Teatro alla Scala tra passato, presente e futuro

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda DottorMalatesta » sab 15 mar 2014, 13:14

E' difficile, è stato riconosciuto anche da chi quel teatro lo conosce e frequenta spesso, cercare di comprendere le motivazioni del "disagio" che, obiettivamente, si respira da anni alla Scala di Milano, e che in quest'ultimo periodo sembra più evidente che mai.
Ne abbiamo discusso più volte senza riuscire a raggiungere un'analisi condivisa. Anzi, spesso la discussione ha rischiato di irrigidirsi. Vorrei proporre di affrontare la cosa con maggiore serenità. A differenza di quanto accade altrove, in questo sito il livello di psicopatologia è costantemente monitorato : Doctor : , e non esce (quasi) mai dalle due deviazioni standard che definiscono cosa è normale cosa non lo è. I riferimenti di Mattioli ai forum come strumenti di sfogo per melomani nevrotici e complessati mi auguro di cuore fossero rivolti a realtà diverse e più "monocrome" :mrgreen: . Mi sembra che la realtà di Operadisc sia costantemente caratterizzata dal rispetto altrui e dall'interesse per chi ha punti di vista diversi dai propri. Altrimenti, giusto per essere chiaro, non vi dedicherei tanto tempo e passione.
Fatta questa premessa di bonario, affettuoso, sereno "richiamo all'ordine", vorrei provare a dire la mia su questo argomento.
Trovo semplicistico ricondurre in toto le critiche rivolte alla gestione artistica di Muti ad un atteggiamento fazioso a favore di Abbado. Dal punto vi sta musicale la contrapposizione non ha senso, trattandosi di musicisti entrambi notevolissimi. Per questo suggerirei di lasciare questa contrapposizione.
A me sembra che, durante la gestione Muti, il teatro alla Scala non abbia subito un'involuzione, ma anche che non abbia subito una sostanziale evoluzione. Non ha fatto passi indietro, ma non ha fatto neppure passi avanti. E' semplicemente rimasta ferma.
Alcuni dei registi segnalati da Marco erano di fatto già presenti e attivi alla Scala già prima dell'avvento di Muti, altri se ne sono aggiunti, ma escludendo in toto le personalità più "forti", in grado di proporre letture diverse da quelle tradizionali.
Difficile non vedere in questo una responsabilità (quanto grande non penso sia importante) da parte di Muti. Direttore che da sempre si considera l'esponente della grande tradizione musicale italiana (i suoi continui riferimenti alla sua formazione con Votto, il suo attaccamento al repertorio della Scuola Napoletana e al grande repertorio italiano...), e che anche dal punto di vista scenico sembra legato ad un'interpretazione tradizionale. Nessuno degli spettacoli visti alla Scala nella sua gestione poteva definirsi in altro modo se non tradizionalissimo. E la cosa si sta ripetendo ora all'Opera di Roma.
Nessuno è così ingenuo o fanatico da disconoscere l'importanza essenziale della "tradizione" per la vita (e persino perr la "sopravvivenza"!) del teatro d'opera. E tuttavia c'è "tradizione" e "tradizione".
La domanda è SE abbia avuto senso (e se abbia ANCORA senso), oggi, in un mondo sempre più "glocal", continuare a proporre SEMPRE E SOLO una tradizione registica intesa come "stanca riproposizione museale di sublimi opere d'arte del passato" in quello che, continuando a ripetere la definizione di Stendhal, chiamiamo "il maggior teatro del mondo". Anche senza considerare il fatto che un Teatro che ospiti esclusivamente una "tradizione" di questo tipo, chiusa nella sua torre d'avorio, lontana dal reale e dal presente, rischia di diventare la roccaforte del fanatismo reazionario e nostalgico. Se non si nutre del presente, la tradizione diventa immobilismo, manierismo, sterile ripetizione, ricordo dell'ultima cattiva esecuzione. L'opera non è un museo, ma è teatro che parla agli uomini d tutti i tempi e di tutti i luoghi. Il passato non va difeso dalle presunte minacce del presente. Se il passato ha valore, esso sa difendersi da solo, senza bisogni di avvocati difensori. Una rosa ha bisogno di una finestra aperta per poter diffondere il suo profumo. Metterlo sotto una campana di vetro significherebbe soffocarla.
A mio modesto parere una scelta dii questo tipo è assolutamente insensata, fuori dal tempo, darwinianamente perdente (come ho scritto nella mia riflessione su "La sposa dello Zar"). In un'epoca come la nostra, un teatro ha la grande, straordinaria, IRRIPETIBILE opportunità di mostrare diverse possibilità di "fare l'opera". Perdere questa opportunità sarebbe un peccato. Mortale, per l'opera. Rifiutare il presente, per il Teatro alla Scala, significherebbe allontanare PER SEMPRE migliaia di giovani dall'opera. Significherebbe condannare l'opera all'oblio. Non c'è DVD che tenga: se il teatro non sa parlare al presente è destinato ad una perenne afasia. Continuare ad avere un solo punto di vista sarebbe come continuare a guardare un solo punto. E' noioso anche solo pensarlo.

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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda mattioli » sab 15 mar 2014, 13:25

Quoto, riquoto, fortissimamente quoto l'intervento del dottor Malatesta.

Quanto al professor Ninci, ha deciso che io sono un fan e che mi debbo vergognare, oltre a essersi adontato per una battuta non rivolta a lui. Mi scuserà se non gli rispondo. Non a causa del tono e dei termini alquanto insultanti del suo intervento, ma perché lo trovo sussiegoso. E francamente su un blog posso tollerare tutto, tranne la noia (oltretutto, impegnato come sono a vergognarmi ed essendomi automesso da solo dietro alla lavagna, non ne avrei il tempo).
Dai, Ninci, fatti una risata. E ricevi i miei più cordiali saluti.
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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda DottorMalatesta » sab 15 mar 2014, 13:38

Cari Alberto e Marco,
proporrei di limitarci a commentare i contenuti degli interventi altrui, senza cercare di interpretarne le intenzioni presunte(cosa difficile e talora pericolosa): oltre a essere una buona norma di vita coniugale :roll: , è una regola fondamentale in un forum che si rispetti e in cui ci si rispetti!
: Sailor :

E comunque sottoscrivo in pieno l'invito di Alberto ad una franca discussione senza mai perdere il sorriso sulle labbra!!

: Thumbup :

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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda pbagnoli » sab 15 mar 2014, 13:49

Marco Ninci ha scritto:Caro Francesco, io mi rifiuto assolutamente di essere considerato uno di quei melomani isterici dei quali i forum costituirebbero i luoghi di sfogo. E' una considerazione che offende me e la mia intelligenza.

Caro Marco,
in assenza di Francesco che immagino impegnato (io lo sarò stanotte), mi permetto - in qualità di Amministratore di questo sito - di rispondere alle tue osservazioni.
Premetto che ho la massima stima per te e per le cose che dici: ti ho sempre seguito da lontano in tutti i tuoi pacati interventi anche in altri ambienti in cui scrivi.
Premetto anche che ho la massima stima per Alberto Mattioli e per quello che scrive lui.
Credo che la cosa - come spesso capita allorquando si scrive invece che parlarsi - sia un po' uscita dal vaso.
Ma, scendendo nello specifico, io che non sono né abbadiano né mutiano - sto attraversando una fase profondamente apartitica in tutti i sensi - sto più dalla parte di Alberto.
Mi spiego meglio.
Sono convintissimo che alcuni degli spettacoli di Muti a Milano siano stati storici: per esempio i Dialogues des Carmelites, di cui ritengo di aver visto la miglior realizzazione possibile, musicale e registica. E concordo pienamente anche su Guglielmo Tell cui, per raggiungere la perfezione formale, mancava solo la lingua francese, dettaglio che personalmente non trovo affatto secondario in un'opera come questa.
Concordo anche - sia pure su un piano lievemente minore (ma sono gusti assolutamente personali) - con la Donna del Lago e quasi tutto Verdi che gli ho visto fare; escludo Otello - per me inascoltabile per canto e scelte editoriali - e Traviata, che ho trovato molto ruffiana nel voler proporre cantanti giovani; trovo invece coerente e godibile ancora oggi il Trovatore, pur se con una scelta di cantanti a mio gusto non condivisibile.
Trovo invece dimenticabilissimo il suo Gluck - perennemente gestito dalla solita ottica neoclassica cui però il compositore non appartiene - così come il suo Mozart, più o meno in blocco (già ai suoi tempi c'erano personaggi che stavano sforzandosi di dire cose diverse, non necessariamente più belle), o la tremenda Europa riconosciuta. E taccio del suo Wagner, per me inconcepibile, un assoluto controsenso

Ciò che contesto della gestione di Muti è quanto segue:
:arrow: presenzialismo fisso e inamovibile. Après lui, le diluge. Questo ha comportato il fatto di farsi carico di tutto il peso di uno spettacolo, nel bene come nel poco male, grazie anche a una stampa che - in quegli anni, almeno a Milano - era pressoché totalmente schierata con lui. Va anche detto che lo spettacolo era comunque centrato pressoché completamente su di lui. Non ricordo, in quegli anni, di aver avuto a Milano direttori di prestigio assoluto fuorché sporadiche comparsate di Jeffrey Tate, o Sawallisch
:arrow: assenza di grandi registi. Rifiuto l'idea che Pizzi, Kokkos o De Ana, potessero essere considerati anche all'epoca grandi registi. E Carsen - autore dello spettacolo sicuramente più importante della sua gestione - arrivò a Milano che era già Carsen: vale a dire uno che poteva essere sconosciuto solo in Italia, assumendo la Scala come utile paradigma. Per il resto? Deflo? Cavani? Gli schermi con le proiezioni di Ronconi al Guglielmo Tell o i suoi altari nell'Ernani?
Lui stesso - più volte e pubblicamente - ha puntato il dito contro quelle che lui chiama "le regie moderne"; e comunque, se fossi cattivo e maldicente, mi verrebbe da dire che ormai il problema-regia nei suoi spettacoli l'ha risolto...
:arrow: assenza di grandi cantanti. Discutibile. Spesso i grandi cantanti sono mancati, o sembravano provenire solo da poche e ben selezionate scuderie. Ma in questo novero c'entrano anche gli impegni dei cantanti, spesso a lunghissima gittata, per cui non voglio fare dietrologia inutile. La sensazione che a Milano vivevamo spesso era che lo spettacolo vivesse sul direttore, quasi mai sui cantanti
:arrow: in ultimo, il provincialismo culturale. Mi spiace, ma questo è un portato della gestione-Muti che a Milano abbiamo vissuto moltissimo. Mi rifaccio nuovamente all'esempio di Wagner: l'ha fatto tutto lui (a eccezione di un Meistersinger targato Sawallisch), ed è sempre stato un Wagner mediocre, pompier, del tutto ignaro di tutto quello che già si era fatto altrove. Con Boulez, per esempio, tanto per quotare lo stesso interprete cui facevi riferimento anche tu

Tutto questo, personalmente, rimprovero a Muti; e in modo del tutto indipendente da quello che penso di Abbado, perché sono due storie completamente diverse.
Non amo tutto ciò che Abbado ha fatto a Milano (mi riferisco per esempio a Stockhausen), e gli rimprovero di non aver fatto di più: da Puccini alla Lulu, oltre che un Ring. Ma ho la sensazione che - con lui - Milano non fosse la provincia che è stata dopo. Sensazione mia, beninteso.

Concludo infine con un riferimento alla tua ultima frase: è vero, l'innovazione non è a senso unico come molti vorrebbero intenderla.
Ma tu hai citato Karajan, che ha lavorato in modo innovativo più di (forse: nell'arte gli assolutismi non esistono) chiunque altro sul suono e sugli impasti timbrici, e in particolare in Wagner.
Mi verrebbe da risponderti: troppo comodo!
Quindi... come la mettiamo?
Un cordiale saluto con la solita stima!
Pietro
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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda Marco Ninci » sab 15 mar 2014, 14:20

Naturalmente mi faccio una risata. Ora non ho modo di rispondere, ma lo farò presto. Saluti affettuosi a tutti.
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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda mattioli » sab 15 mar 2014, 14:25

Bravo professore. Per prepararmi al meglio al tuo prossimo post, vado a prepararmi una vasca di caffé (scherzo, eh, non arrabbiarti : Nar : . Mi vergogno da solo!).
En attendant godrò.
Baci baci

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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda DottorMalatesta » sab 15 mar 2014, 14:58

pbagnoli ha scritto:in assenza di Francesco che immagino impegnato (io lo sarò stanotte), mi permetto - in qualità di Amministratore di questo sito - di rispondere alle tue osservazioni.


Ci sono, Pietro, ci sono!
: Sailor :
Anzi, avevo risposto a Marco prima di te!
:P

Un caro saluto,
Francesco

P.S.: sto preparando una vasca di camomilla per controbilanciare gli effetti da abuso di caffeina in Alberto
:mrgreen:
: Nar :
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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda pbagnoli » sab 15 mar 2014, 15:04

DottorMalatesta ha scritto:
pbagnoli ha scritto:in assenza di Francesco che immagino impegnato (io lo sarò stanotte), mi permetto - in qualità di Amministratore di questo sito - di rispondere alle tue osservazioni.


Ci sono, Pietro, ci sono!
: Sailor :
Anzi, avevo risposto a Marco prima di te!

Ci ho messo un po' a elaborare la risposta, e nel frattempo sei arrivato tu!
Va be', è stata comunque un'occasione per esporre due o tre idee...
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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda DottorMalatesta » sab 15 mar 2014, 15:34

pbagnoli ha scritto:Va be', è stata comunque un'occasione per esporre due o tre idee...


Hai fatto strabenissimo!!!

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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda flipperinodoc » dom 16 mar 2014, 1:06

devo sinceramente dire che la "deriva" di questo post lascia un po perplessi....comunque come dice alberto, famose 'na risata.

c'è una cosa che mi pare manchi nell'analisi degli anni mutiani alla scala (pietro, complimenti hai sintetizzato venti anni in poche righe, fantastico - aggiungerei, sommessamente una esecuzione del mefistofele, solo musicalmente parlando, straordinaria).
abbiamo però tralasciato la trasformazione sull'orchestra (già ottima con abbado), in particolare sul colore, su una tinta talmente particolare, calda, meravigliosa, compatta.
in un thread sulla Khovantschina ricordavamo la straordinaria prestazione degli scaligeri con gergiev, a dimostrazione che il lavoro fatto da muti era eccezionale.
ahimè ora molti di loro si sono dimenticati.... o meglio vogliono dimenticarsi come si fa, perchè quando ne hanno voglia sono ancora in grado di produrre suoni straordinari (penso al Lohengrin o al Tristan).
Ecco, di Muti mi piacerebbe che non dimenticassimo mai questo lavoro

buona notte (lavorativa) a tutti.....
pietro, vedo se ti porto qualche milzetta..... :oops:

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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda pbagnoli » dom 16 mar 2014, 7:41

flipperinodoc ha scritto:
buona notte (lavorativa) a tutti.....
pietro, vedo se ti porto qualche milzetta..... :oops:

marco

Guarda: il trauma delle 3.30 è arrivato, ma non ho tolto nessuna milza... :P :P :P
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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda flipperinodoc » dom 16 mar 2014, 22:46

era ovviamente chiarissimo
il mio discorso era - spero chiarissimo altrettanto - che gergiev può fare qualunque miracolo ma una orchestra che già suona bene di suo aiuta.... :o
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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda DottorMalatesta » lun 17 mar 2014, 9:02

vittoriomascherpa ha scritto:
DottorMalatesta ha scritto:...si considera l'esponente della grande tradizione musicale italiana...

Affermazione che condivido senza riserve purché "si considera" sia inteso come forma verbale riflessiva.
Se invece, ma non lo credo, la particella "si" avesse valore impersonale, renderebbe doveroso precisare che non proprio tutti lo considerano tale.


Riscrivo:
Muti considera se stesso l´esponente della grande tradizione italiana.
Probabilmente, di quella tradizione, si "auto-considera" anche il massimo esponente. Ma di direttori narcisi è pieno il mondo...

: Sailor :

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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda Maugham » lun 17 mar 2014, 11:18

Marco Ninci ha scritto: I teatri invece questo obbligo, a mio modesto parere, non ce l'hanno. Hanno invece l'obbligo, in chi li dirige, di proporre una propria visione del mondo, un obbligo che non può essere ridotto alla banale missione di far conoscere tutto ciò che è in giro nel mondo dell'opera e della musica in genere.


Su questo non ti seguo.
Dipende che teatro.
O meglio, se dirigi un teatro come la Scala la tua visione del mondo la metti da parte e fai in modo che il tuo pubblico si faccia un'idea di quello che succede nel resto del mondo. E' il tuo dovere. E sei pagato con soldi pubblici per quello.
Il tuo compito è quello di dialogare con le mille istanze che arrivano da altri paesi e da altre drammaturgie (perchè volta e gira sempre di teatro si tratta) e se porti il peso della più ingombrante eredità operistica al mondo (come chi dirige la Scala) non puoi limitarti a "importare" ma alcune di queste istanze le devi inventare tu e devi fare in modo che diventino moneta corrente anche in altri paesi. Devi essere un faro. E la Scala lo è stata.
Se invece ti danno in mano un festival, allora il discorso della visione del mondo (che comunque mi convince a tratti) ci può stare: sviluppo alcune tematiche e non altre, scelgo certe chiavi espressive, certi repertori... ci sta.

Cmq Muti, attualmente, sta facendo cose sensazionali, da seconda giovinezza. L'Ernani e la Manon romana sono state spettacolari.

WSM
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Re: Sposa dello Zar alla Scala

Messaggioda teo.emme » lun 17 mar 2014, 13:21

Io invece sono d'accordo con Marco Ninci. A mio parere - già l'ho scritto in passato e, ovviamente, sono stato trattato qui come un minus habens - gli anni di Muti alla Scala sono oggetto di una "leggenda nera" largamente immeritata e frutto di pregiudizi e/o distorsioni. Non voglio certo dire che fu quella meraviglia assoluta che raccontavano i giornali o i fan (detesto i fanatici di ogni parrocchia), ma certamente non fu il regno delle tenebre raccontato in modo così truculento da Mattioli, Marazzi, Vizzardelli, Malatesta (che però, mi pare parli più per sentito dire che per esperienza diretta) o Bagnoli. Trovo, innanzitutto, che i capi d'accusa formulati da quest'ultimo siano del tutto inconsistenti (ripetto le sue convinzioni, certamente, ma non le condivido). Innanzitutto trovo che il punto di partenza sia sbagliato, o quanto meno assai "partigiano": capisco che per questo sito uno spettacolo operistico si risolva essenzialmente nella regia e che, la regia, debba essere OBBLIGATORIAMENTE "decontestualizzata" e "destrutturata" per "ribaltare" la "stupida" drammaturgia originaria e costruire una nuova e geniale sequenza di eventi per istruire i comuni mortali a ritrovare significati inediti etc..etc.. ma risolvere l'intero spettacolo operistico in base all'aspetto visivo mi sembra quanto meno incompleto. Ma veniamo alle accuse mosse a Muti, messo alla berlina come l'ultimo dei buffoni e addirittura descritto come una specie di matto che si crede il massimo esponente della presunta "tradizione italiana":
1) "presenzialismo": di solito è la prima accusa. Muti dirigeva tutto e addirittura non permetteva ad altri di primeggiare sul podio. Falso! Certamente Muti era il direttore principale. Lo era istituzionalmente: non aveva mille collaborazioni in giro per l'Europa e non teneva neppure il piede in due scarpe (come il suo successore che teneva un piede a Milano e l'altro a Berlino e un trolley sotto il podio). Si dedicava alla Scala rinunciando - di fatto - ad una sicuramente più redditizia carriera discografica. Però a Milano lavorava...e pure molto. L'orchestra suonava in modo incomparabilmente superiore a quanto fa oggi. Era figura presente. Aveva plasmato un SUO riconoscibilissimo suono. Bene? Male? Come al solito se questo lo fa Muti è - per molti - male assoluto. Se lo fa qualcun altro è invece segno di professionalità e partecipazione. Mi sembra logico che un direttore che occupava gran parte del suo tempo a preparare in modo eccellente un'orchestra, quell'orchestra tenda a dirigerla spesso. Peccato veniale? Certamente, ma condiviso con tanti altri (pensiamo a Pappano a Londra: nessuno si è mai sognato di criticarlo perché dirigeva almeno la metà degli spettacoli della ROH!). Ma a Muti si deve per forza riservare un trattamento diverso (in Italia naturalmente, dove tutti si scoprono giuristi, commissari tecnici, velisti provetti e pure direttori d'orchestra...).
2) "assenza di grandi direttori": conseguenza della prima accusa. E come la prima è una "verità" da ridimensionare. Molto. Io per questioni anagrafiche ho vissuto il ventennio mutiano (paragonato da qualcuno addirittura al ventennio fascista...e a cui augurerei di tornare indietro nel tempo a quegli anni così da smetterla di fare stupide ironie sul tema) e non mi ricordo di aver ascoltato SOLO Muti. Ma probabilmente mi sbaglio e tra il 1988 e il 2002 la presenza sul podio di Maazel, Gatti, Ozawa, Bertini, Rozhvdestvnskij, Sawallisch, Gavazzeni, Campanella, Chung, Chailly, Sinopoli, Gergiev, Davis, Bychkov, Bartoletti, Rostropovich, Tate, Conlon, Gelmetti, Pretre, Temirkanov etc...era frutto di immaginazione o erano ologrammi o figuranti mascherati. E pure il Boulez in ben 4 concerti era probabilmente una maschera... Ovviamente si elencheranno anche i direttori mancanti e si accuserà Muti di non aver permesso che alla Scala tornassero Abbado o Kleiber...come se i motivi dell'assenza fosse la presenza di Muti. Ognuno creda a quel che vuole. Peraltro - passato Muti - mi chiedo perché non sono venuti a pioggia i "grandi direttori"...a meno di considerare Rustioni, Morandi, Luisotti, Luisi et similia dei nuovi Karajan... Dove sono i grandi nomi che si racconta fossero allontanati da Muti? Chi han portato Lissner e Barenboim? Non mi pare chissà quale incremento annunciare il prossimo arrivo di Nello Santi...
3) "assenza di grandi registi": a parte che Strehler e Ronconi SONO grandi registi...torno alla premessa. Su questo sito la figura del regista è la principale dello spettacolo operistico. Per molte altre persone no. E non è che siano tutti necessariamente dei selvaggi con l'anello al naso... Ma siamo sempre ai pregiudizi: convinzioni personali legittime, ma non certo bollate col timbro della verità assoluta. Certo Pier'Alli e Kokkos non si possono guardare, ma non tutto era così. Oltre ai già citati Ronconi e Strehler ci sono stati splendidi spettacoli anche a livello visivo: la Butterfly di Asari, la Lady Macbet di Engel (splendido spettacolo), Cobelli (con Angelo di Fuoco e Iphigenie en Tauride), il Parsifal di Lievi (che pure era molto suggestivo) e molti altri, tra cui la Boheme di Zeffirelli. Certo con alti e bassi. Come capita ovunque. Di scarso pregio le accuse finali mosse da Bagnoli: quando mai alla Scala ha fatto fare la regia in famiglia???? Che se poi si parla di nepotismi, oltre a guardare in casa nostra si può anche guardare altrove: penso a Rattle che infila la sua consorte in ogni produzione possibile... E poi facciamo un confronto con quel che è venuto dopo: in dieci anni (a presunta emergenza smaltita dunque) che si è visto? Qualche ottimo spettacolo preso in prestito e per il resto? Ad essere sinceri il nulla...
4) "assenza di cantanti": Muti usava i cantanti che all'epoca giravano. Anzi, si sforzava di uscire dalla logica del nome - con risultati spesso discutibili - privilegiando l'insieme al singolo elemento. Tutti però dovevano aderire alla visione del direttore. E meno male direi, altrimenti che ci sta a fare??? Francamente nel post Muti non ho mai ascoltato cast stratosferici...o particolarmente innovativi direi. A meno di ritenere i capricci di Alvarez un passo avanti...o il Nucci reiterato sino all'oltretomba una scelta rivoluzionaria. Il problema cantanti però era ed è molto diffuso: è un'incapacità generalizzata a selezionare e a distribuire. Ora come allora.
5) "provincialismo culturale": questa è quella che preferisco...un vero e proprio cavallo di battaglia, la parola d'ordine che vuol dire tutto e niente e che va bene per qualsiasi cosa. Anche perché spessissimo - anzi, sempre - è riempita SOLO da gusti personali e opinioni (ancorché legittime)...si fa Rossini e non Berg: provincialismo culturale. Si fa Berg e non Rossini: provincialismo culturale. E' un giochino che funziona sempre...salvo quando si chiede concretamente di indicare in cosa consista. Ma mi domando, se era provinciale la Scala di Muti, la Scala di Lissner che ha avuto l'unico pregio di riciclare alcune buone produzioni europee e che a parte il Tristan si è barcamenata tra un "vorrei, ma non posso" (stile orrido Ring del bicentenario) e routine modello ASLICO col repertorio del melodramma, come dovrebbe essere definita?
Certo, ripeto, non voglio cadere nel vizio opposto: la gestione Muti ha avuto luci e ombre, esattamente come altre esperienze. Trovo assurdo paragonarla a quella di Abbado - erano altri tempi e rispondeva ad altre esigenze - e trovo ingenuo confrontarne le scelte di repertorio: sono due musicisti del tutto diversi ed entrambi hanno compiuto scelte coerenti con le loro attitudini (si pensi al diverso rapporto con Rossini). Che senso ha rimproverarli per quel che NON hanno fatto? Muti ha peccato di ὕβϱις quando si è incaponito con Wagner (o meglio col Wagner sbagliato: avrebbe avuto più da dire con Lohengrin o Tannhauser secondo me...), tuttavia comprendo umanamente l'azzardo (così come comprendo il deludente Mozart che Abbado che si è ostinato a dirigere nell'ultima parte della carriera senza aggiungere nulla alla sua interpretazione). Si cita la lezione di Boulez, colpevolmente ignorata da Muti alle prese con Wagner...ma siamo sinceri, il Wagner maggiormente praticato oggi - non nella provincialissima Milano ça va sans dire, ma al Met, a Vienna, a Bayreuth, a Berlino, a San Pietroburgo - è più o meno quello lutulento di certa tradizione (Thielemann, Levine, Luisi, Gergiev, Brenboim...).
Detto questo, prima di essere accusato di voler fare gratuita polemica - o di essere liquidato da Mattioli & friends come un imbecille :lol: - vorrei anche ricordare alcune specifiche del "regno" di Muti alla Scala...che molti si dimenticano o che ridicolizzano in nome di uno sciovinismo al contrario, ma che a mio giudizio sono momenti importanti della storia di quel teatro e che benissimo possono stare alla pari dei migliori esiti abbadiani.
a) rinnovamento del repertorio: sì non è un abbaglio, ma Muti ha ripensato al repertorio. Ovviamente operando scelte diverse e concentrandosi verso un determinato periodo storico, ma comunque ha dato al teatro un preciso orientamento estetico. Può piacere o meno, ovvio, ma non è stata una scelta banale. Non c'era Handel. Ok...e allora? Non c'è neppure adesso, ma in compenso vi erano altri autori e altre riscoperte (Gluck, Cherubini, Spontini).
b) Verdi. Piaccia o meno il Verdi di Muti è radicalmente diverso rispetto alle banalizzazioni della tradizione italica. L'adozione di edizioni critiche, la ripulitura dalle incrostazioni tradizionali, il generale ripensamento dei piani sonori, l'integralità, l'abolizione di certe trovate circensi... Se le fa Minkowski è un genio, ma siccome l'ha fatto Muti allora è un cialtrone...un finto filologo arruffapopoli. Eppure il clima notturno del suo Trovatore, ricchissimo di echi donizettiani e suggestioni romantiche, è una delle cose migliori ascoltate in quel teatro. Così come il suono della sua Traviata mi rimarrà sempre impresso nella memoria: l'attacco dei violini nel preludio (di una perfezione assoluta, del tutto incomparabile allo sgangherato attacco del recente Gatti) che fa correre la mente alla purezza dell'inizio di Lohengrin. Senza contare il coraggio di fare Traviata in un clima di scontro tra bande che regnava nel loggione... Ma ci sarebbe da ricordare anche Attila, i Vespri (sottratti alla retorica risorgimentale), Macbeth, persino Otello e Don Carlo.
c) Rossini. Questo è un capitolo importante, e purtroppo non del tutto compiuto - come la rimpianta mancata realizzazione di Norma e Medea. Eppure gli esiti sono stati altissimi. Il Tell soprattutto (credo che il finale sia l'emozione più grande da me provata a teatro. C'era il problema della lingua, certo, ma le rivoluzioni si fanno per gradi, e portare un Tell integrale e ricondotto ad una lettura coerente (priva di rigurgiti verdiani) senza trasformarlo in un acutificio è stato, per la Scala, rivoluzionario. A parte che la versione ritmica è stata del tutto rivista in modo da correggere gli errori del Bassi... Come non ricordare La Donna del Lago e il suo clima neoclassico (il confronto con l'ultima "roba" ascoltata alla Scala neppure si pone) o il Moise (integrale e in lingua originale).
d) Mozart. Chi parla di un Mozart vecchio stile non sa, probabilmente, quello di cui parla. Prescindendo dalle ingombranti incisioni coi Wiener (non particolarmente riuscite) quello scaligero resta uno dei più interessanti ascoltati in quegli anni. Proprio per la cura filologica assolutamente inedita in Italia. Se qualcuno ha la bontà di ricordare la trilogia dapontiana rammenterà l'estrema cura di Muti nel calibrare le sonorità orchestrali. La stessa formazione era ripensata (il numero ridotto degli orchestrali variava ad ogni titolo) e gli equilibri archi/fiati rivisti a favore di questi ultimi (per evidenziare una maggior trasparenza e liberare l'architettura sonora dagli eccessi degli archi). Così com'erano evidenziate le appoggiature nella linea di canto e valorizzato il continuo (si alternavano cembalo e fortepiano). Senza contare gli splendidi allestimenti di Nozze e Don Giovanni (spettacoli storici). Ripensando a quel Mozart non posso non ricordare quel che è successo dopo: passi per l'impacciato Dudamel (in un allestimento di rara bruttezza) che riuscì a far durare il primo atto circa due ore...ma che dire di Barenboim? Davvero pareva tornare indietro nel tempo con un Mozart massiccio e pesante, con un'orchestra degna di Bruckner e un atteggiamento di totale chiusura ad ogni approccio filologico...
Ultimo accenno lo faccio all'orchestra: all'epoca di Muti era un'ottima compagine, dal suono identificato, precisa, e capace di adattarsi ad altre bacchette (diversissima era con Gergiev o con Sinopoli). Questo lo si deve ad un lavoro continuo e alla presenza di una figura di riferimento. Muti lo era. Piaccia o meno. Adesso non c'è nessuno, qualcuno racconta che si è "liberata", ma intanto non riesce a portare a termine con ordine Ballo in maschera o Trovatore... Lo stesso Gergiev quando è tornato con Turandot si è trovato un'orchestra impreparata e imprecisa e, non avendo fatto le prove, è riuscito a dare una vera lettura solo nelle ultime recite dirette. Quindi di cosa stiamo parlando? A me pare che sia la solita guerra tra bande di chi crede d'avere in tasca la verità (dall'una e dall'altra parte)... Muti non era il diavolo e non era neppure il salvatore. Qui mi pare che gli si vogliano far pagare colpe non sue.
Matteo Mantica
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