Il vibrato nel canto (e nei dischi vecchi e nuovi)

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Re: Il vibrato nel canto (e nei dischi vecchi e nuovi)

Messaggioda DottorMalatesta » gio 06 dic 2012, 17:05

Enrico ha scritto:
DottorMalatesta ha scritto:E´come se nel canto fisso venisse adottata una concezione non strumentale della voce.


O nella nota fissa di uno strumento, caro Dottore, una concezione "non vocale" del suono.


Eh giá!!!!
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Re: Il vibrato nel canto (e nei dischi vecchi e nuovi)

Messaggioda MatMarazzi » gio 06 dic 2012, 20:24

DottorMalatesta ha scritto:(tutti gli strumenti a fiato emettono un suono piú o meno vibrane…). E´come se nel canto fisso venisse adottata una concezione non strumentale della voce.


Questo non è del tutto vero, Doc.
Pensa agli ottoni! :)
In tutto l'occidente è prassi che le trombe "sinfoniche" praticamente non vibrino, o vibrino pochissimo.
Al contrario nelle antiche orchestre dell'est Europa (almeno fino agli anni '60) le trombe potevano vibrare anche moltissimo, proprio come i legni, producendo (su noi occidentali) un effetto tremendo: da Raul Casadei! :)
Mi ha sempre fatto specie (negli anni '80) come gli stessi "tradizionalisti" che si scandalizzavano a sentire archi e soprani barocchi senza vibrato, poi si scandalizzavano anche di più a sentire, in una sinfonia incisa nell'ex Unione Sovietica, il vibrato di una tromba.
Evidentemente anche queste battaglie "vibrato sì, vibrato no" erano soprattutto istanze pantofolaie: abitudini spacciate per legge.

Mi unisco anche io, ovviamente, all'elogio e alla gratitudine per il lavoro svolto dal prof.
salutoni,
Mat
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Re: Il vibrato nel canto (e nei dischi vecchi e nuovi)

Messaggioda Enrico » ven 08 mar 2013, 18:31

GIOVAN BATTISTA RUBINI

Ho già ricordato che alcuni autori citano Rubini come presunto “inventore” del vibrato. La questione è alquanto controversa, dal momento che del celeberrimo tenore non possediamo registrazioni. Conviene vedere come la sua vocalità venga descritta da alcune fonti ottocentesche.

Avevamo discusso un po’ di tempo fa, nel thread dedicato a Chopin, la questione dell’uso del falsetto da parte di Rubini, senza arrivare a conclusioni univoche, dal momento che non sempre l’uso del termine “falsetto” sembra corrispondere al significato che ha assunto in tempi più recenti (anche di questo abbiamo discusso in un altro thread, notando come la distinzione tra falsetto – maschile o femminile -, falsettone e note di testa non è per nulla facile!).

Riprendiamo il discorso partendo dalle stesse testimomianze che avevo già citato:

“Rubini terminate le rappresentazioni al Teatro Carcano in Milano nel mese di marzo del 1831 fra le più strepitose acclamazioni di un pubblico entusiasmato, e fra inusitati onori, partì con sua moglie alla volta di Londra. Egli debuttò su quelle scene coll'opera del Pirata e gli Inglesi rimasero stupefatti, convenendo essi pure a ciò che sul di lui conto avevano letto, cioè che la sua voce è dolcissima, di un'intuonazione assai perfetta, e di più di un genere affatto particolare e talmente alta che, laddove ad altro tenore sarebbe forza usare del falsetto, egli non adopera che le migliori e più facili sue note di petto" (Agostino Locatelli, Cenni biografici sulla straordinaria carriera teatrale percorsa da Gio.Battista Rubini, Milano 1844)

Parigi, 1837, La Sonnambula: "...cantò l'andante: Il più tristo de'mortali, e l'allegro: Ah! perché non posso odiarti, con gli accenti i più appassionati e penetranti, e facendo sentire di tutta forza dei la e dei si bemol di petto di un effetto prodigioso, fece sbalordire il pubblico spingendolo in preda ad un trasporto difficile a descriversi"(Agostino Locatelli, Cenni biografici sulla straordinaria carriera teatrale percorsa da Gio.Battista Rubini, Milano 1844)

"La voce di Rubini era quella di un tenore altissimo, avente un'estensione di più di due ottave, dal mi fino al fa acuto, a cui egli giungeva in certi passaggi con un sbalzo eroico che eccitava sempre l'ammirazione dell'uditorio. [...] Egli poteva andare fino al si acuto imprimendo a ciascun suono quella vibrazione possente e virile che si chiama voce di petto. Pervenuto a questo limite estremo il cantante pareva come scomparire in un falsetto luminoso che formava con le corde precedenti un contrasto magico [...]. L'orecchio attonito seguiva il cantante nella sua ascensione fino agli ultimi confini della voce di tenore, senza scorgere alcuna soluzione di continuità in questa lunga spirale di note diversamente colorite e che spiccavano su un tessuto melodico sempre persistente. [Storia delle Lettere e delle Arti in Italia giusta le loro reciproche rispondenze ordinata nelle vite e nei ritratti degli uomini illusti dal secolo XIII fino ai nostri giorni per cura di Giuseppe Rovani, Tomo IV. Milano per Francesco Sanvito succ.alla ditta Borroni e Scotti 1858.]

Più avanti, Rovani continua così: “A questa facoltà quasi naturale in lui di passare senza trabalzo dal registro della voce di petto a quello della voce di testa, Rubini ne aggiungeva un altra non meno importante, ed era una lunga respirazione della quale egli aveva il segreto di economizzare la forza. Fornito di un petto amplissimo, in cui i suoi polmoni potevano dilatarsi a tutto loro agio, egli prendeva un suono alto, lo riempiva grado grado, e allorquando esso era compiutamente dilatato, lo gettava a così dire nella sala dove risplendeva come una fiamma di mille colori. […]
La voce di Rubini, d’un timbro delizioso e penetrante che bastava udire per rimanerne consolati, era come abbiam detto d’una flessibilità prodigiosa. Gli arpeggi, i trilli, i gruppetti, le appoggiature, le più ricche e le più ingegnose combinazioni della vocalizzazione, erano da lui eseguite con tal bravura e rapidità da lasciare appena tempo all’orecchio stordito di apprezzarne le difficoltà. Del resto la tessitura di questa vocalizzazione scintillante non era sempre della più pura qualità e mancava spesso di consistenza. Le note si succedevano troppo rapide o troppo serrate le une alle altre e il cantante non era sempre padrone di moderare la sua foga e di fermarsi nella carriera. Allora un movimento vizioso delle labbra, di cui Rubini non ha mai potuto correggersi, lasciava scorgere un certo sforzo e indicava abbastanza che l’educazione vocale era stata fatta un po’ all’azzardo.”


Se ammettiamo, contro la singolare (e, credo, unica) affermazione di Chopin, che Rubini facesse uso per le note più acute (al di sopra del si bemolle e del si naturale) di un tipo di emissione (o, se volete, di un “registro”) che poteva essere definito “falsetto” (Rovani scrive così, ed è un autore quasi contemporaneo di Rubini) possiamo anche ipotizzare che abbia una logica l’opinione di chi riteneva l’uso del vibrato funzionale all’appianamento delle differenze di emissione tra i diversi registri. Bisogna ancora una volta vedere che cosa ci dicono i critici antichi e e moderni su quest’uso del vibrato.

Celletti (“La grana della voce: opere, direttori, cantanti”) cita addiruttura Wagner come “testimone” del vibrato di Rubini; dice anzi che “Wagner, a somiglianza dei Berlioz, detestava Rubini” considerando un difetto l’emissione “belante”. Eppure la voce di Rubini non doveva essere per nulla sgradevole, se altre fonti, come sappiamo, ne ricordano soprattutto le caratteristice “angeliche”. E però, secondo un diffuso luogo comune, è pare che gli ascoltatori anglo-tedeschi tendano ad apprezzare poco le voci vibrate. Tuttavia, secondo Percy Alfred Scholes (The Oxford Companion to Music, 1955) potrebbe essersi sviluppata in Gran Bretagna una “tolleranza” del vibrato connessa col successo e con la popolarità di Rubini. Tenori della generazione successiva avrebbero poi diffuso, in particolare in Francia e in Italia, questa tendenza (Capoul, Nicolini, Tamberlick). Ma andiamo a vedere se troviamo qualche notizia più precisa e più dettagliata.

“La voce di Rubini, è una voce di tenore in tutta l’ accettazione dalla parola. Essa parte dal mi, e sale in note di petto fino al si acuto: continua in note di testa fino al fa, sempre con una giusta, eguale e perfetta intonazione. Cosi la scala che esso percorre è di due ottave ed una nota: ma questa non è che la sua estensione ordinaria, perché abbiamo sentito l'anno scorso Rubini nel Roberto Dévereux fare la scala fino al sol. […]
Uno dei prodigi di quest’arte si manifesta principalmente nei passaggi dalla voce di petto alla voce di testa e viceversa. Quando egli arriva al confine del registro di petto, il si, per esempio, il cambiamento per entrare nella voce di testa si opera in modo cosi meraviglioso, che è impossibile distinguere il momento della transizione. […]
Quella immobilità che si rimprovera è la conseguenza necessaria della sua maniera di cantare. Guardate Rubini in quei famosi adagio, quando immobile e colla testa pendente indietro per aprire al suono un passaggio più largo, fa risuonare la sua voce armoniosa e semplice che scuote e commove così profondamente. Il più leggiero cambiamento di posizione del corpo farebbe ondulare quella voce cosi sonora per sè stessa, e le toglierebbe quella eguaglianza e quel finito, il cui incantesimo non può definirsi. […]
Rubini ha perfezionata la scienza del canto, ha fatto meglio di tutto quello che si faceva prima di lui; di più l’arte va a lui debitrice di molte innovazioni delle quali tutti i metodi sono di già arricchiti. Cosi per non citarne che una sola, Rubini è il primo che abbia introdotte nel canto quelle aspirazioni vigorosa che chiamar si potrebbero a ripercussione, e consistono nel prolungare un suono sulla medesima nota prima della soluzione della cadenza. Quella scossa data alla voce, quella specie di singulto musicale produce sempre un grande effetto, ed ora non v'è più nessun cantante che non cerchi d’ imitarlo”.
[“La Moda – Giornale dedicato al bel sesso”, estensore: Francesco Lampato, 1839].

Heinrick Panofka, nel 1871, descrive, secondo il suo punto di vista, le caratteristiche del canto di Rubini. Bisogna tener presente che si tratta di un trattatista che polemizza contro le degenerazioni del canto moderno e che considera l’emissione di petto (e in particolare l’invenzione del do di petto) come la principale causa della morte del bel canto e dell’arte. Rubini quindi diventa anche un simbolo dei mitici tempi in cui si cantava bene e c’erano ancora le belle voci di una volta:

“La voce di Rubini era ad una volta d’una maschia possanza meno per l’intensità del suono che pel suo metallo vibrato della più nobile lega e d’una rara flessibilità al pari d’un soprano leggiero cosicchè egli arrivava alle più alte note del soprano sfogato con una sicurezza ed una purezza d’intonazione così maravigliose che si sarebbe tentati di crederlo un castrato. Rubini teneva, ad un tempo, del tenore di forza e del tenore leggiero e cantava in modo impareggiabile ed ugualmente bene la parte d’Otello e la parte d’Almaviva, di Pollione e d’Arturo, d’Elvino e di Don Ottavio. […]
Uno de rari meriti di questo cantante consisteva nel potere cantare pianissimo, e far già così un grande effetto; di servirsi del primo registro (volgarmente e falsamente chiamato di petto) fino al sol solamente, e d’avere unito il primo al secondo registro in modo da potere, senz’ombra di sforzo, emettere collo stesso vigore il sì b il sì e il dò. Così il suo dò non è mai stato chiamato dò di petto; ma era più bello, più luminoso, più potente che la nota forzata dei tenori del dò. I quali non si possono abbastanza biasimare, perchè hanno ucciso l’arte del canto e un buon numero di poveri giovani, i quali avrebber potuto esser utili sui teatri; senza la manìa di cercare prima di tutto il dò per ispaccarsi il petto.”
(H.Panofka, Voci e Cantanti, Firenze 1871, pp.98-99).

Un certo “sig.Genero”, tenore ricordato come interprete di Gualtiero nel Pirata a Genova, in una recensione del 28 marzo 1830 (L’ECO, num.64), ha tra i suoi pregi “nobiltà e forza d’azione” e “metodo di canto vibrato, espressivo ed atto a commuovere efficacemente chi ascolta”. Quel “vibrato”, riferito al metodo di canto, vorrà significare genericamente appassionato, o può indicare un eventuale rifarsi dell’interprete al modello di Rubini?
Sicuramente gli ascoltatori e i critici inglesi furono tra i primi a notare come “novità” il vibrato utilizzato da Rubini già a partire, pare, dalle sue esibizioni londinesi del 1831.
Nel 1862 un critico inglese, Henry Chorley, che trovo citato nel testo di J.A.Stark al quale diverse volte ho già fatto riferimento all’inizio di questa trattazione, scriveva che Rubini aveva già sviluppato prima di andare a Londra “that sort of thrilling or trembling habit” che, dapprima nuovo, in seguito “has been abused ad nauseam”.

Il giudizio di Garcia
Il critico vede quest’espediente come segno di una voce non più giovane (ma Rubini aveva 35 anni!) che doveva mascherare la difficoltà nel cantare mezzo forte o piano esasperando i contrasti. Pare che una simile critica fosse mossa a Rubini anche da Garcia, che giudicava il vibrato un esecrabile abominio, e citava un “eminente vocalista” che non riusciva ad eliminare il tremolo dalla voce che invecchiava e però ne aveva fatto una sorta di manierismo utile alla manifestazione di intense emozioni: artificio apprezzato dal pubblico di Parigi e imitato da altri. Questo però fa credere che il vibrato rifiutato da Garcia fosse quello tipico delle voci “vecchie”, l’oscillazione irregolare, il vibrato lento e incontrollato, il “cattivo” vibrato di cui, come abbiamo visto, altri teorici e musicisti avevano altre volte parlato.

Dubbi e ipotesi
Ciò che possiamo dire con una certa sicurezza è che molti autori della seconda metà dell’Ottocento e poi del Novecento, siano critici musicali o esperti di tecnica vocale, tendono a considerare il vibrato come un difetto, un vizio da evitare; concordano sul fatto che l’uso del vibrato da parte di Rubini fosse sentito come nuovo da parte degli ascoltatori dell’epoca, e pongono sempre il dubbio sulla natura di questo vibrato. Se, come dice Garcia, si trattava di un vibrato “incontrollabile” (oscillazione della voce indipendente dalla volontà dell’esecutore), dovremmo intenderlo come effetto inscindibile dal suono stesso ma, a maggior ragione, difficilmente utilizzabile a fini espressivi; se invece dovessimo ammettere che si trattava di un espediente utilizzato di tanto in tanto per aggiungere intensità emotiva ad alcune particolari frasi, torneremmo al concetto di vibrato aggiunto al canto come abbellimento (ma, in questo caso, non avrebbe senso parlare di novità); se invece potessimo affermare con sicurezza che l’espediente servisse veramente a uniformare l’emissione permettendo il passaggio da un registro all’altro, dovremmo considerarlo un vibrato intenzionale, aggiunto al suono ma utilizzato con una tale continuità da apparire ugualmente connaturato al suono stesso.

Intermezzo musicale
Non potendo ascoltare la vera voce di Rubini, ognuno di noi potrà immaginarla nei modi più vari, eventualmente mettendo insieme le caratteristiche di diversi cantanti, antichi e meno antichi, che interpretando ognuno secondo le proprie capacità e con la propria tecnica celebri brani con vibrato largo o stretto, accentuato o appena percettibile, possono in qualche modo aiutare la nostra fantasia. E il discorso, naturalmente, non finisce qui…

Bellini: Il Pirata: Tu vedrai la sventurata


Donizetti: Don Pasquale: Com’è gentil


Bellini: La Sonnambula: Prendi, l’anel ti dono


Bellini: I Puritani: A te o cara


La Sonnambula: Ah perché non posso odiarti
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Re: Il vibrato nel canto (e nei dischi vecchi e nuovi)

Messaggioda Enrico » sab 09 mar 2013, 20:45

Strumentisti coloristi

L’esame dell’influenza rubiniana sulla prassi strumentale ottocentesca può produrre riflessioni interessanti anche riguardo alle questioni terminologiche che abbiamo più volte segnalato.
La Revue et Gazette Musicale de Paris (n.71, 1840) recensisce un “Concert donné par M.Hauman” (= Theodore Hauman, 1808-1878, violinista belga) che si conclude con una fantasia composta dallo stesso esecutore su motivi della Lucia. Citiamo in francese, prima di commentare dettagliatamente:

"M.Hauman est venu terminer le concert par sa fantaisie de violon sur les motifs de la Lucia. Il a déployé, il a mis en dehors dans ce morceau tout ce que le violon renferme d’expansif et d’exubérante sensibilité, il suono vibrato le hoquet musical et dramatique des chanteurs italiens et tout le tremblement ou trémolo inventé par Rubini, imité par Batta sur le violoncelle en faveur du beau sexe, perfectionné par de Bériot et que nous ne désespérons pas de voir introduit dans l’enseignement du piano et réduit à des proportions mathématiques par Kalkbrenner. Enfin par ces fameuses notes vibrantes et pantelantes M.Hauman a ému son public de telle sorte que une partie des auditeurs l’a demandé pour lui témoigner sa satisfaction son admiration et son émotion."

Troviamo in questo testo un accostamento tra la maniera esecutiva del violinista e lo stile dei cantanti italiani (e in effetti si tratta dell’esecuzione di motivi tratti da un’opera italiana); termini che abbiamo visto applicati alla vocalità di Rubini utilizzati qui per descrivere particolari effetti strumentali finalizzati all’espressione di una esuberante sensibilità; un suono vibrato che, a quanto pare, è da intendere come qualcosa di diverso dal tremblement o tremolo inventato da Rubini, così come le hoquet musical e dramatique (il “singhiozzo” musicale!) rappresenta ancora qualcosa d’altro e di diverso da un semplice vibrato. Si parla infine delle famose note vibranti e pantelantes (“ansimanti” ? ) che incantano ed emozionano il pubblico. E non solo: c’è sintetizzata la vicenda del passaggio del tremolo rubiniano dalla prassi vocale a quella strumentale: il tremolo, inventato da Rubini, imitato da Batta sul violoncello, perfezionato da De Bériot e passibile di riduzione a proporzioni matematiche nell’insegnamento di Kalkbrenner, il pianista celeberrimo del periodo in cui Chopin arrivò a Parigi (e da cui lo stesso Chopin prese lezioni), ideatore di un metodo pianistico incentrato sulla ricerca timbrica e sullo studio del “tocco” che potrebbe rappresentare in campo pianistico (ma qui ci vorrebbe un intervento del nostro Triboulet) l’equivalente dell’innovazione timbrica e tecnica introdotta da Rubini nel canto e imitata da Batta e da De Beriot e da Hauman sugli strumenti ad arco.

Degli autori citati, purtroppo, non è facile trovare registrazioni:
Alexander Batta è un violoncellista nato a Maestricht nel 1816 e diventato celebre, anche lui a Parigi (dove era adorato dal pubblico femminile), per la capacità di imitare col suo strumento gli effetti vocali di Rubini, non solo per l’uso del tremolo ma anche per l’esasperazione dell’alternanza improvvisa del forte e del piano senza gradazioni intermedie: purtroppo le sue composizioni oggi sono del tutto dimenticate, né conosco vecchie registrazioni che possano darci un’idea su come esecutori di fine’800/inizio’900 potessero conservare memoria di questi effetti “rubiniani”.
Di Hauman si può ricordare il “Duo brillante” op.13 sulla preghiera da Otello (di Rossini), con la parte violinista composta appunto da Hauman e quella pianistica conposta da Sowinski; collaborò allo stesso modo anche con Liszt: ma non conosco nessuna registrazione.
De Bériot è stato autore anche lui, tra le altre cose, di fantasie su temi d’opera (ricordo i “Souvenirs Dramatiques” dalla Norma, e dal Don Giovanni, e dalla Sonnambula, eseguiti tra un pezzo e l’altro da un quintetto di strumentisti durante il concerto veneziano di Joan Sutherland e Richard Bonynge del 1982, di cui possiedo la registrazione televisiva ritrasmessa dal circuito “Cinquestelle” – sì, era una rete televisiva – quando io avevo circa dodici anni: e per fortuna sapevo già usare il videoregistratore!); purtroppo il “tubo” ci offre poco anche di questo autore, e l’unico brano che potrebbe essere veramente significativo lo possiamo trovare nel sito del catalogo Victor: l’Andantino dal secondo concerto per violino, qui eseguito con accompagnamento pianistico nel 1904 dal violinista Charles d’Almaine (1871-1943); consiglio di ascoltare il Take 2, nel quale mi pare che il suono sia leggermente migliore:
http://victor.library.ucsb.edu/index.php/matrix/detail/200002249/B-1255-Andantino

Di Friedrich Kalkbrenner si trova qualcosa in più, e, prima di cercare l’eventuale collegamento tra la sua ricerca timbrica e l’uso del vibrato nel canto, possiamo ascoltate queste Variazioni brillanti su un tema di Bellin, eseguite da Barbara Fry:


Il problema sta sempre nel cercare di capire quale debba essere la differenza di significato tra “vibrato” e “tremolo”: trovo un testo del 1905 in cui un tal P.Gegembre Hubert dice che Rubini inventò il vibrato, che oggi (1905) fa parte del bagaglio tecnico di qualunque buon cantante: ma “the vibrato is the mother of the tremolo”, e il tremolo, nel canto, è un "vizio pernicioso": di nuovo la solita distinzione tra vibrato “buono” e tremolo “cattivo” .

Ma ci chiediamo, di nuovo, che cosa abbia a che fare tutto questo con il pianoforte. Ci può aiutare uno scritto di Francesco Lucca, dalla rivista “L’Italia Musicale” (n.87 e n.88, del 1851), che fa la storia delle scuole pianistiche fino ai suoi tempi, e distingue i pianisti in tre epoche, distinguendo inoltre tra “scuola delle dita” e “scuola delle braccia”. Cito le parti più significative del lungo articolo:

Clementi, Cramer, Dussek, Gelineck, Sleibelt sono i fondatori della prima epoca. Questi grandi pianisti si facevano distinguere una grande uguaglianza di tocco ed una purezza di esecuzione irreprensibile. Si rimarca nei loro esercizii un impasto delizioso. Le composizioni avevano un impronta di semplicità pressoché verginale. […]
La musica in seguito ha perduto il suo carattere di semplicità essa divenne drammatica. I fabbricatori di cembali s’accorsero essi pure che l’istrumento aveva dei polmoni troppo deboli. Si fabbricarono dei piano-forti più voluminosi. […]
E.Herz comincia la seconda epoca del pianoforte. Per l’arditezza della sua esecuzione, per la fattura delle sue composizioni e specialmente per la condotta più graziosa delle sue brillanti variazioni egli fa dimenticare quanto v’ebbe prima di lui. Com’è timida e prudente la scuola di Cramer, cosi è ardita quella di Herz. Tutto in lui ha più vasti confini. Egli si presenta con una esecuzione brillante. La mano sinistra che sino allora aveva avuto solamente una parie secondaria s’innalza quasi eguale alla sorella. Avvi nell’accompagnamento un disegno più svariato e sopratutto maggior ricchezza d’ armonia. Il suono del cembalo diventa doppio. Si osò scrivere delle variazioni intere con ottava, si tentò delle estensioni da far disperare la maggior parte dei pianisti. Pareva fosse una gara per comporre ciò che non si potesse eseguire. A capi di questa scuola sono da collocarsi E.Herz, Osborne, I.Herz, Czerny, Kalkbrenner, Chaulieu e Rosellen. Due pianisti più elegiaci sembrano distaccarsi un poco da questa brillante società: intendiamo parlare di Chopin e di Bertini. Bertini è un pianista rimarchevole specialmente per l’elevatezza del suo stile e per una ricca ed elegante armonia. […]
Anche Kalkbrenner si allontana un poco dagli altri. Egli vedeva mal volentieri dimenticata la severità dell’antica scuola e perciò volle fermarsi con un piede sull’antica ed un altro sulla nuova. Malgrado la rivoluzione operata da Thalberg, si mantenne sempre l’ardente partigiano del passato, protestando costantemente contro la corruzione dello stile: egli è il pianista conservatore.
Enrico Herz dovette alla sua volta cedere lo scettro a Thalberg che seppe egli pure costruire un nuovo avvenire per la potente sua individualità. Le sue qualità non si trovano in alcun altro: egli è allievo di sé medesimo. Questo pianista si fa distinguere per alcuni effetti di sonorità meravigliosi. Il di lui suonare è nervoso senza durezza, dolce senza mollezza. Sa ottenere dal cembalo un volume di suono che colpisce; e con una grande sobrietà di movimenti ha forza senza strepito, calma nell’ ispirazione freno nello slancio. […]
Nelle ottave specialmente Thalberg dà prova della potenza della sua esecuzione: non s’intese mai cosa che possa essergli paragonata. […] Fa delle ottave ogni qualvolta ha bisogno di forza e di energia; canta ottenendo un volume di suono ch egli solo sa trarre dal piano-forte; l’impasto delle sue note melodiche è perfetto, ma ciò che caratterizza il di lui stile è il poter cantare ed accompagnare con la mano medesima. Spesso l’espressione del canto è affidata alternativamente ad ambe le mani, per cui ne risultano degli effetti stupendi, i quali appena si potevano indovinare nei primi concerti di questo pianista. Thalberg ha cambiato pure il terreno melodico. Il suono di questa parte dell’istrumento è più dolce, più omogeneo, più vibrato, né così secco come nelle note più alte. La rivoluzione operata da Thalberg si riassume in una parola: egli ha istrumentato il piano-forte. […]
Thalberg attacca la nota molto dappresso, tre linee al dissopra del tasto. Per ciò la mano cade più confidente, più potente, e sopratutto senza la più piccola esitazione; e siccome la confidenza è figlia della forza, così ne risulta maggior energia e tranquillità nell’esecuzione. Allorché si leva troppo la mano si resta esposti a certe oscillazioni che nuocono alla qualità del suono ed alla nettezza dell’esecuzione, forse anche per ragione fisica."


Anche qui si parla di una oscillazione in senso negativo, prodotta dall'alzare eccessivamente la mano mentre si suona. Mi pare significativo il significato che sembra assumere l’aggettivo vibrato: probabilmente indica un suono più bello, pieno, morbido, pastoso, potente, ricco di armonici e quindi anche espressivo. Dovremmo interpretare in questo senso anche il “metodo di canto vibrato” di cui si parlava a proposito del tenore Genero, interprete di Gualtiero? Anche nel caso delle osservazioni sul concerto di Hauman potremmo fare una simile distinzione: il suono vibrato indica forse la pienezza e la ricchezza della sonorità, mentre il tremolo sarebbe l’effettivo vibrato come lo intendiamo noi.
Nella voce di Rubini, che per l’epoca di cui parliamo è il nostro principale riferimento canoro, potremmo immaginare da un lato ricchezza e pienezza di timbro, associata all’alternanza improvvisa del piano e del forte, e all’alternanza dei diversi registri vocali: il tutto impreziosito e reso più brillante e scintillante dall’uso del tremolo.

Il “Felsineo”, giornaletto settimanale pubblicato a Bologna (anno 3°, 1842-1843) ci dà notizie di un’accademia musicale tenuta in casa di Mercadante, e citando da altri giornali, riporta, tra l’altro, queste impressioni sull’arte del giovane pianista Golinelli:

“Il suo gran distintivo è l’espressione ed il buon gusto. Egli a nostro credere non bada alla materialità del suo istrumento, non si propone divenire un giuocatore celerissimo di tastiera, ma vuole alla sua tastiera far parlare un linguaggio ora vivo, ora mesto, ora forte, ora debole, ma come onda continuata, come canto umano senza salti di note, e con tal legamento che tu dubiti spesso se sia corda o fiato che muove quell armonia. Abbiamo udito molti e molti suonatori, e quasi tutti volevano farsi ammirare per sola agilità: questi no: pacatamente sembra che canti un colorista come Rubini. Da tutti gli altri giornali di Napoli si proclama il Golinelli perfetto nell’arte, singolare nel sentimento; ed II Lucifero più particolarmente dice che nell’adoprar esso con forza un suonar vibrato fa intendere la pienezza dei concenti e passa con tale grazia dal robusto al leggiero e gentile che molce gli animi e sì li commuove nel ripigliare i crescenti, ed inoltre che signoreggia il piano-forte con tale facilità da velare agli uditori la fatica dell’arte mentre ne disvela la venustà.”

Anche in questo caso c’è il suonar vibrato, e c’è il paragone con Rubini, anzi con il colorista Rubini! a meno che (e tutto sarebbe possibile nella pazzesca confusione di termini che dobbiamo affrontare) il colorista a cui si fa riferimento non debba essere identificato con un Gio.Battista Rubini, “detto dal Cignaroli celebre copista”, discepolo del pittore Antonio Balestra, “buon colorista, e buon disegnatore” [Il Polografo, Giornale di Scienze Lettere ed Arti, 1833]. : Chessygrin :

Sul metodo di Kalkbrenner e sul suo significato non mi dilungo: chi volesse approfondire può trovare notizie facilmente, per esempio in un testo su Chopin di Piero Rattalino, consultabile anche in rete in anteprima molto ampia : http://books.google.it/books?id=nUq7-QgYDLEC&pg=PA28&dq=kalkbrenner+vibrato&hl=it&sa=X&ei=vzk7UeawO8qjtAaRwoGYDg&ved=0CC8Q6AEwAA#v=onepage&q=kalkbrenner%20vibrato&f=false
Trovo però significativa, per il nostro discorso, un’informazione fornita da Rattalino in una nota alla pagina 28: parla del violinista polacco Lipìnski, che cercava di ottenere dal suo strumento sonorità particolarmente dense e potenti: “Nel Concerto Militare op.21 di Lipìnski troviamo più volte, nelle note doppie, la didascalia <<Arco attaccato con una forza uguale alle Due Corde>>; il che vale per una concezione di ispessimento, invece che di ombreggiatura delle linee, anche nel pianissimo. Troviamo inoltre indicazioni di vibrato e ben vibrato”. Anche in questo caso, dunque, ricchezza di pienezza sonora, e uso occasionale del vibrato.

Di Thalberg si elogia, nell’articolo che ho citato sopra, anche la capacità straordinaria di legare i suoni, paragonabile a quella degli strumenti a fiato: e si dice che questa capacità era evidente nell’esecuzione degli andanti, di pezzi elegiaci e tranquilli, nella preghiera del Mosè o nel God Save the Queen.
Quest’ultimo riferimento mi fa venire in mente un episodio della carriera di Rubini: la sua partecipazione a un concerto tenuto a Londra insieme alla regina Vittoria.
Questo il programma del concerto (lo ricavo, ancora una volta, dalla rivista “La Moda” di Francesco Lampato):

“ll Globo, giornale inglese, dà un minuto ragguaglio di questo concerto dato dalla regina Vittoria dopo l’ avvenimento che pose in pericolo la sua esistenza. La giovane regina, la cui salute non ha in alcun snodo sofferto , cantò i pezzi di musica che notiamo:
- Duetto del Disertore, di Ricci, Non funestar crudele , ecc. _, cantato da S. M. la regina e dal principe Alberto.
- Coro pastorale di Costa, Felice età, ecc., cantato dalla regina, da lady Sandwich, altre lady, il principe Alberto, Rubini ed altri.
- Coro: O come lieto giungi, ecc., di Mendelssohn, cantato da S. M. , da varie lady, dal principe Alberto e da Rubini, Lablache ed altri.
- Terzetto del Flauto magico, di Mozart, Dunque il mio bene , ecc. , cantato da S. M., da Rubini e Lablache.
Il maestro Costa era al piano-forte.”


Non so come cantassero la regina e il principe Alberto a fianco di Rubini e di Lablache. Ma per commemorare il grande evento vi propongo di ascoltare con religioso rispetto questa celebre interpretazione di Dame Nellie Melba:
Enrico B.
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Re: Il vibrato nel canto (e nei dischi vecchi e nuovi)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 19 mar 2013, 22:46

Celletti (“La grana della voce: opere, direttori, cantanti”) cita addiruttura Wagner come “testimone” del vibrato di Rubini; dice anzi che “Wagner, a somiglianza dei Berlioz, detestava Rubini” considerando un difetto l’emissione “belante”. Eppure la voce di Rubini non doveva essere per nulla sgradevole, se altre fonti, come sappiamo, ne ricordano soprattutto le caratteristice “angeliche”. E però, secondo un diffuso luogo comune, è pare che gli ascoltatori anglo-tedeschi tendano ad apprezzare poco le voci vibrate. Tuttavia, secondo Percy Alfred Scholes (The Oxford Companion to Music, 1955) potrebbe essersi sviluppata in Gran Bretagna una “tolleranza” del vibrato connessa col successo e con la popolarità di Rubini. Tenori della generazione successiva avrebbero poi diffuso, in particolare in Francia e in Italia, questa tendenza (Capoul, Nicolini, Tamberlick). Ma andiamo a vedere se troviamo qualche notizia più precisa e più dettagliata.


Caro professore,
i miei più vivi complimenti per questi tuoi splendid contributi sull'arte del vibrato!!!
Ho trovato particolarmente interessante il passo sopra riportato. Interessante perché sottolinea che anche l'interprete (o, meglio, l'Artista) induca a volte una mutazione nei gusti del pubblico.
Interessante poi anche lo scarso apprezzamento delle voci vibrate da parte degli ascoltatori di area anglo-tedesca. Mi domando (e ti domando) se questo possa in qualche modo essere legato al fatto che, soprattutto in Inghilterra, non vi sia mai stata una forte tradizione operistica (almeno non quanto i paesi latini), e che quindi si sia sviluppata una tecnica di canto meno vibrata perché più adatta al genere oratoriale o, più in generale, ecclesiastico. In effetti, come hai più volte sottolineato, il vibrato ha una funzione anche espressiva (e quindi forse particolarmente adatta ad un "teatro d'affetti" di epoca barocca o ad un "teatro d'emozione" di epoca romantica, piuttosto che ad un canto più spirituale...)
Ancora complimenti!
Ciao,
DM

P.S.: è possibile che Rubini venga considerato l'inventore del vibrato perché di fatto è stato uno dei primi ad usare il registro di petto anche per le note molto acute (che in precedenza venivano eseguite in falsettone, quindi, immagino, con un effetto molto meno vibrante)? A questo proposito, onniscente professore (ma come le sai così tante cose?! :shock: ) si sa niente del vibrato di un Duprez o di un Tamberlick?
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Re: Il vibrato nel canto (e nei dischi vecchi e nuovi)

Messaggioda Enrico » mer 20 mar 2013, 0:01

Caro Dottore, prendendo spunto anche dal tuo intervento proviamo a fare un elenco delle prossime questioni da affrontare, e speriamo di riuscire, prossimamente, a trattarle in maniera adeguata.
1) mutazione del gusto indotta dagli interpreti (o dal successo, presso il pubblico, di certi interpreti piuttosto che di altri)
2) opinioni e indicazioni degli autori sull'interpretazione delle proprie opere.
3) indagine sugli stili di canto e sulle tecniche vocali in relazione ai diversi generi musicali o teatrali, in diverse epoche e in diverse aree geografiche.
4) definizione di ciò che intendiamo per "falsetto" quando parliamo dei cantanti del primo Ottocento: c'è già un discorso aperto su questo argomento, ma non siamo ancora arrivati, mi pare, a una soluzione definitiva. Nel caso di Rubini l'innovazione consisterebbe comunque nell'usare il registro di petto fino al si, e poi nel produrre, salendo ancora, con l'uso del falsetto, note equivalenti, per sonorità, a quelle emesse di petto, ma probabilmente con diverse caratteristiche di timbro e di "colore". (viewtopic.php?f=2&t=1077)
5) "teatro d'affetti" in epoca barocca / "teatro d'emozione" in epoca romantica: prima di avventurarci in una simile trattazione, ricordiamoci che nella sezione Opere e Autori c'è un discorso già aperto (e lasciato, anche per mia colpa, in sospeso) su Romani e Cammarano e sulle caratteristiche classiche e romantiche dei loro libretti, appartenenti, in buona parte, al periodo in cui nasce e si diffonde il cantar vibrato che qui più specificamente ci interessa (viewtopic.php?f=3&t=1152)
6) notizie sulla vocalità di Tamberlick e di Duprez (quest'ultimo non l'ho citato, parlando del vibrato: ma è inevitabile che venga fuori anche lui se dobbiamo parlare ancora di falsetti e note di petto)

Non so quando avrò tempo per proseguire la storia del vibrato da Rubini ai nostri giorni: in questi giorni non sarà possibile. Ma sarà gradito e apprezzato ogni intervento di chi volesse autarci a svolgere i temi sopra elencati: qui, o in appositi thread, o, volendo raccogliere l'invito del nostro Padre Fondatore, in contributi per la Home.
Enrico B.
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Re: Il vibrato nel canto (e nei dischi vecchi e nuovi)

Messaggioda DottorMalatesta » mer 20 mar 2013, 22:02

Il menu è ricco e interessante e il cuoco degno di "Master chef" : Chef : !
;-)
DM

P.S.: nell'attesa mi rileggo un po' i thread che hai segnalato : Thumbup :
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