gli operisti italiani e le danze

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Messaggioda Rodrigo » ven 27 ago 2010, 22:01

Come tutti sappiamo il grand opéra esigeva i ballabili e quindi tutte le partiture destinate all'Opéra dovevano avere il loro bel balletto. Se poi una partitura nata per l'italia veniva ripresa a Parigi le danze andavano aggiunte a tutti i patti (persino all'Otello è successo).Era, per così dire, il primo degli adattamenti da fare!
Nella prassi novecentesca i direttori d'orchestra "tradizionali" (e buona parte del pubblico) hanno sempre fatto spallucce e la prima cosa a "cadere" dai Vespri , da Moise, da Favorite ecc. ecc. sono queste benedette danze, magari con la giustificazione "funzionale" che fanno durare troppo l'opera e quella "estetica" che sono sempre brutte e volgari.
Ma qui ad OD siamo abituati a tenere in non cale i luoghi comuni :D :D :D quindi io chiedo: cosa ne pensate di queste pagine? Sono veramente così indegne? Non ho una gran conoscenza dell'argomento, ma trovo molto belle, ad esempio, sia le danze del Moise, sia quelle dei Vespri per non parlare di quelle del Macbeth. Altri esempi?
Un altro discorso da fare è quello sul rapporto tra il balletto e la drammaturgia in atto sulla scena, su questo ho un'opinione articolata che mi ripormetto di aggiungere prossimamente.
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda Luca » sab 28 ago 2010, 8:31

Esistono anche le danze de Il Trovatore che, tra l'altro, compaiono nell'edizione Bonynge Pavarotti-Sutherland-Horne-Wixell-Ghiaurov: se le danze vengono eseguite bene (strumentalmente e coreograficamente) sono musicalmente gradevoli e non credo che il pubblico si annoierebbe. Esiste anche il balletto "La pellegrina" del Don Carlo che in un'edizione in 5 atti allungherebbe non poco la rappresentazione: ecco, lì vedrei più problematico il reinserimento.

Saluti, Luca.
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda MatMarazzi » mar 31 ago 2010, 12:34

Rodrigo ha scritto:Un altro discorso da fare è quello sul rapporto tra il balletto e la drammaturgia in atto sulla scena, su questo ho un'opinione articolata che mi ripormetto di aggiungere prossimamente.


Caro Rodrigo, intanto complimenti per l'argomento molto interessante.
Io credo che, in rapporto all'edizione scelta, non andrebbe tolta mai nemmeno una nota.
Personalmente ritengo che questo sia l'aspetto più divertente e entusiasmante delle "regole del gioco", almeno per le convenzioni operistiche di oggi.
Quale che sia il valore "estetico" di un brano (e poi chi lo decide che un brano è brutto o non lo è?) si dovrebbe eseguire sempre l'integralità di un'edizione prescelta. Così se si sceglie il Macbeth versione Parigi, lo si dovrebbe fare rigorosamente in francese e con i balletti; se si sceglie invece quello versione Pergola, lo si dovrebbe fare .senza balletti e con il finale originale.
Troverai strano che uno che autorizza le letture registiche più radicali sia così talebano sul fronte del rispetto al testo, ma personalmente trovo la cosa molto più divertente: mi piace vedere come un interprete (sia esso un regista o un direttore) sa far fronte alle difficoltà di ogni singola battuta dell'opera.
Troppo comodo dire "i balletti sono brutti quindi li taglio". Proprio perchè sono brutti (ammesso e non concesso che lo siano) dovrai dimostrarmi la tua bravura di interprete nel renderli interessanti e drammaturgicamente sensati.
Personalmente trovo scandalosa la pratica (non ancora del tutto dismessa, anzi spesso autorizzata da interpreti importanti) di mescolare edizioni diverse.
ma questo è un altro discorso.

Tornando ai balletti e al modo per valorizzarli, trovo che un bellissimo esempio siano stati quelli del Moise et Pharaon nella superba regia di Jurgen Flimm che vidi la scorsa estate a Salisburgo (dirigeva, altrettanto superbamente, Riccardo Muti).
Non c'era coreografia di sorta, ma solo l'impietoso susseguirsi di scritte proiettate, con versi della bibbia e canti sacri, che descrivevano l'orrore delle piaghe.
Con caratteri impietosi e possenti, come scolpiti nel marmo, queste scritte evocavano un'atmosfera d'orrore. A tratti esse venivano interrotte dal sipario che si riapriva per lasciar scorgere alcune immagini fisse, come bloccate (in stile fotografia) del faraone e della sua famiglia circondati dall'orrore e dalla morte.
Lo stridore fantastico e allucinanti di questi colori di morte, di piaghe e di paure, con la leggerezza sontuosa e raffinata della musica che proveniva dalla fossa ha reso i tanto "inutili" balletti il momento forse più emozionante della serata.
Anche la musica non sembrava più la stessa, rispetto allo squallore della regia di Ronconi agli Arcimboldi... purtroppo vidi anche quelle recite.
A Milano sì che la musica dei balletti sembrava fiacca e d'occasione!

Quello di Flimm e Muti mi sembra un buon esempio di come un interprete non debba "giudicare" la bellezza o meno di un brano musicale in un'opera... (che fra l'altro non è suo compito e nemmeno suo diritto). Egli deve limitarsi a "servirla" sia pure con la massima autonomia di pensiero.
Sforzarsi di esaltarne ogni singolo suono, compresi (anzi soprattutto) quelli che al nostro gusto attuale possono apparire anche brutti e ridondanti.

Ora però sono curioso di sapere cosa ne pensi tu.
Salutoni,
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda Rodrigo » mer 01 set 2010, 21:27

MatMarazzi ha scritto:Quale che sia il valore "estetico" di un brano (e poi chi lo decide che un brano è brutto o non lo è?) si dovrebbe eseguire sempre l'integralità di un'edizione prescelta. Così se si sceglie il Macbeth versione Parigi, lo si dovrebbe fare rigorosamente in francese e con i balletti; se si sceglie invece quello versione Pergola, lo si dovrebbe fare .senza balletti e con il finale originale.
Troverai strano che uno che autorizza le letture registiche più radicali sia così talebano sul fronte del rispetto al testo, ma personalmente trovo la cosa molto più divertente: mi piace vedere come un interprete (sia esso un regista o un direttore) sa far fronte alle difficoltà di ogni singola battuta dell'opera.
Troppo comodo dire "i balletti sono brutti quindi li taglio". Proprio perchè sono brutti (ammesso e non concesso che lo siano) dovrai dimostrarmi la tua bravura di interprete nel renderli interessanti e drammaturgicamente sensati.


Caro Mat, sulla premessa sono del tutto d'accordo: una partitura la si esegue tendenzialmente completa. E se forbice deve essere, trovo molto più "giusto" un taglio dettato da esigenze umilmente pratiche (es. l'insufficienza dell'interprete, l'opportunità di non prolungare oltre un certo orario la recita, quello che vuoi...), piuttosto che un taglio giustificato da scuse del tipo: "è musica non all'altezza del resto", "è solo un'aria di sorbetto" o PEGGIO DEL PEGGIO perchè "non si adatta alla visione" del direttore o del regista di turno. Questa per me è vera e propria pezzenteria musicale! E detto per inciso malissimo ha fatto Muti a tagliare nel (per altri versi meraviglioso) Moise scaligero il coro che in partitura segue l'affogamento degli egiziani. Vuoi il finale strumentale? C'è la redazione napoletana!
Torniamo alle danze: anche la soluzione salisburghese non mi lascia del tutto contento. Se librettista e compositore hanno scelto che quella musica debba "completarsi" con il corpo di ballo in scena allora regista e direttore hanno, secondo me, il dovere morale di dimostrare la loro bravura utilizzando gli "strumenti" prescritti. Per questo la scelta che hai descritto (per quanto suggestiva) potrebbe essere considerata una soluzione "troppo comoda". Cosa ne penseresti se un regista affidasse, che so, "Deh vieni alla finestra" a Leporello dicendoti che è più efficace per la sua visione dell'opera? Non gli daresti del matto?
Qualcuno potrà anche pensare che, come vuole la leggenda, il pubblico ottocentesco fosse di bocca buona quanto alla coerenza drammaturgica e che non si attendesse dai balletti molto di più di una pausa più o meno appagante per l'occhio nel corso della serata d'opera. Sarà... ma IO NON CI CREDO! Mi pare un insulto verso quel pubblico e verso divi e dive del ballo la cui arte provocava gli stessi entusiasmi che suscitava una Pasta, una Malibran, un Duprez. Sono dell'avviso che sia più sensato pensare che nel grand opéra (e nelle opere che guardavano a questo modello) spettatori e compositori considerassero il balletto come una parte essenziale allo svolgimento della trama esattamente come una cavatina, un coro o un pezzo d'assieme, SOLAMENTE che anziché affidarlo alle voci dei cantanti, lo svolgimento veniva affidato ai passi dei danzatori. E sono convinto che in Italia, dove le danze sono rare nel corpo di un melodramma, quanto vengono inserite hanno una funzione decisiva proprio in quanto insolite. Dunque il compositore che le metteva - penso al Rossini di Armida - si assumeva un certo rischio verso la platea. Ma di questo vorrei parlarne nel prossimo post.
Che poi, per concludere, il modo di percepire la continuità del dramma del pubblico e degli autori ottocenteschi fosse diverso dal nostro e ancorato ad altre convenzioni teatrali e coreografiche è un altro paio di maniche, ma proprio qui sono chiamati a svolgere il loro lavoro il regista e il coreografo, veri "medium" tra noi e la partitura. Non trovi?
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 set 2010, 0:05

Rodrigo ha scritto:E se forbice deve essere, trovo molto più "giusto" un taglio dettato da esigenze umilmente pratiche (es. l'insufficienza dell'interprete, l'opportunità di non prolungare oltre un certo orario la recita, quello che vuoi...), piuttosto che un taglio giustificato da scuse del tipo: "è musica non all'altezza del resto", "è solo un'aria di sorbetto" o PEGGIO DEL PEGGIO perchè "non si adatta alla visione" del direttore o del regista di turno.


I registi tedeschi, Rodrigo, tentano da anni di imporre una nuova convenzione: quella di poter completamente alterare i testi recitati delle forme di teatro musicale che li prevedono.
Operette, Opéra-comique, Singspiel ecc...
Ovviamente per facilitare le loro ricontestualizzazioni.
Bene... io la considero una cosa molto irritante.

E detto per inciso malissimo ha fatto Muti a tagliare nel (per altri versi meraviglioso) Moise scaligero il coro che in partitura segue l'affogamento degli egiziani. Vuoi il finale strumentale? C'è la redazione napoletana!


Sacrosanto!
Per inciso, lo stesso Muti ha fatto a Salisburgo.

Torniamo alle danze: anche la soluzione salisburghese non mi lascia del tutto contento. Se librettista e compositore hanno scelto che quella musica debba "completarsi" con il corpo di ballo in scena allora regista e direttore hanno, secondo me, il dovere morale di dimostrare la loro bravura utilizzando gli "strumenti" prescritti. Per questo la scelta che hai descritto (per quanto suggestiva) potrebbe essere considerata una soluzione "troppo comoda". Cosa ne penseresti se un regista affidasse, che so, "Deh vieni alla finestra" a Leporello dicendoti che è più efficace per la sua visione dell'opera? Non gli daresti del matto?


Ogni soluzione, virtualmente, è possibile.
In realtà scambi di arie fra personaggi diversi sono sempre avvenute (pensa all'aria di Morgana nell'Alcina).
Quello che noi possiamo proporre, Rodrigo, non è una regola, ma la nostra personale aspirazione... Sperando che questa aspirazione sia condivisa al punto da diventare convenzione.
La mia aspirazione (un po' diversa dalla tua) è che non ci sia alterazione rispetto semplicemente alla notazione scritta: per il resto assoluta libertà.
Così, è vero, non mi piacerebbe che la serenata di don Giovanni passasse a Leporello, perchè sarebbe una deroga rispetto allo spartito. Mentre non mi preoccupa che il regista trasformi un balletto in pantomima, visto che al regista si affida la piena responsabilità di tutto ciò che è "visibile" in una rappresentazione teatrale.
Ribadisco, però, che non sto dicendo che la mia aspirazione sia giusta e la tua no. Esistono tante convenzioni, che evolvono cambiano e nessuna definitiva.



Qualcuno potrà anche pensare che, come vuole la leggenda, il pubblico ottocentesco fosse di bocca buona quanto alla coerenza drammaturgica e che non si attendesse dai balletti molto di più di una pausa più o meno appagante per l'occhio nel corso della serata d'opera. Sarà... ma IO NON CI CREDO! Mi pare un insulto verso quel pubblico e verso divi e dive del ballo la cui arte provocava gli stessi entusiasmi che suscitava una Pasta, una Malibran, un Duprez. Sono dell'avviso che sia più sensato pensare che nel grand opéra (e nelle opere che guardavano a questo modello) spettatori e compositori considerassero il balletto come una parte essenziale allo svolgimento della trama esattamente come una cavatina, un coro o un pezzo d'assieme, SOLAMENTE che anziché affidarlo alle voci dei cantanti, lo svolgimento veniva affidato ai passi dei danzatori.


Questo che dici è invece totalmente condivisibile.
E anche molto, molto interessante.
Mi piacerebbe che il discorso del balletto nel Grand-Opéra (e in generale delle strutture musicali nel Grand-Opéra) venisse approfondito.

Che poi, per concludere, il modo di percepire la continuità del dramma del pubblico e degli autori ottocenteschi fosse diverso dal nostro e ancorato ad altre convenzioni teatrali e coreografiche è un altro paio di maniche, ma proprio qui sono chiamati a svolgere il loro lavoro il regista e il coreografo, veri "medium" tra noi e la partitura. Non trovi?


Ecco... su questo come ho già detto le mie "aspirazioni" sono un po' diverse.
Nulla in contrario che il regista usi (se vuole) la coreografia nei suoi spettacoli. Mi va persino bene che metta coreografie anche dove non sono previste.
Per me infatti il regista rappresenta il responsabile primo e ultimo di tutto ciò che si vede a teatro (purché non si cambino le note e le parole).
Quindi se decide di sfruttare la musica di un balletto per un certo tipo di immagine (anche non coreutica) io non me la prenderò.
Obbiettivamente ciò che l'iconoclasta Konwitschni ha realizzato a Vienna nel balletto della Regina del don Carlo a me è parso di una bellezza visiva e teatrale sconvolgente, anche se nessuno ballava.
Questo non toglie che, se si decide di affidare a un coreografo la realizzazione di un balletto, allora sottoscrivo alla lettera quello che hai scritto.
Come vedi... non è poi così grande la differenza fra le nostre "aspirazioni" :)

Un salutone e attendo che ti ci dica dell'Armida.
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda Riccardo » gio 02 set 2010, 16:36

Sbaglio o anche nel video di Così fan tutte di Gardiner c'è un intervento registico ma anche musicale di scambio delle parti tra Fiordiligi e Dorabella?

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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 set 2010, 17:16

Riccardo ha scritto:Sbaglio o anche nel video di Così fan tutte di Gardiner c'è un intervento registico ma anche musicale di scambio delle parti tra Fiordiligi e Dorabella?

Riccardo


Non solo: Cerniakov, nel suo Oneguin, passa a Lensky i couplets di Triquet. Nel Don Giovanni di Kusej era Don Giovanni ad attaccare "Notte e giorno faticar", perchè Leporello era impegnato a ...fare pipì (infatti arriva in ritardo chiudendosi la patta).
Quindi anche su questa convenzione (come su tutte le convenzioni) non c'è unanimità e certezza legislativa :)

E tuttavia, come dicevo a Rodrigo, abbiamo o non abbiamo diritto di dire che certe convenzioni ci piacciono e altre no?
Abbiamo il diritto di auspicare che vengano rispettate e condivise le nostre aspirazioni?

Bene, la mia aspirazione (di fruitore che pure crede ciecamente nell'autonomia artistica degli interpreti e nella loro libertà di far galleggiare il proprio io anche su testi scritti da altri) è che queste cose non vengano fatte.
Che - almeno per tutto ciò che è udibile, ossia strumenti, note, parole - vi sia un rispetto rigoroso delle spartito! :)

Salutoni,
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda pbagnoli » sab 04 set 2010, 8:57

MatMarazzi ha scritto: Nel Don Giovanni di Kusej era Don Giovanni ad attaccare "Notte e giorno faticar", perchè Leporello era impegnato a ...fare pipì (infatti arriva in ritardo chiudendosi la patta).

Credo che in quel Don Giovanni Leporello fosse impegnato a fare ben altro che una minzione...
A me sembrava abbastanza chiaro che si alternassero nei letti delle femmine e, tra l'altro, in quella regia Leporello sembrava proprio l'anima nera di DG
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda Rodrigo » dom 05 set 2010, 19:27

Riprendo il discorso sulle danze.
Armida viene rappresentata nel 1817 al S. Carlo cioè in uno dei teatri più aggiornati e tecnicamente agguerriti d’Italia. A Napoli, infatti, oltre al meglio della produzione locale il pubblico aveva ascoltato anche un titolo squisitamente francese (e proprio nella direzione che dalla tragédie-lyryque porta al grand-opéra) come Vestale. Ci aspetteremmo dunque una buona se non ottima accoglienza per un titolo che oltre ad impegnare e valorizzare a dovere i beniamini del pubblico, Colbran in primis, strizza l’occhio alle ultime novità ascoltate in Spontini, compreso il balletto inserito subito dopo l’esaltante aria della protagonista D’amore al dolce impero. E invece qualcosa va storto, l’opera lascia perplessi gli spettatori e scompare rapidamente, anche perché, per gli sforzi che richiede tra cantanti, orchestra e messa in scena, è una produzione tutt’altro che facile da riprendere. Ma quello che ha dell’incredibile – a mio parere - è che la stampa napoletana taccia il lavoro come “tedesco” quando, semmai, avrebbe dovuto parlare di partitura “francese” per il soggetto (già trattato dal remoto Lully e dal Gluck parigino), per il balletto e per altri elementi formali (l’aria di cui sopra ad es. è un insolito e molto transalpino tema con variazioni invece del solito cantabile-cabaletta).

Il problema su cui vorrei riflettere con il vostro aiuto è il ruolo delle danze in Armida e - allargando il discorso - in altre opere nate per il pubblico italiano, escludendo quindi le partiture approntate o revisionate ad uso e consumo francese (es. Favorite, Macbeth). Per Armida mi vengono in mente due giudizi di “dilettanti” illustri, importanti perché si tratta - per così dire - di un parere del pubblico e non di addetti ai lavori in senso stretto. Stendhal vedeva nella partitura in generale, cito a memoria, l’espressione di una “passione cupa e delirante”. A distanza di più di un secolo Riccardo Bacchelli, spettatore non troppo entusiasta delle riprese fiorentine con M. Callas, si interroga sul balletto e dopo un giudizio piuttosto sufficiente sulla qualità musicale dello stesso scrive: “quelle danze, tregua e interludio a una fatica erotica, voglion suggerirla allusivamente, e sto per dirne surrogarne un’espressione diretta, e tanto diretta, che inammissibile su un palcoscenico”. Semplificando un po’ si potrebbe dunque vedere nel balletto un amplificatore della carica passionale erotica di Armida.
Il libretto in parte conferma queste illustri impressioni, ma secondo me contiene qualche ulteriore spunto. Leggendo bene le didascalie (atto II, scena 2 e atto III, scena 2), infatti, è chiarissimo che tutte le volte in cui è prescritta la danza si è in presenza di un intervento soprannaturale: nel primo caso il balletto “serve” ad “estinguere nel cuore di Rinaldo ogni avanzo di onore e di gloria”; nel secondo “ninfe e larve” tentano di fare dimenticare a Ubaldo il suo compito di liberatore di Rinaldo. Quindi potremmo vedere, accanto alla componente erotico-passionale anche una valenza “magica” ed esotica (la pittura di un altrove) e sotto questo aspetto non sono da sottovalutare le “apparizioni” delle “larve” Amore e Vendetta (due mimi?) che sarebbero prescritte nel finale.

Secondo me si può ipotizzare che la valenza drammaturgica data alle danze in Armida - nonostante l'infausto esito alla prova del pubblico - fosse data per acquisita nella "grammatica" degli operisti italiani. Se non prendo un abbaglio, mi pare lecito osservare che i messaggi trasmessi dagli episodi coreografici rossiniani si ritrovano a grandi linee persino in due stupefacenti episodi di uso della danza nel melodramma verdiano: gli incipit di Rigoletto e Traviata. Ovviamente non si tratta esattamente della stessa cosa da un punto di vista prettamente formale: qui non ci troviamo di fronte a danze pure e semplici, meri episodi strumentali insomma, ma a balletti che costituiscono il "sottofondo" di episodi cantati. In questi due quadri iniziali, entrambi ambientati in una festa, Verdi recupera sia l’aspetto erotico-passionale - il perigordino e il valzer molto ci dicono delle occupazioni preferite della corte di Mantova e del salotto parigino, il minuetto precisa anche troppo bene profferte del duca alla contessa di Ceprano (il marito ha capito tutto e anche Rigoletto)- sia l’aspetto oblioso di distacco dalla realtà. Il duca e la corte nulla sanno dei drammi che si consumano “al piano terra” e gli invitati non hanno la più pallida idea di cosa corrode l’animo e il fisico di Violetta. Di suo, sostituendo al tono aereo di Rossini la propria cifra personalissima, Verdi aggiunge – mi pare - un tono isterico, nevrotico a questo danzare non solo incredibilmente aderente alle parabole umane che si accinge a narrare, ma in qualche modo anticipatore di certo ballare novecentesco. La smania godereccia (l'animo dionisiaco?) che si esprime nella danza rivela insomma tra le sue pieghe la tragedia. Il discorso verrà poi ripreso per il balletto inserito nel Macbeth francese dove la musica ha un indubitabile e per me qualitativamente eccellente carattere tragico. Ma qui siamo già in un altro ambito, in un contesto decisamente francese, come mi pare corretto dire anche per Aida (ma qui torna a palesarsi una componente esotica).
Ultima modifica di Rodrigo il mer 08 set 2010, 12:17, modificato 1 volta in totale.
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda MatMarazzi » lun 06 set 2010, 12:28

Intanto complimenti, Rodrigo, per il bellissimo post.
Devo dire che finalmente ho riflettuto sul fatto che Rossini, inserendo quei numeri coreutici nell'Armida, non si è limitato (come frettolosamente si tende a pensare) a citare la drammaturgia francese. Ma la citazione ha uno scopo.
Altrimenti perché non ci sono balletti anche nell'Elisabetta, nell'Otello o nella Donna del Lago?
Evidentemente (pur senza nulla togliere all'elemento di vivacità insito nell'idea stessa della contaminazione fra tradizioni diverse) era con un fine drammaturgico ben preciso che Rossini è andato attingere alle consuetudini dell'Opéra.... e proprio in quest'opera.
L'elemento della "sensualità cortigiana" che grava su Armida (appunto per la tradizioni lullyana e rameauiana) non basta. C'è qualcosa in più che tu hai reso perfettamente: il soprannaturale, il distacco dalla realtà è un qualcosa che non poteva che risultare "strano" al razionalismo post-illuminista di un Rossini (e aggiungerei di tutta la Napoli dell'epoca). E non potendo privarne Armida - i cui precedenti, a differenza di quelli di Cenerentola, erano troppo illustri - si è preferito trattarlo, il soprannaturale, attingendo a possibilità linguistiche avulse dalle abitudini italiane, bensì prelevate da quella "lontana" Parigi.
Che quindi "danze" nell'opera seria di Napoli, in quanto "strane", divengano espressione di irrazionale e sovrannaturale è un'intuizione magnifica.
Mi hai convinto completamente.
E dire che non era certo così in Vestale: le danze non avevano quella funzione "magica". Nè lo stesso Rossini a Parigi userà le danze a questo fine.
Ma è ovvio: a Parigi si perdeva l'effetto di "stranezza" che a Napoli inevitabilmente si produceva.
Trovo che tra la tua ipotesi (soprannaturalità) e quella di Bacchelli (erotismo indicibile, tanto da poter essere solo evocato) sia molto più convincente la tua, anche se nemmeno quella di Bacchelli può essere totalmente esclusa.

Rodrigo ha scritto:Secondo me si può ipotizzare che la valenza drammaturgica data alle danze in Armida - nonostante l'infausto esito alla prova del pubblico - fosse data per acquisita nella "grammatica" degli operisti italiani. Se non prendo un abbaglio, mi pare lecito osservare che i messaggi trasmessi dagli episodi coreografici rossiniani si ritrovano a grandi linee persino in due stupefacenti episodi di uso della danza nel melodramma verdiano: gli incipit di Rigoletto e Traviata.


Che l'uso "espressionistico" dei temi ballabili in Verdi possa essere di derivazione Rossiniana ho invece qualche piccolo dubbio (ma ammetto di non aver mai adeguatamente riflettuto alla cosa).
Non sto parlando, ovviamente, delle scene espressamente coreutiche (Macbeth, Don Carlo, Aida, Trovatore, Otello) ma - come tu dicevi - dei casi di fusione fra danza e narrazione, ossia quando Verdi, senza interrompere lo svolgersi della scena, imposta un legame (realistico ma anche sottilmente psicologico) fra sottofondi sonori e ritmi di ballo.
Qui secondo me si avverte (portato alle estreme conseguenze) un preciso lascito donizettiano, il vero "maestro" di tutte le rivoluzioni teatrali poi ereditate da Verdi.
Ben due scene nella Lucrezia Borgia si svolgono in contesti "ballerecci": Il prologo e il finale. Nei momenti più agghiaccianti di entrambe le scene (ossia il concertato dello smascheramento della Borgia e il brindisi/professione-di-morte di Orsini) Donizetti scatena clamorosi valzeroni; e non certo per ragioni di "realismo" (assurdo pensare che gli amici di Gennaro ballino il valzer insultando Lucrezia o mentre levano i calici). E' solo l'atmosfera (sonora e psicologica) del ballo che si riverbera in questi climax tragici, innervandoli - per contrasto stridente - di un orrore ancora più mostruoso.
Forse mi spingo troppo in là, ma non credo che Verdi avrebbe potuto osare quel suo tipico uso "espressionista" del ballo a cui facevi riferimento solo perché dietro a lui c'era la lezione dell'inventore stesso della "patologia" romantica, ossia Donizetti.

La smania godereccia (l'animo dionisiaco?) che si esprime nella danza rivela insomma tra le sue pieghe la tragedia.

Giustissimo, proprio quello che trovi già in Lucrezia Borgia e che, almeno per me, non si ritrova ancora (se non molto, molto embrionale) nei balletti rossiniani.

Il discorso verrà poi ripreso per il balletto inserito nel Macbeth francese dove la musica ha un indubitabile e per me qualitativamente eccellente carattere tragico. Ma qui siamo già in un altro ambito, in un contesto decisamente francese, come mi pare corretto dire anche per Aida (ma qui torna a palesarsi una componente esotica)
.

Il caso dei balli del Macbeth è infatti interessantissimo.
Ma cosa ne diresti di provare a tirare in ballo anche i balletti scritti da Donizetti per Parigi? Martyres, Favorite, Dom Sebastien?
Sicuramente non sono le pagine più avvincenti di Donizetti, eppure credi che possano avere una loro collocazione in questa disamina?

Salutoni e grazie davvero (come sempre) per gli spunti fantastici che ci proponi.
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda Rodrigo » lun 06 set 2010, 21:24

MatMarazzi ha scritto:Che l'uso "espressionistico" dei temi ballabili in Verdi possa essere di derivazione Rossiniana ho invece qualche piccolo dubbio (ma ammetto di non aver mai adeguatamente riflettuto alla cosa).
Non sto parlando, ovviamente, delle scene espressamente coreutiche (Macbeth, Don Carlo, Aida, Trovatore, Otello) ma - come tu dicevi - dei casi di fusione fra danza e narrazione, ossia quando Verdi, senza interrompere lo svolgersi della scena, imposta un legame (realistico ma anche sottilmente psicologico) fra sottofondi sonori e ritmi di ballo.
Qui secondo me si avverte (portato alle estreme conseguenze) un preciso lascito donizettiano, il vero "maestro" di tutte le rivoluzioni teatrali poi ereditate da Verdi.
Ben due scene nella Lucrezia Borgia si svolgono in contesti "ballerecci": Il prologo e il finale. Nei momenti più agghiaccianti di entrambe le scene (ossia il concertato dello smascheramento della Borgia e il brindisi/professione-di-morte di Orsini) Donizetti scatena clamorosi valzeroni; e non certo per ragioni di "realismo" (assurdo pensare che gli amici di Gennaro ballino il valzer insultando Lucrezia o mentre levano i calici). E' solo l'atmosfera (sonora e psicologica) del ballo che si riverbera in questi climax tragici, innervandoli - per contrasto stridente - di un orrore ancora più mostruoso.
Forse mi spingo troppo in là, ma non credo che Verdi avrebbe potuto osare quel suo tipico uso "espressionista" del ballo a cui facevi riferimento solo perché dietro a lui c'era la lezione dell'inventore stesso della "patologia" romantica, ossia Donizetti.


Sono perfettamente d'accordo su quanto hai scritto circa il rapporto tra Verdi e Donizetti. Mi permetto solo di precisare che io non ho ipotizzato una derivazione diretta tra i temi ballabili verdiani e le danze di Armida. Il discorso che tentavo di fare - e ammetto che non sono stato chiarissimo - era un po' diverso: semplicemente rilevavo che con Armida le danze fanno il loro ingresso tra i "ferri del mestiere" dell'opera italiana ottocentesca. Certo la valenza isterica, tragica dei ballabili non si riscontra nella partitura rossiniana ma, e su questo concordo al 100%, arriva a Verdi tramite l'indispensabile mediazione/ri-creazione drammaturgica operata da Donizetti.
Sarebbe davvero bello estendere la disamina alle partiture francesi dei compositori italiani come pure ai grand-opéras d'oltralpe, ma decisamente ne so troppo poco. Anzi, aspetto con ansia che qualcuno apra una bella discussione su quel grosso punto interrogativo (per me) di Meyerbeer.
Saluti
Rodrigo
 
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda MatMarazzi » dom 12 set 2010, 11:22

Rodrigo ha scritto:Sarebbe davvero bello estendere la disamina alle partiture francesi dei compositori italiani come pure ai grand-opéras d'oltralpe, ma decisamente ne so troppo poco.


Io non so nemmeno come siamo messi a discografia...
Di Favorite ne abbiamo a ribocco: però non saprei quale sia veramente integrale ed eseguita con criteri filologici.

Di Don Sebastien (che vidi a Bologna con una regia di Pizzi da sbellicarsi, la Ganassi e Sabbatini) conosco solo l'incisione fiorentina degli anni 50 - o il pasticcio che ne hanno ricavato - diretta da Giulini, con una Barbieri efficace ma imbarazzata dalle volute di un ruolo Stolz, un Poggi a mio gusto esecrabile (considerata la parte) e un impressionante Giulio Neri (credo nel suo unico contatto con un ruolo Levesseur, ma potrei sbagliare).
Sicuramente più persuasiva (anche se non l'ho mai sentita) è la recente edizione di Elder. Il cast pare splendido: Kasarova, Filianoti, addirittura Keenlyside! Solo Miles sulla carta non mi convince. Qualcuno la conosce?

Infine di Martyres esistono due versioni in francese e abbastanza corrette in termini filologici, entrambe con la Gencer. Il cast però è molto modesto in entrambi i casi, a parte il giovane Bruson adattissimo al ruolo di Sevère. La Gencer è distrutta: sentirla arrancare così è una sofferenza, anche considerando che - in altri ruoli e altri personaggi - avrebbe avuto ancora qualcosa da dire.
Non me ne intendo abbastanza, ma credo che il Donizetti francese manchi di una discografia accettabile.


Anzi, aspetto con ansia che qualcuno apra una bella discussione su quel grosso punto interrogativo (per me) di Meyerbeer

Detta così, Rodrigo, è intimidatoria! :)
I quattro Grand-Opéra di Meyerbeer, anche non considerando il resto della sua produzione, sono monumenti... NOn si saprebbe da dove iniziare.
Un buon punto di partenza però potrebbe essere la tua frase: perché rappresentano un punto interrogativo per te?
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Un salutone,
Mat
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Re: gli operisti italiani e le danze

Messaggioda Rodrigo » lun 13 set 2010, 21:09

Non ho mai capito le ragioni per le quali un compositore che eccitava folle intere sino ai tempi... dei nostri nonni sia stato cancellato dal repertorio e come mai anche oggi, quando molta acqua è passata sotto i ponti, le riprese siano rarissime e non abbiano (mi pare) dato luogo a qualcosa di paragonabile - tanto per dire - alla rinascita rossiniana. Aveva ragione Schumann allora? : Chessygrin :
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