Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda mattioli » lun 18 lug 2011, 19:31

Scusa, leggo solo adesso. Ti segnalo solo l'ex direttore artistico di un importante teatro italiano che, alcuni anni fa, informato dell'esistenza di una serie di leggendarie produzioni offenbachiane della coppia Minkowski-Pelly, chiese chi erano costoro, segno che non solo non andava a vedere gli spettacoli, ma non entrava mai in un negozio di dischi e non apriva mai un giornale che non fosse la Gazzetta del paesello : Hurted :
E che dire di quell'ex sovrintendente, oggi critico e talvolta regista che su un prestigioso quotidiano napoletano ci ha fatto sapere qualche mesetto fa (o forse più) che, sapete, non ci crederete, incredibile ma vero, esistono dei curiosi cantanti uomini, ma con tutti i pezzi attaccati che cantano in falsetto e si chiamano, pensate un po', controtenori... :cry:

Vedi, Bagnolo, il problema non è mia nonna (faccio per dire: purtroppo non l'ho più, e comunque non andava all'opera) che va a teatro per rivedere La Bohème per la tremilionesima volta e si scandalizza perché non è uguale alle 2.999.999 volte precedenti e si lamenta perché "non ci sono più le voci di una volta". Il problema è che chi dovrebbe allargarle un po' gli orizzonti è latitante. Quando ancora mi occupavo professionalmente di queste cose, ho cercato per anni di spiegare alla classe dirigente operistica, chiamiamola così, che fuori dal suo angoletto di m... c'era un mondo e che dare al pubblico la possibilità di conoscerlo era un dovere. Detesto l'idea dell'intellettuale indottrinatore e ho il massimo rispetto del pubblico. Proprio per questo credo che gli vadano dati i mezzi per scegliere. Bisogna dirgli: guarda che non esiste solo Zeffirelli, c'è anche Jones. Poi deciderà lui.
Invece questo in Italia non si è fatto (il punto di svolta che ha scatenato l'involuzione è stato, secondo me, il Ventennio alla Scala). E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Ciao

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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda Alberich » mar 19 lug 2011, 0:08

mattioli ha scritto:Scusa, leggo solo adesso. Ti segnalo solo l'ex direttore artistico di un importante teatro italiano che, alcuni anni fa, informato dell'esistenza di una serie di leggendarie produzioni offenbachiane della coppia Minkowski-Pelly, chiese chi erano costoro, segno che non solo non andava a vedere gli spettacoli, ma non entrava mai in un negozio di dischi e non apriva mai un giornale che non fosse la Gazzetta del paesello : Hurted :
E che dire di quell'ex sovrintendente, oggi critico e talvolta regista che su un prestigioso quotidiano napoletano ci ha fatto sapere qualche mesetto fa (o forse più) che, sapete, non ci crederete, incredibile ma vero, esistono dei curiosi cantanti uomini, ma con tutti i pezzi attaccati che cantano in falsetto e si chiamano, pensate un po', controtenori... :cry:

Vedi, Bagnolo, il problema non è mia nonna (faccio per dire: purtroppo non l'ho più, e comunque non andava all'opera) che va a teatro per rivedere La Bohème per la tremilionesima volta e si scandalizza perché non è uguale alle 2.999.999 volte precedenti e si lamenta perché "non ci sono più le voci di una volta". Il problema è che chi dovrebbe allargarle un po' gli orizzonti è latitante. Quando ancora mi occupavo professionalmente di queste cose, ho cercato per anni di spiegare alla classe dirigente operistica, chiamiamola così, che fuori dal suo angoletto di m... c'era un mondo e che dare al pubblico la possibilità di conoscerlo era un dovere. Detesto l'idea dell'intellettuale indottrinatore e ho il massimo rispetto del pubblico. Proprio per questo credo che gli vadano dati i mezzi per scegliere. Bisogna dirgli: guarda che non esiste solo Zeffirelli, c'è anche Jones. Poi deciderà lui.
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda Alberich » mar 19 lug 2011, 0:10

mattioli ha scritto:- il discorso delle voci è irrilevante. E' infatti il cambiamento del repertorio che fa le voci e non la disponibilità delle voci che fa il repertorio. E' il mondo che inventa Verdi e poi le voci per eseguirlo

Qualora questa fosse una risposta alla mia considerazione, premetto che sono d'accordo. Solo penso che per far uscire un repertorio dall'oblio serva qualcuno che abbia voglia di farlo e che abbia voglia di rompere l'indifferenza.
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda mattioli » mar 19 lug 2011, 0:28

Grazie Alberich : Chessygrin : !

Davvero: non ha senso spiegare al pubblico cosa gli deve piacere. Basta permettergli di deciderlo.

PS: conferenza su Traviata davanti a una folla di età media avanzata, ma non incattivita o frustrata. Faccio vedere un po' di video (Decker, Carsen, perfino Mussbach). Qualcuno si scandalizza, qualcuno s'incuriosisce, qualcuno chiede delucidazioni. Ma nessuno, e parlo di gente per cui è eversivo Ronconi, è PREGIUDIZIALMENTE contrario.
PPS: sulle voci sono d'accordo con te. Ma mi sembra chiaro che, quando si prova a fare del nuovo, si comincia con il vecchio. Verdi si trova Ronconi, grande baritono donizettiano, e capisce che può lavorarci. E con lui inventa il baritono verdiano...
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda pbagnoli » mar 19 lug 2011, 8:04

mattioli ha scritto:
Davvero: non ha senso spiegare al pubblico cosa gli deve piacere. Basta permettergli di deciderlo.
PS: conferenza su Traviata davanti a una folla di età media avanzata, ma non incattivita o frustrata. Faccio vedere un po' di video (Decker, Carsen, perfino Mussbach). Qualcuno si scandalizza, qualcuno s'incuriosisce, qualcuno chiede delucidazioni. Ma nessuno, e parlo di gente per cui è eversivo Ronconi, è PREGIUDIZIALMENTE contrario.

Idem come sopra, stessa esperienza.
Conferenza (si fa per dire) su Traviata di fronte a un circolo culturale con cui faccio chiacchierate operistiche non per la prima volta per amicizia con un collega anestesista che ne è presidente e perché preparano sempre un ricco buffet.
Faccio vedere come fil rouge il video di Decker-Netrebko: tutti, anche i più vecchi e passatisti, rimangono entusiasti.
E la ragione è proprio quella: perché si accostano senza pregiudizi.
Si lasciano coinvolgere.
Accettano la sfida.
Poi sceglieranno quello che preferiscono ma, santa pace!, se ti accosti a qualcosa senza pregiudizi, poi sarai onesto nelle tue valutazioni
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda MatMarazzi » mar 19 lug 2011, 12:51

Interessantissime tutte le considerazioni emerse.

Direi che tutto quello che avrei voluto dire è già stato detto! :)
Il chè mi conforta: non sono io che farnetico, ma anche altri la pensano come me.

In realtà quella che proponevo non era un'analisi o profezia sull'opera, ma un'indagine sulla nostra civiltà, sul nostro tempo, su come siamo cambiati e cambieremo.
L'ipotesi sul repertorio "futuro" doveva essere una conseguenza, in quanto i repertori e il modo di affrontarli sono sempre connessi (questa era la premessa) alle ragioni del tempo, alla "Weltanschauung".

Beck e Bagnoli hanno introdotto l'obiezione che spesso, oltre che conseguenza, il repertorio è anche frutto della "contingenza": oggi ci sono certi cantanti, oggi ci sono certe edizioni critiche. E' per questo che si "possono" fare certe opere.

IL Mattioli mi ha tolto la soddisfazione di controbattere a queste obiezioni, scrivendo esattamente quello che avrei risposto io.
Caro Beck: invece di limitarci ad osservare che oggi esistono le edizioni critiche delle opere francesi primo e medio-ottocentesche, chiediamoci perché proprio oggi ci si è dedicati e non, per esempio, trent'anni fa!
Se oggi esistono studi critici su quel repertorio è proprio perché c'è qualcosa che ci spinge verso quel repertorio, fino a pochi decenni fa disprezzato.
E non viceversa...
Ed è la stessa cosa che ci spinge, come avevo detto in passato e come Tuc ha ricordato, a guardare con interesse a un genere (il Musical) che fino a pochi anni fa era considerato un sottoprodotto plebeo da tutti gli appassionati operisti.
Ed è la stessa cosa che, come giustamente ha detto Maugham, ci permette di trovare oggi tanti possibili cast "fantastici" per Massenet (mentre solo quindici anni fa non ne trovavi: in compenso c'erano cast apocalittici per Janacke e Britten).

E' vero che prima che Rubino Profeta scoprisse uno spartito acefalo del Devereux nel 1963 quell'opera era considerata scomparsa e dunque era impossibile eseguirla.
Ma chiediamoci perché un musicologo si sia messo alla ricerca di questo manosritto proprio negli anni '60...
E comunque non mancavano (anche negli anni 30) gli spartiti di Bolena e Poliuto, di Belisario e Sancha di Castilla: eppure negli anni 30 non venivano eseguiti esattamente come non si eseguiva il Devereux.

Scusa se mi ripeto, Beck, ma il concetto è che se ci si orienta su certi studi, certe ricerche filologiche, certi recuperi documentari non è mai per caso, ma perché "nell'aria" c'è qualcosa che spinge gli studiosi verso quel repertorio: un filo rosso, una potenzialità in quel repertorio che può interagire con la nostra epoca.
E questo gli studiosi lo capiscono prima dei teatri: ed è giusto perché prima che il "qualcosa" arrivi a realizzazione ci vuole prima una lunga fase di riflessione...
NOn ha senso dire che oggi eseguiamo Meyerbeer perché ci sono gli studi filologici. Ci sono gli studi filologici, perché inesorabilmente si è sviluppata una consapevolezza delle affinità tra il Grand-Opéra e il nostro mondo culturale ed etico.

Se un repertorio dimenticato comincia a riaffiorare, oppure se un repertorio frequentato comincia a modificare i suoi criteri esecutivi (come è accaduto a Mozart e Wagner - non parliamo di Handel e Janacek - dalla fine degli anni '70) è sempre e solo per il tentativo di cercare verità "nostre" nei capolavori del passato.
Questo vale per noi come per i nostri avi.

Idem per i cantanti (e qui rispondo a Bagnoli): la Gencer, se fosse nata tale e quale vent'anni prima, non avrebbe cantanto Donizetti e non in quel modo.
E se la Gens e la Delunsch fossero nate ai tempi della Gencer non avrebbero cantato Gluck e certamente non in questo modo.
Questo non toglie che, a differenza di quanto dice Mattioli, anche Bagnolo ha una parte di ragione.
La fortuna delle rinascite "storiche" (che abbiamo vissuto lungo tutto il '900) era legata a cantanti "innovativi" già belli pronti per incarnare tali rinascite.
Ma anche per loro vale lo stesso discorso già fatto per filologi e ricercatori.
La domanda è: cosa ha spinto la Gencer, nella sua sperduta Turchia dove le facevano fare Puccini, Mascagni e Menotti, a sviluppare quella particolare tecnica, quel virtuosismo, quell'arte del chiaroscuro, quel gusto della deformità espressiva?
L'esempio della Callas? No certo: la Gencer era già in carriera quando il mito della Callas si impose. La lezione della Arangi? Basta sentire un disco dell'una e dell'altra per misurare l'abisso anche tecnico fra maestra e allieva.
Cosa allora?
Forse il fatto che anche la Gencer, nella sua sperduta Turchia, respirasse lo spirito del tempo?

Facciamo qualche esempio.
La Horne partì negli anni 50 con Wozzeck, Minnie e CArmen Jones. La sua tecnica era già pronta, già formata: eppure nessuno al mondo (e tantomeno lei) avrebbe immaginato che quella tecnica particolarissima avesse in sè le esatte potenzialità per la rivoluzione rossiniana che si sarebbe vissuta negli anni 60-70.
Resta il fatto che quando la Rossini Renaissance partì, lei era già lì: con tutte le carte in regola. Per certi versi ne fu il motore.

Prendiamo l'esempio dei rivoluzionari anni 50.
Quando Wieland cominciò a stravolgere le tradizioni wagneriane (con la Neue Bayreuth del 1951) aveva già sotto mano i cantanti giusti, senza i quali la sua rivoluzione non avrebbe avuto senso: da Greindl alla Moedl, da Windgassen a Vinay.
Negli stessi anni l'Italia rilanciava l'800 (e non fu un caso nemmeno quello) e (ma guarda un po') ecco già lì, belle che pronte, le Callas, le Gencer, le Sutherland.
Le avresti trovate vent'anni prima?
E vent'anni prima avresti trovato delle mozartiane e straussiane eteree e immateriali come la Schwarzkopf e la Seefried, la Della Casa e la Stich Randall? No.
Ma quando ce ne fu bisogno, nella Vienna post-bellica dove si inaugurava il nuovo Mozart, eccole lì, tutte schierate per la rivoluzione.

Perché tutto questo è interessante? Perché tutti gli artisti che ho citato (la Moedl,la Callas, la Sutherland, la Schwarzkopf) erano andate a scuola e avevano forgiato le loro particolari tecniche NON negli anni '50, quando è stato loro richiesto di partecipare alle suddette rivoluzioni, ma anni prima....
Quando loro andavano in conservatorio (prima della guerra) nessuno avrebbe potuto immaginare che in Italia ci sarebbe stata la Donizetti Renaissance, o che a Vienna avrebbero riformato Mozart in senso astratto e anti-romantico, o che Wieland avrebbe disseccato l'epica wagneriana in una trama di umanità ferita e luci senza forma.
E allora COME E' POSSIBILE che tutti questi artisti già esistessero, e già da molti anni si fossero forgiati per arrivare pronti esattamente a quelle rivoluzioni?

Cosa sto cercando di dire?
Che rispetto alle tesi entrambe giuste di Bagnoli (ci sono certi cantanti dunque si fa un certo repertorio) e di Mattioli (si fa un certo repertorio, dunque prima o poi salteranno fuori i cantanti) c'è un elemento ulteriore a monte rispetto agli stessi repertori e alle stesse rivoluzioni operistiche, un elemento che ne garantisce la futura realizzazione: ossia quel bisogno che la nostra società (tutte le società) hanno di riflettersi in ciò che rappresentano e che si riflette (ben prima che le rivoluzioni abbiano luogo) nella ricerca di linguaggi sonori e tecnici più combiacianti con la nostra sensibilità e, contestualmente, nell'approfondimento accademico e filologico di autori che, in astratto, possono rivelare particolari fili rossi tra loro e il nostro tempo.
Tutto questo avviene "prima" che le rivoluzioni si realizzino: ecco perché, caro Bagnolo, quando si arriva a trovare in Donizetti un autore "moderno" (come era negli anni 60) c'è già una Gencer bella pronta.

Mi spiego.
Se la CAllas, la Schwarzkopf, la Gencer, la Moedl, la stessa Horne si erano forgiate la tecnica in quel modo da ragazze non è perché "presagivano" quali sarebbero stati le posteriori rivoluzioni di cui, quindici anni dopo, sarebbero state le protagoniste.
Assurdo pensarlo...
Semplicemente stavano innovando il suono e il gesto, ognuna a modo loro, nella direzione del "loro" tempo.
Il canto, pur legato alle tradizioni che conoscevano a scuola, si configurava sulla base delle sollecitazioni del loro tempo (la mentalità che assorbivano, i film che vedevano, la musica che ascoltavano, la gestualità e il gergo dei giovani che frequentavano...).
Insomma, adattavano la loro espressività e la loro tecnica al mondo in cui vivevano.
Il bisogno di coltivare l'agilità e i contrasti di colore non venne a Merritt e Blake (quando andavano a scuola, negli anni '70) per la promessa di carriere rossiniane internazionali (che nessuno avrebbe allora potuto prevedere), senza Verdi e senza Puccini.
Ma da qualcosa che li spingeva a considerare, allora, quel tipo di canto più "moderno", più giovane, più aperto al futuro.

Le "rivoluzioni" di repertorio in fondo cercano solo la stessa cosa.
NOn l'umanitario progetto di far rivivere autori ingiustamente dimenticati, ma il bisogno di cercare "altrove" (magari appunto in autori dimenticati o traditi, come Monteverdi, Rossini, Handel) il presente.
E' sempre lo "spirito del tempo" che prepara la rinascite e le rivoluzioni, molto prima che esse avvengano realmente sui palcoscenici.
C'è sempre qualcosa nell'aria che permette che diverse persone (i giovani artisti al conservatorio così come i ricercatori nelle aule universitarie) lavorino già oggi (e in perfetta autonomia gli uni dagli altri) per le future rivoluzioni.

Ribadisco: ha ragione Bagnoli a dire che gli interpreti rendono possibili le tendenze (e Beck a dire la stessa cosa dei filologi), ma ha ancora più ragione Mattioli nel dire che sono le tendenze a fare gli interpreti (e i filologi) in quanto quelle che noi chiamiamo "rivoluzioni" non sono altro che l'ultima tappa di un lungo percorso di riflessione e ricerca che la nostra società (così come quelle passate) ha compiuto per potersi poi rispecchiarsi in ciò che rappresenta, fosse anche un'opera scritta trecento anni fa ma che dice più cose vicine a noi di un'opera scritta l'anno scorso.

E' per questo che, chiedendoci quali opere verranno rappresentate domani e con quali stili e strumenti, noi in realtà ci stiamo interrogando sulla civiltà di oggi, quella stessa che stiamo vivendo proprio come gli artefici delle prossime rivoluzioni artistiche.

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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda mattioli » mar 19 lug 2011, 13:21

Sì, sono d'accordissimo.

Aggiungerei un attore fondamentale in questa commedia: il pubblico. Perché dei cantanti di rottura, che innovano, che spingono più in là l'interpretazione o il modo di cantare o il modo di stare in scena, vengono applauditi? In teoria, non dovrebbero esserlo, perché si discostano da quello che, fino a quel momento, è stato considerato "giusto".

Faccio un esempio banale. Il pubblico della Scala degli Anni Cinquanta si spellava le mani per Di Stefano e Del Monaco. Era la stessa gente che, solo dieci anni prima, delirava per Pertile e Lauri Volpi, che non erano la stessa cosa né come gusto né come tecnica. Come mai? Ma perché in mezzo c'era stata una guerra mondiale, un'enorme rivoluzione politica, economica, sociale, in una parola storica. Era cambiato il pubblico, quindi era cambiato quello che il pubblico cercava nell'interprete (e anche nel repertorio, o nelle regie, o nelle direzioni).

Ne discendono due conseguenze. La prima che, a rigore, non ha alcun senso dire che un cantante canta bene o canta male. Rispetto a cosa? L'importante è capire (ed è qui che entrerebbe in gioco la critica, se esistesse) se interpreta o no il suo tempo.
La seconda: il fatto che dei cantanti abbiano successo planetario dimostra, quasi sempre, che valgono. E' la vecchia massima del pubblico che ha sempre ragione, anche se talvolta non vede abbastanza in là perché quello che gli viene proposto è TROPPO avanti rispetto al suo tempo, e allora fischia La traviata o i Sei personaggi. E infatti per spiegare il trionfo di chi non piace loro i superficiali ricorrono ai complotti, allo strapotere delle major discografiche (cosa che fa particolarmente ridere chi sa come sono ridotte le major: ieri sera ero a cena con un potente discografico italiano e mi ha raccontato cose che farebbero rizzare i capelli in testa, se li avessi), all'ignoranza del pubblico (come se il pubblico fosse intelligente oggi e scemo domani), agli intrighi demo-pluto-giudaico-massonici. E invece è molto semplice: ci sono cantanti che piacciono perché esprimono il loro tempo e minoranze che non lo capiscono perché sono fuori del loro tempo. Quindi, non contano :D .

Interessante, comunque, questa discussione.
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda Alberich » mar 19 lug 2011, 14:15

MatMarazzi ha scritto:Idem per i cantanti (e qui rispondo a Bagnoli): la Gencer, se fosse nata tale e quale vent'anni prima, non avrebbe cantanto Donizetti e non in quel modo.


O magari si', ma l'avrebbero cantato a casa loro...non e' necessariamente cosi' ordinato lo sviluppo dell'arte. C'e' una buona dose di "pescare dal mucchio" quello che al momento va bene, scartando il resto (e non riuscendo a valorizzarlo). Tu stesso di tanto in tanto tiri fuori vecchie registrazioni di cantanti secondari (alla loro epoca), che oggi ci appaiono molto piu' "bravi" degli idoli del momento. Quanti Merritt, Horne, Gencer saranno nati nel periodo sbagliato e saranno stati condannati alla marginalita'?
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Re: Se ogni epoca ha le "sue" opere predilette....

Messaggioda MatMarazzi » lun 25 lug 2011, 9:59

mattioli ha scritto: Ne discendono due conseguenze. La prima che, a rigore, non ha alcun senso dire che un cantante canta bene o canta male. Rispetto a cosa? L'importante è capire (ed è qui che entrerebbe in gioco la critica, se esistesse) se interpreta o no il suo tempo.
La seconda: il fatto che dei cantanti abbiano successo planetario dimostra, quasi sempre, che valgono. E' la vecchia massima del pubblico che ha sempre ragione, anche se talvolta non vede abbastanza in là perché quello che gli viene proposto è TROPPO avanti rispetto al suo tempo, e allora fischia La traviata o i Sei personaggi. E infatti per spiegare il trionfo di chi non piace loro i superficiali ricorrono ai complotti, allo strapotere delle major discografiche (cosa che fa particolarmente ridere chi sa come sono ridotte le major: ieri sera ero a cena con un potente discografico italiano e mi ha raccontato cose che farebbero rizzare i capelli in testa, se li avessi), all'ignoranza del pubblico (come se il pubblico fosse intelligente oggi e scemo domani), agli intrighi demo-pluto-giudaico-massonici. E invece è molto semplice: ci sono cantanti che piacciono perché esprimono il loro tempo e minoranze che non lo capiscono perché sono fuori del loro tempo. Quindi, non contano :D .


Infatti, caro Mattioli, queste sono proprio le conseguenze che anche noi abbiamo tratto dai nostri presupposti teorici.
Semmai mi permetto un poco di ...sfumarle (almeno a mio modo di vedere).
Una delle ragioni per cui non tollero i "dogmatici" dell'opera (si fa così, si fa colà, questo è giusto, questo è sbagliato) è proprio perché a differenza loro noi diciamo che virtualmente tutto è giusto e tutto è sbagliato! Quello che conta è il risultato (teatrale e musicale) nel nostro tempo.
Ma è proprio quello che dicevo io, potresti scrivere tu....
E' vero, ma c'è una sfumatura che mi preme sottolineare: altri direbbero "Viva la Olivero, abbasso la Varnay", noi ci opponiamo a questi MA NON affermando "Abbasso la Olivero, Viva la Varnay", semmai W entrambe quando "funzionano", abbasso entrambe quando non funzionano.
Ci tengo a questa puntualizzazione perché io non ce l'ho con gli interpreti abbarbicati a stili vecchi e refrattari alle rivoluzioni del tempo, purché il loro essere d'altri tempi possa essere a sua volta sfruttato a fini drammatico-musicali.
La Madre Maria e la Medium della Olivero, la sua madre di Malipiero e la sua Guerra di Rossellini funzionavano proprio perché i personaggi si nutrivano di quel respiro musicale antico, da telefoni bianchi, cocciutamente disinteressato all'evoluzione del mondo.
La grandezza artistica in fondo trascende dagli strumenti (vecchi o nuovi) che un artista decide di utilizzare. L'importante è che tali strumenti non sortiscano come risultato la semplice rassicurazione di quelle minoranze che semplicemente rimpiangono le tramontate certezze della loro gioventù e vogliono riviverle a tutti i costi (e il teatro e la musica vadano pure a balengo!).

Quello che dici sul pubblico è ancora una volta perfettamente condivisibile.
Ne abbiamo parlato spesso: non solo della necessità del pubblico come giudice rispetto al nuovo (il nuovo va filtrato: non tutto merita di passare alla storia), ma anche come - qui ti stupirò - di tutore della tradizione...
Ebbene sì: alla continua innovazione dell'arte è necessaria una tradizione; senza quella non sarebbe possibile innovare.
Se il pubblico non avesse una certa memoria, l'innovazione non esisterebbe ma sarebbe solo un accumulo di sperimentazione alla deriva (proprio come è successo alla musica contemporanea o alle arti figurative, quando il pubblico se ne è tirato fuori).
Tanto più che il pubblico, come tu giustamente affermi, è sempre stato in grado di accogliere le novità ed è grazie a lui che sono passate alla storia: come ha accettato le innovazioni della Pasta e quelle dei primi Wagneriani, così ha accolto quelle di Caruso, quelle di Fischer Dieskau, quelle della Sutherland e oggi quelle della Dessay.
E se le ha accolte è segno che vi ha visto la risposta al proprio tempo e alle proprie esigenze.

Venedo ad Alberich
non e' necessariamente cosi' ordinato lo sviluppo dell'arte. C'e' una buona dose di "pescare dal mucchio" quello che al momento va bene, scartando il resto (e non riuscendo a valorizzarlo). Tu stesso di tanto in tanto tiri fuori vecchie registrazioni di cantanti secondari (alla loro epoca), che oggi ci appaiono molto piu' "bravi" degli idoli del momento. Quanti Merritt, Horne, Gencer saranno nati nel periodo sbagliato e saranno stati condannati alla marginalita'?


Secondo me, lo sviluppo dell'arte ha un suo ordine, anche se fondato sulla casualità.
Un po' come l'evoluzione delle specie... Noi lo osserviamo, osserviamo le specie viventi e riconosciamo un ordine, un processo evolutivo che ci pare chiaro...
Eppure tutto è avvenuto "pescando nel mucchio".
Resta il fatto che, secondo me, la prima preoccupazione di un cantante (che ne sia consapevole o meno) è quella di fare successo.
E il suo primo obbiettivo tecnico (se è un vero artista) è quello di dotarsi di strumenti che gli permettano di raccontare se stesso (senza una bella dose di narcisismo uno non farebbe il cantate d'opera).
Se negli anni 20 fosse saltato fuori un clone del successivo Merritt, il suo "se stesso" sarebbe stato culturalmente diverso, perché diversa era la società in cui era immerso.
E questo mi fa credere che avrebbe cercato la propria verità in altri suoni, rispetto a quelli che ha invece sperimentato negli anni 70.
Non avrebbe coltivato il colorismo, perché negli anni 20 sarebbe stata un'eresia; non avrebbe esasperato il contrasto di registro, né lavorato la coloratura, perché sarebbe andato contro a tutto ciò che il pubblico si attendeva da un tenore.
Lo spirito del tempo agisce sempre su un artista: ne condiziona valori e formazione e infine (tramite il pubblico) il repertorio.

Poi ci saranno pure mille eccezioni, le stesse che potrai trovare in natura, nell'ordine biologico e nei processi evolutivi.

Così almeno la vedo io.
Salutoni,
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