Ma quale ..."Età dell'Oro"!

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Ma quale ..."Età dell'Oro"!

Messaggioda MatMarazzi » sab 15 ott 2011, 11:18

Io credo che sia arrivato il momento di mettere in discussione, una volta per tutte, la mitizzazione del periodo interbellico (anni '20-'30) come stagione aurea dell'interpretazione operistica.
Io non sono affatto d'accordo.
Secondo me, quelli furono anni di stasi, di enfasi, in cui - come ho detto più volte - il magniloquio prese il posto della creatività.

Il canto, seguendo come sempre le sollecitazioni della storia, ha smesso di sperimentare linguaggi e si è lasciato condizionare dall'enfasi del gigantismo e il chiasso della celebrazione che aveva intaccato la dialettica politica delle prime dittature o democrazie di massa.
Quello che mi fa sorridere è che tutti oggi ci distacchiamo con sdegno dalla retorica sovietica dell'epoca, come da quella fascista, nazista e franchista; ci distacchiamo persino dall'ondata di patriottismo populista e arrogante che, con la grande depressione e col New Deal, cominciò a intaccare il dibattito americano.
In compenso andiamo in brodo di giuggiole a sentire il canto di quegli anni, perfettamente asservito a quella magniloquenza, a quella esteriorità, a quella pomposità tronfia e a quella staticità populista.

Mai - dai primi del 900 a oggi - i cantanti d'Opera sono parsi tanto bolsi e pretenziosi come in quegli anni, nella programmatica ampollosità degli accenti e delle sonortà. Mai l'interpretazione operistica era parsa tanto bloccata in clichés retorici.
E soprattutto mai, secondo me, l'umanità - con la sua complessità - è stata tanto distante dal canto.
Lo so anche io che quel gigantismo affascina, qui suoni tutti potenti, tutti rotondi e scultorei... così come (ci piaccia o meno) affascinava la retorica gridata dei Leader dell'epoca, o le grandi parate di stato, le esibizioni dell'esercito.
Ma, diciamocelo una buona volta, nell'arte la retorica del grandioso e il culto della celebrazione uccidono la profondità e la complessità.

Più si mette un personaggio su un piedistallo, più lo si fa "trombonare" da altezze super-eroiche, meno si dovrà riflettere sulla varietà delle sue motivazioni.
Più si amantano i suoni di pompa spettacolare, meno si dovrà poi scavare e ricervcare nelle possibilità della voce.
Più si congela il fraseggio in accademiche ridondanze, meno ci si dovrà occupare di evocare la vera emozione.

Poi, è chiaro...
Quando si parla di crisi o di splendori in un'epoca, si deve sempre premettere che si procede per generalizzazioni.
So benissimo, ad esempio, che se parlo di "crisi" nel ventennio 20-40, mi si potranno ritorcere contro decine di grandissimi artisti di quell'epoca.
Così come se parlo di splendore nel dopoguerra (45-65) mi si potranno citare decine di pessimi cantanti famosi in quel periodo.
Io stesso adoro molti artisti del periodo (così come ne odio altri di epoche precedenti o successive).
Però vorrei che non ci fondassimo sui singoli artisti, ma su tendenze generali...
E di giudicare coerentemente il complesso di un'epoca.

Cosa ci offre in fondo il ventennio del magniloquio?
Il repertorio si è ristretto in modo spaventoso (la crisi della composizione inizia lì); Wagner ha perso tutto il fascino dell'eversione e della modernità diventado - grazie al Wagner Internazionale - un Colossal fatto di ciccioni e ciccione sessantenni, con elmi e trecce, irriso e sbeffeggiato dai veri avanguardisti dell'epoca; Verdi e il verismo italiano divennero palestre di pacchianate. Il belcanto venne praticamente affossato, e quel che rimaneva era affidato a cinguettamenti del tutto anti-drammatici, che a loro volta rientravano nella retorica dell'esteriorità.
Ok, anche io sento il fascino dei tenori "vocalisti" tedeschi. Ma anche in Roswaenge non sentite comunque, a parte tutto, che l'ossessione del superomismo prevale sull'umanità e sulla complessità dei personaggi? In Tauber non avete mai la sensazione che il compiacimento del suonone, della retorica sfumatissima, dei preziosismi iperdinamici... prevalga sulla vera emozione?
Poi, per carità, Dio benedica Roswaenge e Tauber... ma la "crisi" dei tempi, l'esteriorità, la retorica... si avverte anche su di loro.
Idem per i Pertile e gli Schipa.
Ok, d'accordo, geniali e genialmente espressivi... ma anche nel loro caso la retorica dell'espressione prevale su ciò che si dovrebbe esprimere.
Lo stesso discorso per la travolgente Lotte Lehmann... travolgente per come esprime, meno per ciò che esprime, che in fondo è sempre la solita intensità passionale cinematografica. Stesso discorso, mutatis mutandis, per Kozlowski e per i compiaciutissimi russi del periodo...
Tutte quelle esaltazioni, quegli sdilinquimenti, quelle sonorità possenti, quei legatoni atletici... mi stancano.
Viva la Ponselle! Siamo tutti ai suoi piedi. Ma non è che la sua Norma, la sua Vestale siano molto di più che finissimi blocchi di marmo?
E notate che finora ho citato solo i cantanti che adoro...

Dov'è finita la lucidità corrosiva, l'ironia, la sperimentazione, il coraggio dei cantanti precedenti la prima guerra mondiale?
E dov'è la frenesia intellettuale e tecnica di quelli degli anni '50?
Nel ventennio 20-40, magniloquente e populista, si punta - è vero - al gigantismo canoro, all'estremizzazione (e congelamento) dell'enfasi, ma a danno di ciò che il canto dovrebbe veramente esprimere e che infatti esprimeva nella musica pop, jazz, afro-americana.
Il mito dell'età dell'ora, ahimé, sopravvive soprattutto in quelli che nell'opera cercano solo questo: non l'emozione, non la ricerca, ma la sensazione di una confortevole grandezza da cui lasciarsi cullare, per cui non dover pensare.

Mi piacerebbe che approfondissimo la questione, magari con esempi di cantanti e di repertori.

Salutoni,
Mat
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Re: Ma quale ..."Età dell'Oro"!

Messaggioda VGobbi » sab 15 ott 2011, 13:39

Rispondo velocemente, con la promessa di ritornarci, ma intanto vorrei aggiungere carne al fuoco ... io penso che la famosa "eta' dell'oro" si riferisse proprio al dopoguerra, mica agli anni 20/30, anche perché poco suffragati da testimonianze discografiche, vuoi per la precarietà dell'incisione, vuoi per la mancanza di opere integrali che meglio potessero inquadrare le caratteristiche vocali e non solo quelle dei cantanti.


Mi sbaglio?
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Ma quale ..."Età dell'Oro"!

Messaggioda pbagnoli » sab 15 ott 2011, 20:30

Caro Matteo, devo dire che mi colpisce molto questo tuo discorso che - temo - ti attirerà molte critiche.
Il melomane passatista, quello che vive con le orecchie attaccate al grammofono pensando che una volta si stava meglio sempre a prescindere, ha il mito di quegli anni che tu incautamente vai a demolirgli... che, ti sei impazzito?!? : Chessygrin :

Entrando nel dettaglio, devo dire che non ho mai pensato alla Ponselle nei termini che usi tu: certo, voce scolpita e scultorea, ma certe intuizioni di fraseggio avanti anni luce rispetto non solo a chi le era contemporanea, ma anche a chi verrà dopo di lei sino alla Callas, non hanno nulla di super-umano.
Lo stesso per Rosvaenge: se sento una cosa di questo genere

penso che ad essere super-umano non è tanto lui, ma Adam che gli ha servito una briscola spaventosa.
Con Schipa, poi, mi fai letteralmente basire.
Ti sembra davvero che nel tono carezzevole e affettuoso di questo Alfredo ci sia la retorica del superuomo?

E che dire della disperazione contenuta del poeta che muore, che riflette con tenerezza sulla sua vita e si astiene dall'esibizione muscolare dell'acuto finale (che forse non era nelle sue corde)?


Certo, se mi parli di Melchior, della Flagstad, persino di Schorr non posso che darti ragione: c'è anche il problema del repertorio wagneriano che, travisato dagli internazionalisti diventa una palestra per esibizioni totalmente fuori stile. Devo dire che, comunque, c'è qualcuno che ancora le ama e che ritiene quelle interpretazioni il miglior Wagner possibile, non solo in Italia ma anche in altre contrade...
La Lehmann mi sembra piuttosto lontana da tale standard, e credo che non possa essere paragonata a una Flagstad:


Giustissime invece le tue considerazioni sul Belcanto e sulla ristrettezza del repertorio di quegli anni: a paragone, oggi come oggi siamo in piena globalizzazione
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Re: Ma quale ..."Età dell'Oro"!

Messaggioda Enrico » sab 15 ott 2011, 21:39

È vero che Schipa è di solito più elegante e raffinato rispetto a molti suoi contemporanei, stilisticamente più controllato e meno enfatico: ma, pur essendo per alcuni aspetti un innovatore in fatto di tecnica vocale per la ricerca di una dizione nitidissima e di un'impostazione vocale vicinissima al parlato, mi è sempre sembrato legato al gusto dei tenori di grazia ottocenteschi più che alle esigenze della modernità, e anche lui in molte incisioni non si salva dalla retorica dei bei tempi andati, con qualche sospiretto o singhiozzetto, qualche rallentando un po' troppo sottolineato, qualche portamentuccio languido e dolente, qualche filatura un po' troppo esibita. Non c'è dubbio sul fatto che sia stato un grandissimo: ma credo che anche i suoi personaggi migliori, se ne avessimo le registrazioni complete, risulterebbero un po' manierati, leziosetti, insoddisfacenti di fronte alle interpretazioni più profonde che oggi desideriamo.
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Re: Ma quale ..."Età dell'Oro"!

Messaggioda Enrico » sab 15 ott 2011, 22:01

pbagnoli ha scritto: E che dire della disperazione contenuta del poeta che muore, che riflette con tenerezza sulla sua vita e si astiene dall'esibizione muscolare dell'acuto finale (che forse non era nelle sue corde)?



Anche Antonio Paoli (incisione del 1911) si astiene dall'acuto: e lui gli acuti li aveva squillanti e potenti. Ma, come Schipa, non rinuncia al singhiozzone finale. Non ho lo spartito per controllare se la variante acuta è prevista dall'autore o è invenzione dei tenori.
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Re: Ma quale ..."Età dell'Oro"!

Messaggioda pbagnoli » dom 16 ott 2011, 8:21

Enrico ha scritto: Non ho lo spartito per controllare se la variante acuta è prevista dall'autore o è invenzione dei tenori.

Nemmeno io lo so.
D'altra parte, anche fosse una variante inventata dai tenori, è ormai assolutamente di prassi tanto che le nostre orecchie percepiscono la sua assenza come una diminutio.
Detto questo, trovo che Schipa riesca in questo brano a creare una sensazione di intimità incredibile.
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