Ma qual'è la vera essenza della musica?...

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Ma qual'è la vera essenza della musica?...

Messaggioda pbagnoli » sab 19 ott 2013, 19:53

Sono particolarmente lieto di pubblicare nuovamente in home un contributo di Francesco Zicari, che noi di Operadisc conosciamo come Triboulet.
Stimo infatti profondamente Francesco, ne apprezzo la serietà nell'approcciare la materia, l'approfondimento, il suo essere privo di malizia e la profondissima onestà intellettuale.
Ne pubblico volentieri il contenuto perché qui, su Operadisc - contrariamente a altri siti - pubblichiamo anche tutto ciò che non c'entra molto con quanto viene sostenuto da anni.
E tuttavia, il fatto di aver pubblicato questo contributo non mi impedisce di dissentire profondamente, completamente e radicalmente da quanto Francesco esprime in questa riflessione ironica (o dovrei dire semiseria?...).
In particolare (cito così, alla rinfusa):
:arrow: nego decisamente che ci sia stata una "romanticizzazione" che ha rovinato la produzione, l'interpretazione e la fruizione della musica. Credo che sia inevitabile che ogni epoca influisca sulla produzione successiva, e questo in particolare vale per Wagner. Col che, ovviamente:
:arrow: nego decisamente che Wagner (e Beethoven, a maggior ragione, prima di lui) possa aver avuto un'influenza negativa su ciò che è venuto dopo. O meglio: l'influenza, inevitabilmente, c'è stata; il modello era troppo ingombrante, e ha cambiato le regole del gioco
:arrow: queste considerazioni valgono, in senso quasi inverso, anche per Bach, il cui ruolo non può essere tout court ricondotto a quello di un artigiano di bravura sopraffina che si cantava addosso. La sua musica non è fine a se stessa, a meno che non consideriamo tale tutta la musica composta nell'arco dei secoli; ma questo vuol dire aprire un enorme dibattito sul ruolo dell'Artista, sulla sua libertà d'espressione e sui vincoli del rispetto delle regole

In altre parole: i Grandi Artigiani (se proprio non li si vuole chiamare Artisti, ma non capisco perché) sono tali perché la loro influenza è stata talmente soggiogante da dettare le regole.
La nostra epoca, invece, se ho seguito bene il ragionamento di Francesco, caratterizzata da alcuni (non tutti, invero) interpreti hipsters, sarebbe votata al recupero di una tradizione scrostata da secoli di bitume depositato sugli spartiti.
Il che mi andrebbe anche bene, come idea.

Ora, però, si dà il caso che io - da sempre appassionato del percorso interpretativo dei Barocchisti (tanto per fare un esempio) - stia facendo proprio con Bach una sorta di palingenesi, un percorso inverso che mi porta ad accostare alle voci bianche di Harnoncourt/Leonhardt nella gloriosa integrale delle Cantate, o agli squittii di James Bowman, le architetture sonore di Richter o addirittura di Furtwaengler, ritrovandovi una sincerità e una verità drammatica che invece non trovo per esempio nell'ortodosso Koopman.

Quindi, Francesco, come la mettiamo?
Ancora una volta siamo qui a menarcela con questioni di ortodossia musicale, come se fosse l'unico dogma sacro e inviolabile?
Oppure siamo alla ricerca della Verità Drammatica che solo in un momento - in quel preciso e identificato momento - fotografa come un'istantanea il particolare periodo di cui è figlia?
In altre parole: conta più la solita quaestio perpetua sul rispetto pedissequo di quello che è scritto, che va eseguito solo in quel modo; oppure conta qualunque esecuzione perché ogni esecuzione è figlia del periodo e del luogo in cui è concepita?

Spero che si sviluppi un adeguato dibattito su questa questione, cui invito proprio - tanto per cominciare - chi ha lanciato il sasso, e cioè Francesco; ma vorrei che rispondessero anche gli altri.
L'argomento non è affatto banale, perché è il perno intorno a quale ruota il nostro sito che, una volta di più, si conferma un unicum nel panorama culturale italiano.
E non solo.

Comunque, un sentito ringraziamento a Francesco 8)
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Ma qual'è la vera essenza della musica?...

Messaggioda Revan » sab 19 ott 2013, 22:41

pbagnoli ha scritto:In altre parole: conta più la solita quaestio perpetua sul rispetto pedissequo di quello che è scritto, che va eseguito solo in quel modo; oppure conta qualunque esecuzione perché ogni esecuzione è figlia del periodo e del luogo in cui è concepita?


Credo sia la stessa differenza che sussiste tra imitazione ed interpretazione. La gelida imitazione è sola una copia conforme all'originale, non ha bisogno di un'anima, l'interpretazione invece ha un'anima, quella dei suoi esecutori e non può quindi prescindere dal periodo e dal luogo in cui è concepita. Credo che quella che tu definisci verità drammatica non possa scaturire dal solo rispetto pedissequo di quello che è scritto (è questo il difetto che trovi in Koopman? Io non conosco le cantate dirette da lui) ma solo dallo spirito, dal tesoro emozionale e culturale che gli esecutori imprimono alla loro opera.
Magari è banale, io la penso così.
Non ho la competenza per giudicare la musica post-Wagner, ma penso che in una qualunque attività umana è impossibile prescindere dai "modelli del passato"; alcuni modelli magari hanno un peso maggiore e più duraturo di altri sulle generazioni e che probabilmente alcune epoche possano essere più o meno ricettive delle idee delle epoche immediatamente precedenti.

Ciao

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Re: Ma qual'è la vera essenza della musica?...

Messaggioda DottorMalatesta » sab 19 ott 2013, 22:53

Ho letto con piacere l'intervento di Triboulet (accidenti, Trib, ma dove eri finito?!), ben scritto, mordace e provocatorio.
Il mio approccio alla storia della musica è più -passatemi il termine- "materialista". L'arte per l'arte? Mai esistita. Impossibile pensare di poter accostare, comprendere e giudicare qualunque fenomeno o prodotto "estetico" senza inserirlo nel tempo e nello spazio. Bach "artista puro"?" Direi proprio di no!
L'arte è ciò che da sempre gli uomini hanno chiamato arte", così diceva Benedetto Croce. Bene, con buona pace sua e di ogni idealista, io penso che il giudizio estetico sia profondamente radicato in una data cultura o contesto sociale/politico/economico. In fin dei conti, la produzione artistica non è altro che un insieme di segni percepibili con i sensi e che si pongono in stretta relazione (talora antitetica) con chi recepisce l'opera d'arte. E giudichiamo "bello" ciò che, di fatto, risponde a una serie di convenzioni, stratificatesi nel tempo fino ad imprimersi nel nostro DNA. Ma il "bello" di un uomo europeo non è il "bello" di un africano o il "bello" di un cinese. Il nostro "DNA spazio-temporale" ci fa dire che una Madonna di Raffaello è più "bella" di un'icona con la Madonna di epoca bizantina e più "bella" di una statua antropomorfa intagliata nel legno africano. Per il 99% degli europei una melodia di Mozart è più "bella" di una composizione pentatonica orientale (perché appartiene ad un altro "spazio"), e più "bella" di un brano atonale o dodecafonico (perché, pur essendo più vicino nel "tempo", non ha ancora fatto in "tempo" :mrgreen: a radicarsi nel nostro "DNA", nella nostra idea "storicamente-determinata" di "bello"). Il "bello" non esiste in un iperuranio platonico, ma è il frutto di una continua esposizione a luci, colori, suoni, cui siamo esposti sia come individui, fin da quando eravamo nell'utero di nostra madre, sia (un po' come l'incoscio archetipico collettivo di Jung) come esseri umani, appartenenti a precise coordinate spazio-temporali. Questo ce lo dicono anche gli studi di neuroscienze.
Così non è Beethoven ad aver creato il romanticismo. Ma è piuttosto il Romanticismo (lo spirito del suo tempo, la sua economia, la sua società, la sua filosofia) ad aver creato Beethoven.
Marx contro Platone? Fenomenologia contro Ideologia? Beh... sì! :mrgreen:
Un caro saluto e grazie a Triboulet!

DM
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Re: Ma qual'è la vera essenza della musica?...

Messaggioda Triboulet » dom 20 ott 2013, 0:56

Un saluto a Pietro e a tutti gli amici... a volte ritornano, come si suol dire (dopo aver messo a posto un po' di cose).

Il mio intervento era, volutamente, marcatamente provocatorio, non va letto alla lettera certamente, ma vuole porre l'accento su una questione. C'è stato un punto nella storia della musica in cui le cose sono cambiate, all'inizio impercettibilmente, e poi sono sfuggite di mano. C'è stato un secondo momento in cui, a fronte di una musica che continuava ad evolversi in maniera naturale secondo l'evoluzione della società, è nato il cosidetto "repertorio", ovvero una frangia consistente di interpreti che si sono dedicati anima e core all'enfatizzazione sempre più estrema dei dettami dell'ultimo romanticismo, trasferendoli pure su tutta la musica antecendente. E si è andati così per anni. Bach era un compositore ricco e complesso, che se non può essere ridotto alla solarità giocosa di Koopman non può essere neanche mortificato dal rigore grigio e serioso di Karl Richter, o peggio dalle riletture da marcia militare di Furtwangler. E quindi il discorso è complesso, perchè si parla di rapporto tra musica e società, e soprattutto di storia dell'interpretazione. Perchè si distruggono miti e "incisioni di riferimento", e si turbano gli animi sensibili di molti ascoltatori conservatori (giacchè la musica classica è un ambiente ahinoi spesso conservativo). Più che delle pacate ed equilibrate riflessioni, ho scelto un tono più da pugno nello stomaco, col rischio di essere beffeggiato, tacciato di superficialità, frainteso... quello che mi interessava era però creare un dibattito forte su un tema attualissimo, dato che la filologia esiste ormai dai decenni (e si evolve pure lei, e questa è un' altra bella parentesi), ma sembra che la concezione di titanica sacralità dell'arte musicale continui a perpetuarsi in molti, moltissimi ascoltatori (giacchè anche gli interpreti ottuagenari si sono ormai resi conto della necessità di una ricerca più seria dello spirito originario di certe composizioni). Vado di fretta ora, approfondiremo. Grazie ancora dello spazio che mi è stato concesso, penso che solo voi avreste avuto il coraggio di farlo, come avete fatto.
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Re: Ma qual'è la vera essenza della musica?...

Messaggioda Maugham » dom 20 ott 2013, 18:19

Triboulet ha scritto:Un saluto a Pietro e a tutti gli amici... a volte ritornano, come si suol dire (dopo aver messo a posto un po' di cose).



Cosa posso dire Triboulet se non un calorosissimo ed entusiastico: BENTORNATO!
E sei tornato alla grande con un pezzo bellissimo.
Dei tuoi. 8)


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Re: Ma qual'è la vera essenza della musica?...

Messaggioda teo.emme » lun 21 ott 2013, 16:17

Ho letto anche io il pezzo pubblicato, ma francamente non comprendo le ragioni di tale scritto. Qual è il messaggio? Che l'artigiano vale più dell'artista? Che l'arte-mestiere è più genuina dell'arte per l'arte? Che l'arte in fondo non esiste se non come costruzione romantica che avrebbe complicato inutilmente il buon artigianato? Che il romanticismo (ma meglio sarebbe dire l'estetica hegeliana) avrebbe in qualche modo corrotto il rapporto tra fruitore e creatore dell'espressione artistico/artigianale attraverso la sacralizzazione di un mero scambio commerciale (compratore/venditore)? Se non ho frainteso il senso, allora posso dire di non essere affatto d'accordo. Innanzitutto trovo sbagliato procedere per cesure e distinguere così nettamente categorie e periodi: non si può postulare un momento storico in cui la musica era mero artigianato e poi, improvvisamente, un secondo periodo dove diviene opera d'arte. Come in tutti gli aspetti delle vicende umane vi è un'evoluzione nei linguaggi, nella fruizione e nella creazione della musica (comunque la si intenda). Non si può distinguere in base all'essenza dell'oggetto, perché esso è al tempo stesso mutevole e fisso. Cambia invece il sistema produttivo, il rapporto col pubblico, il ruolo sociale del compositore, la funzione esecutiva. A meno di presupporre che Bach, Handel o Vivaldi scrivessero musica con lo stesso spirito con cui un calzolaio suola una ciabatta (il che viene smentito dalle fonti d'epoca che sviluppano una dimensione estetica ben precisa e da cui emerge una consapevolezza vera e propria di "fare arte") si deve considerare come l'arte avesse semplicemente una diffusione e una funzione differente più legata all'esecuzione e all'occasione rappresentativa. Poi la musica si sviluppa, il linguaggio si complica, nascono altre forme di "svago" (il romanzo, la commedia): il compositore si emancipa dai suoi interpreti e le sue opere vivono autonomamente da questo o quel castrato (si forma il "repertorio" che permette di eseguire titoli passati), la sinfonia assume nuove dimensioni e nuove finalità (da mero intermezzo o introduzione alla lunghe "accademie" diviene opera autonoma). Ma non c'è nessuno che ha "inventato" questo nuovo paradigma: è semplice evoluzione storica (accadde in musica come nella letteratura o nella pittura). Non è colpa dei "romantici" (altra categoria che pare esser definita per atto di fede). Ma poi davvero nell'800 il compositore si leva sopra le frivolezze del mondo per inseguire la vera arte? Direi di no, perché anche allora il musicista fa i conti con la committenza, il denaro, i costi: non scrive più 50 opere certo (anche perché non è più necessario farlo) e ci mette più tempo a rifinire una partitura (perché il linguaggio si complica), ma non opera isolato dal mondo reale (così come Haydn non operava inconsapevole di valenze artistiche). Detto questo spiace leggere ancora le solite banalizzazione ad uso televisivo: un Mozart ragazzino irriverente che mostra le natiche ai parrucconi rococò; un Wagner mistico pedante tutto preso a costruire la sacra rappresentazione della sua missione musicale; un Beethoven scorbutico ed emaciato che inventa il romanticismo con un gesto di ribellione; un Vivaldi rock'n'roll... Non entro nel merito, ma leggere ancora di Beethoven romantico fa cadere le braccia!
Ps: non c'entra molto, ma anche io come Pietro - mi pare - non faccio guerre di religioni nella fruizione musicale. Ascolto quel che mi comunica qualcosa e cerco di coglierne il senso. Non mi hanno mai appassionato le esecuzioni che sembrano saggi musicologici e neppure mi emoziona a prescindere la ricostruzione barocchista. Per il semplice fatto che è impossibile per noi, uomini del XXI secolo con il testa Beethoven, Wagner, Mahler, Schoenberg etc.., fingere di eseguire o ascoltare Bach come al suo tempo. Quindi ben vengano le esecuzioni che provano a riproporre prassi antiche con strumenti antichi, ma senza dogmatismi: Harnoncourt in una sua intervista ha detto di detestare il termine "storicamente informate" per le esecuzioni cosiddette filologiche, perché - dice - sarebbe come accusare tutte le altre di essere storicamente "disinformate", liquidandole come "sbagliate". Purtroppo oggi viene imposto un modello che tende a liquidare come sbagliata qualsiasi via interpretativa "avversaria". Detto ciò pure io non apprezzo Koopman (ascoltato diverse volte dal vivo), troppo arido e dogmatico.
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Re: Ma qual'è la vera essenza della musica?...

Messaggioda Triboulet » lun 21 ott 2013, 21:39

Ciao teo, ben ritrovato...
sinceramente non so dove hai letto che Beethoven è "romantico"... sostenevo semmai che Beethoven ha inaugurato una stagione ("ha inventato suo malgrado il romanticismo") in cui l'artista, rispetto alla società, agli ideali e pure rispetto alla consapevolezza del suo ruolo, non sarebbe stato più quello di una volta. Ed è a Beethoven che la generazione romantica tutta ha guardato. Essere un artista romantico è una colpa? ironicamente sì, della serie "avete rovinato tutto con la vostra ridicola retorica" :D , e un po' - forse - l'autore di questo articolo-delirio è anche d'accordo con questa valutazione (sarà pure legittimo pensarla così). Ma non si può opporre alla storia, di certo. Il problema è che quello spirito e quegli ideali, quelli ottocenteschi, validi e giustificabili in quel contesto, sono quanto di più distante dalla società di oggi si possa immaginare, molto più degli umori centrifughi e variegati del '900, molto più dell'artigianto delle piccole grandi sorprese del '700. Perchè oggi, nonostante le grandi orchestre tedesche continuino a proporre ostinatamente il loro repertorio, quelli che "spaccano" ovunque sono "i baroccari"? Non credo sia esattamente come la minigonna, che un anno va e l'altro no. C'è qualcosa di terribilmente vicino a noi che abbiamo finalmente riscoperto, e che non ha niente a che fare col resto di cui sopra. Per un secolo lo stile e gli ideali romantici sono stati eletti centro del pensiero e del repertorio del musicista classico, e non solo, sono stati addirittura sovraccaricati da una tradizione che li ha elevati all'ennesima potenza, talvolta ai limiti del ridicolo. Se non Wagner direttamente (che rimane un genio comunque la si metta, fosse solo per le sue innovazioni strettamente musicali), è stato il wagnerismo la prima corrente che ha preteso di divorare tutto ciò che c'era attorno. O stavi con loro o contro di loro, e per decenni loro hanno vinto, come strenua opposizione conservativa alla cosidetta "avanguardia", tacciata di incomprensibilità (sarà sempre vero?) e di chiusura alle masse (sarà sempre vero?). E non solo, la cultura della "profondità" ha preteso di inglobare pure tutta la musica precendere, che - basandosi su altri presupposti - aveva evidentemente altro stile, altre finalità ed evidentemente doveva suonare diversa; e quindi la lotta è diventata anche quella contro la "superficialità". E non si prendano a pretesto questi termini per tacciarmi di una ingenuità in cui non crede nessuno, men che meno io, giacchè superficie e profondità hanno un significato non correlato al valore della musica, ma all'intendimento. Fa specie che si riduca l'arte del '700 ad entertainment di lusso? eppure era così, persino uno come Bach immagino che al massimo aspirasse ad essere ricordato come un buon didatta e un buon musicista di chiesa, non scriveva nè per i posteri nè per esprimere particolari ideali e secondo me neanche per glorificare il signore, giacchè era il primo che spostava idee musicali da contesti sacri a contesti profani (la menata che si dice per spiegarselo è che "tutta la musica di Bach in realtà era rivolta a Dio, anche le variazione Goldberg"). Ora, il forumista medio di Operadisc ste cose le sa già, e continua a sorridere anche durante questo mio intervento (figuriamoci alle mie provocatorie semplificazioni). Ma fuori c'è ancora un mondo che crede nel Vivaldi di Karajan e nel Beethoven di Furtwangler, non solo come opzioni verosimili, ma come riferimenti assoluti. L'ascoltatore di musica classica è snob, per definizione, dal look, ai discorsi, allo stile nella società... ha bisogno di classe, di suono, di patina, di sentimento, di riflessione filosofica. La "piedistallizzazione" estrema della musica serve a nobilitare se stesso, a sentirsi profondo, colto e importante, un viagra per sentirsi più potente sessualmente rispetto al resto del mondo. Ecco che gli ideali ottocenteschi vengono così svuotati, esasperati e strumentalizzati, da una massa di pubblico impotente (sempre sessualmente, intendo).
Scandalizzano tanto gli stereotipi? l'ascoltatore di musica classica ha sofferto per decenni di eiaculazione precoce grazie al Beethoven titanico e coturnato, al Mozart grazioso ed effeminato, al Bach serioso-mistico e al Vivaldi parruccone ecc. ecc. E non erano soltanto stereotipi iconografici, erano gli interpreti che SUONAVANO secondo quegli stereotipi, gli stessi stereotipi che alcuni ritengono ancora verità (non tra di noi, di certo). Nonostante la musica spesso non si prestasse neanche lontanamente a certe interpretazioni, si piegavano tempi, stili esecutivi, timbri, dinamiche, al fine di far risultare tutto "credibile", credibile nell'ottica neo-romantica, o dovrei dire nell'ottica di come un novecentista frustrato e nostalgico percepiva la musica dell'800. E quindi ci scandalizziamo ora che esista lo stereotipo del Beethoven esplosivo-rivoluzionario, del Mozart trasgressivo, del Bach kappelmeister di provincia o del Vivaldi autore proto-pop? Oggi questi autori si suonano esattamente con questo spirito, forse la tipizzazione non è esaustiva, ma sicuramente abbiamo fatto un passo in più verso la verità, rispetto alle storture cui la storia ci ha assuefatto. Gli interpreti (anche quelli anziani) se ne sono accorti, e si sono adeguati. Il pubblico (specie quello italiano, secondo me) non tutto. Basta farsi un giro.
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Re: Ma qual'è la vera essenza della musica?...

Messaggioda teo.emme » mer 23 ott 2013, 18:12

Triboulet ha scritto:Ciao teo, ben ritrovato...

Grazie Triboulet :D ...
Grazie anche per l'occasione di poter discutere di una questione così interessante. Ma torniamo a noi.
Se ho ben capito nel tuo scritto - e nella tua risposta - attribuisci al romanticismo "la colpa" di aver piedistallizzato a suon di retorica e stereotipi la figura del musicista, dell'opera d'arte e di tutta la musica precedente, condizionando così generazioni di ascoltatori e interpreti ed elevando a tradizione venerata, una mera opzione. Ponendosi allo stesso tempo come diga o baluardo di un certo sentire. Posso anche concordare sulla tendenza "inglobante" della cosiddetta generazione romantica, ma non nel significato che tu suggerisci. Il romanticismo, come qualsiasi periodo storico di forte identità, necessariamente tende ad interpretare il passato con gli occhi del suo presente. Così come in quegli anni - per tante ragioni - si è recuperato il medioevo gotico, in una sua versione romantica (assolutamente metastorica), allo stesso modo si è ricercato (e trovato) nella musica del passato, una lettura romantica: non solo a livello di fruizione, ma anche - soprattutto - a livello di esecuzione. Eppure la stessa cosa è stata fatta nel secolo precedente, quando il classicismo ha recuperato una sua versione - anche questa fasulla e metastorica - del mondo classico. Ed è un processo del tutto normale: interpretare il passato partendo dal presente. Dici che oggi l'idealità romantica non interessa più a nessuno - salvo le orchestrone tedesche - perché lontana dal nostro sentire e fortemente "falsificatrice". Oggi, invece, si sarebbero fatti passi importanti verso la "verità" esecutiva (immagino) ed interpretativa dei diversi repertori. E qui sta il punto: vero e falso, giusto e sbagliato. Io non credo vi sia un modo giusto e vero di eseguire certa musica. Non credo si possano applicare categorie così assolute all'interpretazione musicale perché si finirebbe nel puro dogmatismo. Sostituendo quindi l'assolutismo di chi riteneva il Beethoven di Furtwaengler l'unico riferimento assoluto (verità), con l'assolutismo di chi ritiene come unica opzione esecutiva, l'approccio barocchista (verità nuova). Sostituire un dogma con un altro non è mai cosa buona. Si ricade nelle stesse banalizzazioni con un'altra casacca. Il fatto è che non può esistere un modo "giusto" di eseguire un dato repertorio: non lo è quello di Furtwaengler con il suo portato culturale (il post wagnerismo, la guerra, il tardo romanticismo etc...); non lo è quello "storicamente informato" (definizione orribile come ho già detto prima) perché non basta recuperare una presunta prassi quando noi - uomini del XXI secolo - abbiamo una storia di ascolto non più vergine (e quindi non si può fare Bach come all'epoca di Bach, perché non esiste più). Per questo le guerre di religione sono fallimentari. Oggi poi si assiste a reciproche contaminazioni. La pratica barocchista è stata uno strumento importantissimo non tanto per i risultati immediati - nel mare magnum di complessi e complessini sorti come funghi negli ultimi 15 anni, solo pochi sono effettivamente notevoli - ma per quelli indotti sul resto della prassi esecutiva. Salvo casi eccezionali, pochi oggi suonano Beethoven come 50 anni fa, a prescindere dall'orchestra usata. E questo accade non per affermare una verità contro un'impostura, ma perché l'interpretazione muta col mutare del tempo e si adegua a nuove esigenze, a nuove curiosità. Poco mi importa che l'orchestra di Beethoven avesse 10 violoncelli invece di 25, o che il metronomo fosse più veloce. Non è certo come la moda della minigonna, ma non si può enfatizzare un processo storico di evoluzione come mero ritorno all'autenticità perduta di una fantomatica età dell'oro. C'è poi anche da definire il termine "romanticismo": spesso lo si considera come blocco unico, monolite di retorica ed evanescenze filosofiche...eppure è al suo interno molto vario e complesso. Cosa è romantico? E cosa non lo è? Ci mettiamo a fare le liste di buoni e cattivi? Un'ultima osservazione sul romanticismo di Beethoven (esponente o fondatore o complice o anticipatore che sia): come si può definire romantico (nel senso più comune del termine) un compositore che aveva quale modello assoluto Haendel e che ammirava la compostezza neoclassica di Cherubini? Davvero che c'è in comune - mestiere a parte - tra il Berlioz della Fantastica (manifesto dell'estetica musicale romantica) e l'autore della Quarta o Ottava sinfonia o della Nona (col suo messaggio di universalismo illuminista), delle ultime sonate per pianoforte, delle bagatelle o delle Diabelli (vertici della sua produzione pianistica), di un singspiel semiserio, dei quartetti....? Che poi la vulgata ne abbia fatto un santino stereotipato non rileva. Come non rilevano - né scandalizzano - le altre streotipizzazioni (il rivoluzionario, il trasgressivo, il proto-pop) che sono figlie del medesimo atteggiamento assolutistico. Ma dietro queste etichette cosa c'è davvero? E' davvero possibile racchiudere in uno slogan Bach o Vivaldi?
Matteo Mantica
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