E se il passatismo non fosse l'unica risposta?

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Re: E se il passatismo non fosse l'unica risposta?

Messaggioda VGobbi » dom 27 mag 2012, 12:33

Pero' Marco Berti, non sara' quel tenore che apre squarci d'introspettiva nella lettura dei personaggi ... ma canta davvero molto bene ed e' un solido professionista. Io l'avevo sentito nel Riccaro (Un ballo in maschera) a Trieste e mi era garbato assai. Mi aveva infastidito quel senso di paura nel rischiare percebile tra gli ascoltatori, ad esempio facendo spesso ricorso a prese di fiato, come se fosse quasi incapace di sostenere le frasi lunghe.

Scusatemi l'OT.
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: E se il passatismo non fosse l'unica risposta?

Messaggioda DottorMalatesta » gio 06 mar 2014, 19:45

LA TORRE DI BABELE. OVVERO: FORSE STIAMO SOLO PARLANDO LINGUE DIVERSE!

Assistere ad una discussione tra appassionati d´opera sembra come ascoltare un dialogo tra due sordi. Prendo spunto dalle opinioni (così accese e contrastanti!) in merito alla regia di Cerniakov per "La sposa dello Zar", per dirvi come la penso.
Personalmente ritengo che sia ingiusto (e scorretto in una prospettiva di critica teatrale) valutare questo spettacolo in chiave “illustrativo/illusionistica” (come ahimè ho visto fare altrove). Per essere valutata e compresa questa regia richiede di essere letta dalla “giusta distanza”, in una prospettiva che non è quella del teatro illusionistico (che si può leggere ed interpretare immergendovisi), ma è quella di un teatro “critico”, “distanziante”, alienante.
Vi è chi rifiuta in toto una concezione registica di questo tipo. Personalmente ritengo che entrambe le concezioni abbiano eguale diritto d´esistere. Anche perché si sostiene spesso che una lettura “illustrativa” sia la sola a rispettare la “drammaturgia musicale”, ma in realtà vi sono letture “critiche” in grado di rispettare la “drammaturgia musicale” almeno quanto (se non di più) letture più “tradizionali”. Lo “spirito” è NEL libretto e nelle note ma NON È la “lettura” del libretto né delle note. “La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica“, scriveva San Paolo.
La questione, semmai, va risolta nel modo con cui la regia si pone in rapporto con la musica. Un rapporto che può essere di sottomissione o di eguaglianza. E` la solita storia del “prima la musica, poi le parole”: da quando è nato il teatro in musica si discute di questo!!!
Mi permetto di riportare alcune citazioni tratte da un interessante intervento di Sandro Cappelletto su Classic Voice di febbraio:

[Romeo Castellucci scrive:] “Esistono due limiti. Chi affronta una regia deve sapere che in un´opera lirica, rispetto al teatro di prosa, vengono enormemente potenziate dalla musica la qualitá emotiva e la gabbia temporale, cioè il tempo psicologico. A teatro posso modificare il tempo come voglio: rarefarlo, accelerarlo, in un´opera musicale no. E il tempo sta al regista come la pietra allo scultore, il colore al pittore. Per il resto, la regia è un immenso campo di battaglia dove bisogna conquistare il proprio spazio di manovra”.
Con altre parole, Castellucci sembra concordare con la definizione di “drammaturgia musicale” cara a Carl Dahlhaus: “La tesi è questa: in un´opera, in un melodramma è la musica il fatto primario, che costituisce l´opera d´arte (opus) e la costituiscono in quanto dramma”. Tesi opposta alla persuasione di Luciano Berio: “Il tipo di razionalismo critico che Brecht, col suo teatro epico, sovraimpone alla scena e al rapporto scena/pubblico, contro un´idea di teatro illusionistico e consolatorio, implica una autonomia dei livelli espressivi e di tutti gli elementi della rappresentazione. La musica vi ha un ruolo fondamentale, soprattutto quando contribuisce, con la sua autonomia, condivisa peraltro dagli altri elementi scenici, ad interrompere lo svolgimento dell´azione, ad alienarla”. Come dirá Peter Sellars: “In scena deve vivere una democrazia della rappresentazione tra i diversi elementi che compongono lo spettacolo”.


Personalmente ritengo che ambedue le visioni, sebbene agli antipodi, siano egualmente valide e degne di rispetto. Il problema, alla fin fine, è la qualitá del risultato finale. E l´appropriatezza del giudizio che se ne dá in sede critica. Non ha senso rimproverare a Neuenfels di aver ambientato la casa di Rigoletto in una scatola trasparente di Plexiglass su un´isola deserta! Sarebbe come rimproverare Picasso di non avere utilizzato la prospettiva lineare di Pietro della Francesca! Forse se anche tra appassionati ci si ficcasse in testa che si tratta di linguaggi DIVERSI e che come tali devono essere interpretati e giudicati, la finiremmo una buona volta di scannarci l´un l´altro (“conservatori” contro “progressisti”, Zeffirelliani e Pizzettiani contro Herheimiani e Cerniakoviani). Preso finalmente atto che si tratta di lingue diverse, potremmo far cadere le faziosità e gli atteggiamenti partigiani allora confrontarci su COME queste lingue vengono parlate, ossia sugli aspetti tecnici del discorso registico. E magari convenire sul fatto che, ferme restando le diverse concezioni di base, e i diversi linguaggi, Pizzi è regista mediocre o geniale almeno tanto quanto un Kusej.

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