Voci: classificazioni e scelte di repertorio.

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Messaggioda Luca » lun 18 giu 2007, 22:59

Sarebbero rimasti "noccioli" grandiosi e geniali sia pure in un repertorio che le regole del gioco della loro epoca avrebbero loro consentito di affrontare senza problemi.
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Non solo, caro Matteo, è valido quanto tu affermi in questa frase, ma anche il fatto che la Callas (prendiamo lei perché è il caso più noto e, in certo senso, esplosivo) ha aperto una strada in cui il suo essere 'nocciolo' ha germogliato ulteriormente offrendoci altre soluzioni (o anche involuzioni) di altre esecutrici (si parla della Sutherland, ma anche la Gruberova per certi versi nel repertorio italiano ha appreso molto dalla Greca!). Ne sei persuaso ?

Saluti, Luca.
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Messaggioda Riccardo » mar 19 giu 2007, 0:45

MatMarazzi ha scritto:Quindi le corteccia è importantissima.
Ma in che senso è importante? Perché solo il fatto di conoscerla ci permette di "toglierla". :D
Di cavare via, cioè, tutto quello che non è merito nè colpa dell'artista, di arrivare al "nocciolo" e di essere capaci di capire se il cantante (o il direttore, lo strumentista, lo scenografo, ecc..) aveva effettivamente qualcosa in più o se era solo uno che "praticava" in una determinata epoca.

D'accordissimo Matteo, secondo la tua ottica della valutazione storica del contributo di ogni artista.

Però nell'attimo in cui l'ascoltatore, oggi, fruisce un'interpretazione, non pensi che la valuti oggi, nell'attimo in cui la sente, senza preoccuparsi d'altro?
Cioè: quando prendo dalla mia discoteca per metterla nel piatto del lettore l'interpretazione del cantante X invece che quella di Y, perché nella tal opera la prima mi piace di più della seconda, indipendentemente dalle epoche a cui appartengono, non pensi che questo avvenga secondo un giudizio assoluto di gusto?
Posso contestualizzare e ragionare fin che voglio, ma se a me piace di più ascoltare, passare dei minuti, sentendo la Traviata della Sutherland piuttosto che quella della Fleming, che mi importa che è una appartiene agli anni Sessanta e l'altra agli anni Duemila, e che magari abbiano un peso maggiore o minore rispetto alla loro rispettiva epoca?
Razionalizzare, discutere, evidenziare e dare un voto finale oppure provare piacere emozionale nell'ascolto, anche ripetuto? È un po' questo il dissidio che volevo mettere in luce.

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Messaggioda dottorcajus » mar 19 giu 2007, 1:32

Riccardo ha scritto:D'accordissimo Matteo, secondo la tua ottica della valutazione storica del contributo di ogni artista.

Questo è quello che a mio parere dovrebbe accadere sempre a teatro. In casa, seduti, concentrati ascoltando qualcosa che abbiamo deciso di ascoltare probabilmente diventiamo più selettivi. Per questo motivo non amo dare valutazioni approfondite a prove discografiche che non ho potuto ascoltare direttamente in teatro.
Concordo con Riccardo anche quando dice che al di là di tutte le valutazioni critiche, di tutti i ragionamenti quello che domina è il gusto personale. Infatti quando ascolto alcuni cantanti, grandissimi della loro epoca, spesso resto indifferente al loro valore perchè non riescono a trasmettermi emozione. Sono grandi e nessuno vuole metterli in discussione ma non riescono a suscitare il mio interesse.
Sul fatto che una Callas, uno Schipa, un Pertile, grandissimi nelle loro epoche, avevano personalità e classe da vendere. Sono convinto che sarebbero stati grandi anche oggi e sono anche sicuro che non si sarebbero lasciati condizionare da direttori e registi ma avrebbero imposto la loro personalità artistica, qualità che oggi manca a moltissimi cantanti, spesso bravi esecutori ma scarsi interpreti.
Roberto
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Messaggioda MatMarazzi » mar 19 giu 2007, 10:08

Riccardo ha scritto:Però nell'attimo in cui l'ascoltatore, oggi, fruisce un'interpretazione, non pensi che la valuti oggi, nell'attimo in cui la sente, senza preoccuparsi d'altro?
...non pensi che questo avvenga secondo un giudizio assoluto di gusto?
Posso contestualizzare e ragionare fin che voglio, ma se a me piace di più ascoltare, passare dei minuti, sentendo la Traviata della Sutherland piuttosto che quella della Fleming...
Razionalizzare, discutere, evidenziare e dare un voto finale oppure provare piacere emozionale nell'ascolto, anche ripetuto?


Secondo me, Ric, la risposta te la sei già data nel momento in cui hai scelto proprio quell'esempio.
Sutherland contro Fleming! :)
E' vero che ci sono quarant'anni fra le due, MA...

ma ci sono ambiti in cui il progresso è stato più lento. Come in tutte le cose il tempo è relativo.
Tu citi la Fleming: ecco, in questo repertorio non c'è manierista più passatista di lei. Se mi dicessi che ha inciso "Follie, Follie" nel 1973 non avrei argomenti per contestarti.
Mentre la Sutherland (quella degli anni 60) era ancora a cavalcioni dell'onda! Era, con pregi e difetti, la vera "modernità".
Nessuna, anche solo dieci anni prima, avrebbe cantato quel repertorio come lo cantava lei.
Ecco che quarant'anni diventano pochi. Perché la distanza fra queste due (l'una modernissima, l'altra superatissima) è poca.

Il discorso già cambia quando passi, ad esempio, a Handel.
Tempo fa frequentavo giovani appassionati nutriti a pane e barocco: vivevano delle incisioni della Oiseau Lyre, delle letture di Gardiner, delle voci della Kirby, della Upshow, del Monteverdi Choir.
I dischi che ascoltavano erano tutti degli anni 80-90 e non ascoltavano nulla che fosse precedente: affermavano, per altro, di amare solo il barocco e di non essere attratti dal repertorio operistico tradizionale.
Tutto contento feci loro sentire l'aria dell'israelita del Sanson (quella con la tromba) cantata dalla Sutherland.
Quell'aria fu una specie di manifesto per il nuovo Handel e il contributo storico della Sutherland fu in questa chiave determinante.
Rimasero, come dire?, schifati.
"Ma questo non è Handel... questo è Verdi!" ...oppure "Sì, canta bene, ma senti come vibra, che timbro spesso (sic), che vocione da ottocento"
Ero esterrefatto, ma dovevo riconoscere che persino sull'Handel della Sutherland (ossia una cosa storicamente fantastica e rivoluzionaria, intrinsecamente migliore - senza alcun dubbio - di tutti i cantanti handeliani di oggi) si era formata la corteccia.
Ed ebbi davvero pietà di quei ragazzi: non erano in grado di vedere oltre la corteccia; il che significa non solo dare un "voto" alla Sutherland ma anche provare quello che tu chiami "piacere puro".

La stessa cosa mi è successa quando ho organizzato a casa mia un ascolto dedicato a Tito Schipa.
E, in questo caso, non si trattava di ragazzi baroccofili, ma di persone più mature, abituate ad ascoltare i cantanti degli anni '50.
Ho messo su il Werther o la Lucia di Tito Schipa (i duetti con la Galli Curci) convinto di suscitare le stesse emozioni fortissime che provavo io.
E invece ho raccolto espressioni di perplessità e persino irritazione di fronte a tutto quel sussurrarsi addosso, quel biascicare sottolineature e melensaggini ad ogni parola.
Niente da fare: non vedevano oltre la corteccia.
Contestualizzavano benissimo i cantanti degli anni 50, ma non erano capaci di fare lo stesso con quelli di trent'anni prima.

Ecco perché non posso accettare i termini della tua domanda.

Riccardo ha scritto:Razionalizzare, discutere, evidenziare e dare un voto finale oppure provare piacere emozionale nell'ascolto, anche ripetuto?


L'atto di razionalizzare (o meglio di contestualizzare) è per me strettamente connesso al provare piacere.
L'arte (non solo il canto) è convenzione.
Se non interpreti le convenzioni (cioè se non contestualizzi, mettendoti nell'ottica di interpretare i segni) non puoi provare piacere.
L'una cosa prevede l'altra.

E questo vale tanto per le interpretazioni del passato, quanto per quelle del presente.
Credi di non contestualizzare anche tu quando senti un cantante di oggi?
Certo che lo fai, ma lo fai automaticamente, senza alcuna fatica.
Tutti noi (che viviamo oggi) siamo in grado di contestualizzare ciò che sentiamo a teatro, perché anche noi siamo parte dello stesso contesto dei cantanti di oggi.
In uno sguardo, in un suono, in una data scelta tecnica individuiamo subito i possibili rimandi: se un effetto espressivo è fiacco o efficace lo capiamo subito; se un suono è "convenzionale" o innovativo (per noi oggi) lo comprendiamo immediatamente.

I nostri pronipoti (fra cento anni) faranno molta più fatica.
Perchè Florez, la Netrebko, la Silja, Langridge, Kurt Streit, Terfel, ovviamente la Baltsa saranno lontanissimi dal "loro" contesto: non sapranno più valutare cosa c'era di vero e cosa di artificioso nella loro espressione; quali suoni fossero "relativamente" belli e giusti e quali no; quali effetti fossero davvero innovativi e quali semplicemente di prassi. Non potranno cogliere i rimandi involontariamente contenuti nelle loro interpretazioni (rimandi al cinema, alla storia, alla tv, al costume della vita di oggi, che anche i cantanti vivono, esattamente come noi).

E saranno destinati (i nostri pronipoti) a non godere di tutto questo che oggi fa godere noi. A meno che non imparino a ...contestualizzare gli ascolti. Come noi oggi siamo condannati a fare per il Werther di Schipa e l'Handel della Sutherland.

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Messaggioda MatMarazzi » mar 19 giu 2007, 10:45

Riccardo ha scritto:Ad un saggio di allievi di canto il discorso "qui si apre, qui si chiude" è fondamentale, perché senza voce non si va da nessuna parte anche con le migliori intenzioni purtroppo!


In tutti i campi, quello che si dovrebbe insegnare ai giovani è un sunto di ciò che si è fatto fino a quel momento, e in particolare quello che si sta facendo nel presente.

Oggi i maestri di canto italiani non insegnano la reale tradizione del canto, ma solo una serie di nozioni (spacciate per assolute) derivanti da uno stile del passato. Non c'è niente di male che si insegni a coprire un suono e a sostenerlo secondo i "nobili" precetti dei padri, ma sarebbe altrettanto necessario che qualcuno insegnasse agli aspiranti cantanti anche a come "aprire" certi suoni, come sviluppare il colorismo necessario non solo a Wagner ma anche ai recitativi di Monteverdi, come staccare le agilità all'americana, come sviluppare il falsetto e il falsettone necessario a certo repertorio. Qualcuno dovrebbe fare loro capire che, ben oltre Bergonzi e la Freni, dovrebbero far proprie la lezione dei grandi interpreti attuali di Britten, di Gluck, di Janacek, di Rameau, ma anche di Ella Fitzgerald, Maurice Chevalier, Amalia Rodriguez e persino Celine Dion e Caetano Veloso.

I nostri ragazzi escono dai conservatori che sembrano copie sbiadite di bravi verdian-pucciniani di quarant'anni fa (non solo nel canto, ma anche nel modo di porsi, di stare in scena, di truccarsi) e si presentano alla ribalta talmente impreparati alle attuali esigenze del canto operistico da auto-condannarsi a carriere periferiche e malinconiche.
Si fanno battere dai colleghi stranieri persino in Verdi e Rossini.

E' così che non si va da nessuna parte, Ric.

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Messaggioda MatMarazzi » mar 19 giu 2007, 11:35

Luca ha scritto: la Callas (prendiamo lei perché è il caso più noto e, in certo senso, esplosivo) ha aperto una strada in cui il suo essere 'nocciolo' ha germogliato ulteriormente


Assolutamente vero!
Il nocciolo diventa sempre corteccia, nelle generazioni successive.
:)
L'esempio della Callas è esmblematico: da rivoluzionaria è divenuta "scuola".
Ecco, quindi, che nel valutare le sue eredi dovremo anche scortecciare proprio il "modello callas".

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Messaggioda Riccardo » mar 19 giu 2007, 13:33

Ma Matteo, se ti dicessi - e fosse vero - che la Fleming fosse cantante degli anni Settanta o Venti, tu la troveresti più moderna? Avresti più giovamento nell'ascoltarla?
Non credo, perché tu continui ad ascoltarla con le orecchie di oggi. Orecchie che hanno tutto una storia sulle spalle con cui fare i conti. Sei anche tu parte della storia. Perché il tuo ragionamento potesse funzionare secondo me, dovresti tenerti fuori dalla "storia" e questo credo sia impossibile nonostante tu ci metta tutta la volontà. È un discorso un po' hegeliano, ma ne sono profondamente convinto :D

MatMarazzi ha scritto:I nostri pronipoti (fra cento anni) faranno molta più fatica.
Perchè Florez, la Netrebko, la Silja, Langridge, Kurt Streit, Terfel, ovviamente la Baltsa saranno lontanissimi dal "loro" contesto: non sapranno più valutare cosa c'era di vero e cosa di artificioso nella loro espressione; quali suoni fossero "relativamente" belli e giusti e quali no; quali effetti fossero davvero innovativi e quali semplicemente di prassi. Non potranno cogliere i rimandi involontariamente contenuti nelle loro interpretazioni (rimandi al cinema, alla storia, alla tv, al costume della vita di oggi, che anche i cantanti vivono, esattamente come noi).

E saranno destinati (i nostri pronipoti) a non godere di tutto questo che oggi fa godere noi. A meno che non imparino a ...contestualizzare gli ascolti. Come noi oggi siamo condannati a fare per il Werther di Schipa e l'Handel della Sutherland.

Ma non sei tu Matteo a sostenere che le opere nascano dal genio di un autore e poi camminino con le poprie gambe attraverso i secoli, con possibilità di diverse letture e interpretazioni a seconda appunto delle sensibilità in costante evoluzione o cambiamento?
Non credi che per le interpretazioni valga lo stesso?

La Sutherland händeliana, che trovo fenomenale (altro che specialisti odierni), non la reputo tale perché la contestualizzo! La sentissi domani cantare la stessa cosa allo stesso modo, sono certo che l'apprezzerei in egual maniera. I cantanti haendeliani di oggi mi piacciono meno, ma lo stesso sarebbe stato fossero appartenuti loro agli anni Settanta e la Sutherland agli anni Duemila. Me lo confermavi anche tu sul confronto Fleming/Sutherland. Una è moderna, l'altra no. L'epoca non c'entra, o se c'entra è quella attuale che plasma il tuo gusto!

Amici baroccofili che preferiscono Gemma Bertagnolli a Joan Sutherland ne conosco anch'io, ma non consiglierei loro di contestualizzare le due per capire come probabilmente stanno le cose. Proverei a convincerli di come lo stile, le possibilità espressive della seconda schiaccino senza pietà i limitati mezzi della prima.

Pensi davvero che la Callas vada contestualizzata, oggi, per essere ancora così apprezzata?
Io penso che sia pregio proprio dei grandi l'essere tali relativamente a più epoche, tendendo all'assoluto.

Un salutone!
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Messaggioda Riccardo » mar 19 giu 2007, 14:15

MatMarazzi ha scritto:Qualcuno dovrebbe fare loro capire che, ben oltre Bergonzi e la Freni, dovrebbero far proprie la lezione dei grandi interpreti attuali di Britten, di Gluck, di Janacek, di Rameau, ma anche di Ella Fitzgerald, Maurice Chevalier, Amalia Rodriguez e persino Celine Dion e Caetano Veloso.

I nostri ragazzi escono dai conservatori che sembrano copie sbiadite di bravi verdian-pucciniani di quarant'anni fa (non solo nel canto, ma anche nel modo di porsi, di stare in scena, di truccarsi) e si presentano alla ribalta talmente impreparati alle attuali esigenze del canto operistico da auto-condannarsi a carriere periferiche e malinconiche.

Ma sono d'accordissimo, però questo secondo me vale già in un tempo successivo a quello delle prime basi, che per forza devono essere quelle che permettono di emettere i suoni senza rompersi la gola e rimanere
afoni dopo dieci minuti.
E poi, appunto, va bene anche Celine Dion per capire e saperne di più. Ma se si parte da zero con la tecnica di Celine Dion, dubito che poi riescano i do bemolli della Sagrestana dopo cinquant'anni di carriera (un esempio a caso ovviamente :wink: ).
Tutto qui!
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Messaggioda MatMarazzi » mer 20 giu 2007, 0:02

Riccardo ha scritto:questo secondo me vale già in un tempo successivo a quello delle prime basi, che per forza devono essere quelle che permettono di emettere i suoni senza rompersi la gola e rimanere
afoni dopo dieci minuti.!


Vedi, Ric.
Tu dai per scontato che le regoline del canto coperto e della respirazione all'italiana siano la "base", l'abc, su cui poi si può edificare tutto il resto, ma questo è esattamente ciò che io metto in dubbio.

Se per basi intendiamo la respirazione e l'amplificazione del suono (perchè questo è davvero il nucleo di tutti i tipi di canto) allora è evidente che il canto all'italiana propone *un* tipo di respirazione e di amplificazione; mentre la Dion e la Silja (e la Baltsa!!!!) respirano e amplificano diversamente, su altre basi.
Nemmeno gli italiani arrivarono mai a mettersi d'accordo su quale fosse la respirazione corretta (anche se ogni maestrino del più sperduto conservatorio di periferia è convinto di saperlo perfettamente).
Quanto all'amplificazione, quella che in Italia è stata elaborata e proposta per secoli è sì intrinsecamente prodigiosa (nei risultati) ma anche talmente particolare da non poter essere applicata seriamente se non al repertorio belcantistico e italiano. E un sostenitore della Baltsa (ostracizzata dagli italiani proprio per la sua eterodossia in termini di copertura vocale) lo dovrebbe sapere.

Mi fa davvero specie (e in parte mi diverte) che proprio la Silja debba essere presa a modello di buone basi tecnico-scoltastiche.
Invisa da sempre ai vociologi e saputelli nostrani, additata ancora oggi come esempio di come non si dovrebbe cantare, la Silja non ha effettivamente mai studiato canto in senso tradizionale e men che meno in Italia.
Suo nonno, con cui si preparò da bambina, era un appassionato di musica, non un cantante; il resto è storia: la Silja ha debuttato a dieci anni e a trenta era (da un punto di vista strettamente vocalistico) già oscillante e dura come un pezzo di legno.
Sulla sua pelle è arrivata a dotarsi di una personale tecnica declamatoria, con una stranissima (direi atletica) respirazione (ragione della vertiginosa proiezioni sillabica ma anche causa di quell'oscillare inconsulto).
Altrettanto strana ed eslege è la sua amplificazione del suono, che si distanzia - oltre che dalla tecnica italiana - anche da quella tradizionalmente tedesca.
A modo loro copertissimi, i suoni della Silja hanno un colore biancastro, direi fluorescente, abbastanza omogeneo, che le permette (ad onta di una vera "piacevolezza" d'ascolto) di galleggiare e splendere sulle orchestre anche più tumultuose.
La sua tecnica è funzionalissima a certo repertorio ma quanto meno inadeguata a qualsiasi opera pre-novecentesca e soprattutto lontana anni luce da quello che - secondo te e i maestri di canto all'italiana - dovrebbe essere l'abc.

Quindi sarei dovuto essere io, e non tu, a tirarla al mio mulino e citarla come esempio di come si possa cantare anche per sessant'anni ed essere grandi pur senza aver mai praticato le regoline che tu definisci "la base".

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Messaggioda MatMarazzi » mer 20 giu 2007, 1:06

Riccardo ha scritto:Ma Matteo, se ti dicessi - e fosse vero - che la Fleming fosse cantante degli anni Settanta o Venti, tu la troveresti più moderna? Avresti più giovamento nell'ascoltarla?
Non credo, perché tu continui ad ascoltarla con le orecchie di oggi.


Niente di più falso! :)
Si vede che non sei solito praticare le incisioni antiche!
Se sentissi un disco della Fleming datato 1920 resterei letteralmente folgorato: la giudicherei un genio.
Rimarrei allibito da quel modo di indulgere voluttuosamente nei portamenti e da quel colore vagamente "growl" nel registro misto (di chiara impronta jazzistica) che nel 1920 nessuna cantante classica avrebbe mai osato, per tema di essere definita (quanto meno) "donnaccia".
Se la Fleming avesse cantato nel 1920 come canta oggi sarebbe stata una pioniera sbalorditiva : coraggiosissima e avanti nei tempi! Un vero genio.
E invece sentirla adesso usare questi stessi effetti (dopo che da cinquant'anni li sentiamo regolarmente applicare anche al repertorio operistico, dopo che Leontyne Price li ha introdotti e tutte le cantanti americane - Horne compresa - li hanno poi applicati) non ci fa alcun effetto: anzi odora di stantio.

Sarei rimasto allibito a sentire, nel 1920, una che canta Strauss svicerando tutte le cremosità della voce, vibrando e legando a più non posso, mentre allora le maggiori straussiane (dalle pioniere fino alla Jeritza) prediligevano un canto fermo, poco vibrato, assolutamente privo di legato, come era nello stile dell'epoca.
Quanto meno mi sarei chiesto a chi, a cosa si era ispirata questa cantante out-sider e rivoluzionaria...
Oggi invece sbadiglio, perché so benissimo che tutte queste "trovate" discendono non solo da tanti anni di Strauss "globalizzato" (sul tipo Caballé), ma anche da una mentalità "american ever green", da Musical rassicurante, da dischi natalizi che (oggi) fa passare i vier letzte lieder di Strauss per musichetta di buoni sentimenti e ascolto facile, da proporre nell'ultima notte dell'anno.

Nel repertorio italiano, poi, avrei inneggiato a un'interprete così radicalmente diversa da tutte le colleghe di quegli anni, che non ricorre all'enfasi del registro di petto e ai manierismi che allora erano tradizionali, e che è in grado di muoversi con sirurezza ed energia fra le agilità e gli intervalli.
Per i criteri dell'epoca sarebbe stata una donizettiana e una belliniana sbalorditiva. Il suo "casta diva" avrebbe fatto vacillare la supremazia di gente davvero grande (per l'epoca) come la Mazzoleni e la Russ.
Sarebbe risultato di gran lunga più innovativo e sconcertante.
E invece sentito oggi non dice nulla: anzi, è decisamente vecchio stile, slentato e sbrodolone, malamente contaminato con certo belcantismo in stile "amazing grace" oggi apprezzato in america.

Infine nessuna (ma veramente nessuna) all'epoca avrebbe nè potuto, nè voluto cantare un'Alcina o una Rodelinda. Handel era un autore giudicato del tutto inseguibile in un teatro d'opera.
Sarebbe stata, anche in questo, una pioniera da lasciare di stucco.
Oggi invece Handel lo cantano tutti.

Come vedi, caro Ric, se vogliamo giudicare dobbiamo contestualizzare.


Riccardo ha scritto:Perché il tuo ragionamento potesse funzionare secondo me, dovresti tenerti fuori dalla "storia" e questo credo sia impossibile nonostante tu ci metta tutta la volontà. È un discorso un po' hegeliano, ma ne sono profondamente convinto :D

Io invece no! :)
e non perché sia "hegeliano", ma perché se quel che dici fosse giusto non esisterebbe nemmeno la storiografia.
Non potremmo parlare di Giulio Cesare o di Galilei o di Shakespeare.
E invece ne parliamo, non come se fossero qui presenti vicino a noi! Nessuno di noi si immagina Shakespeare o Giulio Cesare col cellulare e il pc wireless. Cerchiamo - per quanto possiamo - di contestualizzare le loro azioni e le loro scelte.
Solo così possiamo sperare di comprenderli o tentare di giudicarli.
Sarebbe troppo facile non sapere un piffero di storia romana (ma proprio niente) e poi prendere il De Bello Gallico e sentenziare sulla personalità di Cesare! :)


Riccardo ha scritto:Ma non sei tu Matteo a sostenere che le opere nascano dal genio di un autore e poi camminino con le poprie gambe attraverso i secoli, con possibilità di diverse letture e interpretazioni a seconda appunto delle sensibilità in costante evoluzione o cambiamento?
Non credi che per le interpretazioni valga lo stesso?


Mi fa piacere che mi citi, Ric! :)
Infatti il concetto è lo stesso: come un'opera cammina con le sue gambe attraverso i tempi (smarrendo strada facendo il rapporto col "pensiero" del suo autore) lo stesso può fare un'interpretazione.
Però se vogliamo esprimere un giudizio di Shakespeare (proprio su di lui come drammaturgo) non andremo a prendere le inevitabili trasformazioni che l'Amleto (ad esempio) ha subito attraverso i tempi, trasformato e manipolato dalle epoche successive.
Se vogliamo parlare di Shakespeare dobbiamo comprendere l'Amleto solo alla luce dell'epoca e del contesto in cui ha visto la luce.
Lo stesso vale per le interpretazioni canore: è possibile che fra cento anni la gente senta in un disco della Freni cose a cui nemmeno la Freni aveva mai pensato.
MA se allora (come oggi) si vorrà esprimere un giudizio sulla Freni (fu brava? non lo fu?) dobbiamo rifarci a quello che LEI voleva dire e che effettivamente è riuscita a dire al pubblico della sua epoca, fondandosi sulle convenzioni della sua epoca.


Riccardo ha scritto:Amici baroccofili che preferiscono Gemma Bertagnolli a Joan Sutherland ne conosco anch'io, ma non consiglierei loro di contestualizzare le due per capire come probabilmente stanno le cose. Proverei a convincerli di come lo stile, le possibilità espressive della seconda schiaccino senza pietà i limitati mezzi della prima.


Veramente io non suggerivo un confronto con Gemma Bertagnolli.
Ma se ascolto qualche adagio di Handel fatto dalla Kirby devo riconoscere che i "baroccofili" hanno ragione. La Kirby non è necessariamente più brava della Sutherland, semplicemente più moderna, più capace di svelare l'umanità di Handel e non solo la sua spettacolarità.

Riccardo ha scritto:Pensi davvero che la Callas vada contestualizzata, oggi, per essere ancora così apprezzata?


Purtroppo no.
La Callas è stata così grande che le sue eredi non sono state in grado di andare oltre.
Ma questo non è un merito della Callas; è un demerito delle sue eredi e di tutta la nostra epoca.
Oggi i Trovatori e le Norme si fanno ancora con la stessa estetica (più o meno) che la Callas aveva rivelato negli anni 50.
Se saltasse fuori una Callas del 2000 il discorso cambierebbe.
E allora la Callas originale risulterebbe FINALMENTE superata, confinata, come ogni monumento della cultura umana, nell'empireo della sua epoca.

Riccardo ha scritto:Io penso che sia pregio proprio dei grandi l'essere tali relativamente a più epoche, tendendo all'assoluto.

E siamo arrivati, finalmente, al nocciolo di tutte le nostre diatribe.
Non c'è proprio niente di assoluto in questo universo, caro Ric!
:-)
Devi aspettare di andare ...di là per vedere qualcosa che tenda all'assoluto.
Qui, come qualcuno ha detto, non tendono all'assoluto nemmeno lo spazio e nemmeno il tempo: figuriamoci un cantante d'opera.
Per me se un cantante d'opera varca la gloria della sua stagione naturale è solo perché o non vi è stato progresso o c'è qualcuno che ci studia sopra e che lo divulga ai posteri.
Proprio come per Dante Alighieri.
Tutto questo sempre e comunque IMHO
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Messaggioda Riccardo » mer 20 giu 2007, 14:30

MatMarazzi ha scritto:Se per basi intendiamo la respirazione e l'amplificazione del suono (perchè questo è davvero il nucleo di tutti i tipi di canto) allora è evidente che il canto all'italiana propone *un* tipo di respirazione e di amplificazione; mentre la Dion e la Silja (e la Baltsa!!!!) respirano e amplificano diversamente, su altre basi.

Ma tu pensi che la Baltsa e anche la Silja non cantino - per istinto magari -respirando in modo efficiente col diaframma? Pensi che non abbiano mai avuto nessun consiglio su come utilizzare nel modo più efficiente possibile lo strumento ad aria che si trovano incorporato, affinché dia loro le più efficaci possibilità espressive?
Alla fine è questa che io intendo come base indispensabile, niente di particolare.

La Dion sinceramente non so che cosa faccia; bisognerebbe sentirla senza microfono e strumenti di amplificazione diversi dalla semplice acustica dei teatri, per capire come canti.

MatMarazzi ha scritto:Suo nonno, con cui si preparò da bambina, era un appassionato di musica, non un cantante; il resto è storia: la Silja ha debuttato a dieci anni e a trenta era (da un punto di vista strettamente vocalistico) già oscillante e dura come un pezzo di legno. [...]
Quindi sarei dovuto essere io, e non tu, a tirarla al mio mulino e citarla come esempio di come si possa cantare anche per sessant'anni ed essere grandi pur senza aver mai praticato le regoline che tu definisci "la base".

Io sono quasi sicuro che la Silja il fiato lo sappia amministrare come una Dea, e abbia un diaframma super allenato, anche perché è una persona agile e sportiva.
Per me queste sono le regoline-base, che prescindono dalla peculiarità di ogni tecnica e che dovrebbero essere il primo oggetti di studio di chi volesse iniziare a cantare :)
Oltretutto che cosa pensi che dovrebbe fare un eventuale poveretto? Decidere prima se studiare la tecnica della Silja (e con chi poi??) o quella di Bergonzi ( :roll: )? Secondo me intanto deve acquisire i fondamenti minimi, indispensabili per qualunque degli eventuali percorsi futuri.
È come dire che ci sono tanti stili e modi per sciare, ma le gambe robuste e ben allenate sono indispensabili per ogni stile e modo!
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Messaggioda Riccardo » mer 20 giu 2007, 16:37

MatMarazzi ha scritto:Si vede che non sei solito praticare le incisioni antiche! Se sentissi un disco della Fleming datato 1920 resterei letteralmente folgorato: la giudicherei un genio.

È chiaro, e da questo tuo post è venuto fuori benissimo, come la tua modalità di ascolto e fruizione si molto diversa dalla mia.
Da quanto scrivi si intende che il tuo ascolto è di natura razionalistica e appunto per questo relativistica, così come affermi tu stesso!
Ecco che un'interpretazione, a seconda della contestualizzazione, ti sembra buona o cattiva, inutile o interessante.

A me purtroppo un'interpretazione fa sempre lo stesso effetto, indipendentemente dal contesto da cui proviene. A me colpisce di una partitura il modo in cui viene interpretata, modo che è più o meno compatibile con le mie aspettative. Ma questa interpretazione può provenire da qualunque epoca, questo dato è del tutto irrilevante.
Probabilmente questo è il motivo per cui non mi entusiasmo quasi mai nei confronti dei cantanti antichi. Perché posso arrivare ad apprezzarli con la sensibilità della studioso, ma non con le viscere dell'appassionato fruitore!

MatMarazzi ha scritto:E invece sentirla adesso [la Fleming] usare questi stessi effetti (dopo che da cinquant'anni li sentiamo regolarmente applicare anche al repertorio operistico, dopo che Leontyne Price li ha introdotti e tutte le cantanti americane - Horne compresa - li hanno poi applicati) non ci fa alcun effetto: anzi odora di stantio.

Questo è un altro ragionamento che evidenzia l'approccio esclusivamente raziocinante, tipico dello studioso. Perché il concetto di "dopo Leontyne Price" è valido soltanto secondo il prosupposto per cui chi ascolta la Fleming ha esattamente sulla groppa un bagaglio di ascolti totale e soprattutto ordinato cronologicamente dei vari interpreti succedutisi. Questo non è il mio caso, né è il caso della maggior parte degli appassionati! Né, aggiungo, è il caso di eventuali storici che subordinino gli studi critici all'interesse viscerale nei confronti della fruizione.

MatMarazzi ha scritto:Oggi invece sbadiglio, perché so benissimo che tutte queste "trovate" discendono non solo da tanti anni di Strauss "globalizzato" (sul tipo Caballé), ma anche da una mentalità "american ever green", da Musical rassicurante, da dischi natalizi che (oggi) fa passare i vier letzte lieder di Strauss per musichetta di buoni sentimenti e ascolto facile, da proporre nell'ultima notte dell'anno.

Ma tu quando ascolti la Caballé, che cosa provi allora? Ad un primo tratto nulla e poi dici "ah beh, è un disco di quarant'anni fa" allora è interessante? La Caballé non esordisce ricordando l'anno in cui sta cantando; canta e basta!

MatMarazzi ha scritto:Infine nessuna (ma veramente nessuna) all'epoca avrebbe nè potuto, nè voluto cantare un'Alcina o una Rodelinda. Handel era un autore giudicato del tutto inseguibile in un teatro d'opera.
Sarebbe stata, anche in questo, una pioniera da lasciare di stucco.
Oggi invece Handel lo cantano tutti.

La fantasia e la perspicacia nella scelta e riscoperta del repertorio sono sicuramente sintomo d'intelligenza. Ma poi l'eventuale bravura a mio avviso si valuta a teatro nel momento dell'esecuzione.
Non m'importerebbe nulla di un'arguta riscoperta eseguita male. O meglio, rivelerebbe talento di studiosa ma non di artista cantante.

MatMarazzi ha scritto:Come vedi, caro Ric, se vogliamo giudicare dobbiamo contestualizzare.

Se vogliamo studiare, sì.
Se vogliamo giudicare, io lo faccio contestualizzando rispetto alle mie aspettative rispetto a un titolo, a una partitura, a un'opera!

Riccardo ha scritto:e non perché sia "hegeliano", ma perché se quel che dici fosse giusto non esisterebbe nemmeno la storiografia.

Ma io non mi approccio all'interpretazione secondo criteri storiografici.

Lo studio della storia dell'interpretazione della musica a me interessa dal momento che mi spiega perché preferisco ascoltare Y invece di X o viceversa. Non m'interessa dare freddi giudizi di valore rispetto alle epoche. Non m'interessa nel momento in cui sono fruitore.

MatMarazzi ha scritto:Non potremmo parlare di Giulio Cesare o di Galilei o di Shakespeare.
E invece ne parliamo, non come se fossero qui presenti vicino a noi! Nessuno di noi si immagina Shakespeare o Giulio Cesare col cellulare e il pc wireless. Cerchiamo - per quanto possiamo - di contestualizzare le loro azioni e le loro scelte.
Solo così possiamo sperare di comprenderli o tentare di giudicarli.
Sarebbe troppo facile non sapere un piffero di storia romana (ma proprio niente) e poi prendere il De Bello Gallico e sentenziare sulla personalità di Cesare! :)

Giulio Cesare, Galilei, Shakespeare o Schopenhauer io credo che oggi possano interessare soltanto nella misura in cui ci piacciono ancora oggi. Altrimenti sarebbe appunto solo materia per studiosi che vogliono conservarne (a ragione, per carità!) la storia.
In ogni caso il confronto con la letteratura secondo me è fuorviante.

Il teatro, ma la musica è regina in questo, sono arti dell'istante, sfuggenti. Creano un'interesse irrazionale per definizione, creano l'emozione dell'istante, fine a sé stessa.
Probabilmente a te è estranea questa concezione infatti, coerentemente, se non sbaglio, non ami la musica pura ossia quella non operistica! A te interessa il dato teatrale, tangibile, razionale. La musica in sé è fumo, inconsistenza, aria che vola!
Non per caso Celibidache, teorico della musica assoluta, detestava l'opera. :)

Riccardo ha scritto:Mi fa piacere che mi citi, Ric! :)

Il tuo sistema di pensiero è talmente interessante che il tentativo di avversarlo è una sfida incredibilmente avvincente e stimolante! :D

MatMarazzi ha scritto:Però se vogliamo esprimere un giudizio di Shakespeare (proprio su di lui come drammaturgo) non andremo a prendere le inevitabili trasformazioni che l'Amleto (ad esempio) ha subito attraverso i tempi, trasformato e manipolato dalle epoche successive.[...]
MA se allora (come oggi) si vorrà esprimere un giudizio sulla Freni (fu brava? non lo fu?) dobbiamo rifarci a quello che LEI voleva dire e che effettivamente è riuscita a dire al pubblico della sua epoca, fondandosi sulle convenzioni della sua epoca.

Il fatto è appunto questo, che ben diverso è giudicare un'interpretazione rispetto al giudizio storico su un'interprete.
In egual modo affermare che la Freni non abbia avuto un ruolo primario o sconvolgente nella storia dell'interpretazione dell'opera, non significa che la sua Mimì rimanga un capolavoro relativamente ad un certo modo d'intendere il personaggio.
Che poi qualche cantante venuta prima di lei avesse già proposto una lettura mielosa del ruolo e che dunque la Freni non sia stata un'innovatrice è un fatto che va certo ad influire sul giudizio storico togliendole il primato, ma non sull'interpretazione in sé e per sé, che rimane di alta fattura (nonostante possa o meno piacere)!
Il punto è che a te, Mat, importa esclusivamente il giudizio storico di cui sei un incredibile studioso ed esegeta!

Ovviamente tutto sempre secondo me!
Un salutone!


P.S.
MatMarazzi ha scritto:Nel repertorio italiano, poi, avrei inneggiato a un'interprete così radicalmente diversa da tutte le colleghe di quegli anni, che non ricorre all'enfasi del registro di petto e ai manierismi che allora erano tradizionali, e che è in grado di muoversi con sirurezza ed energia fra le agilità e gli intervalli.

Trovi che la Fleming non utilizzi enfasi nel registro di petto? Mi pareva di sì nel Pirata e nel disco di belcanto.
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Riccardo
 
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Messaggioda MatMarazzi » ven 22 giu 2007, 0:48

Caro Ric,
credo che questo nostro duello telematico-estetologico sia durato anche troppo!
Prima di asfissiare e nauseare definitivamente i nostri compagni di forum, credo siail caso di chiuderlo: tanto abbiamo ampiamente espresso le nostre reciproche posizioni.
Personalmente mi ritirerò nel mio angolino e ti cederò volontieri la palma della vittoria! :)

Prima però su un paio di punti devo replicare.
Prometto che sarà l'ultima volta.

Riccardo ha scritto:La Caballé non esordisce ricordando l'anno in cui sta cantando; canta e basta! .


Vero, anche perché non sarebbe facile, subito prima di attaccare "Sediziose voci", avanzare alla ribalta e, sul silenzio dell'orchestra, declamare: "17 giugno 1976".
E' pur vero che tutti i produttori discografici sono obbligati per legge a specificare sempre l'anno di registrazione.
Che strana legge...!

Il teatro, ma la musica è regina in questo, sono arti dell'istante, sfuggenti. Creano un'interesse irrazionale per definizione, creano l'emozione dell'istante, fine a sé stessa.


E' proprio "irrazionale" e "sfuggente" la musica! :)
E per giunta "per definizione".
(definizione? e che definizione?)
Infatti io ho amici che provano una specie di raccoglimento mistico quando sentono il Bolero di Ravel o il Rock di Elvis Prisley; mentre altri che si abbandonerebbero a balli orgiastici quando sento gli ultimi quartetti di Beethoven...

:) Scusa Ric se scherzo, ma non pensavo proprio che ci fosse ancora qualcuno che desse credito alle favoline pre-romantiche sulla musica "irrazionale" e "sfuggente".
La musica è un linguaggio codificato e interpretabile come qualunque altro.
I segni scritti su un pentagramma non sono meno stabili, definitivi e decifrabili delle parole scritte su un libro.

Certo: di fronte a una sonata di Bartok si può anche restare perplessi; ma se è per questo anche di fronte a una pagina di Joyce.
Ogni volta che uno dice "cose difficili" (quale che sia il linguaggio che usa) la decodifica è difficile.
Ma questo non significa che è il linguaggio a essere "irrazionale" o "sfuggente".

Se metti la colonna sonora di un horror su una commedia romantica il pubblico (anche quello meno musicofilo) avverte subito lo stridore.
E questo perché i significati della musica, le convenzioni che la regolano, sono talmente chiari, netti e decifrabili da essere alla portata di tutti.
Per qualsiasi ascoltatore una musica allegra è una musica allegra; una musica esotica è una musica esotica; una musica triste è una musica trista; una musica tesa è una musica tesa.

Probabilmente a te è estranea questa concezione infatti, coerentemente, se non sbaglio, non ami la musica pura ossia quella non operistica! A te interessa il dato teatrale, tangibile, razionale. La musica in sé è fumo, inconsistenza, aria che vola!
Non per caso Celibidache, teorico della musica assoluta, detestava l'opera. :)


Hai appena detto che il teatro è, come la musica, sfuggente (arte dell'istante) e ora invece diventa il dato teatrale "tangibile e razionale" che io prediligerei in quanto tale.
Bah...
Comunque devi sapere, Ric, che a me piace moltissimo la musica strumentale (scusa se non uso quella definizione di musica "pura" che a me fa morire dal ridere) :)
Io amo la musica strumentale, come amo il cinema, come amo la biologia e la meccanica quantistica.
Purtroppo amare non è sufficiente.
Non c'è il tempo di approfondire tutto; non c'è l'energia; non c'è il denaro.

E allora, per non essere superficiale proprio in tutto, preferisco essere un po' approfondito (nei limiti ovviamente) in un solo settore.
Ho scelto l'opera come ambito dei miei approfondimenti, perché ho per lei un debole particolare; ma questo non significa che non mi piaccia il resto.

Non mi sarei mai sognato di dire ciò che mi metti in bocca (la musica "è aria che vola", "incosistenza" e roba del genere).
Anzittutto perché non è vero. La musica è tangibilissima: molto più della letteratura.
Cosa di più tangibile del suono? Si sente!

Ma anche se fosse come tu dici, se davvero io detestassi la musica (visto che sono un cinico razionalista senza cuore grrrrrrrr...), per quale motivo avrei dovuto dedicarmi proprio al teatro d'opera????
Sai... c'è tanta musica nel teatro d'opera...
Hai presente tutte quelle note inutili e irrazionali che fanno battere il cuore a quei terribili spiriti sensibili... quegli odiosi "hippies" - come direbbe il mio Avatar - mentre io sono così freddo e razionale, così schiavo del dato tangibile!!!
:)
Perché invece del teatro d'opera non mi sono dedicato al teatro di prosa?
Anzi... non avrei potuto scegliere la saggistica?
No, che strano: ho scelto proprio il teatro d'opera.

C'è qualcosa che non torna nel tuo ragionamento! :)

salutoni,
Matteo
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Messaggioda VGobbi » ven 22 giu 2007, 21:06

MatMarazzi ha scritto:Personalmente mi ritirerò nel mio angolino e ti cederò volontieri la palma della vittoria! :)

Non ci posso credere!!! :shock:

MatMarazzi ha scritto:Prima però su un paio di punti devo replicare.
Prometto che sarà l'ultima volta.

Ah, mi pareva strano. :roll:

A parte gli scherzi, i miei piu' sinceri e vividi complimenti per i temi che siete riusciti a trattare, ma sopra tutto a vivisezionarli. Bravi davveri!

Di fronte a certi post, non si puo' che imparare.
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Messaggioda Riccardo » sab 23 giu 2007, 1:14

Ti ho risposto prima di là senza aver ancora letto qui. Avremo nauseato sì, ma io ho ancora come l'impressione di non essermi spiegato a dovere... Di palme della vittoria non me ne faccio niente, mi piacerebbe solo capirne di più, perché queste vicende estetiche sono alla base di tutti i giudizi che diamo, anche in questa sede.

MatMarazzi ha scritto::) Scusa Ric se scherzo, ma non pensavo proprio che ci fosse ancora qualcuno che desse credito alle favoline pre-romantiche sulla musica "irrazionale" e "sfuggente".
La musica è un linguaggio codificato e interpretabile come qualunque altro.
I segni scritti su un pentagramma non sono meno stabili, definitivi e decifrabili delle parole scritte su un libro.

Da qui vedo di non essermi spiegato per nulla bene!
Se c'è uno che ritiene che la musica sia oggetto di studio e indagine allo stesso modo e più di tutti gli altri linguaggi, quello sono io.
Ma quello che non riesco ad esprimerti è che però, accanto a questa componente, ce n'è un'altra, sua peculiarità che è la dimensione - questa irrazionale - della fruizione.
Non fosse così non servirebbero esecuzioni: l'opera sarebbe già presente nella sua completezza nelle pagine che ne compongono la partitura. Esattamente come un libro.

Certo: di fronte a una sonata di Bartok si può anche restare perplessi; ma se è per questo anche di fronte a una pagina di Joyce.
Ogni volta che uno dice "cose difficili" (quale che sia il linguaggio che usa) la decodifica è difficile.
Ma questo non significa che è il linguaggio a essere "irrazionale" o "sfuggente"

Mai parlato di linguaggio irrazionale o sfuggente, anzi!

Se metti la colonna sonora di un horror su una commedia romantica il pubblico (anche quello meno musicofilo) avverte subito lo stridore. E questo perché i significati della musica, le convenzioni che la regolano, sono talmente chiari, netti e decifrabili da essere alla portata di tutti.

Certo! Perché la musica dell'horror dà una sensazione viscerale, genera un'emozione (nonostante ci siano regole ben precise per creare un insieme di suoni che dia quell'effetto).


Hai appena detto che il teatro è, come la musica, sfuggente (arte dell'istante) e ora invece diventa il dato teatrale "tangibile e razionale" che io prediligerei in quanto tale.
Bah...

Non ho detto come riporti tu. Nel teatro, oltre all'aspetto "sfuggente", c'è anche quello tangibile.
Nella musica in sé (se non ti piace "pura", che vuol semplicemente dire non mescolata con altro) c'è solo il primo aspetto; non si può ragionarvi sopra senza prima sentirla, non c'è nessun altro appiglio possibile che non la musica stessa.

Se non sono riuscito questa volta...pazienza, ma se hai vogli scrivi ancora due righe per farmelo sapere! È stato comunque utile. :wink:

un salutone :)
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