Voci: classificazioni e scelte di repertorio.

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Voci: classificazioni e scelte di repertorio.

Messaggioda MatMarazzi » mar 12 giu 2007, 15:31

Cari amici,

Non è la prima volta che in questo forum si sfiora il tema delle "classificazioni vocali".
E' una questione che mi sta molto a cuore. Ci rifletto da anni.
E da tanto tempo vorrei sistematizzare le mie riflessioni in un articolo.
Chissà...
Frattanto mi piacerebbe discuterne un po' con voi.

Partirei con una affermazione di Roberto, che ritengo particolarmente interessante, soprattutto perché nasce da una persona che non si è limitata a leggere che esistono i "tenori di forza, quelli di grazia, quelli lirici, ecc... ecc.. ecc..." ma che ha studiato il fenomeno nella sua storica complessità.

Roberto osservava che fra le due guerre mondiali si sono andati consolidando dei criteri di classificazione innovativi e sostanzialmente diversi da quelli ottecenteschi.
E questo è verissimo.
Improvvisamente i vecchi (e certo riduttivi) compartimenti di estensione (soprano, tenore, basso, contralto, ecc...) non sono risultati più sufficienti.
Le orchestre (alla fine dell'800) crescevano; le nuove opere, condizionate dall'esaltante deflagrare del declamato a danno del vocalismo, spingevano sempre più i cantanti a coltivare il volume.
Al punto che la corposità e il colore stesso del suono iniziarono a non essere più una peculiarità dell'artista, ma addirittura un criterio per classificare i diversi tipi vocali.

Fu una rivoluzione. Le famose (per quanto mi riguarda famigerate) suddivisioni in "lirico", "drammatico", "leggero" e più o meno ridicole gradazioni intermedie sono veramente emerse solo alla fine del diciannovesimo secolo, con sfumature almeno inizialmente diverse e non condizionanti.
Ma è stato tra le due guerre che l'elemento "colore-volume" è diventato coartante nella classificazione vocale e quindi nell'assegnare i repertori, affiancando o addirittura sopravanzando quello che fino ad allora era ritenuto prioritario, ossia l'estensione vocale.

Io non solo, come avrete capito, non dò alcun credito a questo tipo di classificazione (che possiamo chiamare classificazione "classica" novecentesca, fondata sul volume-colore), a meno che non parliamo di opere composte esattamente in questo periodo (1915-1945).
Ma credo che sia anche stato una delle cause di quell'abbruttimento psicologico-vocale che (fatte salve le opportune eccezioni) mi pare caratterizzi la maggior parte dei cantanti inter-bellici.
Per molti di loro, la compatezza, la marmoreità, la rotondità e l'oscuramento del suono a tutti i costi era l'assoluta necessità, magari a danno dell'agilità, dello scavo nell'accento, della calibratura dei colori, dell'evidenza della dizione e (vivaddio) della dimensione psicologica.
Come dice Roberto, in pochi decenni il mondo del canto era cambiato.
Io non credo in meglio.
Rispetto ai bassi sepolcrali, nerissimi, tromboneggianti che circolavano negli anni '30, un Paul Plancon fa la figura di un fringuellino.
Eppure esprime lui, in due note, mille e mille volte di più dei suoi scurissimi eredi. Non parliamo di agilità, espressività, arguzia, consapevolezza ritmica, elasticità umana e psicologica.

Nulla di strano che le Azucene di quegli anni sembrassero tutte uguali: in fondo che bisogno c'è di "interpretare" la psicosi di Azucena, i suoi sconvolgenti flussi di coscienza? Ti basta avere un colore scuro (o meglio oscurato) e un volume possente sei già a posto.
E che bisogno c'è di lottare per far emergere l'innocenza adolescente di Gilda, il suo sangue giovane che urla: se hai un colore chiaro (o meglio schiarito) e un volume limitato sei già a posto. Qualche vago "cocodé" e sarai una Gilda di importanza storica.
Non che con Wagner le cose andassero meglio: anche lì (negli anni 20-40) era la trombonaggine magniloquente a farla da padrone.
Come la gente si potesse divertire a sentire la milionesima volta Melchior e la Flagastad cinquantenni e pesanti lanciare i loro prevedibili decibels senza comunicare altro che la propria ridondante imponenza è qualcosa che non arrivo a capire.

Dopo la seconda guerra mondiale, pur fra nostalgie e resistenze, la predominanza "colore-volume" è stata messa in discussione, riportando il problema delle classificazioni vocali e delle assegnazioni del repertorio su basi diverse.
E non fu certo merito della Callas: lei fu solo un sintomo di un fenomeno planetario che portò (finalmente) a riflettere sulla questione, con altri criteri.

In sostanza, sono d'accordissimo con Roberto nell'analisi storica che ha proposto, ossia enucleando il periodo tra le due grandi guerre come momento chiave di una certa sistematizzazione del problema (la classificazione "classica" novecentesca, fondata sul "volume-colore" della voce).
Sono meno d'accordo sul credito che si dà a questa tradizione, che oggi dovrebbe essere radicalmente superata (a meno che non parliamo di opere scritte proprio in quel periodo).

L'argomento mi pare affascinante e mi piacerebbe conoscere altre opinioni.
Salutoni
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Re: Voci: classificazioni e scelte di repertorio.

Messaggioda VGobbi » mar 12 giu 2007, 17:10

MatMarazzi ha scritto:Dopo la seconda guerra mondiale, pur fra nostalgie e resistenze, la predominanza "colore-volume" è stata messa in discussione, riportando il problema delle classificazioni vocali e delle assegnazioni del repertorio su basi diverse.
E non fu certo merito della Callas: lei fu solo un sintomo di un fenomeno planetario che portò (finalmente) a riflettere sulla questione, con altri criteri.

Se la Callas ha raccolto quanto seminato da altri, si potrebbe individuare a chi dare il merito di questa rivoluzione musicale? Sarebbe ideale, allegando qualche preclaro esempio audio.
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Messaggioda pbagnoli » mar 12 giu 2007, 17:44

Be', le classificazioni esistono perché sono comode: in tal senso si spiega il motivo per cui hanno resistito - e resistono tuttora - quelle denominazioni che tu giustamente citi e che ancora aiutano molti a capire le differenze senza bisogno di ascoltare.
Proviamo ad immaginare di parlare del cantante Pinco Pallo. La prima domanda che ti fa un interlocutore è: cos'è? Tu rispondi: tenore. E lui: tenore come? Senza classificazioni e sottoclassificazioni oggettivamente è un po' difficile dare un'idea all'interlocutore.
E questo come premessa.
Scendendo nello specifico, sono in astratto d'accordo con te sull'analisi di quel particolare periodo, quello cioè a cavallo fra le due guerre; andando a memoria, fra i cantanti di quel periodo non me ne viene in mente nessuno che non fosse abbastanza stereotipato nell'emissione.
Citi il repertorio wagneriano, che mi sembra particolarmente adatto a quest'esemplificazione, sino a porsi in modo pericolosamente paradigmatico. Recensendo la Walkure propostami da Vittorio, quella diretta da Fricsay, evidendiavo proprio questi aspetti di ambivalenza fra il vecchio che cercava di resistere offrendo il proprio canto del cigno, e il nuovo che avanzava ma non aveva ancora gambe adatte. Wieland, poi, come si sa, avrebbe sparigliato le carte, ma ci sarebbe voluto ancora un po' di tempo. Fu così anche per il Ring viennese di Moralt: intenzioni direttoriali molto proiettate in avanti, cantanti ancora orgogliosamente ancorati al passato.
Ma la pensi alla stessa maniera per quanto riguarda il Verdi cantato dai tedeschi nello stesso periodo?...
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Messaggioda MatMarazzi » mar 12 giu 2007, 18:35

pbagnoli ha scritto:Be
Proviamo ad immaginare di parlare del cantante Pinco Pallo. La prima domanda che ti fa un interlocutore è: cos'è? Tu rispondi: tenore. E lui: tenore come? Senza classificazioni e sottoclassificazioni oggettivamente è un po' difficile dare un'idea all'interlocutore.?...


Pietro,
il problema non è tanto quello di "classificare" il cantante Pinco Pallino.
Mi importa poco sentirlo definire nei modi più fantasiosi: e poi non c'è nulla di male che per descrivere un cantante si faccia riferimento anche al volume e al colore della sua voce.

Il vero problema (quello drammatico) è quando queste categorie (volume-colore) sono applicate ai personaggi.
Il problema è quando ti dicono che Otello è un tenore "drammatico" o Riccardo del Ballo un "lirico-puro-quasi-spinto" e che Arturo dei Puritani è chissà cosa!
Il problema è quando si usano categorizzazioni di volume e colore per definire i ruoli del repertorio ottocentesco e magari si fanno i cast sulla base di questi criteri.

Allora no!
Chiama pure Mirto Picchi lirico-drammatico-leggero!
Io non mi ribellerò.
Ma se definisci drammatico Pollione, lirico-spinto Giasone e lirico-leggero Arturo dei Puritani allora mi incavolo! (si fa per dire) :)

Questo è proprio ciò che per anni hanno fatto i sostenitori delle tipizzazioni fondate sul volume-colore.
Prova a riflettere sui termini che vengono utilizzati per queste tipizzazioni:
"drammatico" e "lirico".

Ti rendi conto dell'errore concettuale che c'è dietro?
Le definizioni "lirico" e "drammatico" sono categorie contenutistiche (il lirismo e il drammatismo investono l'espressione, non il volume o il colore).
Tu dirai che questa è una questione oziosa e lo è, hai ragione.
E tuttavia ti invito a chiederti come mai, per indicare il "volume" e il "colore" di una voce si faccia ricorso a termini come "lirico" e "drammatico" che invece investono non le caratteristiche fisiche di una voce ma il contenuto dell'espressione?

La risposta è significativa: perché questi termini furono forgiati quando (negli anni 20-40) il volume-colore del suono era diventato talmente ossessionante da essere ipso-facto ritenuto FATTORE ESPRESSIVO.

Eh, no, amici miei.
La tragedia e la commedia, il lirismo e il drammatismo sono risultati dell'espressività dell'artista, non del volume della sua voce.
Non basta aver la voce grossa o scura per essere interpreti tragici. Non basta aver la voce chiara e di limitata potenza per essere poeti lirici.

Sarebbe come se qualcuno, nell'ambito del teatro di prosa, decidesse che per fare Shakespeare bisogna essere alti almeno 1.87 e pesare almeno 90 kg.
Propongo di fare delle classificazioni anche degli attori di prosa:
Attore drammatico: 1.90 per 90 kg
attore lirico-drammatico: 1.78 di altezza per 76 kg
attore lirico: 1.70 per 68 kg

Ma andiamo! siamo seri! :)
Tutto questo pyuò valere solo per i ruoli operistici scritti proprio nel trentennio incriminato (15-45).
Il compositore dell'epoca aveva in mente proprio quel tipo di classificazione (volume-colore) e vi si atteneva.
Ma se uno cerca di applicare una simile visione alle opere dell'800 o addirittura del 700, sarebbe buona cosa insorgere.

Almeno per me!


pbagnoli ha scritto:Ma la pensi alla stessa maniera per quanto riguarda il Verdi cantato dai tedeschi nello stesso periodo?...


E' stato il miglior Verdi cantato in tutto il 900, sono d'accordo con te.
Però anche lì agiva, secondo me, l'ossessione del volume-colore (traducibile in eloquenza esclusivamente epica - tanto nella variante eroica quanto in quella nostalgica).
Ascolta Roswaenge o Wittrich, la Klose o la Leider: avrai sempre la sensazione della grandezza, della super-umanità, anche quando mormoravano o sussurravano.
Non è un difetto, o per lo meno mi guarderei bene dal considerarlo tale.
Anzi, forse (unitamente alla profondità e musicalità) è il loro pregio.
Però, per tornare al tema, non avrebbe senso farsi condizionare da questi modelli. Per distribuire una Norma o un Manrico, un Tristan o un Don Giovanni ciò che conta davvero è l'estensione, la tecnica vocale e la personalità: non il colore e non il volume.
Almeno secondo me.

Affettuosamente,
Matteo
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Messaggioda Luca » mar 12 giu 2007, 19:14

Provo ad inserirmi anche io nella discussione facendo - non so se sbaglio - il nome di una cantante che ha eseguito ruoli che per la sua voce erano off-limits e che ha rivelato zone inesplorate in personaggi quanto mai codificati in un'unica direzione. Prima però di fare questo nome e aggiungere qualche titolo quale esemplificazione, mi pare giusto quanto dice Matteo di non fare troppo precipitosamente l'equazione tra colore di voce e personaggio. Gli esempi che lui ha citato nel post introduttivo mi paiono calzanti soprattuto quando parla delle Azucene "reboanti" o delle Gilde "gallino-svampitelle". Io direi: chi ha voce copiosa la usi ma sempre in rapporto con la psicologia del personaggio (non sempre ciò si è realizzato !), chi invece ha una voce di non eccessive qualità estetiche (una voce cioè tradizionalmente bella e ricca, ossia tipo Tebaldi) lavori sull'accento e sulla resa del personaggio (e qui qualcosa si è visto e udito).

A questo punto svelo l'arcano: la voce e l'artista di cui sopra è R. Scotto. Devo dire che nel periodo italiano post-Callas questa cantante ha compiuto prove degne di memoria preferibili a quelle di altre più dotate. Due soli esempi: la sua Abigaille in disco (e qui mi muovo con agio sapendo che questo sito è particolarmente attento ai dischi) è da ascoltare e forse preferibile come acume interpretativo a quella tanto fluviale e strapotente della Dimitrova. D'accordo, mi potreste ribattere, ci sono le oscillazioni in alto, però sono più propenso ad assolvere queste mende che non a sbucciarmi le mani per il "carro armato Dimitrova". Analogo discorso lo faccio per Norma che mostra in alcuni punti soluzioni davvero nuove. Ecco due personaggi esemplificati (davvero impensabili a quella debuttante Amina che sostituì la Callas a Edimburgo e che qualche anno prima impersonò Walther in Wally con la Tebaldi a Milano), ma uniamoli a tutta una carriera che ha toccato diverse tipologie di personaggi e sappiatemi dire se talune categorie sono ancora adatte.
Forse - e lo dico con un tocco di provocazione - sarà necessario tener conto, nel momento in cui si ascolta e si giudica un determinato cantante, del fattore intelligenza oltre che preparazione ?


Salutoni, Luca.
Ultima modifica di Luca il mer 13 giu 2007, 22:03, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda gianluigi » mar 12 giu 2007, 19:15

sono perfettamente d'accordo con mattarazzi. è dagli inizi degli anni 1950 che il malcanto,soprattutto maschile, ha occultato una gloriosissima tradizione che durava da più di un secolo. è vero, più o meno questa era la regola : colore scuro, voce grossa = drammatico. niente di più sbagliato. è anche vero che proprio in quel periodo sono venuti fuori cantanti eccezionali, come la callas, la tebaldi, bergonzi,corelli e pochi altri. ma questo problema penso abbia più investito le voci maschili. dobbiamo rendere grazie a mario del monaco per averci regalato un otello isterico, macho,volgare, tutto muscoli e zero classe.ora, senza discutere sul supposto eccezionale carisma di questo cantante, a nessuno è venuto in mente in quel periodo, tra pubblico e critica, che otello era si un prevaricatore, ma pur sempre un condottiero della serenissima,nobile e d'alto rengo?qualcuno l'ha detto ma è stato tacciato di incompetenza.si riteneva che, con quel tipo di voce, fosse l'otello ideale,ignorando che verdi preferiva de negri e tamagno, che erano tenori stentorei ma sostanzialmente chiari. e nutriva perplessità su tamagno perchè non sapeva usare la mezzavoce e non modulava come voleva lui. quand'è che modulava mario del monaco? se lo faceva, la voce andava indietro, la mezzavoce tremava e il suono s'offuscava. bastianini penso essere un altro che puntasse sul volume/colore. voce dotatissima in natura, sarebbe stato il più grande baritono del mondo se avesse saputo veramente cantare sfumato, con duttilità. fortunatamente giunse corelli, dando prova che una voce grossa, con una tecnica sana può essere pieghevole, morbida e adattabile ad ogni tipo di sfumatura.
i tenori, nell'800, alternavano ruoli drammatici a leggeri, anche in una stessa tournè. le tesimonianze discografiche che ci hanno lasciato gli ultimi esponenti di questa tradizione ritraggono voci chiare, ma vibrantissime e ricche d'armonici.parlo anche dei baritoni. ciò che rende grande un interprete non è il volume della voce, ma la tecnica e la duttilità con cui è impiegata.
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Messaggioda pbagnoli » mar 12 giu 2007, 21:58

gianluigi ha scritto: dobbiamo rendere grazie a mario del monaco per averci regalato un otello isterico, macho,volgare, tutto muscoli e zero classe. ora, senza discutere sul supposto eccezionale carisma di questo cantante...quand'è che modulava mario del monaco? se lo faceva, la voce andava indietro, la mezzavoce tremava e il suono s'offuscava

Ossignùr, Gianluigi!
Non credo di essere tacciabile di delmonachismo, ma pur se guida è la ragione al vero (come direbbe Jago, tanto per stare in tema) dobbiamo una volta per tutte eliminare tutti i pregiudizi e riconoscere pochi e ben chiari concetti.
E' ben vero che non ricorderemo Del Monaco per le mezzevoci, ma questo non vuol dire che all'occorrenza non sapesse tirarle fuori, eccome; proprio recentemente Roberto Scandurra mi ha fatto ascoltare un duetto del primo atto di Otello (con la Pobbe, se non ricordo male) in cui il tenore fiorentino si esibisce in alcune smorzature molto belle che dimostrano - al di là di ogni ragionevole dubbio - che questi abbellimenti facevano parte del suo bagaglio culturale, eccome. E la voce non andava affatto indietro né si offuscava il suono, che anzi fa tremare ancora gli amplificatori domestici!...
Il punto è un altro: perché non usava le mezzevoci? Perché stilisticamente non gli interessava!
E qui arriviamo al nocciolo del problema, e cioè che Del Monaco, in modo analogo a Di Stefano (pur pervenendo a risultati diversi nella forma, non nella sostanza), faceva un uso trascendentale del declamato che, in bocca sua e in determinati ruoli, arrivava a vette di espressività straordinarie.
Un paio di esempi? Il suo Enée, per dire; oppure il suo Samson; o ancora il suo Loris, inciso in età ormai avanzata, ma ancora con una violenza espressiva bruciante frutto di un declamato che spendeva ( e alla grande! ) le proprie ultime risorse.
Che poi questo sito si faccia promotore di un modo diverso di cantare Otello, questo è un altro paio di maniche, e non c'entra nulla col declamato delmonachiano che era il suo modo peculiare di cantare, ma solo col ruolo di Otello che perde non con Del Monaco, ma con chi l'ha voluto imitare senza averne le caratteristiche!
Ora, quest'istanza che tu riporti è un vecchio cliché della critica italiana - i cui capofila sono ben noti - che hanno dato al pubblico i criteri guida che, ben lungi dal permettere di ragionare sull'evoluzione del canto, hanno solo fornito algoritmi in cui incanalare un pensiero comodamente fissato sulla base di qualche casella su cui mettere crocette! Ed è per questo che da anni non ci spostiamo da 3-4 concetti di base. Ed è per questo - concedimelo - che in definitiva è nato questo sito che, altrimenti, non avrebbe avuto nessuna ragione di vedere la luce.
La riprova di quello che dico sta in quest'altra tua affermazione:
fortunatamente giunse corelli, dando prova che una voce grossa, con una tecnica sana può essere pieghevole, morbida e adattabile ad ogni tipo di sfumatura.

Niente di più falso!
Corelli, il possente Corelli, piegava sì il proprio vocione a qualche mezzavoce estremamente estetica, ma aveva un modo di articolare la frase nettamente più vecchio di quello di Del Monaco: portamenti ascendenti costanti e tono perennemente piagnucoloso. Hai mai sentito la Fanciulla della Scala, quella con la Frazzoni e Gobbi? O, per dire, il terribile Trovatore milanese del 1962? O anche la celeberrima, coeva Tosca del Met?
A fronte di queste lagne terrificanti - queste sì vecchie come il cucco (i tenori tedeschi di cui parla poco sopra Matteo le avevano ampiamente abolite già negli Anni Trenta, dimostrando una modernità di eloquio che lascia ancora oggi sconcertati) - il buon vecchio Mario, per inciso anche interprete wagneriano di rilievo, dimostra una visione nettamente più moderna del canto.
Se poi mi dici che bisogna superare il suo Otello, come sai, sfondi una porta aperta; ma non al prezzo di rigirare la storia attribuendogli colpe che non ebbe
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Messaggioda dottorcajus » mer 13 giu 2007, 1:46

Il lavoro al sito mi ha distratto dal forum. Prometto che domani darò il mio parere su questo ed altri interessanti quesiti.
Intanto un avvertimento per chi vuol visitare il mio sito:
PER ASCOLTARE I FILES AUDIO OCCORRE USARE EXPLORER. I files audio sono del baritono AINETO, dei bassi AZZOLINI, FRANCHI, LANZONI ed altri.
Roberto
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Messaggioda gianluigi » mer 13 giu 2007, 2:20

beh, l'argomento sarebbe inesauribile. da quello che dici si capisce che ti piace e ti esalta l'otello di del monaco. a me,tutto l'opposto.quindi non finiremmo mai di parlarne,come mi è successo già altre volte con altri sostenitori di del monaco. con ciò non voglio dire che tu sia un suo fan sfegatato. però, come dici, preferisci il suo declamato che la lagna di corelli. a parte il fatto che il declamato del miglior corelli poco aveva da invidiare a quello di del monaco, l'otello di quest'ultimo l'ho sempre pensato come "non verdiano". quest'aggettivo è stato impiegato talmente tante volte che forse l'averne abusato ne ha offuscato il vero significato. per me, verdiano, vuol dire soprattutto nobile. anche nel declamato. e mario del monaco non era nobile. che poi fosse elettrizzante nell'esultate e in tutti i passi declamatori, questo è un altro paio di maniche. ma nei punti-molti anche nell'otello, a dire il vero-in cui il declamato non c'è,non dirmi che ascolti un grande otello! tu dici che del monaco usava poco le mezzevoci perchè non era stilisticamente interessato.nelle sue registrazioni di otello, nel duetto d'amore del primo atto,in dio mi potevi scagliar e nella scena della morte io ascolto suoni che nel piano rimangono tremuli ed è ben palese lo sforzo del cantante ad assottigliare la voce. dei cantanti tedeschi che tu citi a cavallo tra le due guerre, ce n'è uno che ci ha lasciato pochi brani di otello,ma illuminanti. sto parlando di lauritz melchior, il cui otello è molto più sfumato di quello di del monaco.e ha un declamato nobilissimo,aulico,che va bene anche in otello ed è qulacosa di autenticamente verdiano.
dici che corelli è una lagna. questo, penso che faccia più parte del gusto personale. ma l'hai sentita l'aida del '66 con la nilson? il trovatore del '64 con la tucci? il poliuto del '60 con la callas?la battaglia di legnano del '61? tu citi la tosca del '62, forse intendi quella del met con la price e macneil,ti sembra un tenore piangione??proprio quella tosca è stupefacente per la bellezza con la quale è emessa questa voce enorme. eppure pieghevole. tu parli di sottilissime edulcorate mezzevoci,ma corelli la mezzavoce non l'usava spesso. amava piuttosto assottigliare i suoni senza trasformarli in falsetto. quelle registrazioni che ti ho citato ne sono una prova. è vero, spesso è caduto nel generico anche lui, ma quanta differenza c'era col collega fiorentino..
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Messaggioda VGobbi » mer 13 giu 2007, 8:23

MatMarazzi ha scritto:... il problema non è tanto quello di "classificare" il cantante Pinco Pallino.
Il vero problema (quello drammatico) è quando queste categorie (volume-colore) sono applicate ai personaggi.
Il problema è quando ti dicono che Otello è un tenore "drammatico" o Riccardo del Ballo un "lirico-puro-quasi-spinto" e che Arturo dei Puritani è chissà cosa!
Il problema è quando si usano categorizzazioni di volume e colore per definire i ruoli del repertorio ottocentesco e magari si fanno i cast sulla base di questi criteri.

Messa la questione su questo punto, concordo in toto anche perche' e' obiettivamente impossibile non definire in quale categoria rientri la voce di un cantante. Pero', se me lo concedete, qualche dubbio l'avrei. Mi spiego. Prendiamo ad esempio l'Otello di Tamagno, tenore "chiaro". L'avvento di Del Monaco ha scombussolato il modo di interpretare Otello. Sara' errata o meno la lettura delmonachiana, questa non lo posso dire. E' che pero' i gusti musicali col tempo sono cambiati, tanto che concepire il Moro affidandosi a voci di timbro chiaro, almeno negli anni '50-'60 era pressoche' inconcepibile. Di conseguenza, ritengo non di facile soluzione tentare di ripristinare i ruoli come venivano cantati da interpreti di fine ottocento/inizio novecento.


Sulla querelle Del Monaco, appoggio in toto le opinioni espresse da Pietro (e vi assicuro che mi capita assai raramente :shock: ).

Del Monaco, se vocalmente non era ineccepibile, interpretativamente era qualcosa di sovrumano, dove grazie alla sua forza del declamato sapeva davvero sconvolgere l'ascoltatore. Che poi fosse parco di mezzevoci, purtroppo e' vero.

Su Corelli, quanto a tecnica vocale sicuramente era maggiormente dotato di Del Monaco, anche aiutato da un timbro decisamente piu' ricco, eppure mi ha sempre lasciato piuttosto freddo per la banalita' con cui affrontava i personaggi.
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Messaggioda bergonzi » mer 13 giu 2007, 10:48

L'argomento è troppo vasto e dispersivo, a meno di essere concentrato su 1 cantante specifico, oppure su alcuni cantanti paragonati fra loro.

Su Del Monaco, concordo con Pietro.
Su Corelli, invece, sono in disaccordo. Non lo amavo, proprio perchè pensavo fisse "lagnoso". Poi, la Barcaccia me lo fece scoprire piano piano: comprai altre registrazioni del buon Corelli e lo trovai veramente superlativo in parecchi personaggi. Non rappresenta il mio ideale di tenore, non è il mio preferito, ma è sicuramente fra i più grandi tenori del dopoguerra e, a volte, insuperabile.
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Messaggioda MatMarazzi » mer 13 giu 2007, 12:26

Bene, bene.
Sono venute fuori tante questioni tutte insieme.

Vittorio ha scritto:Se la Callas ha raccolto quanto seminato da altri, si potrebbe individuare a chi dare il merito di questa rivoluzione musicale?


Non ho detto questo. Ho detto che mentre la Callas sovvertiva le regoline classiche del repertorio ottocentesco (Bruennhilde e Amina, tanto per fare un esempio), in Austria si scatenava la liricizzazione dei ruoli di Strauss e Mozart (sopranini chiari e delicati come la Seefried, la Della Casa, la Schwarzkopf alla conquista di Ariadne, Marescialla, Componist), a Bayreuth si procedeva sulla stessa strada: Windgassen in Tristan, Crespin in Kundry, Silja in Isolde. Poco dopo tutte le Lucie divennero Norme, tutti i Riccardo divennero Radames, tutti i Masetto divennero Don Giovanni, tutti i Walther divennero Tristan.
Il processo di sovvertimento delle regole classiche fondate sulla "grandezza" della voce coinvolse, nello stesso periodo, tutto il mondo dell'opera.
Affermare quindi che derivi in toto dalla Callas mi sembra eccessivo: lei fu parte (e che parte!) di un fenomeno generale e planetario.

Luca ha scritto:la voce e l'artista di cui sopra è R. Scotto.

L'esempio della Scotto è meravigliosamente calzante, Luca.
Quando cantava Lucia e quando cantava Abigaille la voce era la stessa (per colore e per volume).
Cambiava solo l'accento e di conseguenza l'immagine psicologica del personaggio.
Dobbiamo smetterla di pensare che la voce "grossa" o "scura" sia sintomo di cattiveria.
La Silja, con la sua vocetta chiara e acuta, è terrorizzante in Kostelnicka, mentre la Randova (con la sua voce grossa e scura) è paccioccona e tenera.
La drammaticità o il lirismo sono frutto di accento e di fraseggio. Non di colore o volume vocale.
La Lady Macbeth della Scotto (checché tu ne dica) a me pare una delle più convincenti in assoluto.

gianluigi ha scritto:è dagli inizi degli anni 1950 che il malcanto,soprattutto maschile, ha occultato una gloriosissima tradizione che durava da più di un secolo.

Io, veramente, Gianluigi, parlavo del trentennio precedente.
Gli anni 50, anzi, a me sono parsi rivoluzionari e importantissimi per la storia del canto. Si sono sperimentate nuove vie, si è andati oltre i sentieri battuti, insomma (piacciano o non piacciano gli effettivi risultati) sono stati anni di ricerca e sperimentazione, supportati da grandissime personalità.
Le critiche che rivolgi a Del Monaco non sono infondate, sarebbe facile accodarvisi. E' vero che il suo canto era retorico e smargiasso, che la sua personalità lo portava a esasperare tutto a mancare di sottigliezza ed è vero (non devi dirlo a me: basta vedere quello che ho scritto a proposito di Tamagno proprio in questo sito) che la sua emissione non era ideale per le caratteristiche di Otello.
Eppure - sono perfettamente d'accordo con Bagnoli - chiudere qui il suo caso sarebbe sbagliatissimo.
Da un lato c'è la forza della personalità artistica: certo, era una personalità non "educata", fondata sull'istinto, sulla semplicità di certe visioni, ma c'era vivaddio.
Poi c'era quella particolarissima emissione che fece letteralmente scuola: in un'epoca in cui si cercavano altre strade fonico-psicologiche per affrontare l'opera (anche se Celletti, nostalgico delle nobili vocalità della sua giovinezza, non era d'accordo), Del Monaco propose un'alternativa.
Un declamato tutto italiano che si fondasse sulla folgorante propulsione del suono, sulla articolazione saettante, sul martellamento spettacolare delle sillabe.
Per fare questo ha dovuto inventarsi una tecnica nuova: una nuova respirazione, una nuova amplificazione del suono, un nuovo modo di "affondare" o di passare di registro.
Ora, noi possiamo dire che tutto questo non ci piace. E' lecito ovviamente.
Però, secondo me, non possiamo affermare che è "sbagliato".
La tecnica del canto non è qualcosa di fissato per sempre: è sempre in evoluzione; non esiste (in astratto) il modo giusto o sbagliato di cantare.
Esiste una tradizione che vive e si rigenera in ogni nuovo contributo, proprio come la lingua o la scienza.
Se un nuovo contributo "passa" (ossia se colpisce la sensibilità del pubblico e comunica qualcosa) allora sarà a suo volta parte di questa tradizione.
Il contributo rivoluzionario di Del Monaco è passato eccome.
Il pubblico dell'epoca (di qualsiasi nazionalità) ne fu folgorato: come una scossa elettrica, il canto di Del Monaco conquistò gli italiani come i tedeschi, gli americani come i francesi e i russi.
Generazioni di interpreti ne seguirono i passi (o per lo meno tentarono); il suo stile da innovativo divenne "prassi".
Ora, se il suo modo di fare Otello non ti piace hai il diritto (ci mancherebbe) di affermarlo.
Anche a me, spesso, risulta irritante.
Ma mi inchino di fronte a un artista di tale personalità artistica, così generosamente disposto a seguire i propri criteri artistici, in grado di inventarsi un'emissione esattamente funzionale al suo "credo" poetico e - infine - capace di imporre la propria visione e la propria tecnica all'interesse dell'intero mondo dell'opera, che fu subito pronto ad accoglierla, ad accettarla e persino ad entusiasmarvisi.

Vittorio ha scritto:Di conseguenza, ritengo non di facile soluzione tentare di ripristinare i ruoli come venivano cantati da interpreti di fine ottocento/inizio novecento.


Non ho detto questo.
Ho solo detto che, nel distribuire i ruoli ottocenteschi, non dovremmo essere condizionati dalla questione volume-colore.
Mi spiego: tempo fa proposi Shicoff come possibile Otello odierno.
Possiamo avere dei dubbi su questa tesi, dubbi di estensione e di capacità tecnica di affrontare l'elevata tessitura e gli scabrosi vocalismi.
Possiamo avere dubbi anche sulle sue capacità espressive...
Non che io abbia simili dubbi; voglio solo dire che questi sono i problemi veri a cui un interprete deve confrontarsi quando affronta un nuovo personaggio.
Non il fatto di aver la voce abbastanza grossa o abbastanza scura.

Così almeno la penso io.
Salutoni,
Matteo
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Messaggioda gianluigi » mer 13 giu 2007, 17:01

immaginavo di suscitare molti dissenzi sul fatto del monaco. pensavo che fosse addirittura meno amato. io non rinnego l'eccezionalità, il carisma di questo cantante. è alla luce dei fatti quello che è riuscito a fare, come solo una gran personalità avrebbe potuto. non intendevo neanche chiudere il discorso in modo secco. ho semplicemente espresso ciò che penso di lui, cercando anche di documentare quello che dico. tutto qui. lo trovo affascinante invece in alcune opere veriste, in cui questo declamato tanto decantato trova la sua piena soluzione. per il resto, per chiudere il discorso sull'otello, l'ho trovato sempre generico. non si può puntare tutto sul declamato. alcuni dicono che moduli benissimo, le mezzevoci non mancano all'appello, ma come sono queste sfumature? mi sembra anche che non abbia sufficiente tenuta di fiato per portare a termine un cantabile e la cosa che m'irrita di più è la concessione al gusto verista. perchè di questo si tratta. spesso si ascolta, proprio nell'otello, un del monaco lasciare spazio ad inflesioni parlate estranee all'opera e a verdi.ora, in un opera in cui il canto di conversazione è alla base, le inflessioni parlate sono più di quanto estraneo possa esserci. certo, mi direte, del monaco è del monaco. allora non dico più niente e accetto la cosa per quella che è. non senza storcere il naso però.
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Messaggioda bergonzi » mer 13 giu 2007, 17:09

MatMarazzi ha scritto:La Lady Macbeth della Scotto (checché tu ne dica) a me pare una delle più convincenti in assoluto


Hia pienamente ragione: Con Callas e Verrett, la migliore!
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Messaggioda Luca » mer 13 giu 2007, 22:17

Dobbiamo smetterla di pensare che la voce "grossa" o "scura" sia sintomo di cattiveria.
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Ben detto, Matteo ! Si tratta di una legge che regola anche la convivenza e i rapporti tra le persone e quindi possiede una forte valenza antropologica. Chi grida e usa forza non di rado ha torto ed è insicuro come chi fa sfoggio di note reboanti al 70% fallisce il bersaglio ! Cito ancora la Scotto: quante volte nel duetto "In mia man alfin tu sei" di Norma si è sentito aggiungere (Callas inclusa !) a "Indegno" un "E' tardi" a bocca e a suono larghi !!!!
Bene: andatevi ad ascoltare la Scotto (ed. Levine, Troyanos, Giacomini Plishka) che risolve tutto da grande attrice con un "E' tardi" perentorio, conversativo e non malamente declamato, eppure trafittivo.
Questa è intelligenza !!!!

Faccio un secondo esempio: in Otello di Verdi abbiamo "Quel fazzoletto (...) lo vidi in man di Cassio". Se l'effetto deve essere esplosivo (nei 2 casi di Norma e di Otello) non c'è nessun bisogno che il suono sia analogo (e spesso orrendo: ci metterei una notissima esemplificazione, ma... tralascio): altrimenti si perde l'effetto e la credibilità. E' l'effetto che è esplosivo non il suono con il quale lo si innesca: in Norma l'autocritica di Pollione, in Otello la furia del moro.
Ci sarà stato qualche baritono che lo ha capito ?

Salutoni, Luca.
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