Re: Criticando il critico...
Inviato: ven 26 ott 2012, 11:44
Bellissimo argomento, e devo dire che sul punto sono d’accordo con Matteo. Non credo sia solo un problema di etichette, ossia di chiarire cosa è un musicologo e cosa uno studioso di performing arts. È proprio l’oggetto del loro studio ad essere diverso. Il primo guarda all’oggetto del proprio studio come ad un’entità statica, sia esso un madrigale del ‘500 o una partitura di Boulez. Al secondo interessa (o dovrebbe interessare) l’uso che di quell’oggetto viene fatto da parte di players (direttori, registi, cantanti, limitandoci al genere opera) nel corso del tempo.
L’esempio, fatto qualche post più sopra, di Gossett mi sembra interessante. Mi ha sempre stupito come un musicologo così innovativo ed antidogmatico (non per nulla è americano), possa diventare rigido ed ingenuo allo stesso tempo quando passa ad analizzare l’oggetto dei suoi studi (ad esempio, un’opera di Rossini) non nell’ambito del testo, ma in quello della rappresentazione. Lo stesso studioso che ha fatto passare il principio (tutt’altro che ovvio fino a qualche decennio fa) che un’edizione critica non impone nulla dal punto di vista esecutivo, in quanto si limita a proporre delle possibilità, lasciando libero l’interprete di fare le scelte che crede, quando deve valutare i problemi concreti di una messa in scena dichiara bellamente che la soluzione ideale per il Rossini serio sono gli spettacoli di Pizzi. Beninteso, non contesto affatto il giudizio in sé, che è pienamente legittimo, quanto il criterio sulla base del quale un giudizio del genere viene dato: è chiaro che per Gossett la regia di uno spettacolo operistico non può fornire alcun apporto “creativo”, bensì meramente illustrativo; che, al massimo, deve contribuire a rendere ciò che Rossini intendeva, ma che il Tancredi possa dire cose diverse ad epoche diverse (ed in particolare alla nostra epoca), e che questo sia specificamente il compito degli interpreti, non gli passa per la mente.
La cosa bizzarra è che, per consentire questo processo, è disposto ad intervenire sul testo, piuttosto che garantire una reale e totale libertà agli interpreti. Nel suo libro parla diffusamente dell’allestimento del Viaggio a Reims che ha curato con Dario Fò. Dice cose interessanti (per quanto abbastanza ovvie) sulle reali intenzioni celebrative di Rossini, sull’effetto parodistico che nasce se si confrontano le iperboli celebrative dell’inno di Corinna con la reale statura storica di Carlo X, ecc., e soprattutto sul fatto che queste implicazioni parodistiche dovrebbero risultare da una messa in scena del Viaggio. Ebbene, come si decide di esprimere tutto ciò? Riscrivendo il libretto, facendo dire papale papale a Corinna che Carlo X in realtà era un cialtrone, ecc. Che tutto ciò potesse essere espresso (e con implicazioni e risultati ben maggiori) lasciando il testo intoccato, da parte di un regista che sapesse il fatto suo non viene neppure considerato. Per il musicologo Gossett l’unica cosa che conta è il testo, il resto sono accidenti.
In questo senso anch’io penso che ci troviamo di fronte a due materie diverse per il loro oggetto: lasciamo i musicologi ad occuparsi dei testi e speriamo si sviluppi una seria scuola che dia basi scientifiche allo studio delle performing arts. Difficile che qualcuno possa fare bene entrambe le cose: Gossett è un genio quando quando deve definire cos’è il Tancredi di Rossini; diventa un dilettante quando cerca di spiegare cos’è il Tancredi di Rossini per uno spettatore del XXI secolo…
Saluti,
Beck
L’esempio, fatto qualche post più sopra, di Gossett mi sembra interessante. Mi ha sempre stupito come un musicologo così innovativo ed antidogmatico (non per nulla è americano), possa diventare rigido ed ingenuo allo stesso tempo quando passa ad analizzare l’oggetto dei suoi studi (ad esempio, un’opera di Rossini) non nell’ambito del testo, ma in quello della rappresentazione. Lo stesso studioso che ha fatto passare il principio (tutt’altro che ovvio fino a qualche decennio fa) che un’edizione critica non impone nulla dal punto di vista esecutivo, in quanto si limita a proporre delle possibilità, lasciando libero l’interprete di fare le scelte che crede, quando deve valutare i problemi concreti di una messa in scena dichiara bellamente che la soluzione ideale per il Rossini serio sono gli spettacoli di Pizzi. Beninteso, non contesto affatto il giudizio in sé, che è pienamente legittimo, quanto il criterio sulla base del quale un giudizio del genere viene dato: è chiaro che per Gossett la regia di uno spettacolo operistico non può fornire alcun apporto “creativo”, bensì meramente illustrativo; che, al massimo, deve contribuire a rendere ciò che Rossini intendeva, ma che il Tancredi possa dire cose diverse ad epoche diverse (ed in particolare alla nostra epoca), e che questo sia specificamente il compito degli interpreti, non gli passa per la mente.
La cosa bizzarra è che, per consentire questo processo, è disposto ad intervenire sul testo, piuttosto che garantire una reale e totale libertà agli interpreti. Nel suo libro parla diffusamente dell’allestimento del Viaggio a Reims che ha curato con Dario Fò. Dice cose interessanti (per quanto abbastanza ovvie) sulle reali intenzioni celebrative di Rossini, sull’effetto parodistico che nasce se si confrontano le iperboli celebrative dell’inno di Corinna con la reale statura storica di Carlo X, ecc., e soprattutto sul fatto che queste implicazioni parodistiche dovrebbero risultare da una messa in scena del Viaggio. Ebbene, come si decide di esprimere tutto ciò? Riscrivendo il libretto, facendo dire papale papale a Corinna che Carlo X in realtà era un cialtrone, ecc. Che tutto ciò potesse essere espresso (e con implicazioni e risultati ben maggiori) lasciando il testo intoccato, da parte di un regista che sapesse il fatto suo non viene neppure considerato. Per il musicologo Gossett l’unica cosa che conta è il testo, il resto sono accidenti.
In questo senso anch’io penso che ci troviamo di fronte a due materie diverse per il loro oggetto: lasciamo i musicologi ad occuparsi dei testi e speriamo si sviluppi una seria scuola che dia basi scientifiche allo studio delle performing arts. Difficile che qualcuno possa fare bene entrambe le cose: Gossett è un genio quando quando deve definire cos’è il Tancredi di Rossini; diventa un dilettante quando cerca di spiegare cos’è il Tancredi di Rossini per uno spettatore del XXI secolo…
Saluti,
Beck