Dido and Aeneas (Purcell)

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Dido and Aeneas (Purcell)

Messaggioda teo.emme » sab 29 set 2007, 19:20

Che dire del Dido and Aeneas? Che dire di quest "opera"? E, prima di tutto, si può parlare di vera "opera"?

Senz'altro è una tappa fondamentale nello sviluppo del genere, segna un passaggio rivoluzionario tra masque e dramma per musica, dove l'azione stessa è musicata, non semplicemente commentata o celebrata dall'intervento di cori e corifei, ciaccone e arie di danza.

Detto questo, confesso che non mi ha mai entusiasmato: non mi entusiasma Purcell e non mi entusiasma Dido and Aeneas.

Almeno fin'ora. Già, perchè spesso il giudizio su un lavoro può dipendere dalle esecuzioni ascoltate o dalle incisioni sentite.

Ora del Dido esiste una splendida edizione, da poco riapparsa sul mercato, cantato dalla Flagstad e dalla Schwarzkopf. Anno 1953.

Si capisce fin dall'overture, la chiave di lettura: tempi morbidi, lenti, dolorosi, fraseggio ampio, suono caldo, espressivo, intenso, senso della melodia e lettura omogenea, senza scatti, senza fastidiosi sbalzi ritmici, senza api impazzite che saltellano lungo i righi della partitura...

E poi le voci, o meglio LA VOCE. Voglio soffermarmi su Kirsten Flagstad. Non c'è bisogno di dire altro, basta il nome. Solo su due momenti mi concentro: l'ingresso "Ah Belinda", regale, grandioso e disperato, con una proprietà di linguaggio drammatico che non ha eguali in nessun'altra incisione dell'opera. E poi la fine: il recitativo "Thy hand, Belinda" e l'arioso "When I am laid in earth", reso con un'intensità wagneriana e con un ampiezza di respiro e fraseggio che lasciano impressionati. Non può non venire alla mente il "Mild und leise" di Isolde..stessa intensità e stessa disperazione, solenne, nobile, eroica. Stessa morte per amore.

C'è chi storcerà il naso, ma questa versione, drammatica e cantata in modo sontuoso, con una Flagstad immensa, per intensità e ampiezza di interpretazione, semplicemente seppellisce i tanti Dido and Aeneas con le orchestrine stridule sui loro finti strumenti originali, coi loro colori sbiancati e le loro stonature, coi tempi nervosi e saltellanti, con le vocine da zanzara, senza colore, senza fraseggio, noiose e pallide, che un errato concetto di filologia ci ha ormai abituato a sentire, e che è la vera sciagura del modo di eseguire la musica barocca oggi (buttando stupidamente a mare le grandi interpretazioni e letture del passato, tacciate di ogni nefandezza e di aver "romanticizzato" Bach o o Handel, come se questi nuovi soloni, questi noiosi accademici o sacerdoti di un culto basato sulla fede cieca in dogmi tutti da dimostrare - parlo dei vari Gardiner, Curtis, Jacobs, Hogwood, Minkovsky etc... per altro molto diversi tra loro e per certi versi apprezzabili - potessero ergersi su Klemperer o Furtwangler o Karajan..).

Se penso alla noia suprema del Dido scaligero, con l'orchestrina scattante che sussurrava sotto la debole bacchetta di Hogwood, e le vocine sulla scena che non arrivavano oltre la III fila di platea, opache, stonate e deboli, senza dramma, senza vigore, senza niente, e la confronto a questo...beh, non posso credere che siano la stessa opera.
teo.emme
 

Messaggioda pbagnoli » dom 30 set 2007, 21:17

Caro Teo, volevo risponderti sul forum, ma ho trovato il tuo argomento di eccezionale interesse e volevo dargli la massima visibilità.
Mi sono preso perciò la briga di inserire parte del tuo post in un editoriale che potrai leggere (se ti fa piacere) in home
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Messaggioda teo.emme » dom 30 set 2007, 23:25

Ho letto l'editoriale, con molto interesse peraltro, ma vorrei replicare ad alcune tue affermazioni.

Innanzitutto la Flagstad: mi sembra ingeneroso scrivere che nel '51 fosse ai minimi storici, quando l'anno dopo incise la celebre e celebrata (a ragion veduta) Isolde con Furtwangler. E si parla di uno dei vertici dell'interpretazione wagneriana.

E poi sulla prassi filologica barocca.

Bisognerebbe sgombrare il campo da alcuni equivoci.

1) Il barocco eseguito su strumenti finto originali non è l'unico modo di eseguire quel genere di musica, nè il più corretto (stante appunto l'artificiosità del mezzo utilizzato che, appunto è una mera COPIA).

2) Parlare di "suono vicino alle volontà dell'autore" è una chimera e una fictio mentis, nessuno di noi c'era e spesso gli organici variavano da teatro a teatro. Si sa che Handel o Bach prediligevano organici imponenti e masse corali numerose, eppure oggi i "filologi dello strumento originale" ci propinano spesso orchestrine e cori di 10 elementi. Lo stesso diapason variava da teatro a teatro.

3) I dogmi di cui parlo non si riferiscono assolutamente a doverose riduzioni di organici ad orchestre che affrontavano Mozart o Handel con compagini mahleriane (ci mancherebbe altro, grazie a Dio non si esegue più Il Messia - ad esempio - con piatti e timpani e grancasse colpi di cannone), ma a imposizioni di tutt'altra specie e che ti elenco:
- assenza di colori, di mezze tinte, di sfumature (tendenza quindi a impoverire i segni espressivi: o ffff o pppp, in mezzo il nulla)
- tempi velocissimi
- suoni fissi, stimbrati, aperti, senza vibrato
- generale nervosismo ritmico, a prescindere dal brano suonato, sia esso una danza sia una messa
- voci sbiancate che rinunciano ad interpretare, ma si limitano ad emettere suoni
- stonature frequentissime (dal vivo, in studio e nei bei cd, le cose vengono corrette)
Ora, tutte queste regole non poggiano su certezze, ma su personali convinzioni di alcuni studiosi (soprattutto anglosassoni) che non credo siano la verità rivelata, credo anzi che si possa e si debba discuterne. Perchè quindi imporre questo metodo e questa prassi come l'unica e autentica prassi esecutiva della musica barocca?

3) Ho citato alla rinfusa direttori anche diversissimi tra loro, e che non nego di apprezzare molto, ma li considero un modo di suonare quella musica, uno tra i tanti, una proposta interessante e stimolante, ma non la sola, nè la più giusta. Tanto è vero che non tutti eseguono così il barocco e Mozart, penso ad Harnoncourt (che adoro)

4) Ancora vedo, però, che si usa il metro della fila al botteghino per valutare la qualità di una proposta. A questo argomento non voglio rispondere. Dico solo che se si ritiene legittimo questo argomento allora Bocelli è il più grande cantante d'opera che sia mai esistito...

5) Infine Mozart e Jacobs: è una lettura, interessante, stimolante, anche entusiasmante, ma si possono muovere contestazioni più che fondate: prima tra tutte il voler ridurre e ricondurre Mozart alla musica barocca. Una chiave di letture, ma non la sola. Io ne preferisco altre. Non nego però l'importanza di Jacobs nell'interpretazione mozartiana (anzi, sto aspettando che mi arrivi il suo Don Giovanni, dopo aver apprezzato moltissimo le altre incisioni di opere di Mozart: su tutte la Clemenza di Tito), semplicemente contesto che sia la più corretta!

:wink:
teo.emme
 

Didone, Alceste e Flagstad

Messaggioda melomane » lun 29 ott 2007, 13:35

Sento come Voi la necessità di riconoscere al ruolo di Didone l'intensità che la dinamica della vicenda richiede.
Mi sento "scontato" nel ricordare il pregio dell'interpretazione di Jessye Norman nell'edizione diretta da Raymond Leppard nel 1986, ma voglio farlo.
L'edizione che citi è quella del 1953 (registrazione 1 aprile 1952) diretta da Geraint Jones?
Non l'ho ascoltata, ma lo stesso direttore la "rivolle" nel 1956 nel ruolo di Alceste (Gluck), dove la cantante norvegese espresse fraseggio e recitativo nobili e scanditi, assolutamente privi di leziosità, con compostezza davvero regale.
Penso possano essere gli stessi pregi della sua Dido.
Il ritiro dalle scene avvenne nel 1952 proprio con quella Dido, la parabola sul palcoscenico si concluse allora, ma l'attività concertistica, discografica e manageriale continuarono.
La Flagstad incise Alceste ben tre volte:
-1952 direttore Alberto erede
-1956 direttore Geraint Jones
-1957 direttore Johann Hye- Knudsen
a riprova della longevità dell'artista, dalla voce intatta sino all'ultima incisione.

Francesco
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Didone e Alceste

Messaggioda melomane » lun 29 ott 2007, 20:38

Mi correggo: il 1 aprile 1952 la Flagstad diede l'addio alle scene con Alceste di Gluck, ma l'anno dopo ebbe luogo questa celebrata Dido.

Un caro saluto

Francesco
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