Re: Sposa dello Zar alla Scala
Inviato: sab 15 mar 2014, 13:14
E' difficile, è stato riconosciuto anche da chi quel teatro lo conosce e frequenta spesso, cercare di comprendere le motivazioni del "disagio" che, obiettivamente, si respira da anni alla Scala di Milano, e che in quest'ultimo periodo sembra più evidente che mai.
Ne abbiamo discusso più volte senza riuscire a raggiungere un'analisi condivisa. Anzi, spesso la discussione ha rischiato di irrigidirsi. Vorrei proporre di affrontare la cosa con maggiore serenità. A differenza di quanto accade altrove, in questo sito il livello di psicopatologia è costantemente monitorato , e non esce (quasi) mai dalle due deviazioni standard che definiscono cosa è normale cosa non lo è. I riferimenti di Mattioli ai forum come strumenti di sfogo per melomani nevrotici e complessati mi auguro di cuore fossero rivolti a realtà diverse e più "monocrome" . Mi sembra che la realtà di Operadisc sia costantemente caratterizzata dal rispetto altrui e dall'interesse per chi ha punti di vista diversi dai propri. Altrimenti, giusto per essere chiaro, non vi dedicherei tanto tempo e passione.
Fatta questa premessa di bonario, affettuoso, sereno "richiamo all'ordine", vorrei provare a dire la mia su questo argomento.
Trovo semplicistico ricondurre in toto le critiche rivolte alla gestione artistica di Muti ad un atteggiamento fazioso a favore di Abbado. Dal punto vi sta musicale la contrapposizione non ha senso, trattandosi di musicisti entrambi notevolissimi. Per questo suggerirei di lasciare questa contrapposizione.
A me sembra che, durante la gestione Muti, il teatro alla Scala non abbia subito un'involuzione, ma anche che non abbia subito una sostanziale evoluzione. Non ha fatto passi indietro, ma non ha fatto neppure passi avanti. E' semplicemente rimasta ferma.
Alcuni dei registi segnalati da Marco erano di fatto già presenti e attivi alla Scala già prima dell'avvento di Muti, altri se ne sono aggiunti, ma escludendo in toto le personalità più "forti", in grado di proporre letture diverse da quelle tradizionali.
Difficile non vedere in questo una responsabilità (quanto grande non penso sia importante) da parte di Muti. Direttore che da sempre si considera l'esponente della grande tradizione musicale italiana (i suoi continui riferimenti alla sua formazione con Votto, il suo attaccamento al repertorio della Scuola Napoletana e al grande repertorio italiano...), e che anche dal punto di vista scenico sembra legato ad un'interpretazione tradizionale. Nessuno degli spettacoli visti alla Scala nella sua gestione poteva definirsi in altro modo se non tradizionalissimo. E la cosa si sta ripetendo ora all'Opera di Roma.
Nessuno è così ingenuo o fanatico da disconoscere l'importanza essenziale della "tradizione" per la vita (e persino perr la "sopravvivenza"!) del teatro d'opera. E tuttavia c'è "tradizione" e "tradizione".
La domanda è SE abbia avuto senso (e se abbia ANCORA senso), oggi, in un mondo sempre più "glocal", continuare a proporre SEMPRE E SOLO una tradizione registica intesa come "stanca riproposizione museale di sublimi opere d'arte del passato" in quello che, continuando a ripetere la definizione di Stendhal, chiamiamo "il maggior teatro del mondo". Anche senza considerare il fatto che un Teatro che ospiti esclusivamente una "tradizione" di questo tipo, chiusa nella sua torre d'avorio, lontana dal reale e dal presente, rischia di diventare la roccaforte del fanatismo reazionario e nostalgico. Se non si nutre del presente, la tradizione diventa immobilismo, manierismo, sterile ripetizione, ricordo dell'ultima cattiva esecuzione. L'opera non è un museo, ma è teatro che parla agli uomini d tutti i tempi e di tutti i luoghi. Il passato non va difeso dalle presunte minacce del presente. Se il passato ha valore, esso sa difendersi da solo, senza bisogni di avvocati difensori. Una rosa ha bisogno di una finestra aperta per poter diffondere il suo profumo. Metterlo sotto una campana di vetro significherebbe soffocarla.
A mio modesto parere una scelta dii questo tipo è assolutamente insensata, fuori dal tempo, darwinianamente perdente (come ho scritto nella mia riflessione su "La sposa dello Zar"). In un'epoca come la nostra, un teatro ha la grande, straordinaria, IRRIPETIBILE opportunità di mostrare diverse possibilità di "fare l'opera". Perdere questa opportunità sarebbe un peccato. Mortale, per l'opera. Rifiutare il presente, per il Teatro alla Scala, significherebbe allontanare PER SEMPRE migliaia di giovani dall'opera. Significherebbe condannare l'opera all'oblio. Non c'è DVD che tenga: se il teatro non sa parlare al presente è destinato ad una perenne afasia. Continuare ad avere un solo punto di vista sarebbe come continuare a guardare un solo punto. E' noioso anche solo pensarlo.
DM
Ne abbiamo discusso più volte senza riuscire a raggiungere un'analisi condivisa. Anzi, spesso la discussione ha rischiato di irrigidirsi. Vorrei proporre di affrontare la cosa con maggiore serenità. A differenza di quanto accade altrove, in questo sito il livello di psicopatologia è costantemente monitorato , e non esce (quasi) mai dalle due deviazioni standard che definiscono cosa è normale cosa non lo è. I riferimenti di Mattioli ai forum come strumenti di sfogo per melomani nevrotici e complessati mi auguro di cuore fossero rivolti a realtà diverse e più "monocrome" . Mi sembra che la realtà di Operadisc sia costantemente caratterizzata dal rispetto altrui e dall'interesse per chi ha punti di vista diversi dai propri. Altrimenti, giusto per essere chiaro, non vi dedicherei tanto tempo e passione.
Fatta questa premessa di bonario, affettuoso, sereno "richiamo all'ordine", vorrei provare a dire la mia su questo argomento.
Trovo semplicistico ricondurre in toto le critiche rivolte alla gestione artistica di Muti ad un atteggiamento fazioso a favore di Abbado. Dal punto vi sta musicale la contrapposizione non ha senso, trattandosi di musicisti entrambi notevolissimi. Per questo suggerirei di lasciare questa contrapposizione.
A me sembra che, durante la gestione Muti, il teatro alla Scala non abbia subito un'involuzione, ma anche che non abbia subito una sostanziale evoluzione. Non ha fatto passi indietro, ma non ha fatto neppure passi avanti. E' semplicemente rimasta ferma.
Alcuni dei registi segnalati da Marco erano di fatto già presenti e attivi alla Scala già prima dell'avvento di Muti, altri se ne sono aggiunti, ma escludendo in toto le personalità più "forti", in grado di proporre letture diverse da quelle tradizionali.
Difficile non vedere in questo una responsabilità (quanto grande non penso sia importante) da parte di Muti. Direttore che da sempre si considera l'esponente della grande tradizione musicale italiana (i suoi continui riferimenti alla sua formazione con Votto, il suo attaccamento al repertorio della Scuola Napoletana e al grande repertorio italiano...), e che anche dal punto di vista scenico sembra legato ad un'interpretazione tradizionale. Nessuno degli spettacoli visti alla Scala nella sua gestione poteva definirsi in altro modo se non tradizionalissimo. E la cosa si sta ripetendo ora all'Opera di Roma.
Nessuno è così ingenuo o fanatico da disconoscere l'importanza essenziale della "tradizione" per la vita (e persino perr la "sopravvivenza"!) del teatro d'opera. E tuttavia c'è "tradizione" e "tradizione".
La domanda è SE abbia avuto senso (e se abbia ANCORA senso), oggi, in un mondo sempre più "glocal", continuare a proporre SEMPRE E SOLO una tradizione registica intesa come "stanca riproposizione museale di sublimi opere d'arte del passato" in quello che, continuando a ripetere la definizione di Stendhal, chiamiamo "il maggior teatro del mondo". Anche senza considerare il fatto che un Teatro che ospiti esclusivamente una "tradizione" di questo tipo, chiusa nella sua torre d'avorio, lontana dal reale e dal presente, rischia di diventare la roccaforte del fanatismo reazionario e nostalgico. Se non si nutre del presente, la tradizione diventa immobilismo, manierismo, sterile ripetizione, ricordo dell'ultima cattiva esecuzione. L'opera non è un museo, ma è teatro che parla agli uomini d tutti i tempi e di tutti i luoghi. Il passato non va difeso dalle presunte minacce del presente. Se il passato ha valore, esso sa difendersi da solo, senza bisogni di avvocati difensori. Una rosa ha bisogno di una finestra aperta per poter diffondere il suo profumo. Metterlo sotto una campana di vetro significherebbe soffocarla.
A mio modesto parere una scelta dii questo tipo è assolutamente insensata, fuori dal tempo, darwinianamente perdente (come ho scritto nella mia riflessione su "La sposa dello Zar"). In un'epoca come la nostra, un teatro ha la grande, straordinaria, IRRIPETIBILE opportunità di mostrare diverse possibilità di "fare l'opera". Perdere questa opportunità sarebbe un peccato. Mortale, per l'opera. Rifiutare il presente, per il Teatro alla Scala, significherebbe allontanare PER SEMPRE migliaia di giovani dall'opera. Significherebbe condannare l'opera all'oblio. Non c'è DVD che tenga: se il teatro non sa parlare al presente è destinato ad una perenne afasia. Continuare ad avere un solo punto di vista sarebbe come continuare a guardare un solo punto. E' noioso anche solo pensarlo.
DM