi sto accorgendo sempre più che anche questo integralismo può diventare una forzatura, nel senso che può diventare un limite per artisti (direttori, registi) che hanno qualcosa da dire. Faccio un esempio pratico. Le due ultime Traviate che ho sentito sono state alla Scala a luglio e a Parma qualche giorno fa. In entrambi i casi i tagli erano quelli tradizionali, fra cui l’intera cabaletta di Germont. La mia reazione (che conta quel che conta) è stata diversa: alla Scala, non appena (dopo “dunque invano parlato ti avrò”) ho realizzato che il taglio ci sarebbe stato, la mia prima reazione è stata di togliermi una scarpa e tirarla in testa a Maazel. A Parma invece no, non mi ha dato fastidio. Mi sono chiesto il perché, e la ragione per me è solo che alla Scala l’intero spettacolo, fra la Cavani e Maazel, era completamente senza idee, e quindi quel taglio era solo per comodità, non aveva altra giustificazione se non il rispetto di una tradizione ormai frusta. A Parma l’intera impostazione (direttoriale ma soprattutto registica) del personaggio di Germont era tale per cui quella cabaletta non solo non era necessaria, ma proprio non ci sarebbe stata. È prevaricazione sulla volontà dell’autore? Forse sì, ma quella prevaricazione mi ha dato una delle emozioni più forti degli ultimi anni. In altre parole, mi sembra diversa la prospettiva: negli ’50 (e alla Scala a luglio) si tagliava perché non si sapeva cosa fare di quella cabaletta (e in genere di molti passi che sembravano ostacolare una male intesa “verità drammatica”). Adesso, a volte si taglia per precisa necessità interpretativa. Ovviamente il grado di soggettività è molto alto, ma credo non se ne possa fare a meno.
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Messaggioda Riccardo » mar 09 ott 2007, 17:13

beckmesser ha scritto:In altre parole, mi sembra diversa la prospettiva: negli ’50 (e alla Scala a luglio) si tagliava perché non si sapeva cosa fare di quella cabaletta (e in genere di molti passi che sembravano ostacolare una male intesa “verità drammatica”). Adesso, a volte si taglia per precisa necessità interpretativa. Ovviamente il grado di soggettività è molto alto, ma credo non se ne possa fare a meno.

D'accordissimo su questo. La penso anch'io così!
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Messaggioda teo.emme » mar 09 ott 2007, 19:26

La questione dei tagli è molto delicata, e questo si vede pure dai diversi interventi sopra esposti. E sono tutti condivisibili, pur nella diversità delle posizioni.

Io resto fermamente convinto che tagliare un'opera, cioè un prodotto artistico con una sua coerenza e unitarietà, è sempre sbagliato. Sbagliato perchè si va a modificare - talvolta maldestramente - degli equilibri interni e delle proporzioni precise (alla stregua dei tagli ricollego gli spostamenti interni, o l'abbassamento di tono, o l'inserimento di brani estranei). Sbagliato perchè l'opera è un qualcosa di compiuto in sè, e - sembrerà una banalità - se l'autore l'ha scritto in un tale modo significa che così voleva che fosse eseguito, basta leggersi cosa scrivevano i compositori in merito alla vituperata prassi dei tagli (ma l'ho già scritto e non voglio ripetermi). Il taglio è sempre illegittimo, sia quello "di tradizione", sia quello finalizzato a facilitare il cantante, sia quello imposto dal regista o dal direttore per sviluppare le proprie idee interpretative (non è tagliando che si interpreta), e questo a prescindere dalla bontà delle idee di fondo, s'intende.

Detto questo che si può fare? Bisogna storicizzare il fenomeno e la prassi e operare dei "distinguo": anche se agli effetti, tutti i tagli sono uguali ed egualmente censurabili, tuttavia le diversità vanno valutate alla radice. Pretendere il rispetto dell'integrità testuale in incisioni del '50 è illusorio e sbagliato, allora l'integrità non era neppure un problema: resta il dispiacere per non avere grandi interpretazioni integrali (ad esempio la Traviata con la Callas), ma bisogna farsene una ragione. Non può scandalizzarci. Può, invece, e deve scandalizzarci il taglio che ancora oggi si pratica: la Traviata storpiatain modo maldestro da Maazel (ma anche quella di Parma), il Lohengrin scaligero (taglio dovuto sia al regista incapace che non sapeva come riempire la scena nella ripetizione della marcia nuziale e di alcuni cori, sia ad un tenore a rischio scoppio nel finale) e così via.... Certo nella pratica a volte il taglio si sente, altre volte ciò che lo circonda lo fa dimenticare, ma il taglio resta e non va bene.

Poi ovviamente è questione di sensibilità, di gusti, di opportunità, di circostanze. Ma io aggiungerei anche che è questione di epoca storica. Dagli anni 50/60 non posso pretendere più di ciò che han fatto. Oggi invece lo pretendo: i tagli sono identici, ma oggi non sono più tollerabili.

Certo poi per avere un'incisione come la Beatrice di Tenda con la Sutherland accetto ben volentieri i due microtagli operati da Bonynge (4 versi del baritono nell'introduzione e una ripetizione nel finale primo: si tratta di nemmeno 2 minuti di musica, sono perfettamente inutili, ma pazienza).

Diverso invece il discorso sulla traduzione. Oggi come oggi sarebbe improponibile. Oggi siamo abituati alla lingua originale, sempre e comunque. Ma se devo esser sincero la traduzione non mi scandalizza più di tanto. Lo stesso Wagner voleva espressamente che le sue opere venissero rappresentate nella lingua del posto in cui venivano allestite (riteneva che il significato della parola fosse inscindibile dalla musica), e come lui Strauss, molte opere russe erano presentate dagli stessi compositori in francese (penso a Prokofev). Gli stessi Verdi, Rossini, Donizetti, facevano tradurre in italiano le loro "opere francesi". E poi non gettiamo a mare un'intera tradizione che ha permesso di conoscere al pubblico italiano, in passato, opere straniere (tra l'altro i cartelloni degli anni 50/60 erano molto più ricchi di oggi di opere straniere, tedesche o russe, e anche contemporanee - tutte naturalmente tradotte, segno della grande funzione culturale che ha avuto la traduzione in Italia). E poi andrebbero guardati i risultati: i tanti Lohengrin in italiano erano forse sbagliati? Assolutamente no! Tutt'altro! Forse - e dirò un'eresia forse - la musicalità e lo spirito di quell'opera risalta meglio e convince di più, nella traduzione ritmica italiana!

Ps: Sto ascoltando in questi giorni quella che, secondo me, è la migliore edizione reperibile in cd della Chovanschina di Mussorgsky: ebbene, è l'edizione in italiano del '73, con Siepi, la Cossotto, Ghiaurov, Lucchetti, la Suliotis, Nimsgern... Il risultato è di una bellezza assoluta, molto, ma molto migliore (sia per il canto che per l'efficacia e la visione d'insieme) di quella diretta da Abbado per la DGG. Che strani casi...
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Messaggioda pbagnoli » mar 09 ott 2007, 21:28

teo.emme ha scritto: Ps: Sto ascoltando in questi giorni quella che, secondo me, è la migliore edizione reperibile in cd della Chovanschina di Mussorgsky: ebbene, è l'edizione in italiano del '73, con Siepi, la Cossotto, Ghiaurov, Lucchetti, la Suliotis, Nimsgern... Il risultato è di una bellezza assoluta, molto, ma molto migliore (sia per il canto che per l'efficacia e la visione d'insieme) di quella diretta da Abbado per la DGG. Che strani casi...

Tua opinione, beninteso...
Lo sottolineo per chi si fosse avventurato da queste parti per errore e pensasse che anche l'amministrazione del sito la vede alla stessa maniera.
No, teo: ancora una volta rispetto il tuo parere (e mi batterò sempre perché sia rispettato), ma non lo avallo.
E lo stesso dicasi per il Wagner tradotto in italiano in cui - parole tue - "musicalità e lo spirito risalta meglio e convince di più, nella traduzione ritmica italiana!".
Ma stiamo scherzando?
In un'opera wagneriana, in cui le parole hanno un peso ben preciso per legarsi alla struttura musicale!
Sono d'accordo con te sul fatto che le opere tradotte permettono ai cantanti di cimentarsi con ruoli che - diversamente - non potrebbero affrontare. Ma da qui a preferirle sempre e comunque, ce ne corre!
Ragazzi, cerchiamo di non perdere gli appigli con la realtà, per piacere
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Messaggioda teo.emme » mar 09 ott 2007, 22:25

pbagnoli ha scritto: Tua opinione, beninteso...


Beh, sulla Chovanschina ribadisco la mia opinione, naturalmente il giudizio non discende dal fatto che sia in italiano (ci mancherebbe), ma dal punto di vista vocale..aldilà della lingua. Mi spiace di essere stato frainteso.

Su Wagner il mio era un discorso diverso, ovviamente oggi è impensabile riproporre le traduzioni ritmiche, tuttavia perchè negarne il valore storico? Che le traduzioni abbiano permesso di fare entrare nel nostro repertorio opere russe o tedesche è un fatto incontrovertibile. Così pure è incontrovertibile il valore di tutta una linea interpretativa del Wagner in italiano. L'esempio di Lohengrin è esemplificativo. Altrettanto incontrovertibile è il fatto che la frequentazione wagneriana nei nostri teatri era molto più assidua all'epoca delle traduzioni ritmiche che nella nostra. Infine, perchè non considerare che attraverso tale pratica, grandi voci italiane si sono cimentate in Wagner? Penso al Wagner della Callas. O Pertile o Del Monaco.
Tutto qui, non mi sogno minimamente di auspicare un ritorno alle traduzioni (a volte davvero ridicole), tuttavia hanno svolto un importante compito.

Ps: comunque resta il fatto che Wagner stesso auspicasse che le sue opere venissero tradotte nelle varie lingue dei teatri in cui venivano rappresentate... E' un fatto. Incontrovertibile pure questo. Su cui riflettere.
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Messaggioda pbagnoli » mer 10 ott 2007, 14:04

teo.emme ha scritto: Su Wagner il mio era un discorso diverso, ovviamente oggi è impensabile riproporre le traduzioni ritmiche, tuttavia perchè negarne il valore storico? Che le traduzioni abbiano permesso di fare entrare nel nostro repertorio opere russe o tedesche è un fatto incontrovertibile. Così pure è incontrovertibile il valore di tutta una linea interpretativa del Wagner in italiano

Io questo non lo contesto, anzi, in astratto sono anche d'accordo sul fatto che, in mancanza di meglio, va bene che un interprete affronti un Autore straniero nella propria lingua.
I dischi storici sono pieni di esempi, in tal senso: uno su tutti, Alfred Piccaver, che era uno che ci provava a cantare in italiano con risultati ridicoli, ma che se cantava gli stessi brani nella propria lingua - e cioè in tedesco - riusciva ad essere molto più vario e coinvolgente.

Ciò che contesto fermamente, del tuo discorso, è invece la frase che ho quotato prima e che ti ripropongo:
musicalità e lo spirito risalta meglio e convince di più, nella traduzione ritmica italiana!

Questo è un discorso inaccettabile e lo respingo.
La storicità della tradizione italiana è profondamente vera, sin dai tempi di Borgatti che fu stimato dagli stessi tedeschi, ma ci metto anche gente come Tebaldi, Penno, eccetera. Ma questo non deve indurci a pensare che una tradizione di comodo - per illustre che possa essere - possa avere una valenza maggiore rispetto a quanto stabilito dall'autore
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Messaggioda MatMarazzi » mer 10 ott 2007, 14:52

Premetto che io non considero i "tagli" un male sempre e comunque, come Teo.Emme, ...che tutt'al più si può tollerare nel passato.
Il fatto è che io non ritengo per nulla "necessitante" il pensiero dell'autore (ma questo è un altro argomento enorme e off topi in questa sede).
Eppure Beck che non sono nemmeno troppo d'accordo con te, se parliamo delle convenzioni di OGGI.

beckmesser ha scritto:Prendiamo il caso dei tagli. Sono sempre stato abbastanza rigido nel pretendere il rispetto del testo così com’è, ma mi sto accorgendo sempre più che anche questo integralismo può diventare una forzatura, nel senso che può diventare un limite per artisti (direttori, registi) che hanno qualcosa da dire. ...
...Adesso, a volte si taglia per precisa necessità interpretativa. Ovviamente il grado di soggettività è molto alto, ma credo non se ne possa fare a meno


Premettiamo (anche se l'ho già detto mille volte).
Stiamo parlando di convenzioni e non di leggi. bene!!
E non solo: stiamo parlando di "oggi" e della necessità o meno di eseguire l'opera integralmente.
Bene!

Da questo punto di vista, il sistema che adotterei io è piuttosto quello di Teo.Emme (rispetto della singola nota), ma non perché ritenga che il pensiero e la volontà dell'autore vadano difesi e tutelati.
Ma perché ...è proprio questa la regola del gioco! :)

Ok, cerco di spiegarmi meglio: il regista e il direttore non allestiscono qualcosa di nuovo, ma si ispirano a un testo letterario pre-costruito.

Nessuno nega loro di "dire" quello che sentono, fosse anche vistosamente diverso da quello che pensava il compositore o il librettista.
Ma lo devono dire CON I SEGNI SPECIFICI CHE COMPETONO LORO, che sono i suoni e le immagini.
La loro bravura sta proprio nel difendere le proprie visioni non in assoluta libertà creativa, ma partendo da qualcosa che già c'è. Questo significa essere interpreti.

Se hanno bisogno di tagliare o di modificare vuol dire che non sono bravi "interpreti".

E' proprio quando un brano di musica "non ci sta" rispetto al pensiero del regista o del direttore, che si vede la loro grandezza.
Ci dovranno ragionare sopra, dovranno impazzire, dovranno star svegli la notte, fino a che non avranno trovato un modo per integrare anche quel brano di musica all'interno del loro disegno interpretativo.

La vita è strana: io contesto in teoria le prospettive di Teo.Emme, mentre sono molto vicino al relativismo tuo.
In pratica però io sono tutto dalla sua parte: e mi ribello con tutte le mie forze agli interpreti che oggi intervengono sulla musica o sulle parole per adattarla al proprio disegno.

Secondo me stanno barando al gioco: il direttore può intervenire su ciò che gli compete: I SUONI!
il regista pure: LE IMMAGINI.
Nessuno dei due intervenga sul testo.

Quando poi sento i dialoghi parlati di singspiel e operette (come il RAtto dal Serraglio a Salisburgo o, mi tocca dirlo, le opèras comiques del pur pravissimo Laurent Pelly) completamnente riscritti, con battutine d'effetto ma da varietà televisivo mi incavolo come una bestia.
E' troppo facile: questo non è "interpretare". Questo è giocare a fare i compositori e i drammaturghi, invece che i direttori e i registi.

Ora mi rivolgo a Riccardo: ecco un esempio di come ognuno di noi può intervenire (se non altro dicendo la sua) contro le o a favore delle convenzioni del presente.
:)

Salutoni
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Ultima modifica di MatMarazzi il mer 10 ott 2007, 15:02, modificato 4 volte in totale.
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Messaggioda teo.emme » mer 10 ott 2007, 14:52

pbagnoli ha scritto: Ciò che contesto fermamente, del tuo discorso, è invece la frase che ho quotato prima e che ti ripropongo:
musicalità e lo spirito risalta meglio e convince di più, nella traduzione ritmica italiana!

Questo è un discorso inaccettabile e lo respingo.


Su questo punto mi sono espresso male e sbrigativamente, e quando avrò un pò più di tempo mi spiegherò in modo più compiuto. :wink:

Resta però il fatto che fu Wagner stesso ad auspicare che le sue opere venissero tradotte.....

Poi è ovvio che oggi non ha più senso parlare di traduzioni ritmiche...

Comunque stasera scriverò meglio...

Un saluto.
teo.emme
 

Messaggioda Riccardo » mer 10 ott 2007, 15:34

MatMarazzi ha scritto:Premetto che io non considero i "tagli" un male sempre e comunque, come Teo.Emme, ...che tutt'al più si può tollerare nel passato.
Il fatto è che io non ritengo per nulla "necessitante" il pensiero dell'autore (ma questo è un altro argomento enorme e off topi in questa sede).


Ora mi rivolgo a Riccardo: ecco un esempio di come ognuno di noi può intervenire (se non altro dicendo la sua) contro le o a favore delle convenzioni del presente.
:)

Il tuo discorso sul presente non fa una grinza, presi per buoni i tuoi presupposti.

Ma chi ti dice che le convenzioni del presente sono queste da cui parti tu e non siano anche altre?

Per esempio per Donizetti e Strauss la convenzione è di tagliare ancora oggi. Come la mettiamo?

La convenzione è quello che nei fatti si attua oppure la presunta tendenza culturale?
Perché se è la prima, allora la situazione oggi non è molto diversa dagli anni '50!

E poi, secondo il tuo ragionamento, si desume che negli anni '50 il mestiere dei cantanti non fosse quello di eseguire le note, ma di rimontare (per lo più accorciando) i testi.

Secondo me, Matteo, il problema è che di relativismo si muore anche. E dico purtroppo! :(

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Messaggioda Riccardo » mer 10 ott 2007, 16:02

MatMarazzi ha scritto:Nessuno nega loro di "dire" quello che sentono, fosse anche vistosamente diverso da quello che pensava il compositore o il librettista.
Ma lo devono dire CON I SEGNI SPECIFICI CHE COMPETONO LORO, che sono i suoni e le immagini.
La loro bravura sta proprio nel difendere le proprie visioni non in assoluta libertà creativa, ma partendo da qualcosa che già c'è. Questo significa essere interpreti.

Se hanno bisogno di tagliare o di modificare vuol dire che non sono bravi "interpreti".

Questo però, dici tu, vale oggi ma non valeva negli anni '50.
Ma con che criterio distingui così nettamente l'oggi dagli anni '50, '60 o '70?

Secondo me stanno barando al gioco: il direttore può intervenire su ciò che gli compete: I SUONI!
il regista pure: LE IMMAGINI.
Nessuno dei due intervenga sul testo.

Quando poi sento i dialoghi parlati di singspiel e operette (come il RAtto dal Serraglio a Salisburgo o, mi tocca dirlo, le opèras comiques del pur pravissimo Laurent Pelly) completamnente riscritti, con battutine d'effetto ma da varietà televisivo mi incavolo come una bestia.
E' troppo facile: questo non è "interpretare". Questo è giocare a fare i compositori e i drammaturghi, invece che i direttori e i registi.

Quindi anche Carsen con Candide ha sbagliato?
Anche la Caballé con le sue uscite nella Fille con Pelly era nel torto?
Il Goldoni per prassi tagliato, smontato e adeguato agli intenti del regista è erroneo?
Non mi convinci :(

Secondo me, semplicemente, al di là delle epoche bisogna giudicare il lavoro dell'interprete nel rapporto che ha con il testo, non solo per quanto riguarda l'"esecuzione", ma anche l'eventuale modifica e farne un bilancio complessivo.

Ecco che la Lucia della Callas andrà vista alla luce di tutto questo, così come quella della Dessay.

Perché qui c'è anche un malinteso secondo me: io nel preferire interpreti successive che hanno fatto una Lucia integrale (come la Sills) non sostengo che la Callas avrebbe dovuto cantare tutto! Il fatto che lei tagliasse fa parte della sua interpretazione, così come il brodo culturale in cui essa si colloca.
È una scelta di tipo personale la mia, attuata con gusto moderno, non un rimprovero.

E poi vale quanto detto prima: l'integralità o meno del testo è uno dei parametri di valutazione, non l'unico. Ovviamente mille volte una Callas rispetto a un'eventuale Battle integrale (non so se l'abbia cantata, ma è per esagerare l'esempio).

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Messaggioda beckmesser » mer 10 ott 2007, 16:53

Premesso che non sono affatto un sostenitore del “tana libera a tutti” nelle scelte testuali di cosa eseguire e che, in linea generale, anch’io considero il rispetto dell’integralità un valore importante (anche se non un feticcio) nell’esecuzione di un’opera, mi prendo di buon grado il titolo di “relativista”, dato che temo di trovarmi in buona compagnia con buona parte degli autori di cui stiamo parlando.

Prendiamo Verdi (ossia uno che mica ci andava sottile nel difendere le proprie intenzioni artistiche). Che si fa della cabaletta del IV atto di Leonora (che, per inciso, a me piace tantissimo)? C’è nella versione italiana, ma in quella parigina Verdi l’ha omessa. Perché? Forse è stata una concessione ai gusti dei parigini che non amavano le cabalette? Può darsi, ma allora perché le altre cabalette le ha lasciate? Forse invece quella di Parigi era la sua vera preferenza, e concessione era stata quella fatta alla cantante romana? Anche questo può darsi. O forse ancora (ed è la mia personale opinione) Verdi sapeva benissimo che quello era un tipico pezzo ad uso di un cantante, per cui ci sia o non ci sia non cambia moltissimo e, soprattutto, l’opportunità che ci sia o non ci sia dipende da quello che un cantante (e oggi, perché no, un direttore e un regista) riescono a (o vogliono) farci?

Io credo che ancora una volta sia il risultato complessivo quello che conta, per cui se Muti mi esegue una partitura con tutti i da capo e tutti i ritornelli presenti all’appello godo e sono felice; se Oren tagliuzza Sonnambula mi incavolo come una belva (ma ancora una volta: non è il taglio in sé che si finisce col condannare, ma l’intera ottica interpretativa, di cui i tagli sono uno dei componenti, anche se il più evidente); se ancora Temirkanov e il suo regista tagliano (per precisa scelta interpretativa) la cabaletta di Germont, per un istante mi dispaccio ma alla fine me ne faccio una ragione nella valutazione complessiva dello spettacolo.

Ebbene sì, temo di essere un relativista…
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Messaggioda MatMarazzi » mer 10 ott 2007, 19:39

beckmesser ha scritto:Ebbene sì, temo di essere un relativista…


Guarda che la parola "relativista" non doveva essere una critica! :)
Visto che l'ho usata io, ti posso assicurare che è il più gran complimento che potrei rivolgere a qualcuno. :)

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Messaggioda MatMarazzi » mer 10 ott 2007, 20:13

Riccardo ha scritto:Ma chi ti dice che le convenzioni del presente sono queste da cui parti tu e non siano anche altre?


E chi ti ha detto che non lo siano? :)
Ci possono essere le compresenza di "convenzioni" diverse.
Ogni nuova "convenzione" si innesta su convenzioni vecchie, a cui si ribella o che esaspera.

Per esempio per Donizetti e Strauss la convenzione è di tagliare ancora oggi. Come la mettiamo?


Ma Ric tu devi vedere le cose nel loro sviluppo.
E' vero che oggi si taglia ANCORA Donizetti e Strauss (sottolineo quell'ancora!!)
Ma in generale si taglia meno di un tempo... E sempre più spesso pubblico e critica sono ostili a questa pratica.
Quanto a Strauss, è vero che capita ancora di sentire il terzo atto della Donna senz'ombra orrendamente mutilato, e tuttavia - chissà perché - le uniche tre vere integrali discografiche dell'opera sono anche... le più recenti.

Un fenomeno va visto nel suo sviluppo storico.
Non è che un bel giorno tutto il mondo si è svegliato e tutti hanno dichiarato: "bene, da oggi le regie potranno ricontestualizzare le vicende, la lingua adottata sarà quella originale e soprattutto NIENTE TAGLI".
Ci sono processi lunghi (e lungamente contrastati) che portano a questo.

L'adozione della lingua originale, ad esempioi, è un processo che è durato per decenni; cominciò in america negli anni 20; da noi i primi segnali apparvero negli anni '30... eppure ancora negli anni 80 trovavi qualcuno nella periferia tedesca che faceva Verdi in tedesco (oggi non più).
E poi c'è sempre chi si ribella alle convenzioni: ancora oggi all'ENO fanno le opere in traduzione inglese... E per loro anche quella è una convenzione, che (guarda caso) tutti giudicano "contro corrente".

E poi, secondo il tuo ragionamento, si desume che negli anni '50 il mestiere dei cantanti non fosse quello di eseguire le note, ma di rimontare (per lo più accorciando) i testi.


Da cosa lo desumi? NOn credo proprio di aver detto nulla di simile.
Il mestiere dei cantanti è sempre stato solo quello di produrre suoni organizzati con la propria voce, quale che fosse il rapporto con lo spartito.

Secondo me, Matteo, il problema è che di relativismo si muore anche. E dico purtroppo! :(


Si muore ben più facilmente di dogmatismo... E non solo la storia, ma il presente ce lo confermano ogni giorno.

Riccardo ha scritto:Ma con che criterio distingui così nettamente l'oggi dagli anni '50, '60 o '70?


Io registro le tendenze, cerco di valutare i fenomeni storici.
In base a cosa si realizzano le tendenze: sul contributo di tutti coloro che partecipano a un fenomeno (come artisti, come operatori e anche come appassionati).
Come diceva giustamente Teo.Emme, non ci è più dato "contribuire" alle tendenze del passato. Dobbiamo accettarle e inchinarci alla volontà di coloro che hanno partecipato a quelle correnti (compreso il pubblico).
Ma per quanto riguarda il presente, ognuno di noi è chiamato a dare il proprio contributo.
Affermando quello che vorrebbe che oggi (ripeto: hic et nunc) fosse fatto.

E' quel che ho fatto io.
Io oggi voglio l'integralità, voglio il testo originale, voglio l'edizione critica, voglio il diapason giusto, voglio gli strumenti giusti.
Se altri milioni di persone vorranno quello che voglio io, ecco che è fatta una "convenzione".


Quindi anche Carsen con Candide ha sbagliato?
Anche la Caballé con le sue uscite nella Fille con Pelly era nel torto?


Certo che sì!
Sbagliatissimo!
Sono operazioni da censurare per me.
Sono capaci tutti di far ridere inserendo in un'opera delle battute da zelig.

Purtroppo c'è una "corrente" importante che avvalla questo sistema (che sta diventando una convenzione).
Io però essendo uomo del presente ho il diritto di rigettarla e di battermi perché non si affermi.

Il Goldoni per prassi tagliato, smontato e adeguato agli intenti del regista è erroneo?


Stiamo parlando di teatro d'opera.
Il teatro di prosa ha ALTRE CONVENZIONI e non può essere paragonato.
Comunque resta il fatto che a me la manipolazione del testo non piace.

E' pur vero che - credo di averlo ripetuto ormai fino alla saturazione - la convenzione (rispettarla o non rispettarla) non è arte.
E Carsen magari (non lo credo, sinceramente) ha fatto un Candide strepitoso.
E tuttavia se io gestissi un teatro o una casa discografica sarei inflessibile: caro il mio Carsen, tu il testo non lo tocchi!
Poi fai pure quello che vuoi, fai ballare chi credi sul petrolio, ma - per cortesia - il testo non lo tocchi! (sempre che parliamo di testi filologicamente semplici, sia chiaro).

E questo (mi riferisco tanto a Teo.Emme quanto a Beckmesser) non per rispetto alla volontà dell'autore, ma perché mi pare più affascinante la vera "sfida" interpretativa.

Se voglio far capire che Don Giovanni, cantando "fin ch'han dal vino", sta urlando la propria solitudine e la propria paura, e non la propria gioia di vivere, dovrò essere particolarmente bravo, perchè la musica e le parole dicono esattamente il contrario.

Certo, se taglio l'aria e ce ne metto un'altra, triste e drammatica, il gioco è più semplice. ...troppo semplice.
Non importa essere dei Carsen: siamo capaci tutti.


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Messaggioda Riccardo » mer 10 ott 2007, 21:37

MatMarazzi ha scritto:
Secondo me, Matteo, il problema è che di relativismo si muore anche. E dico purtroppo! :(


Si muore ben più facilmente di dogmatismo... E non solo la storia, ma il presente ce lo confermano ogni giorno.

D'accordissimo, ma infatti io ho detto anche!

MatMarazzi ha scritto:Io registro le tendenze, cerco di valutare i fenomeni storici.
In base a cosa si realizzano le tendenze: sul contributo di tutti coloro che partecipano a un fenomeno (come artisti, come operatori e anche come appassionati).

MatMarazzi ha scritto:Purtroppo c'è una "corrente" importante che avvalla questo sistema (che sta diventando una convenzione).
Io però essendo uomo del presente ho il diritto di rigettarla e di battermi perché non si affermi.

Ma vedi, è tra queste due tue affermazioni che io vedo quel dissidio di cui provo a convincerti da tempo e in svariati thread (perché sempre qui si arriva).

Esiste un Matteo (quello della prima frase) che parla da storico, estraneo alla realtà: lui valuta, relativizza tutto ed ha quasi sempre ragione, perché in una dimensione di analisi razionale è insuperabile.
Il secondo è un Matteo che si posiziona nel presente secondo la propria personale soggettività, ma proprio per questo, qui, non è necessariamente nel "giusto"!

Ecco che, per logica, il fatto che oggi si debba modificare il testo o no è del tutto opinabile, perché dipende da come noi singoli vogliamo influenzare la convenzione.

Nel caso di Candide tu dici:
E tuttavia se io gestissi un teatro o una casa discografica sarei inflessibile: caro il mio Carsen, tu il testo non lo tocchi!
Poi fai pure quello che vuoi, fai ballare chi credi sul petrolio, ma - per cortesia - il testo non lo tocchi! (sempre che parliamo di testi filologicamente semplici, sia chiaro).

Ma questo tuo arroccarti su questa convenzione è del tutto arbitrario... E non puoi giustificare la tua posizione dicendo che è tendenza generale!

Secondo me se non si valuta la riuscita di fatto dell'operazione è impossibile portare un'argomentazione a priori sfavorevole o meno alla modifica del testo. Eccetto quella dipendente dal gusto personale!

MatMarazzi ha scritto:Certo, se taglio l'aria e ce ne metto un'altra, triste e drammatica, il gioco è più semplice. ...troppo semplice.
Non importa essere dei Carsen: siamo capaci tutti.

Ma Carsen in Don Giovanni non lo farebbe mai. In Candide l'ha fatto.

Perché? Perche c'è la convenzione di poter manipolare le opere con i dialoghi, a maggior ragione se le sentiamo vicine a noi e non ancora consacrate dall'intoccabilità storica.

Ma è giusta o sbagliata? E perché?

Io davvero non riesco a trovare risposte...

Il fatto è che rinunciando al relativismo, divento più relativo io di te che relativizzando arrivi al dogma di non modificare il testo..Aiuto! È lo stesso bisticcio che evidenziavi rispetto alla posizione di teo.emme!

In ogni caso stiamo mescolando la questione dei taglietti di tradizione nel belcanto con l'eliminazione o sostituzione di scene intere in altro repertorio...I ragionamenti si complicano :shock:

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