Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda MatMarazzi » mar 12 lug 2011, 14:20

quali saranno quelle dei prossimi vent'anni?

Come sapete, su Operadisc abbiamo ...se non introdotto (credo), almeno approfondito un tema.
Le opere nel momento in cui sono scritte (come ogni forma d'arte) esprimono il loro presente: al diavolo i sogni romantici e idealisti di "immortalità" dell'arte.
Ammettiamo invece che l'oggetto artistico nasce in un contesto ben preciso con l'intento di rivolgersi a una comunità ben precisa (magari anche solo per sfidarla o criticarla) e secondo i canoni linguistici condivisi fra quella comunità (magari anche solo per tradirli).
E non solo: è la stessa comunità - alla fin fine - a decidere se un oggetto qualsiasi è "arte"; se io faccio uno scarabocchio, anche di ottima fattura, ho un bel da dire che sono un "artista" ma finché non ci sarà una comunità che (hic et nunc) la considererà tale, non sarà arte.
L'arte non è universale ma contestualizzata. E' un dialogo serrato fra un oggetto (badate bene: non un autore, ma ciò che egli fa) e una comunità disposta ad attribuirgli valore artistico.

Di conseguenza l'arte non prescinde mai dal pubblico, dalla comunità, dalla società! Possiamo persino dire che è la società a fare l'arte, selezionando fra gli infiniti oggetti che gli aspiranti artisti producono. De-contestualizzare l'arte, volerla vedere come qualcosa di trascendente e universale è la peggiore ingenuità, il più patetico dei lasciti delle estetiche romantiche.

Il divertente (ciò che noi operomani vediamo tutti i giorni) sta quando la "comunità" (la Società) non si rivolge agli artisti di oggi, ma agli oggetti prodotti decenni se non secoli or sono.
Qui la cosa si fa divertentissima.
Perché la comunità (magari senza rendersene conto) opera le sue scelte, così in pittura, così in letteratura, così in musica.
Può scegliere se un titolo gli va a genio o no (e in questo caso lo fa cadere nel dimenticatoio o negli scantinati degli accademici) ma può anche scegliere in che modo "stravolgerlo" ossia rappresentarlo in modo che si adegui allo spirito del tempo.
Quello che voglio dire è che se negli anni 10 si eseguiva poco il Don Giovanni (rispetto a oggi) non è perché fossero tutti stupidi mentre noi siamo intelligenti.
Evidentemente c'era qualcosa nella poetica, nella weltanschauung dell'epoca che non funzionava a contatto col Don Giovanni.
E se negli anni 50-60 (sul modello viennese) Mozart era spiritualizzato all'eccesso, scrostato di impurità, problematicità, sessualità, non era perché i viennesi erano tutti stupidi mentre noi siamo intelligenti.
Era solo perché in quegli anni a quello Mozart serviva, di quell'aspetto di Mozart si aveva bisogno.
E se dalla contestazione in poi Mozart è diventato il simbolo della rivolta giovanile, percorso da fremiti punk e sessualità scatenata, non è perché siamo diventati tutti pazzi, ma perché la nostra società è sempre padrona di cercare nell'arte (anche quella dei secoli passati) ciò che ...le serve! ciò di cui ha bisogno! ciò in cui crede!


Fatta questa premessa, noi potremmo trovare una risposta a tutti i rivolgimenti di repertorio operatisi nel '900.
C'è una ragione per cui, fra gli anni 50 e 60, esplose la Donizetti Renaissance: non fu un caso.
C'è una ragione per cui, dopo gli anni 70, Monteverdi e Handel sono tornati a vivere e con linguaggi tanto diversi.
C'è una ragione per cui, negli anni '90, Puccini e Strauss hanno dovuto cedere tanto terreno a Janacek.
E c'è una ragione per cui, nella seconda metà del '900, tanto disprezzo, tanta supponenza, tanta sufficienza (ridicola finché volete) è calata su certo repertorio borghese, come quello francese del Grand-Opéra e dell'Opéra-Comique. E c'è persino una ragione sul fatto che tutto questo repertorio stia risorgendo in maniera insospettata, oggi, sotto i nostri occhi!

Ammesso che abbiate tollerato le mie chiacchiere fino a questo punto, ho una proposta da sottoporvi.
Perché, invece di fare gli storici e continuare a riflettere sul passato, non facciamo un po' i profeti?

Ognuno di noi vive questi anni! Possiamo guardare con interesse gli anni 50, 60, 70, 80 ecc....
Ma noi viviamo gli anni 10 del 2000.
Li conosciamo, vi partecipamo e vi contribuiamo, con i nostri gusti, le nostre idee, i film che andiamo a vedere, la musica che ascoltiamo, le discussioni su facebook, il modo in cui viviamo il nostro quotidiano.
Quindi li conosciamo, i nostri anni, dall'interno.

Bene: secondo voi quale è il repertorio in cui la "nostra" comunità, il nostro tempo, potrebbe riconoscersi di più?
In una parola: quali saranno gli autori e le opere più in auge nei prossimi vent'anni? Quali avranno più interpreti adeguati? Su quali direttori e registi si accaniranno maggiormente?

Proviamo a prevedere gli sviluppi di repertorio dei prossimi anni...
Sono curioso di vedere cosa salterà fuori.

Salutoni,
Mat

PS: ci si risente dopo il 18, quando vi relazionerò su Aix.
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda pbagnoli » gio 14 lug 2011, 19:49

Mamma Matteo, quanta carne hai messo al fuoco...
E chi riesce a risponderti a tutta questa marea di cose? :(

Ti dico la verità: mi riesce difficile rispondere a queste tue domande, anche perché credo che l'evoluzione del gusto sia molto "geografica" e quindi poco generalizzabile.
Tu dici
Può scegliere se un titolo gli va a genio o no (e in questo caso lo fa cadere nel dimenticatoio o negli scantinati degli accademici) ma può anche scegliere in che modo "stravolgerlo" ossia rappresentarlo in modo che si adegui allo spirito del tempo

e va bene, per carità. Ma è difficile capire cosa faccia o non faccia le fortune di un titolo.
Possiamo provare a tirare in ballo i seguenti aspetti:
:arrow: affinità storiche. Prendiamo per esempio i Meistersinger e la grande passione di Hitler e della sua congrega per quest'opera che celebra la Sacra Arte Tedesca nel momento in cui tutto crolla a pezzi: ecco che l'opera esce dai binari di oggettivo capolavoro, per diventare prima il simbolo di un'epoca, e poi - per contrappasso - il manifesto di tutto ciò che deve essere eliminato, arrivando a comprendere in sé tutto il male del wagnerismo inteso come nazismo in musica
:arrow: gli interpreti. Come al solito, si devono tirare in ballo i soliti nomi perché sono quelli che hanno segnato la Storia recente, quella che abbiamo vissuto anche noi. Ci vuole la personalità vulcanica della Callas per cambiare le carte in tavola nella storia esecutiva di Lucia, di Norma, di Medea, o persino per arrivare a ri-scoperchiare Anna Bolena.
Ci vuole la curiosità e la personalità mesmerizzante di Leyla Gencer per reintrodurre in repertorio i grandi ruoli Ronzi.
Ci vuole un titano come Del Monaco per spostare l'asse interpretativo di Otello e dettare legge per tutti gli anni a seguire sino ai nostri giorni, salvo le parentesi di Vickers e - piaccia o no, questa non è una valutazione di merito - Domingo.
Ci vuole un Gedda per fare sentire quell'emissione haute-contre che era stata seppellita per tanti anni e che torna utile per Raoul di Nangis e, almeno per qualche recita e una fondamentale registrazione, per Arnold.
Ci vuole la coppia Sutherland-Bonynge per farci rivivere tutto il grandissimo Ottocento francese; e non solo, ovviamente.
Ci vogliono direttori pionieri come Parrott o McGegan che spianino la strada a grandissimi innovatori come Harnoncourt o Hogwood o Gardiner per arrivare alla grandissima riscoperta del modo antiquo di eseguire il repertorio barocco.
E potrei continuare a lungo. La fortuna di un'opera non è data dallo spartito, se non rarissimamente e per una di quelle fortunate combinazioni di fattori che trasformano uno splendido lavoro in un capo-lavoro in grado di camminare con le proprie gambe. La fortuna di un'opera è data dagli interpreti: sempre lì si torna.
L'arte della rappresentazione non è una questione statica: è assolutamente dinamica, e le regole cambiano in continuazione. Lo abbiamo visto storicamente, lo vediamo in continuazione ai nostri tempi che, quanto a questo specifico aspetto, sono ancora più frenetici di quanto non lo fossero i decenni che ci hanno preceduti.

Detto questo, rispondere alla domanda che hai fatto tu sulle prospettive future non è per niente facile.
Se dovessi ipotizzare, sulla base di quello che vedo (e sento, ovviamente), penso che avremo i seguenti topics:
1 - il Barocco. Non ce n'è: il Barocco affascina. Esiste nella riproduzione di questo repertorio una sensualità a fior di pelle, un edonismo che è figlio proprio della nostra epoca, un esibizionismo che rimanda ai modelli rilanciati dalla pubblicità, dalla televisione, persino da Internet. Forse è un Barocco incompleto e immaturo, perché viene liberato progressivamente, magari anche per comodità, dalla connessione con l'esplosione intellettuale del periodo, privilegiando invece tutto ciò che è appariscente, esagerato, "barocco" appunto (ovviamente nel senso paradossale del termine); ma è vivo e bruciante ed è quello che maggiormente anima le incisioni discografiche, se pensiamo a quello che stanno facendo le etichette discografiche Naive e Virgin.
E' un caso che un direttore già così rodato come Minkowski parta solo adesso con l'incisione del "suo" Bach?
E' un caso che un direttore esattamente agli antipodi di Minkowski come Chailly sia già in corso d'opera con il "suo" Bach?
E' un caso che un direttore come Alan Curtis stia registrando tutta l'opus omnia di Haendel?
Secondo me non sono affatto coincidenze. Leggiamo in queste situazioni: ormai si spendono soldi per registrazioni discografiche in studio quasi esclusivamente per questi titoli. E non è stato detto ancora tutto...
2 - gli americani. Sono ancora fra i pochissimi a produrre opere nuove ogni anno, con linguaggi che si sono progressivamente liberati da tutti gli europeismi più deteriori per conquistare una cantabilità di riporto, figlia in parte del linguaggio del musical e in parte di qualche puccinismo duro a morire
3 - c'è ancora spazio per il divismo? Penso di sì: un po' lo vediamo, no? E in fondo è giusto che sia così, perché il divismo è sempre stato trasversale a tutte le epoche
4 - il grande repertorio? Tranquilli, una Traviata, un'Aida o un Tristan si faranno sempre. Andremo sempre più avanti nell'arte della rappresentazione e magari fra vent'anni faticheremo a riconoscerci negli spettacoli che oggi ci sembrano tanto avvenieristici di Jones o Tcherniakov, ma andremo avanti

Ho messo anch'io un po' di carne al fuoco, eh?... Scusate la logorrea!!!
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda Maugham » ven 15 lug 2011, 10:09

Io scommetto su un recupero totale e definitivo di Massenet.
E' un autore sconosciuto a molti, anche ai superesperti, che non vanno oltre Manon, Werther e qualche cimelio Bonynge.
E' invece un autore perfettamente aderente alla nostra epoca di superiorità del linguaggio sui contenuti.
Massenet ha scritto un numero enorme di opere. E tutte diverse (sotto il profilo tecnico, espressivo, narrativo) l'una dall'altra.
Per questo sorrido quando leggo ironici commenti sullo "stile" di Massenet. Massenet non ha, volutamente, uno stile. Ne ha diecimila.
Se un qualche musicologo dimostrasse che Massenet è stato solo uno pseudonimo per raccogliere lavori di compositori diversi, non mi sorprenderei più di tanto.
Massenet gioca con le ormai stinte formule del grand-opéra, con l'epica medioevale, con l'art-déco, con il verismo più acceso, con il naturalismo di Zola e Maupassant, anticipa il neogotico...
E' inoltre un ponte immenso lanciato sul novecento. Molto più di altri autori che le combriccole colte hanno santificato. Uno su tutti, Mahler, con cui Massenet condivide l'eterogeneità di mezzi e di idee, ma senza la piagnosità autoreferenziale che me lo rende -dopo anni di entusiasmo- ormai inascoltabile. Echi di Massenet -quando non vere e proprie citazioni- si trovano in tutto Puccini e Strauss. Ciò non ostante, nella testa di molti, Mahler continua ad essere un genio e Massenet un bottegaio.
Ora abbiamo la possibilità di montare cast perfetti per Massenet. Ci sono cantanti e registi che, immersi nella contemporaneità del linguaggio veloce e ipercinetico della nostra epoca, potrebbero fare capolavori sfruttando le "diversità" sorprendenti di questo autore. Trent'anni fa, ai tempi della Caballé e di Bruson e di Pavarotti e Freni, dei Dominghi e delle Zajic era impossibile. Con loro Massenet si sarebbe sgonfiato (e si sgonfiava), sarebbe apparso melassa quando non brodino allungato.
Massenet è un autore per "personalità" (grandi o piccole non importa) non per "voci". E la nostra epoca, fortunatamente, abbonda di personalità.
Ipotizzo anche un recupero del teatro di Rimsky-Korsakoff. Per anni relegato a ruolo di sapiente decoratore e padre putativo di menti geniali ma sregolate , è un autore che il novecento operistico, nutrito di Boris e Kovanchine, non poteva ammettere se non come "deriva" superificiale alla profondità concettosa del "pannello-politico-con-echi-sul-presente".
La perfezione tecnica di Rinsky -che molti relegavano all'ortografia orchestrale dimenticandone la perfezione drammaturgica- era venduta dai soloni come superficialità. In pratica le sue opere erano scintillanti palle di natale belle fuori e vuote dentro.
E invece il nuovo millennio, mi auguro, rivedrà queste posizione e scoprirà che il fascino hi-tech delle opere di Rimsky è lo stesso fascino che proviamo di fronte a un tablet di ultima generazione, a uno schermo sottile dai mille colori, di fronte a lui troveremo la stessa fascinazione della banda larga, delle ultime conquiste della tecnologia informatica.
Rimsky è un poeta che usa la tecnologia affascinato dalla sua bellezza per quello che è. Non importa se un i-pad sia utile o meno. Solo i dinosauri si pongono questa domanda. E' meraviglioso in sè.
Con Massenet, Rimsky condivide tra l'altro uno stesso percorso.
Non sono stati abbastanza "sfigati" in vita. Questo, per i critici e i pubblici e i pensatori post-adorniani è un reato inammissibile. Dal momento che il successo -secondo loro- non lo puoi avere sia da vivo che da morto, questo significa che, se in vita sei ricoperto di ori e onori (come Massenet, ma anche Verdi e Puccini e anche il mio avatar) allora sei stato un artista superficiale venduto al mercato. Non puoi avere successo in questo mondo e nell'altro. Meglio però se in vita sei un incompreso. Questo farà di te il compositore o lo scrittore o l'artista del futuro.
Massenet era troppo felice, troppo pieno di soldi, aveva troppe donne. Le sue lettere tradiscono una positività che mal si concilia con i rovelli degli artisti "veri".
Rimsky era troppo artigiano, troppo pragmatico, troppo realista. I suoi "scrupoli" artistici nascevano solo riguardo alla "funzionalità" di quello che scriveva. Il mondo delle idee, dei proclami, delle estetiche gli era estraneo. E quindi, per anni, lo si è considerato un superficiale.
La nostra epoca invece, fortunatamente, rifugge dalle retoriche e dalle costruzioni astratte. Il fatto corre più veloce dell'idea, quando non succede -come nella tecnologia- che sia lo stesso "fatto" a sviluppare un'idea che non esisteva.
Sotto questo profilo, a mio parere, Rimsky e Massenet saranno due campioni del domani.
Scusate il pensiero confuso ma, ovviamente, vado di corsa. :mrgreen:
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda beckmesser » ven 15 lug 2011, 11:13

Temo di essere un filo prosaico, ma credo che nell’indirizzare i gusti o gli interessi del pubblico un ruolo fondamentale l’abbiano (oltre alla “weltanschauung dell'epoca”) anche una serie di elementi più banalmente pratici, quali la messa a disposizione di materiale esecutivo adeguato. Può sembrare banale, ma fino a 15 anni fa se un teatro avesse voluto eseguire la Grande Duchesse di Offenbach avrebbe dovuto cercare di procurarsi delle copie anastatiche di parti orchestrali manoscritte ottocentesche: una impresa scoraggiante… Non per nulla, negli ultimi 50 anni i casi più eclatanti di completo ribaltamento della valutazione di critica e pubblico hanno riguardato autori (Berlioz, Rossini serio, Offenbach appunto) che prima, molto semplicemente, non era materialmente possibile eseguire per mancanza di… carta.

A parte queste considerazioni bassamente pratiche, io credo che i prossimi decenni vedranno il ritorno in auge dell’opera a numeri chiusi, quelle il cui linguaggio si basa su architetture musicali complesse e rigide, quindi in primo luogo barocco (anche se il trend è già in corso da tempo) e grand-opéra francese. Lo dico perché mi sembra che la tendenza sia quella di procedere, dopo la sbornia contenutistica post anni ’60, verso un sempre maggiore interesse per il “linguaggio” del genere opera, da provare ad avvicinare ai linguaggi delle altre forme di spettacolo. Non è un caso, credo, che i decenni precedenti avessero eletto Wagner ad autore feticcio: lui era la vetta con cui qualsiasi regista o direttore (sui cantanti è più difficile generalizzare data la più decisa specializzazione di repertorio) doveva confrontarsi e in cui quasi tutti i più grandi hanno dato i risultati più grandiosi. È relativamente facile affrontare Wagner affrontandolo dal lato contenutistico; il linguaggio è già quasi dato: drammaturgia, testo, musica procedono sempre perfettamente in linea, non c’è bisogno di lavorarci sopra più di tanto. Ora sembra che, in ambito wagneriano, siamo in un periodo di stallo: tutti gli ultimi Ring tentati (e basati sugli approcci più diversi: Fura, LePage, Scala, Parigi, ecc.) hanno più o meno toppato. I massimi registi attuali (i Carsen, i Jones, i McVicar ecc.) non mi sembra abbiano Wagner al centro della loro poetica (anzi: i due massimi campioni, Jones e McVicar, hanno dato il meglio proprio con l’unica opera, i Meister, che era stata snobbata dalla generazione precedente…). Il linguaggio registico attuale ha raggiunto la capacità di gestire opere ben più complesse dal lato formale, e quello è il repertorio (proprio quello che nei decenni veniva bollato come povero di contenuti, semplicemente perché non si sapeva come gestirlo…) che ora si può affrontare.

Guardando sconsolato gli Ugonotti messi in scena da Py a Bruxelles continuavo a pensare a cosa avrebbero combinato Jones e McVicar in quell’opera, con Minkowsky e con quei cantanti: ecco, questo credo sia ciò che interesserà i prossimi decenni…

Saluti,

Beck
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda Alberich » ven 15 lug 2011, 12:00

Pensavo a questa discussione ieri pomeriggio...ma vedo che Maugham mi ha anticipato. Anche io dico Rimskij Korsakov. Perche' e' un autore "technicolor", con delle orchestrazioni da brivido. E' anche uno che scrive su testi fiabeschi ed epici, che tanto bene si prestano ad essere valorizzati da un regista bravo, visto il loro carico simbolico e la presa immediata.
Il dubbio che mi ponevo e' che per far risorgere un autore servono gli interpreti, e le superstar non so quanto abbiano voglia di lanciarsi in un repertorio ignoto e per di piu' in russo. Certo oggi c'e' un tasso di professionismo molto alto, quindi serve forse rompere il ghiaccio, con qualche produzioni d'effetto, e poi le star accorreranno.
Condivido il discorso di Maugham sulla prevalenza della forma sul contenuto. Peraltro e' difficile dire se continuera' come tendenza, ma in questo contesto mi pare che Rimskij sia perfetto.
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda teo.emme » ven 15 lug 2011, 12:19

Io non credo, invece, che nei prossimi anni vi sarà l'emersione o il recupero di un genere specifico o un certo periodo storico (magari dimenticato o sottovalutato), per alcune ragioni:
1) oggi il "repertorio", inteso come 40 o 50 anni fa, non esiste più: i teatri e i pubblici sono "onnivori";
2) si è già scoperto o riscoperto tutto lo scopribile: il melodramma donizettiano negli anni '50, la Rossini Renaissance negli '80, il barocco e il prebarocco...tutte conquiste che ormai sono "dati di fatto" e tendenze difficilmente ridimensionabili;
3) ci sono alcuni generi che, forse, meriterebbero qualche attenzione maggiore oppure altri settori che conoscono un lieve appannamento (penso al cosiddetto verismo o Massenet): ma nulla lascia presagire rivoluzioni copernicane: a parte che, comunque, nelle programmazioni di tutto il mondo c'è posto per tutto. E' una ruota che gira con moderate oscillazioni;
4) probabilmente vi sarà un ripensamento esecutivo per quel che riguarda il grand-opéra: nel senso che si ricomincerà a rappresentarlo (con crismi di integralità e correttezza), ma da qui a ipotizzare un rilancio del genere (tipo Parigi 1850) il passo è lungo... Forse a livello discografico uscirà qualche curiosità (o in qualche festival);
5) recentissima tendenza è il frugare nel fondo del fondo dell'800 italiano: ma i risultati sono così mortificanti che non credo vi sarà una renaissance di Bottesini Ponchielli Apolloni o Gobatti;
6) l'opera americana da noi non avrà mai successo: non che mi dispiaccia (li trovo lavori di una modestia incommensurabile: più onesto il musical, ma mi taccio dato che detesto il genere), ma vi sono pregiudizi (anche culturali) che appaiono insormontabili. Mi chiedo tuttavia il senso - nel 2011 - di scrivere "opere" sulla falsariga di Puccini e Strauss...
7) l'opera contemporanea europea, invece, pur non conoscendo il boom degli anni '80, ha una buona diffusione (il mio adorato Henze o Reimann sono ormai dei "classici"), ma non è immaginabile che segni i prossimi anni;
Ecco, penso che, realisticamente, ci si barcamenerà in questi confini: forse l'unica vera rivoluzione potrebbe venire dall'approccio esecutivo della musica ottocentesca (in particolare il melodramma), ma vi sono oggettive resistenze che non lasciano presagire cambiamenti epocali a breve termine.
Poi, naturalmente, ci sono le speranze (tutti noi avremo sicuramente un genere o un certo tipo di repertorio di cui auspicheremmo la riproduzione a tappeto)...ma esulano dal discorso.
Infine c'è un aspetto da considerare, più prosaico: i soldi che di fatto condizionano gusti, progetti ed evoluzioni... Ne occorrono molti e oggi, nel settore, ne girano pochini (o meglio, girano male)...
Ultima modifica di teo.emme il ven 15 lug 2011, 13:34, modificato 1 volta in totale.
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda Alberich » ven 15 lug 2011, 13:31

Ma non credo che si parli di rivoluzioni copernicane. Pero', per esempio, Janacek ha avuto una diffusione enorme (in comparazione a se stesso, ovvio...) negli ultimi 10-15 anni. Ecco, una cosa cosi' secondo me e' pensabile per alcuni autori, con, eventualmente, un relativo appannamento di altri. Per dire: e' una mia impressione o il Boris, dopo una fiammata negli anni '90 e' abbastanza sparito? Non che non si esegua piu', ma non ha piu' l'appeal di un tempo, con edizioni discografiche, grandi produzioni, edizioni critiche ecc.

E' chiaro che di Traviate se ne faranno sempre, e in numero abbondante, cosi' come Tosche e Barbieri (casi come la Fedora sono rari).

Io spero, ma qui siamo davvero nell'ambito degli auspici, che si riprenda in mano Verdi, mi sembra che al momento le esecuzioni, a parte poche eccezioni, lascino molto a desiderare.
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda teo.emme » ven 15 lug 2011, 13:46

Alberich ha scritto:Io spero, ma qui siamo davvero nell'ambito degli auspici, che si riprenda in mano Verdi, mi sembra che al momento le esecuzioni, a parte poche eccezioni, lascino molto a desiderare.


Quello sarebbe auspicabile: una Verdi Renaissance (magari con l'aiuto delle nuove edizioni critiche: ignorate dalla maggior parte delle produzioni purtroppo...) che comportasse una maggior attenzione alla ricchezza delle sfumature segnate in partiture e l'abbandono di certe placide tradizioni. Ma Verdi è ancora in mano ai battisolfa e agli Alvarez... Escludo, però, grossi cambiamenti: per abitudine e anche per ragioni finanziarie (il noleggio delle nuove edizioni critiche costa 5 o 6 volte quello delle vecchie...e molti teatri hanno già "in casa" il materiale). Ci sarebbe poi la questione diapason (rimasta sempre aperta), ma comporterebbe sforzi economici (per gli strumentisti) assolutamente insostenibile oggi.

Sull'altra questione (citavi Boris): forse non è più titolo "nuovo"...ma l'andamento delle sue "quotazioni" è assolutamente normali. Non vedo cioè, la "riscoperta" di un genere (come è stato per Rossini o per il barocco: un anno zero da cui partire...): poi ci saranno oscillazioni di gusto, ma nulla di trascendentale che "segni un'epoca" ecco.

Le mie maggiori speranze sono a livello "locale", ad esempio mi augurerei in Italia una maggior diffusione delle opere russe.

Trovo ci sia e ci sarà molto più "movimento" nella musica sinfonica.
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda beckmesser » ven 15 lug 2011, 14:18

teo.emme ha scritto:Quello sarebbe auspicabile: una Verdi Renaissance (magari con l'aiuto delle nuove edizioni critiche: ignorate dalla maggior parte delle produzioni purtroppo...) che comportasse una maggior attenzione alla ricchezza delle sfumature segnate in partiture e l'abbandono di certe placide tradizioni. Ma Verdi è ancora in mano ai battisolfa e agli Alvarez... Escludo, però, grossi cambiamenti


Invece, proprio in questo campo a me pare che molto si stia muovendo. Solo nella prossima stagione Gardiner farà Rigoletto e Minkovsky Trovatore (con Tcherniakov...), e mi sembra questo indichi un notevole cambio di prospettive. Fino a qualche tempo fa, il Verdi che attirava l'attenzione dei grandi direttori era quello tardo, che pone meno problemi formali. Che direttori di questo calibro decidano di affrontare questo Verdi (in un caso, addirittura, per il proprio debutto in Verdi...) è molto significativo. Non ho onestamente idea di cosa salterà fuori, ma non ho dubbi che è l'unico modo sensato di provare a smuovere questo repertorio, in cui si pensa ancora che "Trovatore non si può più fare perché mancano i tenori"...

Oltretutto, non ho dubbi non solo sul fatto che Gardiner e Minkovsky useranno le edizioni critiche (che in verità ormai, almeno nei grandi teatri, sono d'abitudine) ma, soprattutto, che sapranno come usarle...

Saluti,

Beck
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda teo.emme » ven 15 lug 2011, 14:51

Nessun dubbio su Gardiner o Minkowski...ma li considererei un'eccezione alla normalità: normalità assolutamente internazionale, dalla ROH all'Opéra, dall'Unter den Linden alla Scala, dal Met allo Staatsoper... Mentre è scontato l'uso dell'edizioni critiche Barenreiter per tutto ciò che ha scritto Mozart (persino all'ASLICO) e lo sta diventando anche per Rossini, così non è per Verdi. E comunque l'edizione critica è solo la punta dell'iceberg: è l'approccio mentale. Ma è grave che neppure al Festival Verdi (luogo autoelettosi custode della sua musica) si usino le edizioni critiche (almeno non sempre) e si esca dalla logica dei tagli di tradizione e l'armamentario di puntature e cadenze apocrife. In realtà non le usa praticamente nessuno...eppure ad oggi sono disponibili: Nabucco (1988), Ernani (1985), Giovanna d'Arco (2009), Alzira (1994), Attila (2010), Macbeth (2005), Masnadieri (2000), Il Corsaro (1998), Luisa Miller (1991), Stiffelio (2003), Rigoletto (1983), Trovatore (1993), Traviata (1997), e ancora Ballo in Maschera, Forza del Destino, Don Carlos...e di imminente pubblicazione una nuova edizione di Don Carlo/Don Carlos, Simon Boccanegra, Aida, Battaglia di Legnano, Jerusalem, I Lombardi, Oberto e Un Giorno di Regno... Ripeto: l'uso dell'edizione è la punta di un iceberg, ma è rivelatore di un certo modo di approcciare l'autore. Non a caso abbiamo appena sentito in Scala un Attila in puro stile bandistico (ed è abbastanza sintomatico che un "intellettuale" solitamente sofisticato, anticonformista e raffinatissimo come Arbasino, abbia elogiato - in un pezzo dimenticabilissimo - quello spettacolo proprio in virtù della sua ruspante rozzezza: evidentemente nell'immaginario collettivo, alto o basso che sia, Verdi DEVE sapere di lambrusco e di sagra di paese). E questo per Verdi: per Puccini, addirittura, si ritiene inutile una nuova edizione delle opere. E poi altro problema grosso - con cui necessariamente bisogna confrontarsi - è che il noleggio del nuovo materiale, oltre ad implicare un cambio di mentalità nel cantante, nel direttore, nell'orchestrale e SOPRATTUTTO nel pubblico, costituisce, oggi, un lusso che la maggior parte dei teatri non può permettersi. Pagare 5 o 6 volte in più il noleggio è spesa che permettono solo ai Gardiner o ai Minkowski, appunto...per un po' di polemica (concedetemela simpaticamente) potrei dire che oggi i teatri preferiscono investire in altri aspetti della rappresentazione (soprattutto visivi con relativo ampliamento a dismisura dei costi). Purtroppo la coperta ha una sua dimensione e tirando troppo da una parte qualcosa rimane scoperto...
Ultima modifica di teo.emme il ven 15 lug 2011, 21:11, modificato 4 volte in totale.
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda mattioli » ven 15 lug 2011, 20:01

Ohilà, bellissimo argomento, bravo Mat!

Anche se difficile, perché si tratta di riflettere sul presente (non solo operistico, ma soprattutto sociale, storico, politico, economico e così via) per capire quali mode, modi, trend e idee che già esistono oggi si svilupperanno ulteriormente domani.

Un paio di premesse, anzi tre:

- se è vero che Barbiere e Tosca si continueranno a fare sempre, perché sono le minoranze che fanno la storia ma sono le maggioranze che riempiono i teatri, non è vero che, perché negli ultimi trent'anni abbiamo assistito a molte sorprese (Rossini, il barocco, eccetera), negli ultimissimi anni siano finite, come se il mondo dell'opera fosse stufo di rivoluzioni. Basta dare un'occhiata alle fantastiche statistiche di Operabase per scoprire che Handel è il nono operista più eseguito del pianeta e che Janacek lo è più di Gounod;
- il discorso delle voci è irrilevante. E' infatti il cambiamento del repertorio che fa le voci e non la disponibilità delle voci che fa il repertorio. E' il mondo che inventa Verdi e poi le voci per eseguirlo;
- l'Italia, come al solito, con conta. Con le sue direzioni "artistiche" da barzelletta, i suoi teatri asfittici e la minoranza rumorosa di trogloditi che li frequenta, oggi è il terzo mondo dell'opera, irrilevante nel primo. E le prospettive sono pessime.

Venendo al futuro, estraggo la sfera di cristallo e faccio Maga Magò. Troppo facile dire che nei prossimi anni ci sarà il trionfale ritorno dell'operismo borghese dell'Ottocento (il Grand opéra e, in misura minore, l'Opéra-comique) perché è un processo già cominciato, benché non abbia ancora trovato un regista in grado di risolvere in chiave moderna e convincente gli enormi problemi drammaturgici che presenta. E la stessa difficoltà (anche economica, di allestimento) di questo repertorio lo condannerà a una renaissance "di nicchia".
No, io scommetto sul verismo (purtroppo, aggiungerei, perché non è la mia tazza di thé: ma questo è un problema mio). Anche qui, si dirà, i sintomi si vedono già: per esempio, chi avrebbe pensato che due delle massime personalità dell'opera di oggi, cioè McVicar e Kaufmann, si sarebbero dedicate a un titolo decotto come l'Adriana? Eppure l'hanno fatto (anche se degli esiti so nulla). Però io credo che il verismo tornerà davvero di moda, specie quello ruspante, non Francesca da Rimini. E per una ragione molto semplice: è semplice. Intendo che presenta drammaturgie elementari, caratteri monolitici, forme musicali non impegnative. E ha ritmo, è veloce, rapido, concentrato: non a caso, le sue due opere simbolo sono operine che da sole non fanno serata. Insomma, è un videoclip. Quindi se sarà sottratto ai cantanti modello Zajick (si scriverà così?) o Alvarez, ai direttori praticoni e ai registi muffi, è potenzialmente una bomba. Presto i teatri importanti se ne accorgeranno e ne vedremo delle belle.

(Fra parentesi: per le stesse ragioni, scommetterei sul Verdi di galera. Oltretutto il direttore per farlo come andrebbe fatto nel 2020 e non per rifarlo come lo si faceva nel 1960 c'è già, anche se i teatri non se ne sono accorti - e magari neanche lui. E' Gardiner)
Scusate la prolissità. Saluti a tutti, cui aggiungo i dovuti ossequi ai boss Divino, Bagnolo e, ma sì, questo thread era geniale, anche al GM.
Ciao miao bao
AM
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda Tucidide » ven 15 lug 2011, 23:53

Maugham ha scritto:Con Massenet, Rimsky condivide tra l'altro uno stesso percorso.
Non sono stati abbastanza "sfigati" in vita. Questo, per i critici e i pubblici e i pensatori post-adorniani è un reato inammissibile. Dal momento che il successo -secondo loro- non lo puoi avere sia da vivo che da morto, questo significa che, se in vita sei ricoperto di ori e onori (come Massenet, ma anche Verdi e Puccini e anche il mio avatar) allora sei stato un artista superficiale venduto al mercato. Non puoi avere successo in questo mondo e nell'altro. Meglio però se in vita sei un incompreso. Questo farà di te il compositore o lo scrittore o l'artista del futuro.

Tutto verissimo, ma mi chiedo se veramente il nostro mondo si sia liberato da questo baco intellettualoide per cui se sei stato fortunato in vita sarai "punito" con la damnatio memoriae da parte della critica negli anni a venire. Mi sembra invece che questa antipatica presa di posizione sia ancora, PURTROPPO, ben presente; e il mondo attuale, con il famoso discorso della "civiltà dell'immagine" non fa che alimentarla. Da un lato siamo affascinati dallo sberluccichio delle riviste patinate, dall'hi-tech, ma dall'altra rifuggiamo a fatica la tentazione di guardarle con supponenza come cose effimere e di nessuna reale grandezza.

Detto questo, il Barocco è già sulla cresta dell'onda da decenni, dai primi esperimenti della prima triade (cit. Giudici) Harnoncourt-Hogwood-Gardiner alla seconda (cit.) Rousset-Minkowski-Christie e ai nuovi scatenatissimi musicisti come Spinosi, la Haim e metteteci chi volete, ce n'è un sacco. Bellissimo il Barocco, se eseguito in modo incisivo e senza romantiche nostalgie ai tempi delle Joan e delle Marilyn, dei Pigipizzi e dei Richard (Bonynge); però, oramai sai che novità! I titoli più belli li han già rigirati come calzini, opere come Alcina, Rinaldo e Giulio Cesare sono state incise negli ultimi anni molte volte fra audio e video, e se è vero che ogni tanto il buon vecchio Curtis riesuma qualche composizione obliata, il tutto risponde più a interessi musicologici che estetici.
Massenet e Rimskij. Belli! Certo, di loro si rappresenta poco, specialmente del primo, e se si aprono le cateratte magari sgorgano capolavori. Bisogna però vedere se l'ottimistica fiducia di Maugham nella civiltà odierna è ben riposta! Speriamo davvero che si smetta di ritenere Massenet alla stregua di un cantante neomelodico napoletano, una sorta di Gigi D'Alessio della Belle époque! Io però ne dubito... : Blink :

Io, riallacciandomi a quanto si è detto tempo fa, scommetto sul Musical, eseguito con prassi "operistica", affidato cioè a cantanti, direttori e registi normalmente attivi nell'opera. E' un linguaggio semplice, molto "moderno", orecchiabile, che può acchiappare anche i gggiovani. Quando nel minuscolo Teatro Rossini di Lugo diedero Sweeney Todd c'erano tanti adolescenti che avevano visto il film con Johnny Depp e che alla fine della rappresentazione facevano mostra di aver apprezzato, diversamente da quanto succede ai neofiti che assistono ad opere "tradizionali", al 90 % annoiati a morte già al primo intervallo.
Oltretutto, dico anche per fare una battuta, :lol: l'affrontare il Musical metterebbe i cantanti di oggi al riparo dai confronti con i grandi del passato, che salvo rari casi non hanno mai eseguito questo repertorio. : Sailor :
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda pbagnoli » sab 16 lug 2011, 0:35

mattioli ha scritto: ...ma sì, questo thread era geniale, anche al GM.

Vero.
Geniale ma terribilmente difficile, come tutti gli studi prospettici.
Nel mio campo esiste un tipo di studio scientifico che è il prospettico randomizzato, che è quello che permette di capire se un trattamento sperimentale funziona meglio di uno già in atto. Non entro in dettagli, ma la scienza oggi come oggi si costruisce soprattutto con gli studi prospettici randomizzati; i retrospettivi lasciano un po' il tempo che trovano.

[Piccola digressione: esiste anche il rischio di risultare un po' stucchevoli a furia di applicare lo studio prospettico randomizzato a tutte le situazioni.
C'è un articolo spiritoso pubblicato sul British Medical Journal del 2005 che ironizza un po' sull'abitudine dei medici di tirare sempre in ballo gli studi randomizzati portando a esempio il paracadute e dice sostanzialmente questo: nessuno ha mai fatto uno studio randomizzato sull'utilità dell'uso del paracadute nell'evitare i traumi da caduta; quindi, l'utilità dell'uso del paracadute nel lancio da un aereo in alta quota è puramente osservazionale; se ne conclude che tutti coloro che insistono a dire che ogni nostro atto (terapeutico) deve essere validato da uno studio prospettico randomizzato, dovrebbero... cadere a terra senza usare il paracadute perché il suo uso non è stato validato da uno studio prospettico. Fine della digressione]

Ma torniamo in topic.
Credo che in un campo come questo sia difficile essere prospettici.
Devo dire che Mattioli fa una serie di osservazioni assolutamente pertinenti, in particolare questa:
l'Italia, come al solito, con conta. Con le sue direzioni "artistiche" da barzelletta, i suoi teatri asfittici e la minoranza rumorosa di trogloditi che li frequenta, oggi è il terzo mondo dell'opera, irrilevante nel primo. E le prospettive sono pessime

Ce lo siamo sempre detto, no?
E tuttavia, la smetterei di dare credito a quelli che definisci "i trogloditi", altrimenti continueranno a sentirsi giganti solo perché hanno imparato a sputare lontano.
Sulle voci sono un po' meno d'accordo. Le voci contano sempre: è su quelle che, ancora oggi, giochiamo gra. Certo, non sono le voci con cui siamo cresciuti: se cerchiamo di riprodurre quel tipo di voce, quello schema cui siamo affezionati, corriamo il rischio di andare incontro a delusioni perché spesso sono schemi non più applicabili.
Più condivisibile mi sembra invece il discorso:
E' infatti il cambiamento del repertorio che fa le voci e non la disponibilità delle voci che fa il repertorio

Come ci spiegheremmo infatti una prestazione come quella che segue, se non come il frutto di un lavoro importante su un repertorio completamente diverso che porta una cantante ad applicarsi a un ambito che teoricamente nessuno le attribuirebbe?

Prego di notare che, stando in tema di trogloditi, vale la pena di vedere i commenti su Youtube: quelli negativi vengono solo dai sapientoni italiani.
Giusto mettere la Kermes a fare Leonore? Sbagliato?
Non so: è una possibile evoluzione futura.
E' di questo che abbiamo bisogno: non dell'ennesima emula della Tebaldi
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda mattioli » sab 16 lug 2011, 9:17

Caro Bagnolo,

sulle voci temo di non essermi spiegato. Storicamente, è la nascita (o il cambiamento) di un repertorio che ha prodotto le voci per eseguirlo. Abbastanza tautologico: prima di Wagner non c'erano le voci wagneriane, la Rossini-renaissance ha prodotto gli specialisti rossiniani (infatti è cominciata quando non c'erano, da qui l'imbarazzo di certi live degli Anni Sessanta). Se, come ho scritto, nei prossimi anni assisteremo a un ritorno del Verismo, sarà interessante vedere come si risolverà il problema delle voci. E credo che lo si farà, come si è sempre fatto nella storia dell'opera, ripensando radicalmente il modo di eseguire questo repertorio, non riproponendo moduli interpretativi vecchi...
Ah, e poi mi ero dimenticato di Puccini, che dei grandi mi sembra quello che in questo momento ha più bisogno di essere ripensato radicalmente...

la smetterei di dare credito a quelli che definisci "i trogloditi", altrimenti continueranno a sentirsi giganti solo perché hanno imparato a sputare lontano.


Beh, non credo che ci riferiamo alla stessa fauna, dalla quale mi sembri molto più affascinato tu. No: io mi riefrivo a gente che conta davvero, cioè una fetta consistente (e forse nemmeno tanto minoritaria) deglio addetti ai lavori, dirigenti teatrali, critici e così via. Nei foyer e nelle cene si sentono discorsi che farebbero cascare le braccia a un mutilato e se vuoi ho un'aneddottica ottima e abbondante da proporti.
Buona giornata a tutti

AM
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda pbagnoli » sab 16 lug 2011, 11:01

mattioli ha scritto: se vuoi ho un'aneddottica ottima e abbondante da proporti.

Vorrei, in effetti.
Anche solo per documentazione scientifica di un fenomeno di cui fatico a capire i limiti.
In effetti, all'inizio del secondo decennio del terzo millennio, chiunque avrebbe la possibilità di documentarsi, no?
Racconta, racconta Mattioli. Facciamoci del male. Fammi vedere quanto sono beceri gli italiani :(
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