Accademici e Interpretazione

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Accademici e Interpretazione

Messaggioda MatMarazzi » mer 17 ago 2011, 12:09

Rileggendo un vecchio post di Knap57, che a suo tempo mi era sfuggito, mi è parso giusto recuperare il problema che vi era sfiorato.
E' un problema che molti hanno potuto constatare di persona.
Ecco cosa scriveva Knap.

knap57 ha scritto:Il problema generale infatti sussiste nel poter parlare di interpretazione senza parlare del canto dei vari interpreti, ossia dell'evoluzione anche del modo di cantare Wagner, cosa che il Giudici espone egregiamente nell'analisi delle varie edizioni.
Ma in campo accademico i docenti di musicologia sembrano voler allontanarsi dalla cosiddetta "vociologia" e restare più vicini all'interpretazione registica e musicale( la bacchetta)...ma non trovate questo molto riduttivo?


Ti posso dire la mia, nell'attesa che altri abbiano qualcosa da aggiungere.
L'ambiente accademico si porta dietro, per incredibile che possa sembrare, un pregiudizio che risale a tanto, tantissimo tempo fa.
Il pregiudizio di matrice idealistica per cui la superiorità "autorale", parlando di opere, è del compositore, ossia colui che l'ha pensata, colui che l'ha scritta.
Per lungo tempo anche il librettista era considerato di serie B.
Figuriamoci l'interpretazione, che finisce per essere una forma di sotto-arte, da lasciare ai poveri melomani.
Magari lo negano, ma ancora oggi questa visione ha il sopravvento.
Tanto che, con mia grande sorpresa, ho conosciuto illustri studiosi in grado di sezionare una partitura o analizzarne al microscopio ogni aspetto armonico, ma assolutamente inconsapevoli della sua storia interpretativa, dei secoli di sopravvivenza di un titolo attraverso l'evolvere dei pubblici e delle società.

Quando andavo all'università, rimanevo regolarmente sconcertato a sentire lezioni bellissime di grandi accademici che scavavano fra le pieghe (che so) del Trovatore, sviscerandone ogni aspetto letterario e armonico, e poi sentirli dire banalità allucinanti sui maggiori interpreti, robe da loggionista alle prime armi: salvare mezzosopranoni di loggione, soprani anti-belcantistici, tenori declamatori e direttori dal taglio antidiluviano.
O a scoprire che non solo non avevano mai ascoltato la Klose e Wittrich, ma che nemmeno li avevano sentiti nominare.
Ricordo ancora tanti anni fa (all'epoca del Fidelio di Muti alla Scala) quando sentii uno fra gli storici di Beethoven più celebri e famosi, un vero decano della musicologia italiana che in diretta radiofonica affermò - con mio sgomento - di essere molto ammirato da questa "giovane artista"... la Meier (evidentemente mai sentita nominare prima) elogiandone la perfetta aderenza "stilistica"... (una Wagneriana? lontaissima dalle specificità del ruolo? in difetto di note e agilità?).

Per quanto riguarda il Primo 800 italiano, dopo Gossett si è mosso qualcosa.
Anche fra i ricercatori è esplosa una sorta di Diva-mania, che porta moltissimi di loro (specialmente fra le nuove leve) a riflettere sulla Pasta e sulla Colbran.
Sul momento ne sono stato felice, perché vi leggevo - per la prima volta da parte degli accademici - una presa di coscienza della centralità dell'interprete nella storia dell'Opera, del suo fondamentale contributo "creativo" e di quanto i suoi modelli influissero sulla stessa composizione.
Ma poi mi sono dovuto ricredere: c'è qualcosa di stucchevole e irritante per esempio nel modo con cui chiunque parla e straparla della Colbran o degli altri interpreti rossiniani, anche perché si finisce per esasperare solo gli aspetti gossipari e celebrativi, accanendosi (giustamente, per carità) su certi snodi della scrittura, sull'analisi delle varianti d'autore (su misura di qualche divo) e su problematiche biografico-contrattuali, quasi che i cantanti fossero per il compositore e per lo studioso un divertente problema da risolvere, una "sfida" da vincere e non un modello anche poetico a cui attingere.

Da questo punto di vista, il contributo di Gossett (che inizialmente mi era parso rivelatore e liberatorio) ha finito per peggiorare la situzione invece che migliorarla, perché ha avvalorato il vecchio pregiudizio della superiorità letteraria su quella teatrale.
I cantanti - e addirittura i creatori - sono ora "studiati" ma soltanto come ...bellissimi e simpatici accidenti sul cammino di un compositore.
Come dire: sapete... Rossini ha scritto così questo pezzo non solo perché era obbligato da contratto a..., doveva accontentare il committente che..., non poteva sfidare la censura la quale..., ma anche perché aveva un cantante così e così, che pretendeva questo e quello, e che non aveva quella nota in compenso sapeva fare quell'agilità...
Ecco un bel modo di ridurre ai minimi termini il contributo "di creazione" vera e propria che pure l'interprete ha.

Un modo per non riconoscere che
1) il suo modello incide sui contenuti di un testo, sugli equilibri drammaturgici, sulla poetica stessa di un'opera, ben più di quanto non si voglia ammettere
2) che una volta che l'opera è scritta, che il compositore ne ha ceduto i diritti, essa va avanti per secoli: e non certo con le sue gambe, ma saltando sulle spalle degli interpreti, i quali le impongono le proprie scelte, la sovrastano con la loro personalità, ne forzano i contenuti e spesso anche la scrittura eppure, così facendo, NE AUTORIZZANO LA SOPRAVVIVENZA (cosa che l'autore, morto e sepolto, non potrebbe più fare).

Quest'ultimo aspetto temo che terrorizzi gli studiosi... perché accettarlo vorrebbe dire ridimensionare la presunta superiorità estetica del compositore (su cui da più di un secolo fondano tutte le loro ricerche, tutti gli strumenti della musicologia e tutto il loro modo di pensare).
E costringerebbe persino a rivedere il principio di "autorità" (di chi è il "pensiero" dominante in un'opera? Quello di chi l'ha scritta o quelli successivi di chi ne rende possibile per secoli la fruizione al pubblico? L'Opera deve considerarsi "fatta" nel momento in cui è composta o in quello in cui è rappresentata e dunque ascoltata dal pubblico a cui è rivolta? E se è vera la seconda ipotesi, chi ha la responsabilità ultima del suo "pensiero" se non il cosiddetto interprete?).

Più frequenterai accademici e semplici appassionati, caro Knap, più ti renderai conto che - sul fronte interpretativo - i secondi ne sanno molto più dei primi.
E non parlo solo di cantanti, ma anche di registi, scenografi e direttori.
E la situazione non cambierà finché anche gli accademici non ammetteranno che anche l'interpretazione "é" creazione: come i compositori creano segni sulla carta, così gli interpreti creano suoni e immagini, e sono gli ultimi responsabili del vero teatro e vera musica (cosa ben diversa dalla "letteratura" di librettisti e compositori).
Il fatto che la "creatività" dell''interprete si eserciti su qualcosa di già esistente (lo spartito e le sue note) non la rende meno potente e ...creativa.
Lo dimostra il fatto che anche lo Spartito d'Opera non è libero, ma si esercita su qualcosa di già esistente (il libretto e i suoi versi); questo non ci impedisce di considerare Mozart e Strauss "creatori" e "autori" a tutti gli effetti.

Io almeno la vedo così.
Salutoni,
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda Luca » mer 17 ago 2011, 12:29

Un argomento molto interessante che va a toccare anche il problema della filologia. Mi vengono in mente due casi nolto diversi:
a) Bonynge-Sutherland-Horne per il romanticismo italiano (Bellini-Donizetti) dopo il periodo Callas. A questa renaissance filologica credo;
b) Muti con i Pagliacci senza acuti perché non erano 'scritti' (e il discorso si potrebbe ampliare per alcuni titoli verdiani) e qui francamente stento a credere.....

Cosa ne pensi?

Grazie e saluti Luca.
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda pbagnoli » mer 17 ago 2011, 15:18

E' una battaglia persa, se la combattiamo contro i geovisti dello spartito, quelli per cui lo spartito è la bibbia cui fare riferimento per ogni questione.
Sono anni che su queste pagine ripetiamo in lungo e in largo non solo il diritto, ma anche il dovere dell'interprete di aprire nuove strade per la comprensione di un testo, per l'aggiornamento della sua fruizione, per la compilazione delle nuove regole esecutive.
Io trovo giustissimo ricordare come la Sutherland o la Horne eseguissero quella determinata cavatina: oggi sono accettate come classici ma, ai tempi, nemmeno esse furono esenti da critiche (basti pensare ai rapporti fra Dame Joan e Norma, specie a fronte delle immediatamente precedenti performances di Maria Callas).
Non è un caso che chi la pensa contrariamente a noi giudichi l'esecuzione un'arte statica: doversi confrontare con la Storia (quella vera, ovviamente; non quel fantasma di storia che si sono costruiti a proprio uso e consumo) li costringerebbe a fare i conti con il crollo di tutto ciò in cui dicono di credere

Almeno su queste pagine, abbiamo la coscienza a posto, non credi?
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda MatMarazzi » gio 18 ago 2011, 9:51

Cari Luca e Pietro,
avete ragione.
Una delle conseguenze della pretesa superiorità "autorale" del Compositore rispetto all'esecutore è proprio la "filologia" impostasi anche sulle nostre consuetudini esecutive.

Però, per come la vedo io, non si tratta di una conseguenza altrettanto negativa: la nostra ossessione del testo (lingua originale, integralità, strumenti d'epoca, ricerca stilistica) non è altro che una "convenzione" possibile, fra le infinite convenzioni possibili di cui qualsiasi forma d'arte ha bisogno per essere fruita; tanto più che questa ossessione del testo ci ha permesso di ampliare a dismisura i linguaggi, arricchire i nostri gusti, allargare i nostri orizzonti.
Inoltre questa ossessione del testo non è affatto ottusa e monodirezionale: infatti i primi a gradire le regie destrutturanti e ricontestualizzanti sono proprio i più filologici tra i filologi.

IL problema del pregiudizio è assai più grave, per me, nelle sedi critiche e accademiche.
Infatti mentre, a livello di esecuzione e fruizione, artisti e pubblico possono dotarsi di tutte le convenzioni che pare a loro (anche fossero le più illogiche e irrazionali), lo studioso non ha questo diritto: non può stabilire arbitrarie gerarchie fra artisti di serie A e artisti di serie B (compositori - interpreti) sulle quali impostare le sue ricerche.

Il concetto è che l'artista (e il suo pubblico) hanno diritto di essere liberi. Mentre lo studioso ha il dovere di essere al servizio dell'oggetto che studia.
E l'oggetto Opera è storia di teatro musicale assai più che di letteratura musicale.

Salutoni,
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda Luca » gio 18 ago 2011, 12:01

E l'oggetto Opera è storia di teatro musicale assai più che di letteratura musicale.
==================================================
E qui si finisce per riapre la diatriba tra teatro e letteratura che è vecchia sin dall'epoca medievale (per non dire classica) e che spinge alla separazione tra ciò che è ritenuto rappresentabile e ciò che non lo è e questo basta pensare ai drammi di Roswitha della letteratura latina medievale che non di rado presentava anche in alcune forme, delle parti cantate!

Saluti, Luca.
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda MatMarazzi » dom 21 ago 2011, 11:46

Luca ha scritto:E qui si finisce per riapre la diatriba tra teatro e letteratura che è vecchia sin dall'epoca medievale (per non dire classica) e che spinge alla separazione tra ciò che è ritenuto rappresentabile e ciò che non lo è e questo basta pensare ai drammi di Roswitha della letteratura latina medievale che non di rado presentava anche in alcune forme, delle parti cantate!


Infatti Luca è proprio così.
Il teatro e la musica sono forme d'arte "performanti" ossia fondate su segni sensibili (sonori e visivi) e legate indissolubilmente a un luogo e uno spazio ben precisi, quelli della rappresentazione.
Musica e Teatro non sono quindi "letteratura", anche se è prassi (speci nella nostra civiltà) dare loro un pre-testo letterario su cui fondarsi: scripts e spartiti.
E' importante chiarire che uno spartito non è musica: è letteratura. E' solo il pre-testo letterario alla vera "musica" (che è fatta di suoni, non di segni su un pentagramma), che solo il musicista - con i suoni da lui effettivamente creati in uno spazio e tempo ben precisi - realizza.
Idem per il teatro.
Un testo di letteratura drammatica non è teatro. E' solo il pre-testo letterario al vero "teatro" (che è fatto di immagini e parole fruibili da un pubblico in una sala).
Ne è prova il fatto che in teoria Musica e Teatro sono possibili anche senza il pre-testo letterario alle spalle (commedia dell'arte... teatro del mimo... musica di improvvisazione... il DanzTheater).

Ora, io non sto misconoscendo l'importanza di Shakespeare o di Beethoven.
L'importanza che la nostra civiltà ha attribuito a compositori e drammaturghi è più che meritata (strano però che nessuno consideri "autore" di un film lo sceneggiatore...).
Dico solo che è esagerato e persino assurdo parlare di Teatro e Musica limitandosi a loro, addirittura "ignorando" (o snobbando) quelli che il Teatro e la Musica li fanno davvero: i cosidetti interpreti!

Chi mai, parlando della storia della canzone italiana, parlerebbe solo di parolieri e compositori, senza dedicare una parola ai cantanti?
Chi mai, parlando della storia del cinema, si dilungherebbe solo sugli sceneggiatori senza un riferimento ai registi?
Nessuno: sarebbe un'idiozia!

Allora perché l'idiozia viene tranquillamente applicata al mondo dell'Opera, della Musica e del Teatro?
Come possiamo ammettere che i cosiddetti studiosi si ingannino e ci ingannino in questo modo, facendo passare la storia della Musica per storia di Compositori?
E la storia del TEatro per storia di Drammaturghi?

E' un errore che occorre correggere.

Salutoni,
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda elvino » dom 21 ago 2011, 21:30

MatMarazzi ha scritto:
Luca ha scritto:E qui si finisce per riapre la diatriba tra teatro e letteratura che è vecchia sin dall'epoca medievale (per non dire classica) e che spinge alla separazione tra ciò che è ritenuto rappresentabile e ciò che non lo è e questo basta pensare ai drammi di Roswitha della letteratura latina medievale che non di rado presentava anche in alcune forme, delle parti cantate!


Infatti Luca è proprio così.
Il teatro e la musica sono forme d'arte "performanti" ossia fondate su segni sensibili (sonori e visivi) e legate indissolubilmente a un luogo e uno spazio ben precisi, quelli della rappresentazione.
Musica e Teatro non sono quindi "letteratura", anche se è prassi (speci nella nostra civiltà) dare loro un pre-testo letterario su cui fondarsi: scripts e spartiti.
E' importante chiarire che uno spartito non è musica: è letteratura. E' solo il pre-testo letterario alla vera "musica" (che è fatta di suoni, non di segni su un pentagramma), che solo il musicista - con i suoni da lui effettivamente creati in uno spazio e tempo ben precisi - realizza.
Idem per il teatro.
Un testo di letteratura drammatica non è teatro. E' solo il pre-testo letterario al vero "teatro" (che è fatto di immagini e parole fruibili da un pubblico in una sala).
Ne è prova il fatto che in teoria Musica e Teatro sono possibili anche senza il pre-testo letterario alle spalle (commedia dell'arte... teatro del mimo... musica di improvvisazione... il DanzTheater).

Ora, io non sto misconoscendo l'importanza di Shakespeare o di Beethoven.
L'importanza che la nostra civiltà ha attribuito a compositori e drammaturghi è più che meritata (strano però che nessuno consideri "autore" di un film lo sceneggiatore...).
Dico solo che è esagerato e persino assurdo parlare di Teatro e Musica limitandosi a loro, addirittura "ignorando" (o snobbando) quelli che il Teatro e la Musica li fanno davvero: i cosidetti interpreti!

Chi mai, parlando della storia della canzone italiana, parlerebbe solo di parolieri e compositori, senza dedicare una parola ai cantanti?
Chi mai, parlando della storia del cinema, si dilungherebbe solo sugli sceneggiatori senza un riferimento ai registi?
Nessuno: sarebbe un'idiozia!

Allora perché l'idiozia viene tranquillamente applicata al mondo dell'Opera, della Musica e del Teatro?
Come possiamo ammettere che i cosiddetti studiosi si ingannino e ci ingannino in questo modo, facendo passare la storia della Musica per storia di Compositori?
E la storia del TEatro per storia di Drammaturghi?

E' un errore che occorre correggere.

Salutoni,
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Non posso che quotare in toto.
Purtroppo è così,anche xchè se cerchi come giustamente tu dici di parlare dei cantanti e della prassi esecutiva legata alle diverse "mode",ti liquidano come "vociologo" , non capendo che i compositori proprio da lì e dal testo partivano per poi comporre le note!!!
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda MatMarazzi » lun 22 ago 2011, 10:32

elvino ha scritto:Non posso che quotare in toto.
Purtroppo è così,anche xchè se cerchi come giustamente tu dici di parlare dei cantanti e della prassi esecutiva legata alle diverse "mode",ti liquidano come "vociologo" , non capendo che i compositori proprio da lì e dal testo partivano per poi comporre le note!!!


Sono davvero lieto, Elvino, che la pensi come me! :)
E' ora di liberarci di queste devianze. Vorrà dire che, se non lo fanno gli accademici, saremo noi, nel nostro piccolo, a cominciare a fondare una fenomenologia della "musica in quanto musica" e non solo in quanto letteratura musicale.

Un salutone e a presto.
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda elvino » mar 23 ago 2011, 22:10

MatMarazzi ha scritto:
elvino ha scritto:Non posso che quotare in toto.
Purtroppo è così,anche xchè se cerchi come giustamente tu dici di parlare dei cantanti e della prassi esecutiva legata alle diverse "mode",ti liquidano come "vociologo" , non capendo che i compositori proprio da lì e dal testo partivano per poi comporre le note!!!


Sono davvero lieto, Elvino, che la pensi come me! :)
E' ora di liberarci di queste devianze. Vorrà dire che, se non lo fanno gli accademici, saremo noi, nel nostro piccolo, a cominciare a fondare una fenomenologia della "musica in quanto musica" e non solo in quanto letteratura musicale.

Un salutone e a presto.
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Riquoto in toto di nuovo.
Si effettivamente dovremmo incominciare noi tutti "appassionati", perchè se è vero che all'estero qualcosa è e continua a essere fatta,in Italia purtroppo come in quasi tutto siamo molto ma molto indietro :wink:
Un saluto anche a te :D
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda Enrico » dom 28 ago 2011, 12:12

Per fortuna in questo periodo non ho occasione di frequentare gli accademici né i cosiddetti studiosi. Loro continuano a ripetersi stancamente mentre qui le nostre discussioni vanno sempre più in alto.

(perdonatemi se per ora intervengo pochissimo, sono stato per tante settimane lontano dal computer e da internet)
Enrico B.
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda pbagnoli » dom 28 ago 2011, 12:27

Enrico ha scritto:Per fortuna in questo periodo non ho occasione di frequentare gli accademici né i cosiddetti studiosi. Loro continuano a ripetersi stancamente mentre qui le nostre discussioni vanno sempre più in alto.

(perdonatemi se per ora intervengo pochissimo, sono stato per tante settimane lontano dal computer e da internet)

Ok, ma adesso non allontanarti nuovamente!
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Re: Accademici e Interpretazione

Messaggioda Tucidide » dom 04 set 2011, 15:36

Leggo solo ora questa discussione, e attendo sviluppi, trattandosi di un argomento interessantissimo.
Mi ritrovo molto nella disamina di Matteo, in particolare sulla piena dignità "poetica" dell'esecutore-interprete, intesa come "creatrice". L'interpretazione è creazione, e la stessa presunta volontà dell'autore è un qualcosa di relativo, che mai e poi mai dovrebbe essere fissato in un dogma. Troppo spesso si sente dire, non solo dagli accademici ma anche da melomani più o meno tradizionalisti: "questo non rispetta la volontà dell'autore", non è così che l'aveva pensata "Verdi". Insomma, un'ottica museale, in virtù della quale, se fosse possibile rivedere il primo Barbiere di Siviglia con la Righetti Giorgi e Garcia (e magari farne un DVD :mrgreen: ), quello sarebbe IL SOLO, l'UNICO Barbiere possibile.
Beh, almeno le opere contemporanee sono più fortunate: se vengono riprese alla prima, sono fissate come un "possesso per l'eternità" (direbbe il mio nick : Love : ). :D :D :D

Una postilla: questa cosa mi ha fatto sbellicare! :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
MatMarazzi ha scritto:Ricordo ancora tanti anni fa (all'epoca del Fidelio di Muti alla Scala) quando sentii uno fra gli storici di Beethoven più celebri e famosi, un vero decano della musicologia italiana che in diretta radiofonica affermò - con mio sgomento - di essere molto ammirato da questa "giovane artista"... la Meier (evidentemente mai sentita nominare prima) elogiandone la perfetta aderenza "stilistica"... (una Wagneriana? lontaissima dalle specificità del ruolo? in difetto di note e agilità?).
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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